(“Banana Queen”, di Lehua Taitano – in immagine qui sopra -, trad. Maria G. Di Rienzo. Lehua M. Taitano, nativa Chamorro di Yigo, nell’isola di Guam che fa parte dell’Arcipelago delle Marianne, si definisce “poeta, scrittrice e artista queer”. E’ l’autrice di due raccolte di poesie, A Bell Made of Stones e Sonoma, e di una di racconti brevi intitolata appalachiapacific e vincitrice del premio letterario Merriam-Frontier nel 2010. Guam è uno dei “territori non autonomi” ancora esistenti: in pratica, una colonia degli Usa. La vita del popolo Chamorro si è a lungo basata su gruppi familiari estesi matrilineari: questo concetto di “clan” deriva da una comune antenata di sesso femminile ed è in uso ancora oggi. Il suo perno è la parola inafa’maolek che significa “farsi del bene l’uno con l’altro” ed è spesso tradotta come “interdipendenza”.
Secondo una leggenda Chamorro, il mondo fu creato da due gemelli, un maschio e una femmina che si chiamavano Puntan e Fu’uña. In punto di morte, Puntan chiese alla sorella di creare l’universo con le parti del suo corpo: così Fu’uña prese i suoi occhi e ne fece il sole e la luna, usò le ciglia per creare arcobaleni eccetera. Finito il lavoro, mutò se stessa in una roccia sull’isola di Guam e da tale roccia emersero gli esseri umani.)
REGINA DELLE BANANE
Nel mezzo di Ovunque
è ciò che ho detto
a questo che chiedeva
Dove.
Invece di Nessun Luogo
come lui pretendeva.
Trovalo, disse,
su questa mappa qui.
Fallo.
Tutta la cartografia nel suo
mondo non poteva
farne altro
che una tana di moscerino.
Injun (1), disse quest’altro.
Dev’essere così, con un nome
come Quello.
(Tutto quel a cui stanno tentando di arrivare
è: l’aroma con cui cui dovremmo chiamare
la tua fica.)
Tu non sembri proprio –
quest’altro ancora
disse
– una Guamanita.
(Guamaniana. Guamese. Guamariana.)
Straniera, disse un altro ancora.
Banane.
Non aveva sentore
della mia avversione, che è la più vera
delle allergie, con crampi.
Con un nome
come Quello,
lui disse, io penso che tu dovresti essere
la Regina delle Banane.
( )
Dovrei io estrarre
ogni insulto come
una freccia e smontare
ciascuno di essi e in caso
come.
Inoltre, quale ferita
è più profonda, la punta
o la cocca dell’arco.
Ad ogni modo le mie faretre
sono profonde come scafi di navi e
le rocce dell’oceano sono l’acciottolio
di piume che cantano e si frantumano
in ossa di pesce.
Le onde fremono e
ogni
vertebra è una vocale
ogni
costola è una coniugazione,
sino a che ogni
bianco frammento
si salda a maglia in una minuta
poesia, in un natante
scheletro di ogni cosa che io
potrei mai
dire.
(1) Termine spregiativo per “pellerossa”