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Posts Tagged ‘mitologia’

Toni Truesdale

“Storia e Mitologia hanno bisogno di includere senza restrizioni le storie di tutte le donne.

La prospettiva femminile dovrebbe riflettersi nell’estetica, nei valori, nella spiritualità e nella moralità.

Io sviluppo arte figurativa che mostra la naturale bellezza e intelligenza negli aspetti della vita multiculturale di sorelle, madri, figli, zie e nonne tutte: e celebro la nostra comunanza attraverso il tempo, la cultura comune delle donne che io chiamo il nocciolo invisibile.

Toni Truesdale (in immagine sopra), insegnante d’arte, disegnatrice e pittrice di murales, illustratrice contemporanea statunitense (trad. Maria G. Di Rienzo).

Tutto quel che vedete qui è opera sua.

eve out of africa

(Eva)

Harvest

(Il Raccolto)

toni murales

(Murale)

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Generalmente, questo è il periodo dell’anno in cui formuliamo buoni propositi per noi stessi e cerchiamo di proiettarci nel futuro. Nel farlo, esaminare, riconoscere e apprezzare le nostre capacità collegandole ai nostri desideri è essenziale: ma sapere su che terreni tendiamo a incespicare e imparare a restare in piedi sentendosi al sicuro e fiduciosi lo è altrettanto.

Il mio suggerimento al proposito è di usare gli archetipi. E’ facile, non costa nulla e permette di risvegliare energie dormienti e di esplorare lati della nostra personalità sepolti da condizionamenti o paure.

L’archetipo (significa “modello”, “prototipo”, “primo esemplare”) è un elemento simbolico che esprime una serie specifica di aspetti e ricorre nelle narrazioni di qualsiasi tipo, dalla fiaba per bambini alla leggenda urbana. In effetti, ci imbattiamo continuamente nella Strega (cattiva per lo più), nel Vecchio Saggio, nella Madre benevola o nella Matrigna malvagia, nel Principe Azzurro, nel Genio, eccetera. Solo da questo brevissimo elenco avrete notato che gli archetipi non sfuggono alla stereotipizzazione di genere, giacché i posti migliori, per così dire, sono riservati agli uomini: se il Vecchio Saggio è competente, custode di tradizioni e profonde conoscenze, associato a potere e intelligenza e “motore” del bene, la Vecchia Saggia non gode di eguale considerazione: è al meglio una fattucchiera astuta e manipolativa che dev’essere temuta o persino eliminata – tuttavia nulla vi impedirà di rivalutarla e di chiamarla al vostro fianco se ne avrete bisogno.

Vi rassicuro anche sul fatto che non avete necessità di studiare mitologia o di avere una specializzazione in psicologia junghiana, giacché gli archetipi prendono forme “moderne” e popolari che vi sono sicuramente note: Daenerys de “Il Trono di Spade”, come Xena prima di lei, è un archetipo (la principessa guerriera), così come Yoda di “Star Wars” (il vecchio saggio, appunto).

Date un’occhiata al parco offerte:

1. C’è un libro, un film, uno sceneggiato, un videogioco che ha per voi grande significato e vi è particolarmente caro, magari sin dall’infanzia?

2. Qual è il vostro personaggio preferito in uno o più di questi mondi virtuali? Perché vi piace?

3. Nell’eventualità che la fiction non vi soddisfi, c’è un individuo reale che non conoscete personalmente ma vi appassiona e vi ispira?

E’ assai probabile che le risposte siano collegate ai vostri sogni, ai vostri timori, a come siete e a come vorreste essere in determinate situazioni. Se siete attratte/i da un determinato personaggio è possibile esso rappresenti qualcosa che attende di essere risvegliato in voi. Chiunque ella o egli sia, chiamate la sua energia e la sua alleanza quando, come detto all’inizio, vi trovate su terreni instabili.

