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rainbow cake

Come dice la torta (sì, questo posto è talmente magico che le torte parlano) siamo entrate/i nel mese del Pride. Poiché a causa della pandemia sarà impossibile organizzare le consuete manifestazioni, numerose organizzazioni stanno proponendo ovunque iniziative online di vario tipo. La chiave del Pride, comunque, è sempre la testimonianza. Vi offro perciò quella della britannica Beatrix Campbell – in immagine in calce – tratta da un suo più lungo articolo scritto per Woman’s Place UK il 22 aprile 2020, in occasione della “Settimana della visibilità lesbica”. Beatrix è giornalista, scrittrice, conduttrice radiofonica, commediografa e femminista. Di lei potete leggere anche:

https://lunanuvola.wordpress.com/2014/05/10/oggi-lo-sappiamo/

Ma tu non sembri una lesbica! Questo mi è stato spesso detto come gentilezza. Non sembro neppure una giornalista, o una giardiniera, o una ciclista, o una ricamatrice o una prozia… in effetti reputo di non somigliare a nulla – eccetto che a una donna.

Quando sono venuta allo scoperto come gay (un termine che prediligo), lesbica e donna potevano essere termini disagevoli ma difficilmente erano controversi. Non più. Perciò, voglio affermare il mio coming out per entrambi.

Venire allo scoperto come gay richiede sempre coraggio, e lo richiede di continuo, ma ci sono solo tre scuse per non farlo che hanno senso: vivi in luogo in cui potresti essere uccisa, o potresti essere licenziata o non sopporti l’idea di dirlo a tua madre.

Dirlo ai miei genitori fu peggio del dovergli dire che mi avevano beccata per taccheggio, peggio del dire loro che i miei voti a scuola non erano più i migliori (a me importava) e peggio dell’informarli che mi sarei sposata (con un uomo – nessun uomo andava abbastanza bene per loro).

E’ peggio perché le persone gay devono fare qualcosa a cui nessuna persona eterosessuale è costretta: attirare l’attenzione su qualcosa che tu non vuoi altri abbiano in mente, cioè la tua sessualità e la tua vita sessuale.

Nei primi anni ’70 dissi a mia madre che mi ero innamorata di una donna. Ero 23enne, sposata e inebriata dal Movimento di Liberazione delle Donne. Lei fu in gamba, come sapevo sarebbe stata. Ogni qualvolta qualcosa di omofobico era pronunciato in casa nostra – solo da mio padre – lei lo rimproverava: era un’infermiera, lavorava con persone gay ed esse erano parte del suo universo. Ciò con cui lottava era l’esistenza di un’altra persona amata nella mia vita che non era lei. (…)

La reazione a cui non ero preparata fu quella dei parenti comprensivi che si congratulavano con me perché non sembravo una lesbica e perché non ero zelante al proposito. Oh, ma io lo sono, pensavo – a rovinarmi era il fatto di essere beneducata. (…)

Alcune delle mie amiche lesbiche sono venute allo scoperto con chiunque – persino con i capi al lavoro – eccetto che con le loro madri. Una di loro è sopravvissuta a una crudele battaglia per la custodia dei figli nei giorni in cui le lesbiche perdevano sempre i loro bambini. E’ sopravvissuta a umiliazioni grottesche, è stata coraggiosa, perché amava e desiderava una donna. Ma non usò mai la parola “elle” con sua madre. Perché? Non poteva sopportare l’idea di perderla.

Adesso quella donna deve confrontarsi con un altro incubo: perdere il proprio linguaggio, la propria lingua madre, lesbica e donna. Ogni uomo o donna gay che conosco ha una storia di terrore e di coraggio che deriva non dall’essere figlio o figlia, ma dal desiderio – o meglio, dai corpi di chi desideriamo. (…) Gay è una relazione: non esiste senza il soggetto del tuo desiderio.

Perciò, sentiamo come questo si definisce per la visibilità lesbica: donne che amano donne.”

beatrix

Maria G. Di Rienzo

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compagni di merende

Questa l’invocazione del “fratello d’Italia” Cannata, vicepresidente del consiglio comunale di Vercelli fresco di elezione.

Rilevo dai quotidiani che il suo problema è costante: ha una pagina Facebook piena di definizioni per lesbiche e gay, che vanno dalla “feccia” alle “merde” agli “schifosi comunisti”. Il sig. Giuseppe Cannata è medico chirurgo e odontoiatra, si dice anche negli articoli: dev’essere un altro che il giuramento di Ippocrate l’ha usato per incartare i branzini dal pescivendolo. Purtroppo la stampa non specifica se entrando nel suo ambulatorio sbattere i tacchi urlando sieg heil fosse obbligatorio o facoltativo e se appendere un fez in sala d’aspetto comportasse uno sconto sulla parcella.

