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arthdal poster

Ecco qua (per la serie: oggi parliamo di “fuffa”, my friends). Questo è il manifesto di “Arthdal Chronicles” – “Le Cronache di Arthdal”, attesissimo sceneggiato fantasy sudcoreano che ha persino vinto un premio (per il drama più atteso…) ancor prima di andare in onda su TvN e Netflix, cosa che è finalmente accaduta il 1° e il 2 giugno.

Definito nelle conferenze stampa, non dai suoi autori, “la risposta orientale a Il Trono di Spade”, criticato in modo drastico in questi giorni sul web proprio per le supposte somiglianze alla serie tv sunnominata, “Le Cronache di Arthdal” è in effetti deludente – ma non per questi motivi, e inoltre è partito con percentuali d’ascolto molto buone che sono persino cresciute per il secondo episodio.

“Non ho neppure mai pensato di paragonare la nostra serie a “Il Trono di Spade” e non penso che il nostro scopo sia creare qualcosa di simile. Penso che il paragone non sia appropriato. Abbiamo tentato di creare una serie televisiva costruendo un mondo fantastico a partire dalla nostra immaginazione e spero che vedrete la nostra serie per quello che essa è.”, ha detto lo scrittore e sceneggiatore Park Sang-yeon ai giornalisti, ma sembra che non lo abbiano ascoltato.

Partiamo dalla “risposta orientale”. La prima stagione de “Il Trono di Spade” ha cominciato ad andare in onda il 17 aprile 2011 e non è un mistero che la sottoscritta ne ha preso visione, ha registrato i motivi del suo successo – sangue, brutalità, torture, efferatezza, oggettivazione sessuale delle donne, stupri, stupri e ancora stupri – e ha bellamente ignorato lo show sino alla sua fine. Tuttavia, se vogliamo mentire e dire che il fascino dello sceneggiato era in realtà la lotta per il potere con i suoi tradimenti e intrighi, le sue guerre e colpi di stato e omicidi politici, be’, potremmo definirlo “la risposta occidentale” a “The Legend” (11 settembre – 15 dicembre 2007) o meglio ancora a “La Regina Seon Deok” (25 maggio – 28 dicembre 2009): quest’ultimo avrebbe dovuto contare 50 episodi, ma il suo successo fu talmente clamoroso che i produttori ne aggiunsero altri 12.

The Legend poster

Nel primo caso abbiamo: due giovani principi apparentemente designati entrambi come l’atteso sovrano delle leggende e delle profezie, l’uno quasi privo di appoggi a corte e l’altro membro di una potente e spietata coalizione interna; quattro semi-dei, custodi mistici del regno, e le loro interazioni con i due rivali; un clan di assassini adoratori del fuoco che giustificano la loro brama di potere assoluto con un’antica sete di vendetta… magia, spade, veleno, eserciti, ambizioni personali, creature fantastiche (il Serpente-Tartaruga, la Fenice, la Tigre Bianca, il Drago Blu) ecc. C’è tutto: “Il Trono di Spade” ha copiato?

queen seondeok poster

Nel secondo caso abbiamo: una principessa – e poi unica legittima erede al trono – allontanata alla nascita per evitarne l’omicidio, che cresce ignorando il proprio status; sicari e profezie; religione asservita al potere temporale; frenetiche e crudeli lotte fra i cortigiani; sfrenata ambizione personale soprattutto nell’antagonista principale della principessa, una cortigiana che sale di forza a vette sempre maggiori di potere usando letteralmente e implacabilmente se stessa e gli altri: un personaggio “cattivo” così affascinante, intelligente, profondo, complesso – e magistralmente reso dall’attrice che lo interpretava – da rendere impossibile odiarlo del tutto. Anche qui magia e spade e veleno e eserciti, ecc.: il “Trono di Spade” ha copiato?

Gli elementi tipici, universali, di queste storie semplicemente si ripetono. Qualunque cosa tu crei avendo come sfondo un trono conteso – ed è questo il caso per tutti e tre gli sceneggiati citati – li rende inevitabili. C’è da dire che “The Legend” e “La Regina Seon Deok” li hanno semmai espressi in modo assai più coinvolgente e raffinato di quanto abbia fatto quel carnaio – bordello noto come “Il Trono di Spade”.

Se “Le Cronache di Arthdal” è deludente, come ho detto all’inizio, non è perché abbiamo i “figli della profezia”, i politici avidi e sfrenati, i guerrieri macellai – e nemmeno i (francamente per me ridicoli) “neandertaliani” con il sangue blu e la magia dei sogni: è perché, almeno per il momento, non è riuscito a suscitare la nostra simpatia, identificazione, passione per nessuno dei personaggi che in esso si muovono.

cast

(i quattro principali sono qui sopra)

Gli scenari sono di sicuro bellissimi, i dettagli che differenziano le varie aggregazioni molto curati, la recitazione non merita meno di impeccabile… è il copione che fa acqua, assieme al ritmo assai confuso delle riprese. Ma una somiglianza con “Il Trono di Spade” c’è, sebbene di segno opposto: invece di spogliare ossessivamente le attrici, “Le Cronache di Arthdal” denuda di continuo i torsi degli attori. Ambo i trucchetti rivelano che tipo di pubblico si sta cercando di agganciare – guardoni maschi occidentali o idol-fan femmine orientali… l’importante, sapete, è soddisfare gli sponsor pubblicitari con ogni mezzo necessario.

Maria G. Di Rienzo

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Nel luglio scorso, il video di un uomo che prendeva a calci e pugni la sua ex fidanzata e poi la inseguiva con un camioncino in una strada centrale di Seul (Corea del Sud) sollevò grande indignazione e funse da innesco per varie iniziative contro la violenza di genere. Successivamente, in agosto, uno studio dell’Istituto Coreano di Criminologia ha confermato – come le attiviste locali e internazionali avevano subito sottolineato – che non si è trattato di un estremo, isolato incidente: il 79,7% dei 2.000 uomini coreani intervistati ha ammesso di aver abusato psicologicamente o fisicamente della donna con cui aveva una relazione. Il 71% ha specificato che nel mentre insultava e/o pestava la persona “amata” ne controllava anche le attività, restringendo i suoi contatti con familiari e amici, decidendone l’abbigliamento, ecc.

In occasione del clamore mediatico, la polizia ha assicurato che lavorerà in più stretto contatto con le organizzazioni delle donne ma le leggi non prendono ancora l’abuso abbastanza sul serio per consentire un contrasto efficace alla violenza: uno stalker in Corea se la cava con una multa equivalente a 74 euro e spiccioli.

Perciò, in tale contesto, il premio come miglior attrice dell’anno conferito dalla rete KBS a Jung Ryeo Won (coreana-australiana, nata nel 1981, in immagine qui sotto) il 31 dicembre scorso assume un significato particolare.