Mettiamo che siate di continuo coinvolti, per lavoro o relazioni personali, nella mediazione di dispute e conflitti: avete alti standard su giustizia, equità, eguaglianza e dovete esercitare pazienza, ascolto, osservazione, comprensione di differenti punti di vista. Il vostro personaggio preferito / archetipo è il Diplomatico. Che forma ha preso nel vostro immaginario?

E’ una cosa da vecchi cinefili incalliti, tipo il giudice Dan Haywood interpretato da Spencer Tracy in “Vincitori e vinti” (“Judgment at Nuremberg”, 1961)? Oppure è l’avvocata Alicia Florrick (Julianna Margulies) di “The Good Wife”? E’ Re Salomone o la Profetessa e Giudice Debora nella Bibbia? E’ l’avvocata Premio Nobel per la Pace Shirin Ebadi?

Evocate il vostro archetipo, chiunque sia, così: “Ora ho bisogno della chiarezza lungimirante di Debora”, “Alicia (o Shirin) in questo momento devo esercitare la tua resilienza e il tuo coraggio”. Pensare o dire queste parole stimolerà in voi i tratti che associate a Debora, Alicia Florrick o Shirin Ebadi. Potete persino agire come il personaggio o la persona in questione, parlare come pensate lei o lui parlerebbe se presente – voi restate chi voi siete, non svilupperete una doppia personalità, ma più a lungo praticherete l’uso degli archetipi più le qualità che “chiamate” si riveleranno come semplicemente vostre.

Insomma, se vi sembra che il vostro prossimo compito sia portare un Anello a Mordor, non fatevi scrupolo di mandare un messaggio a Frodo (o a Gandalf). Brindo al vostro successo!

Maria G. Di Rienzo

Baby Yoda 2

(per la serie: ogni scusa è buona per piazzare un Baby Yoda da qualche parte)

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(“Persefone in Inverno”, di Robin Hyde (1906 – 1939), pseudonimo di Iris Wilkinson, poeta e giornalista neozelandese, trad. Maria G. Di Rienzo.)

sleeping

Persefone d’inverno

giacque immobile, ne’ si diede pensiero

delle impetuose crescenti onde di fiori

che la sua gioventù inquieta aveva recato.

Intrappolata al di là del tocco di sofferenza o tristezza,

imprigionata fra alte mura di acquamarina,

lei si assopì… la regina di Plutone.

I conigli dai denti affilati scavarono verso il basso

per trovare la fanciulla giunchiglia

che avevano visto danzare nella loro città di collinette

con le braccia nude cariche di boccioli;

con occhi spaventati, i cercatori si arrampicarono

di nuovo a piluccare erba,

narrando di come l’Eburnea dormisse,

troppo ferma, troppo fredda per gli uomini.

Solo il serpente, il cui pensiero arriva gelido

da antichi occhi di gioiello,

in cerchi variegati di verde e oro

scivola attorno a lei come una cintura.

Solo il furtivo suono da corda di liuto

delle titubanti acque sotterranee,

solo le gocce d’acqua di un blu ghiacciato

sono segrete come le sue labbra.

solstice rocks

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Eva e Lilith

(di Michelene Wandor, trad. Maria G. Di Rienzo. Michelene Wandor è una drammaturga, poeta, scrittrice, storica, saggista, insegnante e musicista nata nel 1940. Figlia di immigrati ebrei russi, vive in Gran Bretagna. E’, fra l’altro, la curatrice della prima antologia britannica sul Movimento di Liberazione delle Donne “Body Politic” (1972) e di “Once a Feminist” (1990). Il gruppo con cui suona musica barocca e rinascimentale si chiama “The Siena Ensemble”.)

Lilith And Eve In Eden di Karla Gudeon

Eva a Lilith

non mi fraintendere – non ho nulla contro le prime mogli

bene, allora lo hai portato a letto

per prima; questo è semplicemente

un fatto della vita

che ti ha portato a conoscere

tutte le sue piccole abitudini, come

il mettersi le dita nel naso

quando legge a letto

ma con te questo non lo fa?

capisco

non sono gelosa. io non credo

nella gelosia e ciò in cui non credo

non mi ferisce. Ma dimmi

onestamente, cos’hai fatto al pover’uomo?