Ad ogni modo, di fronte alle reazioni non proprio entusiaste di molti, compresi il gruppo Arcigay locale, l’Ordine provinciale dei medici e membri autorevoli del suo partito (non meno beceri di lui, ma sicuramente più furbi) cucina la consueta ridicola minestrina auto-assolutoria:

“Non sono omofobo e non intendevo assolutamente offendere nessuno.”

Infatti, pubblicare articoli sulle manifestazioni del Pride con il commento “quante merde in giro” e “questi schifosi comunisti” indica un sereno e ponderato giudizio, una predisposizione innata al dialogo e un incrollabile rispetto per gli altri.

“Ho tanti amici omosessuali che stimo e a cui voglio bene.”

E che non se la prendono assolutamente quando infango con il mio livore sguaiato e insensato l’intera categoria. Anzi, si sentono una meraviglia, queste merde comuniste. Gli voglio bene, perdinci.

“Ero indignato per le vicende di Bibbiano.”

Perciò me la prendo con chi rispetto a tali vicende non c’entra nulla. Bibbiano è una manna, ragazzi, il sindaco indagato per abuso d’ufficio è PD, il che consente di allargare la responsabilità a tutta la sinistra passata, presente e futura, e soprattutto a questi schifosi che continuano ad essere schifosi. Guardate i sondaggi su Salvini: più urli e diffondi intolleranza più voti prendi.

“So di avere utilizzato parole improprie e mi dispiace. Spero che queste mie scuse possano essere accettate da chi si è sentito offeso e mi auguro che non si strumentalizzi questo inciampo”.

L’accostamento infame omosessualità/pedofilia e l’ancora più infame invito a uccidere sono quindi, secondo costui, semplicemente due innocenti imprecisioni per cui qualcuno potrebbe sentirsi offeso, ma non essere offeso davvero, andiamo. Ah, e non permettetevi di “strumentalizzare” un minuscolo errore di cui il “medico che ha sempre aiutato tutti” non dovrebbe neppure rispondere: è inciampato, tutto qui.

La nuova amministrazione comunale di Vercelli, in effetti, inciampa di continuo. Non fa politica nella sua opportuna sede istituzionale, ma sui social media: sono passati solo tre giorni dall’esternazione dell’altro “fratello d’Italia”, l’assessore Emanuele Pozzolo che ha messo alla berlina un invalido civile al 100% (“occupante abusivo di casa”, “reddito di cittadinanza in saccoccia”) da lui ritenuto uno dei “parassiti” che in Italia “vivono alle spalle degli altri”.

Se pure questi amministratori della cosa pubblica pensano – e io ne dubito – che le loro esternazioni siano innocue, si sbagliano completamente. Solo per portar loro un esempio recentissimo, la propaganda antigay in Polonia diffusa dal partito di maggioranza PiS – Prawo i Sprawiedlywosc (amici sovranisti della Lega) e sostenuta dalla chiesa cattolica locale ha infettato:

giornali – il quotidiano filogovernativo Gazeta Polska offrirà in omaggio con ogni copia un adesivo con la bandiera arcobaleno e la sigla Lgbt cancellate da una X;

assemblee comunali e regionali – in circa trenta si sono dichiarate “Lgbt-free”, e cioè “liberi” dalle persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender (questo cane è libero da pulci, questa città è libera da ebrei, ecc.)

rappresentanti governativi – un prefetto si è spinto a premiare le autorità locali di cui sopra per la loro iniziativa discriminatoria.

I risultati non si sono fatti attendere. I cosiddetti “ultrà di destra” hanno raccolto il messaggio alla perfezione. Le 800 persone (numero stimato) che hanno partecipato alla manifestazione del Gay Pride a Bialystok, il 21 luglio u.s., sono state bersagliate da sacchetti di plastica contenenti urina e sterco, attaccate con bastoni, pugni di ferro, catene, rincorsi e picchiati brutalmente in ogni strada (cercavano di rifugiarsi nei negozi per salvarsi dai pestaggi). La polizia ha reagito solo quando è stata assalita anch’essa.