Jung Ryeo-Won

L’attrice lo ha guadagnato per la sua interpretazione della pm Ma Yi Deum nello sceneggiato “Il tribunale della strega”. Si tratta di un personaggio relativamente inusuale per la tv coreana, una giovane donna ambiziosa, materialista, incline a lavorare fuori dalle regole se ciò le garantisce il successo – l’avevamo già vista qualche volta, ma di solito gli scrittori la puniscono con ogni sorta di umiliazione e sconfitta per aver agito “come un uomo”, il quale per contro assurge nei medesimi scenari a svariate vette di potere, nel mentre lei capisce di doversi arrendere alla “femminilità” e via delirando. Le cose davvero nuove del drama sono due: 1) la pm Ma Yi Deum non recede, non si sottomette, se il superiore tenta di darle uno schiaffo lo prende a calci negli stinchi; 2) assegnata al nuovo ufficio, una speciale divisione che tratta solo di crimini sessuali e violenza di genere, e che non gode di particolare prestigio, continuerà a essere se stessa e formidabile.

Il 31 dicembre, quindi, Jung Ryeo Won si è diretta al microfono con fiori e trofeo fra le braccia e ha cominciato il suo discorso di accettazione del premio presentandosi nello stesso tono del personaggio che gliel’ha fatto vincere: “Salve, qui è Jung Ryeo Won che è stata molto felice nel 2017 mentre recitava il ruolo della pm Ma Yi Deum.”, ma durante il discorso ha dovuto far pausa un paio di volte per trattenere le lacrime.

“Il nostro sceneggiato – ha detto fra l’altro – aveva a che fare con quella seria questione che è l’assalto sessuale. Nella nostra società esso dilaga sfrenato, come una gelata, ma i perpetratori non sono esposti. Tramite lo sceneggiato, volevamo dire che le leggi sull’aggressione e sulla violenza sessuale devono diventare più severe, di modo che i perpetratori siano puniti, e abbiamo pensato che poteva essere anche una buona opportunità per le vittime di far sentire le loro voci. So che le vittime di violenza sessuale esitano a parlare perché si sentono umiliate quando lo fanno e spero che noi si sia stati in grado di essere una fonte di conforto per loro. Tutta la famiglia de “Il tribunale della strega”, lavoranti e attori, si è impegnata duramente tenendo questo sempre in mente durante le riprese.”

Jung Ryeo Won non è stata la sola a dover maneggiare la commozione suscitata dal suo stesso discorso: all’attrice che nello sceneggiato ha la parte della madre della pm, Lee Il Hwa, e al co-protagonista Yoon Hyun Min (in immagine qui sotto) è pure sfuggita qualche lacrima.

Lee Il-Hwa e Yoon Hyun-Min

La rete televisiva KBS è ritenuta, in genere, la più “conservatrice” fra quelle del mainstream coreano e immagino che non sia stato semplice ottenere l’accettazione del progetto (forse “oliata” tramite alcune concessioni al melodramma nella sceneggiatura), tanto più che nel cast è stata scritturata quella Kim Yeo Jin – attrice nata nel 1972, recitava nel ruolo di direttrice della divisione – notoria attivista per i diritti dei lavoratori e per la giustizia sociale già bandita dalla, in apparenza, più “progressista” rete MBC. Mai dire mai, insomma.

Maria G. Di Rienzo

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Joongang Daily, April 15th 2017: ” ‘Saimdang’ to end series earlier than planned. The SBS series “Saimdang, Memoir of Colors” will end earlier than originally planned, its distributor said Thursday, as the fantasy period drama suffered from low ratings. The Wednesday-Thursday drama starring actress Lee Young-ae premiered on Jan. 26 on SBS as a 30-episode series. SBS said it will end on May 3 or May 4, a week earlier than scheduled.”

saimdang poster

I don’t want to boast or claim anything, but it took me just the two first episodes to say “This is gonna be a flop”. I thought I would have been touched by Saimdang’s history: the documentary I had previously seen about her was promising – with a mother that encouraged her daughter’s studies – but the drama disappointed me even if the female lead is a great actress (I don’t think the same of the male lead Song Seung-heon…) and even if we could see, at last, a supporting character wearing a size larger than zero while doing a meaningful job…. but the italian footage in present day sucked too much and said too much about the shallowness of the script.

The following notes are dedicated to all those k-drama fans’ sites where users wrote really incorrect (and even stupid) things about Italy as they were commenting “Saimdang”:

a) The lines of the italian “actors” do not match the english translation so I guess they don’t match the korean translation either;

b) The subtitles say the villa is in Tuscany and the city is Bologna, but Bologna belongs to another region (Emilia Romagna) and the scene of the “crazy korean woman” has been clearly shot in Florence (Ponte Vecchio and surroundings);

c) The villa’s name, “Siesta di luna”, is not italian, let alone the italian spoken in the year 1551: siesta is the spanish word for nap (it would be “sonnellino” for us), and it is a word that has been absorbed by our language much later. Besides, no owner would have named his/her villa “Sonnellino della Luna” in that age – the surname of the family or something picked by topography or mythology would have been chosen;

d) Obviously our country has laws about the so called “beni culturali” – historical buildings and artefacts such as paintings, etc. No guardian or civil servant or estate agent (the man in the drama states in italian “I’m not the owner”) is allowed to give what can be found in an ancient villa as a gift to a visitor but even so, the korean lady wouldn’t have been able to carry those objects out of Italy lawfully due to the strict control measures at the airport;

e) Yes, our country has a great burden of misogyny, domestic violence, femicide and street harassment: but it’s unbelievable that every single stranger Lee Young-ae meets in Italy speaks to her in what we can call “banmal” (we usually speak in the third person to adult people we don’t know: lei – not tu) and calls her “bella” (beautiful): that made me feel like shouting “are you mad or what” and “have you done proper research” to the scriptwriter.

I remember two similar huge missteps: a drama where a young woman, boasting her fresh studies in Italy, states that “pasta” (spaghetti etc.) is made with tomatoes and can trigger allergies – it’s the common sauce or gravy for pasta that uses them, pasta is made with flour, water and salt; and a documentary about traditional garments where was asked to an italian stylist about hanbok while she was wearing one: she said more or less “Yes the fabric it’s beautiful but I will have to modify the dress if I really want to use it, because now I cannot walk”: the korean translation and the english translation of it were fakes like “OMG it’s really great!”

Finally, for the historical part of drama: 1) it was boring beyond expectations and its pace so predictable I guessed almost every scene coming; 2) hardly explored what art meant to Saimdang, what she was trying to express and leave behind, who she really was, because most of the time the focus was on a fictional and broken and crossed and impossible love story – and triangles and even quadrangles added no flavour to it. Maria G. Di Rienzo.

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“Il Dio del cielo e della terra semplicemente chiede. Il Fato è la domanda che ho posto. Voi potete trovare la risposta.”