E’ un disastro da quanto è nervoso.

Non riesce a confrontarsi con il suo capo, ha

dolori persistenti al fianco –

voglio dire, qualcosa dev’essere accaduto

per lasciare su un uomo

così tante cicatrici.

Mi ha raccontato quanto eri bella.

Il tipo scuro, drammatico.

Di solito non parla di te

ma quando noi – be’, molto tempo fa –

quando – di notte –

noi – al buio, sempre –

lui era solito chiamare il tuo nome

in un determinato momento

Non sono affari miei ma devi aver fatto qualcosa di davvero speciale

perché un uomo ti ricordi così

Lilith a Eva

Gli ho solo detto “no”.

E’ stato allora che mi ha dato

la sua attenzione

per la prima volta.

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(“Arianrhod’s Joy”, poesia e immagine di Gaia Woolf-Nightingall. L’Autrice trae ispirazione dalle tradizioni spirituali basate sulla Terra e dalle mitologie celtiche che si rifanno alla sua propria origine. Non esprime tutto ciò solo con parole e immagini, ma con la creazione di orti e giardini – ha studiato orticoltura organica in Irlanda.)

Arianrhod

LA GIOIA DI ARIANRHOD (1)

Una figura nera stilizzata contro lo scuro orizzonte.

Braccia sollevate a salutare il vasto buio cielo.

E nel mezzo di delicati attimi, la signora dei destini attrae in basso la carne del multiverso.

Una ruota di luce nasce al suo comando, facendo piovere le stelle dell’eventualità.

Il calderone del fato, vita e morte, gorgoglia e bolle attorno a lei.

Una rossa, calda pulsar (2) che si manifesta.

La soglia fra terreno ondeggiante, cielo nero e il mare della sorte è illuminata.

E in ritmo vibrante un mondo sorge fra le sue braccia sovrane:

un inizio, una nascita, vita, morte e declino, tutto contemporaneo e incessante.

Uno spirito concreto si spinge in avanti nell’immenso cosmo.

La signora della ruota d’argento guida le mani di coloro che sono, che sono stati e che saranno.

Tessendo sogni e fortuna con il suo fuso scintillante.

Lei è, lei si erge, ricolma e intera in se stessa.

La Regina regnante delle Stelle.

(1) Arianrhod, il cui nome è comunemente tradotto come “ruota d’argento” e collegato alla luna piena, appare nei due testi gallesi più antichi: il Mabinogion e le Triadi – Trioedd Ynys Prydein, con due storie differenti ma con identica “potenza”. In Galles vi è ancora una formazione rocciosa costiera denominata Caer Arianrhod, il Castello di Arianrhod.

(2) termine il cui significato originario è “sorgente radio pulsante”, indica una stella di neutroni. La costellazione della Corona Boreale, che nella mitologia occidentale è il diadema d’oro donato da Dionisio a Arianna, nella mitologia gallese è la regale corona di Arianrhod (le stelle che la compongono sono disposte a semicerchio e suggeriscono l’associazione).

corona borealis

(Corona Borealis)

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(tratto da: “If I am to live through an afterlife it should be as a churel demon, so I can seek vengeance on behalf of mistreated women across the globe”, di Sarah Khan per “Wear Your Voice”, 2 agosto 2017. Sarah, scrittrice-editrice, vive a Toronto in Canada e, nelle sue stesse parole, è “una femminista rompiballe e una groucho-marxista”. Trad. e adattamento Maria G. Di Rienzo.)

churel

Come per tutte le altre culture, l’Asia del Sud ha la sua propria serie di mostri ultraterreni atti a spaventare bambini (e anche qualche adulto). Nessuno di essi ha mai realmente spaventato me, perché tutti sembrano avere una ragione per essere quel che sono. Quella che mi affascina di più fra loro è la churel.

