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Posts Tagged ‘diritti degli animali’

lopez

La donna in immagine è Claudia López, la nuova sindaca di Bogotà (Colombia), durante la festa per il suo insediamento tenutasi il 1° gennaio scorso nel parco pubblico Simón Bolívar. Claudia, 49enne, ci è arrivata in bicicletta (casa sua è a sette chilometri di distanza), ha ricevuto la fascia cerimoniale che vedete da sua madre e si è scusata scherzosamente con la sua compagna, Angélica Lozano, perché l’elezione ha ridotto la loro luna di miele: le due donne si sono infatti sposate con rito civile il 17 dicembre 2019.

“Questa è la prima amministrazione guidata da una donna, ma non sarà l’ultima. – ha detto dal podio – Sarà aperta al pubblico e ascolterà, rappresentando le aspirazioni dei giovani, delle donne, dei movimenti della società civile, dei gruppi etnici, degli ambientalisti e dei movimenti per i diritti degli animali: di coloro, cioè, che sono spontaneamente scesi nelle strade al di là dei partiti e dei leader politici. Questa città ci sta parlando. Ogni strada, ogni piazza e ogni parco parlano, cantano, si muovono per le richieste di una città e di un paese che sognano.”

I sogni per cui Claudia ha ricevuto oltre un milione e centomila voti ed è diventata la prima sindaca apertamente lesbica in Colombia sono, fra gli altri, l’inclusione sociale, il rispetto delle diversità, istruzione pubblica di qualità e gratuita, tutela dell’ambiente e sviluppo sostenibile: compiere scelte ecologiche, per un’amministrazione pubblica, “non è fantascienza ne’ fisica nucleare”, ha ribadito nel suo discorso d’insediamento.

Claudia López è una stratega della nonviolenza: sa che per “vivere senza paura” è necessario “costruire empatia e fiducia”, imparare a “riconoscere quel che ci unisce, valutare e rispettare le differenze negli altri”. Perciò, ha coinvolto il suo principale avversario politico Carlos Fernando Galán nel piano per la ristrutturazione dei trasporti pubblici, chiedendo ai partiti della sua coalizione di votarlo quale direttore del progetto – e così è stato.

“Sarò schietta: dobbiamo muoverci in avanti invece di ritirarci ed è quello che faremo.”, ha detto anche la sindaca. Il mio sogno per muoverci in avanti è poter votare in Italia una donna che le somigli.

Maria G. Di Rienzo

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E’ Natale (solo due giorni fa) e Sergio Berlato, come tutti i sovranisti patrioti fratelli italici, è più buono del solito. Presto sarà anche più ricco del solito, perché agli emolumenti da consigliere regionale in Veneto potrà aggiungere quelli relativi alla carica da europarlamentare. Si definisce un “appassionato cacciatore” ed è presidente dell’Associazione dei cacciatori veneti. E’ anche un uomo che usa i social media, immagino nel tempo che riesce a ritagliarsi fra una scarica di cartucce calibro 16 e un incitamento a un ipotetico Franz (segugio bavarese, tipico “cane da sangue o da traccia”): nello specifico, il 25 dicembre 2019, lo fa così:

inqualificabile

Dedica questa sua vignetta alle donne che lo hanno criticato per la pratica della caccia (no, uccidere animali per il semplice gusto di farlo non lo classifico come “sport”). “Simili volgarità non dovrebbero appartenere al linguaggio di un rappresentante dello Stato. In quelle poche parole è racchiuso un razzismo viscerale contro tutto il genere femminile, costretto, indipendentemente da ciò di cui si occupa, a dover rendere conto della propria vita sessuale.”, dice Rinaldo Sidoli, portavoce di Alleanza Popolare Ecologista, annunciando che presenterà un esposto per diffamazione “che potrà essere sottoscritto da tutte le donne che si sono sentite offese”.

Per chi riveste cariche istituzionali sarebbe invero appropriato e preferibile esprimersi con civiltà – e l’osservazione sul sessismo del consigliere è del tutto sottoscrivibile – ma questo tipo di comunicazione noi donne lo riceviamo quotidianamente e in ogni ambito possibile: famiglia, lavoro, scuola, associazionismo, volontariato, social media… non c’è luogo sicuro per noi. Il brodo di coltura misogino in cui i Sergini Natalizi sguazzano e si moltiplicano ha le dimensioni di un oceano. Hai un’opinione che non garba all’uomo di turno? Naturalmente tu NON PUOI avere un’opinione da contrastare, in caso, sul merito: sei una donna. Perciò, se apri bocca, è perché hai le mestruazioni o perché sei un cesso che nessun uomo si degna di scopare.