Così 천지신명 (la pronuncia resa in italiano è “cion-gi-scin-miong”), la suprema divinità di un pantheon coreano antecedente buddismo, cristianesimo e confucianesimo, crea una delle scene più significative dello sceneggiato “Goblin” (도깨비 – “docchebi”, accento sulla finale) attualmente trasmesso dal canale via cavo “tvN” e decisamente sulla cresta dell’onda: 15,3% di share, con picchi di 18.

goblin-poster

Secondo la mitologia a cui fa riferimento le cose per gli esseri umani vanno così:

A crearti è la Nonna Samshin, la Dea del Parto che protegge madri e bambine/i. La sua protezione ti segue sino ai 10 anni.

Dopo di ciò, passi sotto la vigilanza di sette divinità che sono le sette stelle del Grande Carro dell’Orsa Maggiore (칠성신 – “cil-song-scin”): con il tempo, queste figure si sono fuse con quella del dio supremo succitato.

Quando incontri un Messaggero dell’Aldilà (저승사자 – gio-sung-sa-gia) muori.

Nel tribunale dell’Aldilà ciò che hai fatto durante la tua vita è giudicato dal Grande Re 염라 (“iom-ra”), che comanda i Messaggeri. Se sei stato giusto puoi andare in Cielo o reincarnarti, se non lo sei stato soffri eterno dolore (in alcuni casi ti reincarni in una forma inferiore e in altri ancora diventi un Messaggero come forma di espiazione).

goblin

(da sinistra, il Messaggero dell’Aldilà e il Goblin)

Se hai un desiderio fortissimo o un rancore altrettanto intenso che ti spingono a voler vivere anche dopo la morte, resti a vagare in questo mondo come spirito (fantasma).

Questa mitologia comprende creature come i draghi e il nostro 도깨비: un essere fatato non necessariamente maligno come i goblin del folklore anglosassone (tradurre è sempre un po’ tradire) ma che da buon folletto può creare oro e compiere altri incantesimi. In più il “docchebi” non nasce tale: in origine era una creatura umana e subisce la trasformazione a causa di diverse circostanze – per esempio, come nel caso dello sceneggiato, il subire un grave tradimento intriso da molto sangue versato.

La storia del drama, in sé, non mi attira in modo particolare. Il folletto vive in eterno, trafitto dalla propria spada, e per raggiungere pace e oblio deve trovare la propria “moglie”, una donna umana che lo ami, perché in virtù di questo amore lei è in grado di sfilare la spada dal suo corpo: capite bene quanti fazzoletti si inzuppano di lacrime per il triste destino di entrambi…

goblin-sword

Ma la scrittrice che ha vergato la sceneggiatura, Kim Eun-Sook, lo ha fatto in modo superbo, utilizzando il meglio della letteratura e della poesia del suo paese. Con uno “script” del genere, persino un guitto (parlo degli idol-boys e delle idol-girls gettati in modo improvvido nelle produzioni cinematografiche e televisive) non può fare altro che diventare un attore. Perciò sto guardando le puntate di “Goblin”, per ascoltare più che per vedere.

Maria G. Di Rienzo

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sfd 2

Deprivazióne s. f. [dall’ingl. deprivation “privazione, l’essere privato di qualche cosa” ]. –

1. Il fatto di privare o più propriamente d’essere privato di qualche cosa, e specialmente di cosa necessaria...

sfd

Ecco, da martedì scorso, una volta conclusa la cinquantesima e ultima puntata di “Six Flying Dragons” noi spettatori – in tutto il mondo – ci sentiamo così, deprivati. E non riuscendo a staccarci di colpo da una storia avvincente che avrebbe sopportato un’altra cinquantina di episodi senza risentirne ne’ da personaggi che abbiamo amato intensamente… guardiamo video con nostalgia e scriviamo post balenghi come questo o simpatici come quello di Kiyulking tradotto in calce. Finiremo di sicuro per trovare un’altra “droga”, ma nel frattempo condividete con noi qualche surrogato e perdonateci. Maria G. Di Rienzo

Tema di Lee Bang-won:

https://www.youtube.com/watch?v=h9PAttWtwQs

lee bang won

Tema di Dang-sae / Lee Bang-ji:

https://www.youtube.com/watch?v=ZjYu_cFairI

Canzone delle montagne verdi”

청산별곡, 靑山別曲, Cheongsan Byeolgok, canzone del periodo di Goryeo (918 – 1392) di autore anonimo:

살어리 살어리랏다 .

Vivere, vorrei vivere

靑山(쳥산)애 살어리랏다

nelle verdi montagne vorrei vivere

멀위랑 ᄃ래랑 먹고

mangiando grappoli selvatici e frutti acerbi

靑山애 살러리랏다.

nelle verdi montagne vorrei vivere

얄리얄리 얄랑셩 얄라리 얄라

Yali Yali Yallasyeong Yallari Yalla

우러라 우러라 새여

Piangete, piangete, uccellini

자고 니러 우러라 새여.

Svegliatevi e piangete, uccellini

널라와 시름 한 나도

Con più preoccupazioni di voi

자고 니러 우니로라.

nello svegliarmi piango anch’io

얄리얄리 얄라셩 얄라리 얄라

Yali Yali Yallasyeong Yallari Yalla

https://www.youtube.com/watch?v=GxEl0P-l7NY

I sei draghi:

https://www.youtube.com/watch?v=uf6V-D4CmD0

boon yi

Gente: Perché ti piace “Six Flying Dragons”?

Io, interiormente: Oltre alla complessa rappresentazione di numerose donne rilevanti, ogni personaggio mostra di avere motivazioni (sovente egoistiche o che puntano a oltrepassare limiti) e ogni morte è vissuta con commozione sino all’ultimo secondo: nessun personaggio in “Six Flying Dragons” è trascurabile e ogni attore ha interpretato la propria parte incredibilmente bene, al di là di quanto rilevante fosse il suo personaggio nella serie. Inoltre, tutti i personaggi sono mostrati come moralmente “grigi” e nessuno di essi è davvero altruista o monodimensionale nei propri scopi. “Six Flying Dragons” non è solo uno sceneggiato storico, è uno sceneggiato umano che fa luce sull’avidità e il conflitto così come sulle distanze a cui le persone sono disposte a spingersi per assicurare potere alle “radici del trono”, sollevando continuamente nel contempo la domanda se “mostri” si nasca o si diventi.

Io, esteriormente: Byun Yohan è carino. – Kiyulking”

byun yo-han

(Eccolo qua, nello sceneggiato era lo spadaccino Dang-sae / Lee Bang-ji)

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son ye-jin - pirates

Son Ye-jin, attrice sudcoreana nata nel 1982, sul set del film “Pirati” del 2014.

“Son Ye-jin è lesbica?”: non so perché siate così ansiosi/e di saperlo, ma visto che mi fate spesso visita per questo motivo vi dirò alcune cose.