La leggenda della churel, a quanto si dice, ha avuto inizio in Persia, ma attualmente è più presente nell’Asia del Sud, in modo particolare in India, Pakistan e Bangladesh. Si narra che sia lo spirito di una donna a cui è stato fatto torto, di solito una donna morta di parto o subito dopo il parto. Una donna può anche tornare come churel se è stata maltrattata dai parenti durante la sua vita o se non ha mai avuto soddisfazione sessuale.

La churel è una creatura dall’aspetto orrendo di base, ma può prendere qualsiasi forma le aggradi. In Pakistan, alla sua leggenda è aggiunto il particolare che non può cambiare però i suoi piedi, che sono volti all’indietro. Generalmente, la churel prende la forma di una donna “tradizionalmente bella” per attirare gli uomini in zone isolate delle foreste. La maggior parte del folklore narra che lo fa per vendetta, torna per uccidere i maschi della famiglia, a cominciare da quelli che hanno abusato di lei quando era viva. A causa della paura della churel, le famiglie sentivano di dover avere buona e speciale cura delle parenti donne, come le nuore, e in particolar modo di quelle incinte. La churel diventa la ragione per cui le donne sono trattate da esseri umani nelle loro famiglie.

Il fatto che delle persone abbiano necessità di essere terrorizzate da una leggenda urbana per essere decenti con le donne nella loro famiglia è in se stesso scioccante, ma a me piace pensare che la leggenda sia stata creata dalle donne, per indurre gli uomini – tramite il timore – a trattarle da esseri umani. Le donne sono state considerate cittadine di seconda classe e poco più di incubatrici per bambini per lungo tempo, perciò non mi sento di biasimarle per aver potenzialmente creato una demone terrificante.

L’idea di una demone-strega che può cambiare forma e attirare gli uomini verso la loro dipartita esiste in una cultura così vistosamente misogina da risultare tonificante. Come creatura probabilmente fittizia (dico “probabilmente” perché a livello personale vorrei così tanto crederla reale), la churel sta facendo ciò che molte donne (e uomini) viventi non sono in grado di fare: reclamare per se stesse/i un trattamento umano ed egualitario.

Sebbene io sia stata trattata davvero bene dalla mia famiglia durante la mia vita, se avrò esistenza nell’aldilà una parte di me desidera che tale esistenza sia quella di una demone churel, per poter vendicare le donne maltrattate su tutto il pianeta.

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Cara Aquila

(“Un’aquila, un amore”, di Roxana Ștefan, poeta contemporanea, trad. Maria G. Di Rienzo. Questo testo, scritto il 23 febbraio 2017, è il n. 307 nella sfida che l’Autrice si è posta del comporre una poesia al giorno per un anno. “Numero fortunato.”, assicura Roxana, che di sé dice: “Amo la poesia, la storia, i libri, i film, il mio paese – la Romania. Ricostruisco l’Universo fra le molecole, disegno mondi ideali. E scrivo, anche.”)

albero-del-mondo

Nove.

Parole che amoreggiano

con antica sapienza, acqua pura,

la banca dati di Asgard, (1)

ricordi di esseri umani;

tutto attorno agli schiavi di quei vermi che sono i più oscuri.

Tu stai sopra a ogni cosa,

cara aquila.

Baciami più forte con la tua conoscenza,

brucia i ponti sulla tua via.

Io ruberò pozioni segrete,

gioventù, tutti i misteri degli dei,

poteri segreti, Yggdrasil. (2)

Io tornerò

per diventare un solo essere con te.

(1) La dimora degli dei nella mitologia nordica.

(2) Nella stessa mitologia è l’asse del mondo, l’albero cosmico. E’ più frequentemente scritto con due “l” finali.

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treccia

Nel mezzo di dimostrazioni assai più grandi questa, sul ponte che collega El Paso – Usa e Juárez – Messico, è passata quasi inosservata. Mentre il nuovo Presidente statunitense prestava giuramento, lo stesso uomo a cui piace “prender le donne per la passera” e che ha promesso di costruire fra i due paesi “un grande bellissimo muro”, circa 50 donne americane e messicane hanno creato un potente simbolico gesto di resistenza e forza collettiva: intrecciando insieme i loro capelli.