Ben al di là del “sentirmi offesa” (provo disgusto e noia, ma le invettive sessiste non riescono a scalfirmi personalmente), io sono preoccupata: perché Sergio Berlato, in qualità di uomo politico, prende decisioni che riguardano anche le donne.

In che modo pretendiamo di far avanzare l’eguaglianza di genere, di contrastare la violenza di genere, di salvaguardare i diritti umani e civili delle donne se chi deve deliberare e votare in merito le classifica come vagine ostruite da ragnatele?

Maria G. Di Rienzo

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Emma Gonzalez

Emma Gonzalez è una sopravvissuta alla sparatoria avvenuta il 14 febbraio u.s. nella sua scuola, il liceo Marjory Stoneman Douglas di Parlkand, Florida. Nell’immagine la vedete parlare alla manifestazione tenutasi il sabato successivo a Fort Lauderdale. Diciassette persone sono morte nella strage perpetrata dal 19enne Nikolas Cruz, espulso dal liceo in questione (frequentava comunque un altro istituto) per violenza: aveva pestato il nuovo ragazzo della sua ex, la quale lo aveva lasciato perché Nikolas era solito abusare di lei. Usare violenza sulle donne sembra essere un tratto comune degli individui che sparano nelle scuole. A Nikolas piacevano le armi e gli piaceva ammazzare animali per divertimento: uno dei suoi amici più intimi è diventato immediatamente un ex amico dopo aver visto le foto che il giovane postava al proposito su Instagram.

La sparatoria al liceo ha riaperto l’annosa questione del troppo facile accesso alle armi negli Stati Uniti e Emma Gonzalez ha affrontato il suo nodo: la National Rifle Association (NRA) e altre organizzazioni pro-armi hanno speso circa 55 milioni di dollari finanziando i Repubblicani durante le elezioni del 2016; Trump ha preso direttamente 30 di questi milioni dalla NRA (alcune fonti sostengono che la somma fosse superiore di circa un milione).

“Se il Presidente vuol venire da me – ha detto Emma – e dirmi in faccia che è stata una terribile tragedia e che non dovrebbe mai più accadere, nel mentre continua a sostenere che nulla può essere fatto al proposito, io gli chiederò chiaramente quanto ha ricevuto dalla NRA.” Naturalmente Emma la cifra la conosce e divisa per le vittime di stragi del solo 2018 fa 5.800 dollari a persona: “Questo è quanto valgono le persone per lei, Trump? A ogni politico che prende soldi dalla NRA io dico VERGOGNATEVI!” (La folla ha ripreso più volte il suo grido.)

Fra le lacrime, la giovane ha sottolineato che la sparatoria non è colpa delle vittime – ed è scioccante che sia stata costretta a farlo. In parte, ha detto riferendosi al perpetratore, “è colpa in primo luogo delle persone che gli hanno permesso di acquistare armi. Quelli delle fiere delle armi. Le persone che lo hanno incoraggiato ad acquistare accessori per i suoi fucili affinché diventassero completamente automatici. Le persone che non glieli hanno tolti di mano pur sapendo che esprimeva apertamente tendenze omicide.”

“Gli individui al governo che abbiamo votato mandandoli al potere ci stanno mentendo – ha continuato Emma – e noi ragazzini sembriamo essere gli unici che lo hanno notato e sono pronti a chiamar fuori le loro stronzate. Politici che siedono sui loro seggi dorati alla Camera e al Senato, finanziati dalla NRA, ci dicono che nulla poteva essere fatto per prevenire questo. E noi diciamo: STRONZATE! Dicono che leggi più severe sulle armi non diminuiscono la violenza. E noi diciamo: STRONZATE! Dicono che le pistole sono solo attrezzi, come i coltelli, e che sono pericolose quanto le automobili. E noi diciamo: STRONZATE! Dicono che nessuna legge sarebbe stata in grado di prevenire le centinaia di tragedie insensate che abbiamo attraversato. E noi diciamo: STRONZATE!” Emma ha chiuso sull’invito a “votarli fuori” e io posso solo sperare che l’America la abbia ascoltata bene. Maria G. Di Rienzo

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Cara associazione animalista che soccorre gatti abbandonati in quel di Treviso, e di cui non faccio il nome per non avere il minimo impatto negativo su un’attività altrimenti meritoria: mi sono permessa di disturbarti alla fine del 2016 per chiedere aiuto.