Il partito di governo in Polonia, quindi un’aggregazione con ampio e facile accesso a tutti i media, compresi ovviamente quelli statali, ripete da mesi che gli individui compresi nella sigla Lgbt “Sono una minaccia per la nazione e per la famiglia“: di conseguenza, i farabutti che hanno aggredito un corteo pacifico i cui slogan erano del tipo “L’amore non è un reato” lo hanno potuto fare sentendosi spalleggiati e persino eroici – stavano difendendo la nazione da persone inermi che chiedono solo di essere trattate in modo umano, poiché umane sono.

Signori “Fratelli d’Italia”, è questo che volete? Urlare verso un gruppo di individui, cittadini del vostro stesso paese, titolari come voi di inalienabili diritti umani, “Ammazziamoli tutti” è persino peggio del dichiararli “minaccia per la nazione”.

L’Italia non ha bisogno della fratellanza dei violenti. Per bocca mia, oggi la ripudia come ripudia la guerra e si dichiara figlia unica. La sua casa è civile, aperta a tutti/e e vi si praticano rispetto e cura – le regole per vivere in essa, che questo dicono, stanno scritte nella Costituzione.

Maria G. Di Rienzo

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“Forse quelli che hanno l’originale, arguta ed intelligente idea di dire: “Perché non possiamo avere un mese dell’orgoglio ETEROSESSUALE?” potrebbero chiedere a se stessi quante volte sono stati umiliati, bullizzati, canzonati, stigmatizzati, isolati, picchiati, terrorizzati, aggrediti per l’essere eterosessuali.” Stephen Fry su Twitter, 7 giugno 2019, commentando la vicenda dell’assalto a due giovani lesbiche londinesi:

https://lunanuvola.wordpress.com/2019/06/08/sopravvissute/

spencer and fry

(Stephen Fry è un attore, comico e scrittore inglese. Nella foto è a destra, assieme al marito Elliot Spencer, pure attore. Si sono sposati nel 2015.)

Le parole di Fry saremo costrette a ripeterle:

* l’8 marzo – “Perché non c’è la festa dell’uomo?”

“A parte che c’è (2 agosto), l’8 marzo è il Giorno internazionale della Donna, non la festa della donna.”

“E allora perché non c’è il Giorno internazionale dell’Uomo?”

“Primo, perché occupate militarmente i restanti 364; secondo, chiedetevi quante volte siete stati umiliati, bullizzati, canzonati, stigmatizzati, isolati, picchiati, terrorizzati, aggrediti per l’essere maschi.”

* il 25 novembre – “E la violenza sugli uomini? Perché non c’è un Giorno internazionale contro la violenza sugli uomini? Le donne violentano gli uomini pissi-pissicologimente-quella roba là. E’ successo a mio cugino! Giuro!”

Ripetiamo: Chiedetevi quante volte siete stati umiliati, bullizzati, canzonati, stigmatizzati, isolati, picchiati, terrorizzati, aggrediti per l’essere maschi. Chiedetelo pure a vostro cugino.

Ci sono giorni, questi giorni, in cui non riesco a reggere la cronaca italiana: è zeppa di donne e ragazze e bambine picchiate, violate e che muoiono come mosche. Ci sono momenti strazianti in cui non riesco a scriverne, in cui voglio solo voltare pagina, o scomparire. Come facevo da bambina, alle elementari, nascosta durante la ricreazione nella fila di cappotti per non essere vista. Sapevo già di essere femmina, ovviamente, e soprattutto di essere una femmina “sbagliata” e di non rispondere agli standard richiesti alle belle – brave – buone bambine. Sapevo già – avevo già visto, avevo già sperimentato – cosa dovevo aspettarmi.

Maria G. Di Rienzo

P.S. Non volevo rattristarvi: dalla fila di cappotti si esce. Quando ci sono riuscita ho: 1) tirato un pugno al bulletto che mi strattonava regolarmente per la treccia – ha smesso; 2) protetto ringhiando altre bambine e tutti gli animali (in particolare micetti) che riuscivo a salvare.

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Queste parole sono dedicate a coloro che sono sopravvissuti

perché la vita è natura selvaggia e loro erano selvatici

perché la vita è un risveglio e loro erano allerta

perché la vita è una fioritura e loro sono sbocciati

perché la vita è una lotta e loro hanno lottato

perché la vita è un dono e loro erano liberi di accettarla

Queste parole sono dedicate a coloro che sono sopravvissuti

irena

Brano tratto da “Bashert” (“ba-shert”, in yiddish “inevitabile” o “pre-destinato”), di Irena Klepfisz. Irena (in immagine qui sopra) è un’Autrice lesbica ebrea e un’attivista. E’ nata il 17 aprile 1941 nel Ghetto di Varsavia, da cui suo padre la fece uscire clandestinamente assieme alla madre all’inizio del 1943: Irena finì in un orfanotrofio cattolico, mentre la madre, grazie a documenti contraffatti, lavorava come domestica per una famiglia polacca. Il padre di Irena morì quello stesso anno durante la Rivolta del Ghetto di Varsavia. Madre e figlia si riunirono subito dopo e si nascosero in campagna, aiutate da contadini locali; a guerra finita si trasferirono prima in Svezia nel 1946 e poi negli Stati Uniti nel 1949.