1. I motori di ricerca non rispondono alle domande, individuano i documenti che contengono le parole da voi digitate, e meglio assemblate tali parole più probabilità avete di trovare quel che cercate. Perciò, scrivendo “Son Ye-jin è lesbica?” NON potete ottenere “Sì, conosco personalmente la sua ragazza” o “No, ha sei fidanzati ma li tiene segreti”, questo può invece accadere sui forum. Le probabilità che tali risposte corrispondano poi a verità non sono molto alte, come potete immaginare.

2. Son Ye-jin lavora in televisione e nel cinema. Come ogni altra attrice e ogni altro attore nel suo paese (che abbia raggiunto sufficiente fama), è circondata da pettegolezzi, dicerie, supposti “scandali”. E’ possibile ad esempio trovare numerosi articoli che speculano sugli interventi di chirurgia plastica al viso a cui si sarebbe sottoposta: l’attrice non ha mai detto nulla al proposito e le fotografie comparate (il suo volto da ragazzina e il suo volto oggi) non mostrano eclatanti difformità, ma chi non ha nulla da fare a questo mondo può passare il tempo a battibeccare “è vero” / “è falso” con sodali altrettanto sfaccendati.

3. Molto del gossip di cui sopra scaturisce da banalità gonfiate ad arte, in special modo dalle cose che gli attori / le attrici dicono per compiacere fans e pubblico. Quando durante il 2013 Son Ye-jin lavorava al film “Pirati” con Kim Nam-gil (il nostro indimenticabile Bidam) ambo gli attori attestarono nelle interviste che si trovavano davvero bene insieme – avevano peraltro già lavorato insieme in televisione: il risultato furono titoloni sulla loro “relazione” che durava ormai “da quattro mesi” e comprendeva un romantico viaggio in Giappone e via fantasticando. Manco a dirlo, tutt’e due hanno completamente smentito. Ma subito dopo, quando stava girando un altro film (il thriller “Complice”), alla solita vieta domanda dei giornalisti sul suo status sentimentale Son Ye-jin disse: “Dopo che una mia amica molto cara si è sposata il matrimonio mi interessa di più. Voglio sposarmi prima di aver compiuto i 34 anni.”… e immediatamente sono ripartiti i titoli sulle sue prossime nozze con Kim Nam-gil. Altra smentita – ma per carità, potrebbe essere che entrambi desiderino tenere segreta la relazione sino al 10 gennaio 2016 (Ye-jin compirà 34 anni il giorno dopo), staremo a vedere.

Lo specifico pettegolezzo sull’omosessualità dell’attrice è nato allo stesso modo. Solita intervista, domanda sul perché non ci sono notizie di lei che esce con uomini, risposta: “Be’, penso sia perché non sono popolare (ride). Vedo un mucchio di attori carini mentre recito, ma non posso fare due cose allo stesso tempo. Mi concentro sulla recitazione. Anche se interpreto un personaggio che si innamora io faccio solo il personaggio, non è che ami davvero l’attore. Il caso di Brad Pitt e Angelina Jolie? Ecco… non penso di essere il tipo.”

Domanda numero due su che tipo di personaggi le piacerebbe interpretare: “Sino ad ora, i miei ruoli sono stati relativi ad un uomo e un donna che si innamorano. Ma se ne avessi la possibilità vorrei avere un ruolo in una storia d’amore fra donne. Come in “Monster” (Nda: film drammatico del 2003 basato sulla storia di Aileen Wuornos, condannata per l’omicidio di sette uomini e giustiziata nel 2002 dopo 12 anni nel braccio della morte) per esempio, o in “Thelma e Louise” (Nda: film drammatico del 1991 che rimane un’icona dell’amicizia fra donne). Se ho la disposizione all’omosessualità? Sì, penso di averla. Adesso finirò nei guai per aver detto questo (ride).”

Poiché sembra che Son Ye-jin sia una delle attrici preferite dalle lesbiche coreane l’affermazione di cui sopra può non essere nulla di più di un grazioso buffetto alle fan. Può anche essere il massimo del “coming out” verso cui Ye-jin riesce a spingersi nel proprio paese.

4. Le condizioni in cui la Corea del Sud mette i suoi cittadini omosessuali maschi e femmine, infatti, non sono delle più rosee. “Se essere un agente segreto significa vivere una doppia vita, allora i gay e le lesbiche sudcoreani/e sarebbero i migliori al mondo. Durante la settimana molti membri della comunità LGBT sudcoreana recitano come padri, mariti, studenti e colleghi di lavoro eterosessuali e nel loro tempo privato sono veramente se stessi (…) Sino a che l’omosessualità non sarà accettata in Corea del Sud, la comunità resterà nascosta e molti giovani di talento continueranno a trasferirsi all’estero, ovunque non debbano occultare la loro identità.” Korea Observer, 11.2.2015

Le figure apertamente omosessuali nell’ambiente dello spettacolo sono pochissime, per quanto davvero impegnate per i diritti delle persone LGBT, tipo il regista Kim Jho Gwang-soo che ha sposato il proprio compagno David Kim Seung-hwan, distributore cinematografico, durante una cerimonia non legale nel 2013 e che si sta battendo in tribunale per vederla riconosciuta, e molte di più sono ancora le carriere e le vite stroncate. Il 76% dei giovani coreani maschi o femmine che si identifica con una minoranza sessuale ha considerato il suicidio e il 58% l’ha effettivamente tentato (dati 2015 del Korean Sexual-Minority Culture and Rights Center).

La buona notizia è che l’attitudine sociale verso l’omosessualità sta lentamente cambiando: dal sondaggio del Pew Research Center del 2007 in cui solo il 18% degli intervistati riteneva l’omosessualità moralmente accettabile si è passati al 39% del sondaggio del 2014.

La cattiva notizia è che la condanna e la censura persistono a venire “dall’alto”, si tratti di politici come il Ministro della Giustizia Kim Hyun-woong che aveva chiesto la cancellazione del Gay Pride di quest’anno (si è tenuto lo stesso, come saprete), o della mobilitazione religiosa contro di esso e contro le persone LGBT in generale (ci sono più di 78.000 chiese in Corea del Sud, paese che detiene il record mondiale di concentrazione di chiese per metro quadrato): “L’intera comunità cristiana deve ergersi a fermare l’omosessualità. Sarebbe assolutamente sbagliato incoraggiarla con la scusa dei diritti umani.”, ha spiegato alla stampa il presidente del Consiglio delle chiese presbiteriane in Corea, Hwang Soo-won, aggiungendo che l’omosessualità sarebbe “il lavoro del diavolo per distruggere l’umanità”. Persino la Samsung fa stronzate immani come il bloccare le applicazioni per smartphone dal contenuto gay/lesbico nel proprio paese “a causa dei valori locali” e venderle tranquillamente in altri.