Nelle vicinanze della mia abitazione c’era una giovane gatta adulta randagia in difficoltà. Una buona samaritana le dava da mangiare (ho parlato personalmente con la signora) ma non aveva notato che la bestiola aveva un problema – un’incrinatura o una frattura minore – alla schiena che le impediva di muoversi normalmente su zampe tremanti.

Vi ho anche spiegato i motivi per cui non potevo e tuttora non posso intervenire personalmente: non ho gli attrezzi ne’ i mezzi economici per curarmi della creatura e non oserei comunque prendere un animale in casa avendo al piano di sopra un cafone psicopatico che pesta il pavimento e urla per ore facendo scappare dall’appartamento me, figuriamoci un gatto.

La vostra responsabile è stata davvero gentile e veloce nel rispondermi (altre associazioni animaliste, tra l’altro di gran nome, non hanno fatto questo sforzo), ma la volontaria che si è assunta per così dire “il caso” mi ha trattata sin dalla telefonata iniziale come una cretina integrale. Ovviamente le è bastato guardare la gatta due giorni dopo per dire con sufficienza e fastidio che stava benissimo, al massimo “era in calore”. Io ho tentato inutilmente di spiegare di nuovo l’intera faccenda, poi ho ringraziato e lasciato perdere perché come da vecchio adagio non c’è peggior sordo di chi non vuole sentire.

La penultima volta che ho visto la micia era fatta a elle. La frattura si è in qualche modo saldata, ma non nel modo che – se trattata da un veterinario – le avrebbe garantito di tornare a una relativa normalità. L’ho vista di nuovo stamattina. Non solo è ovviamente ancora fatta a elle, ma è magra e sporca (segno che non riesce più a raggiungere con la lingua, per pulirsi, metà del suo corpo) e mentre tentavo di darle un bastoncino di cibo per gatti è rotolata a terra due volte, perché le zampe la reggono ormai a stento.

In generale, volevo solo dirvi questo: capisco che fra chi vi interpella ci sono imbecilli, bastardi che abbandonano i loro stessi animali e gente che grida “al lupo” per niente, ma non per questo dovete assumere che ogni contatto ricada in queste categorie. E alla vostra volontaria volevo invece dire che per occuparsi di qualsiasi causa non bastano amore e passione – ci vogliono le conoscenze e le abilità necessarie allo scopo e un po’ di educazione e di rispetto non guastano mai. Maria G. Di Rienzo

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Okja e Mija

Dopo essere riuscita a vederlo con qualche difficoltà – ed essere rimasta perplessa e un po’ delusa – ero incerta se recensire o meno “Okja” (sapete, il film che è stato al centro delle polemiche a Cannes perché è una produzione Netflix e non passa per i cinematografi). Poi ho pensato che dovevo dirlo: Ahn Seo-Hyeon, la ragazzina che regge l’intera storia sulle proprie spalle, è un’attrice straordinaria e nel mio cuore ha già vinto palme d’oro, leoni di diamante e… maialini di platino.

Il regista è quel Bong Joon-ho che aveva superato in modo magistrale la sfida di “Snowpiercer” e, per quanto riguarda i momenti “motivazionali” e d’azione del film, quando Seo-Hyeon è presente va tutto alla perfezione. Il problema è che gli altri personaggi sono francamente non verosimili e sembrano cartoni animati o immagini generate al computer ben più del super-maiale Okja.

La vicenda è questa: una corporazione economica con una brutta fama di sfruttamento dei lavoratori alle spalle, la Mirando, lancia tramite la nuova presidente (Tilda Swinton) il progetto propagandistico che deve salvarne le sorti. Fingendo di aver semplicemente “scoperto” i maiali giganti che ha creato in laboratorio modificandoli a livello genetico, ne consegna 26 alle altrettanti sedi che ha in giro per il mondo, affinché siano allevati “in modo naturale” in fattorie locali nei dieci anni necessari a raggiungere la maturità – e possano essere trasformati in salsicce per “combattere la fame nel mondo”. Quest’ultima è la giustificazione che i produttori di ogm hanno sempre dato per i loro esperimenti del menga – e dico “del menga” senza tema di smentita perché sono stati tutti fallimenti, dalle sementi modificate che hanno invaso e distrutto altre colture e non hanno dato resa superiore alle loro equivalenti naturali, al geniale progetto di far mangiare patate crude “potenziate” con vitamine alle popolazioni povere e afflitte da malattie relative a una nutrizione insufficiente. Se poi vogliamo parlare di quanti contadini sono stati ridotti in miseria da queste redditizie frodi e di quanti, soprattutto in India, si sono tolti la vita grazie ad esse, possiamo aggiungere a “frodi” una sola specificazione: esiziali per l’ecosistema terrestre, umanità compresa.