chris e melania

Queste due giovani donne sono una coppia, Chris e Melania, e vivono a Londra. Il 30 maggio scorso hanno preso un autobus notturno diretto a Camden Town dove abita Chris. Melania affida al web il resoconto di quella serata: “Dobbiamo esserci scambiate un bacio o qualcosa del genere, perché questi tipi hanno cominciato a darci addosso. Ce n’erano almeno quattro. Hanno cominciato a comportarsi da hooligans, chiedendoci di baciarci così che loro potessero godersi la vista, ci chiamavano lesbiche e descrivevano posizioni sessuali. Non ricordo esattamente l’intero episodio, ma la parola “forbici” mi si è impressa in mente. C’eravamo solo noi e loro a bordo. Nel tentativo di sdrammatizzare la situazione ho cominciato a scherzare. Ho pensato che così avrebbero finito per andarsene. Chris ha anche finto di stare male, ma loro hanno continuato a molestarci, a lanciarci monetine e a diventare sempre più entusiasti della faccenda. Di colpo, Chris era nel mezzo dell’autobus a difendersi da loro. D’impulso l’ho raggiunta e l’ho vista con la faccia sanguinante mentre tre di loro la picchiavano. L’ultima cosa che ricordo è di essere stata presa a pugni. Sono rimasta stordita alla vista del mio sangue e sono caduta all’indietro. Non ricordo se ho perso i sensi o no. Improvvisamente l’autobus si è fermato, c’era la polizia e io sanguinavo dappertutto. Le nostre cose sono state rubate. Non so ancora se il mio naso è rotto e non sono stata in grado di andare al lavoro (1), ma quello che mi disturba di più è che LA VIOLENZA E’ DIVENTATA UNA COSA NORMALE, che a volte è necessario vedere una donna che sanguina dopo essere stata presa a pugni per sentire di aver fatto impressione. Io sono stanca di essere presa per un OGGETTO SESSUALE, o di scoprire che queste situazioni sono comuni, degli amici gay che sono stati picchiati senza motivo. Noi dobbiamo sopportare molestie verbali e VIOLENZA SCIOVINISTA, MISOGINA E OMOFOBICA perché quando ti difendi succedono schifezze come questa. Tra l’altro, sono grata a tutte le donne e gli uomini nella mia vita che comprendono come AVERE LE PALLE SIGNIFICHI QUALCOSA DI TOTALMENTE DIVERSO. Spero solo che in giugno, il mese del Pride, cose come queste siano raccontate ad alta voce di modo che SMETTANO DI ACCADERE.”

Quando la violenza diventa il modo usuale e normalizzato di esistere nel mondo, il passo successivo sono i Ghetti. Non possiamo restare a guardare e aspettarlo passivamente. Maria G. Di Rienzo

(1) Melania Geymonat, di origine uruguayana, ha 28 anni ed è assistente di volo. Le maiuscole del testo sono sue.

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Il 31 maggio (venerdì scorso) i quotidiani riportano questa notizia: “Tenta di violentare l’autista donna su un bus, bimba di 10 anni chiama il 113”.

Il fatto è accaduto a Vicenza e il perpetratore è un nigeriano 31enne, con precedenti penali, la cui aggressione è sventata dall’intervento di un anziano e dalla telefonata al 113 di una bimba di 10 anni.

Il ministro dell’Interno Matteo Salvini commenta: “Grazie al decreto sicurezza questo infame può essere espulso e rimandato a casa sua. Non abbiamo bisogno di stupratori e scippatori.”

Il giorno dopo, 1° giugno, raggiungono la cronaca svariati episodi di violenza sessuale e fisica ai danni di bambine, ragazzine e giovani donne: le origini dei perpetratori sono indifferentemente migranti o autoctone. Gli articoli relativi non segnalano commenti del ministro.

Una delle vicende è particolarmente disturbante e orrendamente consueta: in provincia di Lecce, una bambina “che lamentava dolori alle parti intime e trasferiva nei disegni il suo disagio, ha confidato alla madre che il papà l’avrebbe palpeggiata e violentata in casa, per due anni e fino alla fine del 2016, minacciandola di non raccontare nulla a nessuno.”