5. C’è un solo modo sicuro per sapere se Son Ye-jin, o qualsiasi altra donna, sia lesbica ed è che lei affermi di esserlo, in un pubblico annuncio o a voi personalmente. Ne’ Google ne’ Virgilio ne’ Soompi ne’ io possiamo – o dobbiamo – dirvi di più. Maria G. Di Rienzo

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Una gentile lettrice mi ha chiesto perché non ho scritto nulla sulla versione cinematografica di “Cinquanta sfumature di grigio” e cosa penso della scena BDSM ecc. La prima risposta è che non essendo un servizio pubblico non mi sento in dovere di commentare tutte le notizie più “in” del momento. La seconda la darò al termine del paio di spiegazioni che seguono.

Innanzitutto, la situazione descritta nel film e la scena BDSM non coincidono. Manca l’elemento fondamentale di quest’ultima, il consenso. Top e bottom, dominatore/dominatrice e sottomesso/a, si accordano sempre sullo scenario in cui reciteranno le loro parti e nella maggioranza dei casi concordano una parola chiave per la sicurezza (“safe word”) che chi subisce userà in caso la recita si stia spingendo oltre quello che lui/lei vuole. Personaggi pubblici della scena BDSM stanno ripetendo in questi giorni in una varietà di lingue, per chi li vuole ascoltare, che con le cinquanta sfumature di abuso loro non hanno nulla a che fare: safe, sane, consensual è il loro motto, e cioè quel che fanno risponde a criteri di sicurezza, salute e consenso.

Rose di DogaYonv

Una di essi, Samantha Field, racconta di essere stata fidanzata con un tipo come Grey per tre anni, tre anni di “abuso verbale, fisico e sessuale”: “Ruppe il nostro fidanzamento tre mesi prima del matrimonio. La sua sola spiegazione fu che non poteva fidarsi del fatto che sarei stata adeguatamente sottomessa. Ero stata orgogliosa, avevo avuto un’aria di sfida, gli avevo disobbedito in mesi recenti e a causa di ciò lui non mi avrebbe conferito il titolo di “moglie”. Nella sottocultura religiosa alla quale appartenevamo entrambi io avevo commesso un grave peccato quando gli avevo detto che non poteva più trattarmi così male: secondo il punto di vista della maggioranza dei miei amici e delle nostre guide, meritavo di essere scaricata.

Perciò, ieri sera, quando ho visto Christian Grey colpire Anastasia Steele per aver espresso frustrazione dopo che lui aveva rubato la sua automobile e gliel’aveva venduta sotto il naso io mi sono sentita Anastasia Steele. Ho trovato allarmante che il film si sovrapponesse alla mia esperienza d’abuso e il modo in cui il pubblico è condizionato ad accettare Christian come “un romantico”. Quale membro della comunità BDSM ero orripilata e nauseata da quello che mi veniva mostrato. Ma mentre sedevo al cinema fra un centinaio di altre donne ero ancora più orripilata dal fatto che stavamo tutte prendendo lezioni per l’abuso.

Quando lui arriva dove lei lavora, dove averla incontrata una sola volta e senza sapere nulla di lei eccetto il suo nome e la scuola che frequenta, non è disturbante che agisca da stalker: è dolce, si sta interessando a lei.

Quando lei si sveglia in un letto estraneo, con addosso abiti che non ha scelto, non è una clamorosa violazione dei limiti: mostra solo che lui è premuroso.

Quando lei rigetta l’offerta di essergli sottomessa, non è disturbante che lui irrompa nel suo appartamento: lo fa perché la desidera moltissimo – e ha persino portato del vino.

Il pericolo in “Cinquanta sfumature di grigio” è che fa quel che chi abusa fa: indurci a pensare che l’abuso sia normale.”

E non è per nulla nuovo. E’ quel che fa l’intera serie di “Twilight”. E’ quel che fanno un buon numero di manga giapponesi e drama coreani. Molti di tali prodotti condividono questo tipo di narrativa: lei è una fanciulla innocente e pura, dal cuore limpido, che si innamora di un uomo incredibilmente attraente (de gustibus) e più spesso che no ricco sfondato. Quelle rare volte in cui si accorge di lei, lui la tratta come immondizia, la umilia, la aggredisce verbalmente e fisicamente, può persino rapirla, forzarla ad abbracci e baci, e distruggere le sue cose (Boys over Flowers: che si apre con un tentativo di suicidio causato dal bullismo dell’incredibilmente attraente e dei suoi compari).

Tuttavia, lei lo ama: perciò non denuncia quest’emerito stronzo, ma continua a saltellargli intorno e a mostrargli solo sorrisi e gentilezza sino a che il gelido cuore dell’uomo si scioglie e lui si innamora di lei. Nell’ultima puntata la loro relazione è ufficiale (sovente si sposano) e il tutto si chiude sulla convinzione che vivranno il resto delle loro vite felici e contenti.

Cioè, noi raccontiamo alle ragazzine – che sono le principali fruitrici di prodotti del genere – che non importa quanto da schifo un uomo le tratti, non importa se le degrada e abusa di loro, perché basta continuare ad essere pazienti e dolci e lui cambierà. MA NON E’ VERO.

Nella vita reale, uno dei modi più comuni con cui il compagno/fidanzato/marito violento trattiene la donna nella relazione d’abuso è l’assicurarle che le cose “cambieranno”, sino a che la vittima interiorizza il convincimento di essere la sola ad avere il potere e la responsabilità di metter fine alle violenze essendo carina, obbediente, comprensiva, mielosa, più attraente, eccetera. MA NON E’ VERO.

L’abuso domestico tende a crescere proprio perché chi lo commette pensa di non avere alcuna responsabilità al proposito. Come Grey, “non può farci nulla” e tu puoi prenderlo – e basta, lasciarlo è un’altra decisione che non spetta a te, perché tutte le decisioni spettano a lui. Non c’è niente che la vittima possa fare per cambiare chi abusa di lei. E nessuna relazione sana comincia con lo stalking, il furto o la manomissione di una proprietà privata, il rapimento, le umiliazioni, le molestie, le minacce e la costrizione. Normalizzare questo è tossico per le menti di ragazze e ragazzi e incredibilmente pericoloso per chi si trova già in una relazione violenta.