Ad ogni modo, tornando alla trama, in Corea del Sud la maialina Okja cresce assieme alla bambina Mija nella fattoria del nonno di quest’ultima, diventandone la migliore amica. Quando gli uomini della corporazione vengono a riprendere l’animale, dicendo che vogliono mostrarlo alla loro fiera in programma a New York, a Mija resta la statuetta d’oro di un maiale come dono compensatorio e la sensazione che qualcosa non stia funzionando: perciò decide di seguire Okja. Lo farà per tutto il resto del film, con tutto quel che ha, con una determinazione e una forza commoventi, rischiando la vita nello sfondare vetrate e nel saltare da terrazze sopra automezzi in movimento, resistendo o negoziando, ma senza un solo attimo di cedimento. I momenti in cui riesce a riunirsi a Okja e le due “si parlano”, con sussurri nell’orecchio e carezze da parte della bambina, e movimenti e occhiate inequivocabili da parte dell’animale (che nella fattoria aveva imparato ad alzarsi su due zampe per abbracciare l’amica) sono i più intensi e i più “veri”.

friends

Purtroppo, come ho già detto, il resto degli attori sembra fatto di compensato, “finto” persino nelle scelte di abbigliamento e nelle espressioni facciali: perciò non riusciamo ad interessarci alla competizione interna alla Mirando – la presidente ha una gemella ancora più carogna e bugiarda di lei – e non riusciamo ad avvicinarci alla comprensione di una squadra di militanti dell’Animal Liberation Front presentata in modo ridicolo, in cui per esempio uno dei membri ha smesso di mangiare “per lasciare minor impronta ecologica sul pianeta”… La parte finale, ambientata nell’allevamento intensivo dei super-maiali nel New Jersey che assomiglia in tutto e per tutto a un campo di concentramento, è invece assai verosimile e difficile da maneggiare perché mostra senza veli l’ammontare di inutile (e qualche volta compiaciuta) crudeltà diretta agli animali destinati a diventare cibo per gli esseri umani. Io non l’ho retta completamente e ho dovuto saltare qualche pezzetto.

La dichiarazione del regista – e sceneggiatore assieme al giornalista Jon Ronson – Bong Joon-ho non sembra essere “anti-carne”, infatti mostra Mija e il nonno che mangiano pesci e pollo senza porsi il problema, ma sicuramente mette all’indice un determinato modo di produrre carne da consumo umano privo di qualsiasi traccia di etica e di responsabilità. La ragazzina alla fine vince: comprerà la salvezza di Okja con la statuetta d’oro, ma la camminata che la porta fuori dal macello con la sua amica – resa nei toni di un grigio metallico con poche pennellate di colore – è una via crucis costellata dalle grida degli altri animali e dalla visione delle torture a loro inflitte. La scena finale del ritorno di Okja e Mija alla fattoria e alla vita precedente resta dolce-amara, macchiata dalla consapevolezza che tutto quel che abbiamo visto pochi secondi prima sta ancora accadendo. Maria G. Di Rienzo

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lucy gavaghan

La settimana scorsa, questa ragazza di 14 anni ha raccolto la prima clamorosa vittoria della sua campagna per un trattamento degli animali meno crudele: il gigante dei supermercati Tesco sta smettendo di vendere uova di galline tenute in gabbia. Nel 2012 l’Unione Europea ha bandito questa pratica, ma l’industria aggira il divieto allargando leggermente le gabbie (che contengono 90 animali in contemporanea e offrono quindi a ciascuno di loro lo spazio di un foglio A4…).