Capelli bianchi e capelli neri, biondi e rossi e castani, in un’unica treccia e chi li aveva corti si è drappeggiata una sciarpa sulla testa per legarla alla capigliatura di un’altra donna.

Xochitl Nicholson di “Boundless Across Borders” (“Sconfinate attraverso i confini”), una delle organizzatrici, lo ha spiegato così: “Volevamo qualcosa che si riferisse direttamente alle donne, ma che convogliasse anche un messaggio sul nostro retaggio e sul nostro retroterra, che sono comuni.”

“Nessun gesto è troppo piccolo. – ha aggiunto Marisol Diaz, una giovane partecipante – Il cambiamento avviene tramite queste azioni.” Altre donne presenti hanno attestato di stare sul ponte in rappresentanza di chi non poteva esserci: le persone senza documenti, le persone le cui terre sono state occupate, eccetera.

Le trecce hanno una lunga storia nelle mitologie e nei simbolismi del nostro pianeta. Poiché hanno bisogno di tre ciocche tessute insieme diventano per esempio significanti dell’unione di corpo, mente e spirito o di presente / passato / futuro: chi le porta, i suoi antenati, i suoi discendenti. Anticamente, in Finlandia, si credeva che chi era molto abile nel fare trecce fosse anche in grado di domare i venti. Guardate queste donne: sono pronta a scommettere che non c’è vento contrario che non possano imbrigliare.

sul-ponte

Maria G. Di Rienzo

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“Il Dio del cielo e della terra semplicemente chiede. Il Fato è la domanda che ho posto. Voi potete trovare la risposta.”

Così 천지신명 (la pronuncia resa in italiano è “cion-gi-scin-miong”), la suprema divinità di un pantheon coreano antecedente buddismo, cristianesimo e confucianesimo, crea una delle scene più significative dello sceneggiato “Goblin” (도깨비 – “docchebi”, accento sulla finale) attualmente trasmesso dal canale via cavo “tvN” e decisamente sulla cresta dell’onda: 15,3% di share, con picchi di 18.

goblin-poster

Secondo la mitologia a cui fa riferimento le cose per gli esseri umani vanno così:

A crearti è la Nonna Samshin, la Dea del Parto che protegge madri e bambine/i. La sua protezione ti segue sino ai 10 anni.

Dopo di ciò, passi sotto la vigilanza di sette divinità che sono le sette stelle del Grande Carro dell’Orsa Maggiore (칠성신 – “cil-song-scin”): con il tempo, queste figure si sono fuse con quella del dio supremo succitato.

Quando incontri un Messaggero dell’Aldilà (저승사자 – gio-sung-sa-gia) muori.

Nel tribunale dell’Aldilà ciò che hai fatto durante la tua vita è giudicato dal Grande Re 염라 (“iom-ra”), che comanda i Messaggeri. Se sei stato giusto puoi andare in Cielo o reincarnarti, se non lo sei stato soffri eterno dolore (in alcuni casi ti reincarni in una forma inferiore e in altri ancora diventi un Messaggero come forma di espiazione).

goblin

(da sinistra, il Messaggero dell’Aldilà e il Goblin)

Se hai un desiderio fortissimo o un rancore altrettanto intenso che ti spingono a voler vivere anche dopo la morte, resti a vagare in questo mondo come spirito (fantasma).

Questa mitologia comprende creature come i draghi e il nostro 도깨비: un essere fatato non necessariamente maligno come i goblin del folklore anglosassone (tradurre è sempre un po’ tradire) ma che da buon folletto può creare oro e compiere altri incantesimi. In più il “docchebi” non nasce tale: in origine era una creatura umana e subisce la trasformazione a causa di diverse circostanze – per esempio, come nel caso dello sceneggiato, il subire un grave tradimento intriso da molto sangue versato.