Perciò, cara lettrice, questa è la mia seconda risposta: io non compro aria fritta in assoluto, ma meno ancora quando puzza di marcio. Maria G. Di Rienzo

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E’ tornata la Primavera e io non vi ho ancora dedicato una canzone? Rimediamo subito.

http://www.youtube.com/watch?v=DDiAqqlXQqY

Sembrerà strano ma da anni la mia canzone preferita, quella che vi propongo, è… la sigla di un vecchio sceneggiato televisivo coreano. Non importa quante volte la sento e quante volte la canto, il suono dell’haegeum (o haegum, dipende dalle trascrizioni) – uno strumento tradizionale che potete vedere in immagine qui sotto – resta bellissimo e struggente, le voci delle bambine e della donna sono terrene e celestiali al tempo stesso.

kang eun il

Il pezzo si chiama “Onara” (오나라), è di Im Se-Hyeon, e apriva lo sceneggiato “Dae Jang Geum”, altrimenti noto come “Jewel in the Palace”. Lo sceneggiato andò in onda per la MBC dal 15.9.2003 al 23.3.2004, con una percentuale di telespettatori media del 45,8% e un picco del 57,1%. Non fu solo la Corea a “dare i numeri” per questa storia, che durante i nove anni successivi è stata trasmessa con eguale successo in Cina, Hong Kong, Singapore, Taiwan, Brunei, Indonesia, Filippine, Giappone, Vietnam, Thailandia, India, Bangladesh, Sri Lanka, Arabia Saudita, Australia, Stati Uniti, Svezia, Russia, Iran, Perù, Turchia, Colombia, Egitto, Romania, Israele, Ungheria, Nuova Zelanda… e sicuramente ho dimenticato qualche paese (per esempio, non mi torna in mente quello africano in cui posposero la diretta delle Olimpiadi per mandare in onda regolarmente l’episodio di “Dae Jang Geum”, a causa delle clamorose proteste degli appassionati).

Onara” ha di conseguenza almeno una mezza dozzina di versioni in altre lingue con testi che a volte sono una parziale traduzione, e a volte sono totalmente differenti. I versi in coreano antico dell’originale dicono più o meno questo:

Se chiedo che venga, davvero verrà?

Se chiedo che vada, davvero andrà?

Anche dopo l’attesa di innumerevoli giorni noi non saremo insieme.

No, no, è no.

Allora, se non puoi venire qui, portami via con te.

Ma cosa racconta di così speciale, dunque, lo sceneggiato? La vita, totalmente romanzata, della prima medica “ufficiale” coreana, più esattamente della prima medica autorizzata ad occuparsi della salute di un sovrano (Jungjeong, 11° re di Joseon/Corea) e della famiglia reale. Jang Geum, che riceverà il titolo di “Dae” – “Grande” per i suoi meriti, è menzionata negli Annali di corte, per vari episodi relativi alla sua professione, dal 1515 al 1544, nonché in un testo chiamato “Diario dell’Ufficiale Medico della Dinastia Yi” che ricorda la fiducia del re nei suoi confronti e la sua capacità di curare malattie con il cibo. Jang Geum è semplicemente un nome proprio: il testo ricorda anche che non si conosce il cognome della donna e perciò non è possibile risalire alle sue origini (il che ci orienta a pensare si trattasse di origini umili). Di lei non si sa null’altro.

la medica Jang Geum

Il successo della serie televisiva è dovuto a diversi fattori, fra cui è doveroso menzionare la bravura dell’attrice protagonista Lee Young-ae e dei suoi comprimari, l’accuratezza nella ricostruzione degli scenari storici, la bellezza dei costumi, e persino l’acquolina in bocca dovuta al gran tempo che lo sceneggiato passa nelle cucine reali (che sono il punto di partenza della giovane Jang Geum). Ma se lo chiedete a una qualsiasi delle fan in tutto il mondo – lo sceneggiato è stato amato in modo particolare dalle donne – la risposta che riceverete sarà una variazione qualsiasi sull’apprezzamento di Jang Geum, un personaggio di sesso femminile che riunisce in sé, bilanciandole, determinazione, intelligenza, forza d’animo, compassione, resistenza, speranza, gioia di vivere.

dae jang geum - 2003

Di recente si è tornati a parlare di una “stagione 2” per “Dae Jang Geum” (accade regolarmente da anni) che avrebbe come protagonista la stessa attrice. Le indiscrezioni sulla trama dell’eventuale seconda stagione mi lasciano un po’ scettica: si tratterebbe di una serie successiva di mazzate alla vita di Jang Geum che non aggiungerebbero, a mio avviso, nulla di rilevante alla sua figura. La storia si era conclusa nel 2004 con quello che io avevo percepito come un inusuale trionfo per Jang Geum, e preferisco ricordarla così: non più rinchiusa fra le mura della corte reale dove soffriva continuamente a causa di intrighi e sospetti, finalmente medica di un’intera comunità, riunita all’uomo che amava, madre di una bambina, la vedevamo salvare la vita di una partoriente eseguendo l’ennesimo “atto proibito” a una donna (e ai medici in generale), e cioè il primo taglio cesareo della storia della medicina coreana. Maria G. Di Rienzo

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(Intervista a Kim Nam-gil, Privy Magazine, 21 febbraio 2014, trad. Maria G. Di Rienzo.)

Kim Nam-Gil

Uno dei più burberi critici coreani ha dovuto descriverlo (suppongo tra i denti) come “un attore che perde se stesso in ogni ruolo”. E’ una delle attitudini del 32enne Kim Nam-gil che mi piace particolarmente, la capacità di diventare il personaggio che interpreta andando in profondità, ma se l’artista è sensibile e intelligente, l’uomo lo è ancora di più. E’ l’unico attore famoso del suo paese – in cui la violenza contro le donne, oltre ad essere un problema grave, è normalizzata e giustificata continuamente proprio dai prodotti televisivi e cinematografici – ad aver preso posizione contro la violenza domestica, rilasciando dichiarazioni e girando video.

L’intervista a Kim Nam-gil, priva della menzione di autore/autrice, è dovuta al fatto che la società Privy – proprietaria del magazine – si è consociata con la Star J Entertainment coreana e con il produttore di Hollywood Teddy Zee per… fare il remake di un remake in cui l’attore reciterà. In origine era la serie televisiva israeliana “Prisoners of War”, un successo internazionale premiato persino in Corea del Sud l’anno scorso. La serie è stata replicata negli Usa come “Homeland” – adattando la storia – e lo stesso accadrà per la terza versione, quella asiatica. Anche “Homeland” ha realizzato un boom di ascolti e di critiche favorevoli. L’asse narrativo, adattato o meno, ruota attorno al ritorno a casa di prigionieri di guerra, dati per morti o dispersi, dopo molti anni e alle loro difficoltà nel rientrare in contatto con contesti sociali e personali che non sono ovviamente più come li avevano lasciati. Inoltre gioca sull’estremizzazione che l’esterno fa del loro ruolo per trarne vantaggi, e la linea divisoria fra “eroe di guerra” e “terrorista” è vista com’è in realtà (anche se potrebbe trattarsi di un effetto non predeterminato da chi ha pensato la serie): molto, molto labile se non inesistente.

Del testo di Privy Magazine ho lasciato in disparte domande tipo “Visto che sei qui, quali sono secondo te i migliori 5 ristoranti di Los Angeles” perché mi annoiano e le trovo irrilevanti. Ecco il resto:

Qual è stato il punto di svolta della tua carriera?