Il nome della ragazza è Lucy Gavaghan, vive nei pressi di Sheffield in Gran Bretagna, e ha dato inizio alla campagna perché “gli animali sono esseri senzienti e non meritano trattamenti crudeli. Ho scritto ai supermercati per un bel po’ di tempo prima di iniziare la petizione su Change.org. Avevo scritto anche ad alcuni politici, senza avere risposte. La petizione, alla fine, ha raccolto 280.000 firme. Ho provato vari metodi per entrare in contatto con Tesco, fra cui una campagna di invio lettere per cui ne hanno ricevute 750. Quando hanno accettato di incontrarmi, lo scorso maggio, non ho avuto davvero la sensazione che intendessero cambiare qualcosa. E poi ho ricevuto questa chiamata, mercoledì scorso mentre ero a scuola, in cui mi dicevano che avrebbero annunciato l’intenzione di cessare completamente la vendita di uova provenienti da allevamenti intensivi entro il 2025.”

I supermercati Tesco, che vendono complessivamente un miliardo e 400 milioni di uova all’anno, hanno assicurato di star conducendo una meticolosa revisione delle proprie strategie al proposito e di essere impegnati a una transizione del 100% a uova da allevamenti a terra, organici eccetera.

Lucy, che ha sulle spalle una testa fina, dice di essere deliziata dalle notizie ma che la sua priorità ora è assicurare il mantenimento delle promesse: “Hanno stabilito un tempo davvero lungo per realizzarle, ma posso capire che sia necessario a causa della natura della catena di fornitura, ci vorrà un po’ per generare il responso di cui hanno bisogno dagli agricoltori. Io tenterò di lavorare con loro affinché questo accada al più presto possibile: l’hanno detto, quindi tutti gli attivisti, me stessa compresa, si impegneranno per farlo succedere. E ora che Tesco ha deciso di cambiare, questa è tutto fuorché una fine. I miei prossimi bersagli sono Morrisons e Asda i due, dei grandi quattro supermercati, che continuano a vendere uova provenienti dalle gabbie.”

La seconda petizione di Lucy per questi due supermercati è appena stata lanciata e ha già raccolto 137.000 firme. Le direzioni di Morrisons e Asda, contattate dai giornali, hanno risposto rispettivamente di star “rivendendo la fornitura di uova” e di “essere impegnati a creare una catena di fornitura sostenibile che offra ai clienti scelte e trasparenza sul cibo”.

Le due galline che Lucy ha in braccio, nella foto, fanno parte di un “gregge” di loro simili salvate dalle gabbie che vivono con lei: “Non sono macchine sforna-uova, non sono oggetti inanimati, sono animali, sono creature. Non penso che la mia campagna terminerà presto. Continuerò a far pressione affinché gli standard del benessere per gli animali che forniscono cibo si alzi. Vorrei vedere le gabbie completamente fuorilegge in futuro.” Maria G. Di Rienzo

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simona e zabka

Simona Kossak (1943 – 2007), polacca, era una scienziata, un’ecologista che ha lottato per la protezione delle più antiche foreste d’Europa, una documentarista pluripremiata e una conduttrice radiofonica, nonché una zoopsicologa. Per più di trent’anni ha vissuto in una capanna nella foresta di Białowieża, senza elettricità o accesso all’acqua corrente. La chiamavano strega, perché parlava con gli animali, aveva allestito un rifugio per loro e uno studio veterinario per curarli: una lince dormiva nel suo letto e una femmina di cinghiale, Żabka, visse con lei per 17 anni; allevò una cucciolata di cervi che la ritenevano la loro madre e strinse amicizia con il famoso corvo-terrorista che faceva dispetti a tutto il mondo, fuorché a lei.

I brani seguenti sono tratti dal libro di Anna Kamińska “Simona. Opowieść o niezwyczajnym życiu Simony Kossak”, uscito nel luglio 2015. Le immagini sono di Lech Wilczek.

La gente chiamava il corvo un villano domestico e un ladro. Terrorizzò metà dell’area di Białowieża. Rubava pacchetti di sigarette, spazzole per capelli, forbici, arnesi da taglio, trappole per topi e blocchetti per appunti. Attaccava i ciclisti e quando cadevano faceva a pezzi i sedili delle biciclette. Rubava le salsicce ai taglialegna nei boschi e faceva buchi nelle borse delle spesa. La gente pensava che Korasek – perché così si chiamava – fosse una forma di castigo per i peccatori.” Agli amici di Simona rubò di tutto, chiavi della macchina, documenti, eccetera ma bastava promettergli un uovo e insistere un po’ e Korasek, anche se di malavoglia e con ben poca grazia, restituiva il bottino.

