(Intervista a Kim Nam-gil, Privy Magazine, 21 febbraio 2014, trad. Maria G. Di Rienzo.)

Uno dei più burberi critici coreani ha dovuto descriverlo (suppongo tra i denti) come “un attore che perde se stesso in ogni ruolo”. E’ una delle attitudini del 32enne Kim Nam-gil che mi piace particolarmente, la capacità di diventare il personaggio che interpreta andando in profondità, ma se l’artista è sensibile e intelligente, l’uomo lo è ancora di più. E’ l’unico attore famoso del suo paese – in cui la violenza contro le donne, oltre ad essere un problema grave, è normalizzata e giustificata continuamente proprio dai prodotti televisivi e cinematografici – ad aver preso posizione contro la violenza domestica, rilasciando dichiarazioni e girando video.
L’intervista a Kim Nam-gil, priva della menzione di autore/autrice, è dovuta al fatto che la società Privy – proprietaria del magazine – si è consociata con la Star J Entertainment coreana e con il produttore di Hollywood Teddy Zee per… fare il remake di un remake in cui l’attore reciterà. In origine era la serie televisiva israeliana “Prisoners of War”, un successo internazionale premiato persino in Corea del Sud l’anno scorso. La serie è stata replicata negli Usa come “Homeland” – adattando la storia – e lo stesso accadrà per la terza versione, quella asiatica. Anche “Homeland” ha realizzato un boom di ascolti e di critiche favorevoli. L’asse narrativo, adattato o meno, ruota attorno al ritorno a casa di prigionieri di guerra, dati per morti o dispersi, dopo molti anni e alle loro difficoltà nel rientrare in contatto con contesti sociali e personali che non sono ovviamente più come li avevano lasciati. Inoltre gioca sull’estremizzazione che l’esterno fa del loro ruolo per trarne vantaggi, e la linea divisoria fra “eroe di guerra” e “terrorista” è vista com’è in realtà (anche se potrebbe trattarsi di un effetto non predeterminato da chi ha pensato la serie): molto, molto labile se non inesistente.
Del testo di Privy Magazine ho lasciato in disparte domande tipo “Visto che sei qui, quali sono secondo te i migliori 5 ristoranti di Los Angeles” perché mi annoiano e le trovo irrilevanti. Ecco il resto:
Qual è stato il punto di svolta della tua carriera?
Certamente lo sceneggiato “Queen Seondeok”, del 2009, è stato un grosso punto di svolta per me. Lo spettacolo e il mio personaggio, Bidam, sono entrati in relazione con il pubblico e la serie è diventata enormemente popolare non solo in Corea, ma anche in Cina e Giappone. Questo sceneggiato mi ha davvero aperto le porte e mi ha condotto a recitare nel drama “Bad Guy”, che ho amato fare. Mi ha anche aiutato a realizzare il film “Lovers Vanished”, un progetto che mi ha appassionato e che definirei come il “Leaving Las Vegas” coreano.
Sappiamo che sei molto coinvolto nell’aiuto umanitario. Che progetti hai in corso e perché la cosa è così importante per te?
Io so di trovarmi in una posizione molto privilegiata e benedetta, e penso sia mia responsabilità condividere quel che ho con persone che non hanno granché. Se quello che riesco a dare, sia il mio tempo o il mio impegno, accende la speranza in un’altra persona allora per me ha valore. Voglio dire: alla fine tutto ruota attorno alla speranza. Negli ultimi anni mi sono davvero appassionato nel collaborare con le organizzazioni che in Corea aiutano le madri single le quali, io credo, sono le vere eroine della nostra società. (Ndt: lo stigma posto su queste donne, nel paese, è assai pesante.) Faccio anche volontariato nei reparti pediatrici di diversi ospedali. E amo moltissimo gli animali, per cui sto sostenendo un po’ di rifugi sparsi per la Corea.
Ritengo che le istanze ambientali siano cruciali e nel 2009 sono andato in Indonesia quando il terremoto ha devastato il paese. Ho visto così tanta disperazione e povertà che sono stato sopraffatto dal desiderio di aiutare. Ho creato la mia organizzazione nonprofit, “Gilstory” (www.gil-story.com) per fornire sostegno e risorse ai paesi devastati dai disastri naturali e dalla povertà, come l’Indonesia e le Filippine.
Abbiamo sentito che stai imparando il Cinese. Cosa ti ha spinto a studiare questa lingua?
Sono sempre stato una persona curiosa e appassionata, e penso che imparare una lingua tiri fuori questo da me ancora di più. Imparare il Cinese è una sfida, e ciò mi spinge ancora di più a voler trovare la chiave per maneggiare questo linguaggio. Ogni volta in cui penso: “Non so se sono in grado di fare questa cosa”, sono maggiormente spinto a provarci. La ragione iniziale per cui ho scelto il Cinese, penso, è che ho moltissimi fan in Cina e vorrei davvero comunicare con loro, avere delle conversazioni. E se fosse possibile, amerei lavorare in futuro con i tanti straordinari registi di talento che ci sono in Cina.
Cosa c’è nel prossimo futuro di Kim Nam-gil?
Sono assai onorato di essere nella versione coreana di “Prisoners of War”, per un attore è un sogno che diventa realtà far parte del primo remake asiatico di uno show che ha avuto tale successo. L’ultimo film in cui ho recitato, “Pirates: The Bandit Goes to the Sea”, uscirà quest’estate e mi sono divertito moltissimo a farlo.

Mi piace lavorare con l’attrice Son Ye-jin e ho imparato un sacco di cose dal regista, Lee Suk-hoon. L’anno scorso è anche uscito un mio CD musicale, “Roman”. Ecco, spero di poter continuare a lavorare in sceneggiati televisivi e film che piacciano alle persone avendo un impatto su di loro: questo mi fa sempre sentire bene.
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