Certamente lo sceneggiato “Queen Seondeok”, del 2009, è stato un grosso punto di svolta per me. Lo spettacolo e il mio personaggio, Bidam, sono entrati in relazione con il pubblico e la serie è diventata enormemente popolare non solo in Corea, ma anche in Cina e Giappone. Questo sceneggiato mi ha davvero aperto le porte e mi ha condotto a recitare nel drama “Bad Guy”, che ho amato fare. Mi ha anche aiutato a realizzare il film “Lovers Vanished”, un progetto che mi ha appassionato e che definirei come il “Leaving Las Vegas” coreano.

Sappiamo che sei molto coinvolto nell’aiuto umanitario. Che progetti hai in corso e perché la cosa è così importante per te?

Io so di trovarmi in una posizione molto privilegiata e benedetta, e penso sia mia responsabilità condividere quel che ho con persone che non hanno granché. Se quello che riesco a dare, sia il mio tempo o il mio impegno, accende la speranza in un’altra persona allora per me ha valore. Voglio dire: alla fine tutto ruota attorno alla speranza. Negli ultimi anni mi sono davvero appassionato nel collaborare con le organizzazioni che in Corea aiutano le madri single le quali, io credo, sono le vere eroine della nostra società. (Ndt: lo stigma posto su queste donne, nel paese, è assai pesante.) Faccio anche volontariato nei reparti pediatrici di diversi ospedali. E amo moltissimo gli animali, per cui sto sostenendo un po’ di rifugi sparsi per la Corea.

Ritengo che le istanze ambientali siano cruciali e nel 2009 sono andato in Indonesia quando il terremoto ha devastato il paese. Ho visto così tanta disperazione e povertà che sono stato sopraffatto dal desiderio di aiutare. Ho creato la mia organizzazione nonprofit, “Gilstory” (www.gil-story.com) per fornire sostegno e risorse ai paesi devastati dai disastri naturali e dalla povertà, come l’Indonesia e le Filippine.

Abbiamo sentito che stai imparando il Cinese. Cosa ti ha spinto a studiare questa lingua?

Sono sempre stato una persona curiosa e appassionata, e penso che imparare una lingua tiri fuori questo da me ancora di più. Imparare il Cinese è una sfida, e ciò mi spinge ancora di più a voler trovare la chiave per maneggiare questo linguaggio. Ogni volta in cui penso: “Non so se sono in grado di fare questa cosa”, sono maggiormente spinto a provarci. La ragione iniziale per cui ho scelto il Cinese, penso, è che ho moltissimi fan in Cina e vorrei davvero comunicare con loro, avere delle conversazioni. E se fosse possibile, amerei lavorare in futuro con i tanti straordinari registi di talento che ci sono in Cina.

Cosa c’è nel prossimo futuro di Kim Nam-gil?

Sono assai onorato di essere nella versione coreana di “Prisoners of War”, per un attore è un sogno che diventa realtà far parte del primo remake asiatico di uno show che ha avuto tale successo. L’ultimo film in cui ho recitato, “Pirates: The Bandit Goes to the Sea”, uscirà quest’estate e mi sono divertito moltissimo a farlo.

Kim Nam-Gil pirata

Mi piace lavorare con l’attrice Son Ye-jin e ho imparato un sacco di cose dal regista, Lee Suk-hoon. L’anno scorso è anche uscito un mio CD musicale, “Roman”. Ecco, spero di poter continuare a lavorare in sceneggiati televisivi e film che piacciano alle persone avendo un impatto su di loro: questo mi fa sempre sentire bene.

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E’ di nuovo “quel” periodo dell’anno, sì, mi dispiace – e no, non siate tristi per me e non pregate affinché guarisca… dopotutto un delirio ogni dodici mesi non è molto da sopportare. E’ arrivato il temuto momento in cui mi punge vaghezza di scrivere sui drama coreani. E da qualche mese devo togliermi in materia qualche sassolino dai sandali (non sono ancora passata alle scarpe), per cui ora che lo sapete potete andarvene subito o fare un bel sospiro rassegnato e restare qui: a voi la scelta.

Il 23 luglio 2013, il cadavere del regista e produttore Kim Jong-hak è rinvenuto in una stanza di un motel economico. La camera aveva tutte le fessure sigillate da nastro adesivo, mattoncini di carbone che bruciavano nel bagno e il gas aperto. Kim Jong-hak ha lasciato una lettera in cui chiede perdono alla sua famiglia.

funerale del regista

Di lui e dei suoi lavori (molti notevoli, alcuni leggendari e apripista, più un fiasco clamoroso l’anno scorso) ho già parlato in passato; il motivo del suicidio è noto: bancarotta. Kim Jong-hak era stato chiamato in tribunale a rispondere dei mancati pagamenti a ditte di costruzioni, fornitori, lavoranti e attori dal 2008 al 2012. Ma quei soldi non li aveva messi in tasca lui e il buco nei fondi risaliva ad uno dei suoi successi, la famosa serie storica-fantasy “Legend” per cui furono costruiti set in scala reale, fu fatto ampio uso di CGI (immagini generate al computer), e furono filmate battaglie epocali con centinaia di figuranti. Il fulcro del problema sta nel modo in cui sono prodotti questi sceneggiati in Corea del Sud.

Un tempo erano le televisioni a produrre ciascuna i propri drama, investendo direttamente, adesso fanno accordi con produttori esterni, che lavorano su budget dai margini ristretti e a cui può bastare un solo passo falso per andare a picco: allora, per ripagare i debiti dovuti al “drama andato a male”, ne fanno altri scommettendo sul prossimo lavoro. E il tutto diventa per tali produttori più un gioco d’azzardo che creazione di sceneggiati, mentre le televisioni non ci perdono mai e pretendono per la messa in onda la presenza della costosissima star o dell’idol-boy/idol-girl che sa recitare quanto io so volare. Kim Jong-hak non è il primo (e temo non sarà l’ultimo) a gettare la spugna nel modo descritto sopra, solo quest’anno in gennaio si è suicidato il produttore Jo Hyun-gil e in giugno lo ha seguito Byun Doo-sub, presidente della compagnia Yedang Entertainment: entrambi avevano problemi di debiti relativi alle loro produzioni.

Comunque, alla notizia della morte di Kim Jong-hak, la comunità internazionale dei drama-fans ovviamente ne parla: in maggioranza perché nell’ultimo lavoro prima di suicidarsi ha diretto uno dei bei giovanotti incompetenti su cui sbavano. E io vengo in questo modo a sapere che la colpa della morte del regista… è mia. “La gente che guarda questi show illegalmente e non paga un centesimo, come quelli oltreoceano (la signorina che straparla è americana, e gli oltreoceano siamo noi europei) dovrebbe prendersi la responsabilità.” Questo perché, in nome della cosiddetta amicizia fra Usa e Corea (un’alleanza vantaggiosa per entrambi i governi, ma umiliante e a volte feroce per il popolo del secondo paese), lei ha a sua disposizione siti e canali dove si paga – che dovrebbero garantire tempistica e traduzioni decenti, e invece spesso fanno pena – e siti e canali dove non si paga: lei può vedere quel che le pare, nel modo che preferisce. Noi illegali, invece, non possiamo. Siti dove volontari segmentano e sottotitolano i filmati, per semplice passione personale, vengono chiusi di continuo. Se vogliamo accedere a quelli a pagamento, ci rifiutano perché non siamo americani.