simona e il corvo terrorista

Simona raccontò: Un giorno i cervi, che avevo allevato con il biberon e che per molti anni mi seguirono nei boschi, manifestarono segni di paura e non vollero entrare nella foresta a pascolare. Come mi ci diressi io si fermarono, le orecchie rizzate e il pelo diritto sul fondoschiena. In apparenza doveva esserci qualcosa di assai minaccioso nella foresta. Attraversai metà dello spazio aperto e mi fermai, perché i cervi stavano producendo un terribile coro di latrati alle mie spalle. Mi voltai e ce n’erano cinque, rigidi sulle zampe, che mi guardavano e chiamavano: Non andare, non andare, c’è la morte laggiù! Devo ammetterlo, restai di stucco ma alla fine andai. E trovai che c’erano tracce di una lince, una lince aveva attraversato la foresta. Trovai le sue feci più avanti. Cos’era successo? Un carnivoro era entrato nella fattoria, i cervi lo avevano notato ed erano spaventati. Poi hanno visto la loro “madre” andare verso la morte, completamente inconsapevole, e dovevano avvisarla – per me, lo dico onestamente, quel giorno fu una conquista. Avevo attraversato il confine che ci divide dagli animali, un muro che non sembrava possibile abbattere. Se mi avevano avvisata voleva dire una sola cosa: sei un membro del branco, non vogliamo che tu sia ferita. Ho rivissuto questo momento molte volte e persino oggi, quando ci penso, provo un senso di calore al cuore.” La madre cerva si era avvicinata alla capanna, aveva accettato lo zucchero offertole da Simona e poi aveva partorito i suoi cuccioli in quel luogo ospitale.

simona e i cervi

Con il tempo, altri animali apparvero nel rifugio di Simona accanto alla casa. Una cicogna nera per cui Simona allestì un nido nella propria stanza, un bassotto e una lince femmina che dormivano con lei, pavoni. Li curava, li abbracciava, li osservava. Allevò due alci orfani. Portava il ratto femmina Kanalia nella manica, perché la bestiola temeva gli spazi aperti. Ospitava i grilli in un contenitore di vetro. Prediceva che tempo avrebbe fatto studiando i pipistrelli che abitavano in cantina. Il serraglio aumentava ogni anno.”

Nell’inverno del 1993, Simona cominciò la sua battaglia per salvare linci e lupi di Białowieża dall’estinzione. I ricercatori dell’Accademia polacca delle Scienze avevano in mente di effettuare studi telemetrici, mettendo collari con trasmettitori radio agli animali. Ma prima dovevano catturarli. Si scoprì che i ricercatori avevano messo trappole per lupi e linci, del tipo proibito dalla legge polacca. Simona Kossak mostrò ai giornalisti ciò che aveva trovato nei boschi: pesanti ganasce metalliche. Ci volevano due uomini per aprirle. Poco dopo la denuncia di Simona e la rimozione delle trappole, un branco di lupi si avvicinò alla sua casa nella foresta, ululando tremendamente. “E’ stato un inno di gratitudine per aver salvato le loro vite. – disse l’ecologista ai giornalisti – I lupi non si avvicinano mai agli edifici se possono evitarlo, sono troppo spaventosi per loro. Forse hanno percepito l’aura amichevole che emana dalla capanna.” Maria G. Di Rienzo

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Il 12 ottobre dell’anno scorso, circa 300 donne di sette diverse tribù indigene dell’Amazzonia ecuadoriana iniziarono una marcia di 219 km. per raggiungere la capitale. Quando ci arrivarono, parecchi giorni più tardi, con i loro bambini in braccio il Presidente Correa si rifiutò di riceverle. Le donne intendevano chiedergli conto delle politiche estrattive (petrolio e miniere) che stanno devastando con l’inquinamento le loro terre. Il 28 novembre successivo, una delegazione di queste donne inascoltate si presentò a Quito durante l’asta che metteva in vendita 6 milioni di acri del loro territorio a scopo di trivellazione e chiese conto ai petrolieri delle loro azioni. Il Presidente Correa trovò la faccenda così insopportabile da vendicarsi chiudendo la Fundación Pacha Mama, una dell’ong ambientaliste più rispettate e note dell’Ecuador, e da denunciare come “terroristi” i leader tribali.