La storia del drama, in sé, non mi attira in modo particolare. Il folletto vive in eterno, trafitto dalla propria spada, e per raggiungere pace e oblio deve trovare la propria “moglie”, una donna umana che lo ami, perché in virtù di questo amore lei è in grado di sfilare la spada dal suo corpo: capite bene quanti fazzoletti si inzuppano di lacrime per il triste destino di entrambi…

goblin-sword

Ma la scrittrice che ha vergato la sceneggiatura, Kim Eun-Sook, lo ha fatto in modo superbo, utilizzando il meglio della letteratura e della poesia del suo paese. Con uno “script” del genere, persino un guitto (parlo degli idol-boys e delle idol-girls gettati in modo improvvido nelle produzioni cinematografiche e televisive) non può fare altro che diventare un attore. Perciò sto guardando le puntate di “Goblin”, per ascoltare più che per vedere.

Maria G. Di Rienzo

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lehua

(“Banana Queen”, di Lehua Taitano – in immagine qui sopra -, trad. Maria G. Di Rienzo. Lehua M. Taitano, nativa Chamorro di Yigo, nell’isola di Guam che fa parte dell’Arcipelago delle Marianne, si definisce “poeta, scrittrice e artista queer”. E’ l’autrice di due raccolte di poesie, A Bell Made of Stones e Sonoma, e di una di racconti brevi intitolata appalachiapacific e vincitrice del premio letterario Merriam-Frontier nel 2010. Guam è uno dei “territori non autonomi” ancora esistenti: in pratica, una colonia degli Usa. La vita del popolo Chamorro si è a lungo basata su gruppi familiari estesi matrilineari: questo concetto di “clan” deriva da una comune antenata di sesso femminile ed è in uso ancora oggi. Il suo perno è la parola inafa’maolek che significa “farsi del bene l’uno con l’altro” ed è spesso tradotta come “interdipendenza”.

Secondo una leggenda Chamorro, il mondo fu creato da due gemelli, un maschio e una femmina che si chiamavano Puntan e Fu’uña. In punto di morte, Puntan chiese alla sorella di creare l’universo con le parti del suo corpo: così Fu’uña prese i suoi occhi e ne fece il sole e la luna, usò le ciglia per creare arcobaleni eccetera. Finito il lavoro, mutò se stessa in una roccia sull’isola di Guam e da tale roccia emersero gli esseri umani.)

REGINA DELLE BANANE

Nel mezzo di Ovunque

è ciò che ho detto

a questo che chiedeva

Dove.

Invece di Nessun Luogo

come lui pretendeva.

Trovalo, disse,

su questa mappa qui.

Fallo.

Tutta la cartografia nel suo

mondo non poteva

farne altro

che una tana di moscerino.

Injun (1), disse quest’altro.

Dev’essere così, con un nome

come Quello.

(Tutto quel a cui stanno tentando di arrivare

è: l’aroma con cui cui dovremmo chiamare

la tua fica.)

Tu non sembri proprio –

quest’altro ancora

disse

– una Guamanita.

(Guamaniana. Guamese. Guamariana.)

Straniera, disse un altro ancora.

Banane.

Non aveva sentore

della mia avversione, che è la più vera

delle allergie, con crampi.

Con un nome

come Quello,

lui disse, io penso che tu dovresti essere

la Regina delle Banane.

(                                     )

Dovrei io estrarre

ogni insulto come

una freccia e smontare

ciascuno di essi e in caso

come.

Inoltre, quale ferita

è più profonda, la punta

o la cocca dell’arco.

Ad ogni modo le mie faretre

sono profonde come scafi di navi e

le rocce dell’oceano sono l’acciottolio

di piume che cantano e si frantumano

in ossa di pesce.

Le onde fremono e

ogni

vertebra è una vocale

ogni

costola è una coniugazione,

sino a che ogni

bianco frammento

si salda a maglia in una minuta

poesia, in un natante

scheletro di ogni cosa che io

potrei mai

dire.

(1) Termine spregiativo per “pellerossa”

guam-oceano

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