Quando qualcuno glielo fa notare, sottolineando inoltre che i soldi per le sottoscrizioni ai siti di cui parla non vanno certo nelle tasche dei produttori sudcoreani, la cittadina legale è tutta stizzita: “Allora, vuoi dire che hai l’autorizzazione a rubare?” Vedete, ho derubato a morte un regista che stimavo, se lo dice stelle-e-strisce dev’essere vero… Gli sceneggiati di cui parliamo, però, sono prodotti avendo in mente logicamente il mercato coreano, e in seconda battuta quello giapponese a cui ne vendono parecchi, e il mercato asiatico in generale in cui pure li vendono: le persone come me non hanno nessun impatto sui rating che determinano il successo o il fallimento di un drama in Corea e di conseguenza sull’introito che esso può ricavare dagli annunci pubblicitari. Inoltre, praticamente tutti gli sceneggiati che i produttori hanno venduto all’estero negli ultimi 10 anni, hanno potuto piazzarli a buon prezzo solo grazie al successo che avevano avuto precedentemente online, grazie alle visite di ladri illegali transoceanici. Mi sa che al processo dichiarerò convintamente innocente me stessa e fulminata Miss Legalità Americana.

Comunque, se com’è giusto la parola di un’indiziata non vi basta, sentiamo che pensa di quest’industria chi ci lavora da più di cinquant’anni. Lee Soon-jae vanta infatti la maggior anzianità nella professione. Oltre ad averlo apprezzato in una miriade di film e sceneggiati, ho visto e letto svariate interviste (2011-2012-2013) da cui ho tratto i brani che seguono.

lee soon-jae

Cos’è cambiato nella produzione dei drama, negli ultimi anni?

Lee Soon-jae (LSJ): Oggi ti riconoscono se vai in Cina, a Taiwan e persino in Svizzera. I fan giapponesi vengono alle conferenze stampa in Corea per sostenere i loro attori preferiti. In passato queste cose non accadevano. Lo status dei drama coreani nel mondo è alto, ma la qualità sembra andare all’indietro, non si sviluppa. Ci sono troppi sceneggiati assurdi, o che semplicemente rifanno quelli giapponesi. E’ un trend che bisogna rovesciare.

Come mai, secondo lei, c’è questo scadimento di qualità?

LSJ: Gli attori coreani ricevono la parte giusto prima di girare ciascun episodio. Questa è la realtà per la maggior parte delle produzioni. Si finisce di girare l’episodio poco prima di mandarlo in onda, il che favorisce gli incidenti di qualsiasi tipo. Regista e crew non hanno scelta se non continuare a filmare, non importa quanto bene vada la sceneggiatura, o quanto sia assurda. Come risultato, nessuno dirige veramente sui siti dove si gira, non c’è il tempo materiale per farlo, per chiedere modifiche, per fermarsi a pensare. Gli sceneggiati giapponesi, per fare un esempio, sono tutti scritti dall’inizio alla fine prima di essere presi in considerazione. E ci sono almeno tre o quattro revisioni prima che si cominci a girare. Se il focus è solo sull’avere alti rating per spremere soldi dai drama la qualità ne risente. I buoni drama toccano il cuore del pubblico. In altre parole: se vuoi alte percentuali d’ascolto, fai uno sceneggiato che sia buono. I produttori dovrebbero cominciare a guardare oltre la popolarità domestica, perché i drama coreani sono esportati come prodotti culturali. Pensando che sempre più gente al mondo li vede, non posso evitare di vergognarmi per la loro bassa qualità.

Sino al 2000 circa, i costi di produzione di una mini-serie erano inferiori ai 100 milioni di won (68.800 euro). Tuttavia, questi costi si sono triplicati o quintuplicati in un decennio. Alcuni dicono che la causa sono gli alti compensi per le star. (Momento: ma non era colpa mia che guardavo a sbafo?)

LSJ: I compensi per le star sono andati alle stelle praticamente di colpo. Ho sentito di attori che i 100 milioni di won li chiedono per episodio, il che è ridicolo, considerate le condizioni povere e insicure in cui versa la produzione di drama. Le celebrità sono riluttanti a fare sceneggiati, proprio per queste condizioni, e preferiscono le pubblicità o i film: perciò i produttori, pur di averli, danno loro quel che chiedono. Ma basterebbe pianificare la cosa in modo migliore, e sforzarsi di assumere nuovi attori, invece delle celebrità. Non puoi mettere a recitare persone che non sanno nemmeno parlare correttamente. Ho visto troppi giovani attori fallire per mancanza di apprendimento, di opportunità di imparare. Vanno bene se gli dai il ruolo di membro di una gang, ma non riescono a recitare nel ruolo di una persona intelligente. Io continuo a consigliare chi vuole intraprendere la carriera di iscriversi, se può, a qualche istituto di recitazione. Un altro problema sono le agenzie: per assicurare la presenza della star nel ruolo dell’eroe, forzano i produttori a scegliere gli attori non protagonisti dalla stessa agenzia. Le stazioni televisive che commissionano i drama dovrebbero cominciare a considerare seriamente questa faccenda.

Una delle cose più belle in cui Lee Soon-jae ha recitato è il film “Late blossom” (“Tarda fioritura”) del 2011, che narra le vicende di due coppie di anziani. Poiché non aveva giovani idoli o star strapagate nel cast nessuno voleva finanziarlo. Quando uscì, poiché sui poster c’erano dei vecchi, sembrava che nessuno dovesse andare a vederlo. La pubblicità la fece il passa-parola di chi lo aveva visto – compresa, nel suo piccolo, la moglie di Lee Soon-jae, che regalò i biglietti alle donne delle pulizie del complesso abitativo in cui la famiglia vive – e in poche settimane la pellicola guadagnò quattro volte il suo budget di spesa. L’attore ebbe a dire che: “I cittadini anziani, in Corea, sono oltre cinque milioni, e non capire che hanno sentimenti sarebbe un fallimento: negli sceneggiati televisivi, nei film e persino nelle elezioni. I giovani possono avere l’impressione che la vita finisca dopo i 60 anni, ma il cuore non cambia, per quanto tu invecchi.” Parole sacrosante, mio caro Lee Soon-jae, spero accetti il ringraziamento di una ladra transoceanica che lei ha commosso, divertito e… probabilmente salvato da una galera virtuale statunitense. 감사합니다. Maria G. Di Rienzo

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