Felipe Jácome, fotografo documentarista, è andato a chiedere alle donne della marcia chi sono e perché fanno quel che fanno. La mostra “Amazonas: Guardiane della Vita”, di cui vi presento tre immagini, contiene le risposte. Ogni fotografia è corredata da una cornice di simboli e da una presentazione vergate dalla donna ritratta.

hueiya

Il mio nome è Hueiya. Vivo nella comunità Waorani chiamata Ñoneno. Lotto per la mia comunità, perché in futuro i nostri bambini non soffrano e possano vivere in pace, respirando aria pulita. Lotto perché i miei figli non debbano soffrire, perché la terra continui ad essere fertile e libera dall’inquinamento, perché i nostri fiumi continuino ad essere puliti, così che (i bambini) possano bere acqua pulita. Lotto per tutti i bambini che devono ancora nascere su questa Terra.

jasmil

Il mio nome è Jasmil Villamil. Ho 11 anni. Voglio vivere liberamente nella giungla amazzonica. Voglio giocare con tutti gli animali e voglio che la mia comunità viva in pace.

simona

Il mio nome è Simona. Questa è la nostra terra. Questi disegni sono i simboli della ricchezza che esiste nella giungla. Noi viviamo bene, qui. Lottiamo per la nostra terra da 35 anni. Questo governo non ha una coscienza. E’ perciò che violano i nostri diritti. Ma noi non staremo giù. Anche se ci circondano, le nostre comunità si ergeranno con forza.

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(Intervista a Kim Nam-gil, Privy Magazine, 21 febbraio 2014, trad. Maria G. Di Rienzo.)

Kim Nam-Gil

Uno dei più burberi critici coreani ha dovuto descriverlo (suppongo tra i denti) come “un attore che perde se stesso in ogni ruolo”. E’ una delle attitudini del 32enne Kim Nam-gil che mi piace particolarmente, la capacità di diventare il personaggio che interpreta andando in profondità, ma se l’artista è sensibile e intelligente, l’uomo lo è ancora di più. E’ l’unico attore famoso del suo paese – in cui la violenza contro le donne, oltre ad essere un problema grave, è normalizzata e giustificata continuamente proprio dai prodotti televisivi e cinematografici – ad aver preso posizione contro la violenza domestica, rilasciando dichiarazioni e girando video.

L’intervista a Kim Nam-gil, priva della menzione di autore/autrice, è dovuta al fatto che la società Privy – proprietaria del magazine – si è consociata con la Star J Entertainment coreana e con il produttore di Hollywood Teddy Zee per… fare il remake di un remake in cui l’attore reciterà. In origine era la serie televisiva israeliana “Prisoners of War”, un successo internazionale premiato persino in Corea del Sud l’anno scorso. La serie è stata replicata negli Usa come “Homeland” – adattando la storia – e lo stesso accadrà per la terza versione, quella asiatica. Anche “Homeland” ha realizzato un boom di ascolti e di critiche favorevoli. L’asse narrativo, adattato o meno, ruota attorno al ritorno a casa di prigionieri di guerra, dati per morti o dispersi, dopo molti anni e alle loro difficoltà nel rientrare in contatto con contesti sociali e personali che non sono ovviamente più come li avevano lasciati. Inoltre gioca sull’estremizzazione che l’esterno fa del loro ruolo per trarne vantaggi, e la linea divisoria fra “eroe di guerra” e “terrorista” è vista com’è in realtà (anche se potrebbe trattarsi di un effetto non predeterminato da chi ha pensato la serie): molto, molto labile se non inesistente.

Del testo di Privy Magazine ho lasciato in disparte domande tipo “Visto che sei qui, quali sono secondo te i migliori 5 ristoranti di Los Angeles” perché mi annoiano e le trovo irrilevanti. Ecco il resto:

Qual è stato il punto di svolta della tua carriera?

Certamente lo sceneggiato “Queen Seondeok”, del 2009, è stato un grosso punto di svolta per me. Lo spettacolo e il mio personaggio, Bidam, sono entrati in relazione con il pubblico e la serie è diventata enormemente popolare non solo in Corea, ma anche in Cina e Giappone. Questo sceneggiato mi ha davvero aperto le porte e mi ha condotto a recitare nel drama “Bad Guy”, che ho amato fare. Mi ha anche aiutato a realizzare il film “Lovers Vanished”, un progetto che mi ha appassionato e che definirei come il “Leaving Las Vegas” coreano.

Sappiamo che sei molto coinvolto nell’aiuto umanitario. Che progetti hai in corso e perché la cosa è così importante per te?

Io so di trovarmi in una posizione molto privilegiata e benedetta, e penso sia mia responsabilità condividere quel che ho con persone che non hanno granché. Se quello che riesco a dare, sia il mio tempo o il mio impegno, accende la speranza in un’altra persona allora per me ha valore. Voglio dire: alla fine tutto ruota attorno alla speranza. Negli ultimi anni mi sono davvero appassionato nel collaborare con le organizzazioni che in Corea aiutano le madri single le quali, io credo, sono le vere eroine della nostra società. (Ndt: lo stigma posto su queste donne, nel paese, è assai pesante.) Faccio anche volontariato nei reparti pediatrici di diversi ospedali. E amo moltissimo gli animali, per cui sto sostenendo un po’ di rifugi sparsi per la Corea.

Ritengo che le istanze ambientali siano cruciali e nel 2009 sono andato in Indonesia quando il terremoto ha devastato il paese. Ho visto così tanta disperazione e povertà che sono stato sopraffatto dal desiderio di aiutare. Ho creato la mia organizzazione nonprofit, “Gilstory” (www.gil-story.com) per fornire sostegno e risorse ai paesi devastati dai disastri naturali e dalla povertà, come l’Indonesia e le Filippine.

Abbiamo sentito che stai imparando il Cinese. Cosa ti ha spinto a studiare questa lingua?

Sono sempre stato una persona curiosa e appassionata, e penso che imparare una lingua tiri fuori questo da me ancora di più. Imparare il Cinese è una sfida, e ciò mi spinge ancora di più a voler trovare la chiave per maneggiare questo linguaggio. Ogni volta in cui penso: “Non so se sono in grado di fare questa cosa”, sono maggiormente spinto a provarci. La ragione iniziale per cui ho scelto il Cinese, penso, è che ho moltissimi fan in Cina e vorrei davvero comunicare con loro, avere delle conversazioni. E se fosse possibile, amerei lavorare in futuro con i tanti straordinari registi di talento che ci sono in Cina.

Cosa c’è nel prossimo futuro di Kim Nam-gil?

Sono assai onorato di essere nella versione coreana di “Prisoners of War”, per un attore è un sogno che diventa realtà far parte del primo remake asiatico di uno show che ha avuto tale successo. L’ultimo film in cui ho recitato, “Pirates: The Bandit Goes to the Sea”, uscirà quest’estate e mi sono divertito moltissimo a farlo.

Kim Nam-Gil pirata

Mi piace lavorare con l’attrice Son Ye-jin e ho imparato un sacco di cose dal regista, Lee Suk-hoon. L’anno scorso è anche uscito un mio CD musicale, “Roman”. Ecco, spero di poter continuare a lavorare in sceneggiati televisivi e film che piacciano alle persone avendo un impatto su di loro: questo mi fa sempre sentire bene.

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Cat Woman di Belknap

Oggi per molti paesi europei è il Giorno Internazionale del Gatto; altrove cade in agosto, o in ottobre ecc. Sembra una ricorrenza un po’ futile (in effetti, i gatti pensano che ci vorrebbero almeno 2 settimane di celebrazioni solo per avvicinarsi alla quota necessaria di devozione nei loro confronti…), ma in realtà è nata come incoraggiamento ad adottare le bestiole abbandonate che si trovano nei rifugi. I gatti sono nostri compagni da almeno 9.500 anni: avere accanto qualcuno che fa le fusa per te, dicendoti in questo modo che sta bene, perché si sente bene con te, e la relazione con te lo rende felice, dev’essere proprio una buona vitamina per l’umore e lo spirito. Maria G. Di Rienzo

Matematica da gatti, di Ruth Berman:

Calcolo: Quante strofinate di guancia contro la sedia ci vogliono per stabilire diritti territoriali?

Geometria: E’ accettabile uno spazio vuoto qualsiasi nella ciotola del cibo?

La sedia di chi, scusa?

La sedia di chi, scusa?

I diritti dell’occupante, di Richard Shaw

Ascolta, micino, chiariamoci.

Questa è la mia sedia, qui ci siedo io.

Va bene, micetto, possiamo condividere.

Quando io non sono a casa, la sedia è tua.

Ascolta, gatto:

che ne dici se uso la sedia quando tu sei fuori?

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