Gli abusi ricoprono il periodo che va dai 3 ai 5 anni della piccina: è probabile che dopo fosse ormai troppo “grande” per soddisfare appieno suo padre. Lo sdegno verso costui dei commentatori – fra i quali non si nota il ministro dell’Interno – è caricaturale (l’orco), quello verso la madre è odio puro.

La narrativa sociale in questione è anch’essa consueta:

– gli stupratori e i picchiatori sono stranieri di default;

– quando la realtà smentisce questa asserzione, gli italianissimi perpetratori sono: pazzi, malati, stressati, abbandonati, infelici e vittime del raptus;

– le vere responsabili della violenza contro le donne sono altre donne.

Il decreto sicurezza, sig. Salvini, non ci mette al sicuro da niente di tutto questo. Dove lo “espelliamo” lo stupratore della sua propria figlioletta? Se lo “rimandiamo a casa sua” resta qua.

Inoltre, il quadro che ho evidenziato sopra è una sorta di melma mentale che produce e mantiene in essere ogni tipo di violenza di genere. Potremmo ormai chiamarla “fanghiglia tradizionale” – come quella che ieri, in opposizione al Pride padovano, hanno “difeso” una decina di appartenenti a Forza Nuova. I manifestanti del Pride erano oltre settemila.

Determinati, gioiosi, colorati, pacifici, hanno scritto su cartelli e striscioni, e hanno scandito, gridato, cantato e detto di esistere, di essere titolari di diritti umani e di non aver ne’ vergogna ne’ paura. Hanno mandato un messaggio anche al ministro dell’Interno: “Salvini, i tuoi sono gli unici baci che non vogliamo”.

Maria G. Di Rienzo

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tina costa

Tina Costa – in immagine sopra – è una di quelle persone a cui dobbiamo molto di quel che diamo per scontato nelle nostre vite quotidiane: diritti umani, diritti civili, una repubblica democratica fondata sul lavoro (almeno sulla Carta) al posto di una dittatura, suffragio universale. Tina, 93enne ex partigiana, è stata una “testimonial” del Pride romano di sabato scorso, a cui ha partecipato rilasciando dichiarazioni del tutto sensate e condivisibili sul senso della sua presenza e sulla necessità di combattere le discriminazioni e tutelare ogni cittadino/a in quanto tale.

Le marce dell’orgoglio LGBT hanno di fondo, ovunque, lo stesso messaggio – alta visibilità atta a suggerire eguaglianza, rispetto, presenza attiva e persino mera esistenza quando condizioni esterne, ad esempio legislazioni e/o compagini governative omofobe, la negano – ma possono presentarlo in modi diversi a seconda dei momenti storici. Abbiamo avuto Pride semplicemente e felicemente celebrativi, ma quello di sabato 9 giugno aveva una spiccata componente politica e una richiesta esplicita di alleanze relative: ha convogliato il senso, anche tramite la presenza degli ex partigiani, che la lotta per i diritti umani è una lotta comune. Perciò, cantando in coro “Bella Ciao” con Tina Costa, i/le dimostranti hanno preso una posizione e dato un segnale.

Se la cosa ha generato in me speranza e sollievo, e persino un briciolo di commozione, sono rimasta però agghiacciata dai commenti che corredavano i video al proposito: so che i troll sembrano più presenti degli altri per il loro malato e ossessivo impegno a scatarrare i loro insulti dappertutto (e difatti alcuni commenti si ripetevano identici e con identico account sotto ogni video), tuttavia ciò fornisce un quadro preoccupante per una componente significativa della popolazione: sta, spesso dichiaratamente, fra quella che ha votato l’attuale governo e vuole – lo vedrete di seguito in forma letterale, nulla è stato corretto – la sparizione di chiunque possa essere classificato come “differente” dai loro arbitrari standard di “normalità”; la creazione di una società a compartimenti stagni, i cui segmenti non devono comunicare fra loro; la validazione della loro (spesso consapevole e scelta e difesa) ignoranza nel gettare nello stesso calderone con l’etichetta di “ambiguità” violenza su donne e minori, tossicodipendenze, orientamento sessuale; il silenziamento delle donne e il loro stoccaggio nelle cucine (e poi verosimilmente, a seconda del grado di scopabilità, nelle camere da letto).

Ecco una selezione degli sproloqui:

1. “che vergogna…nella vostra vita fate quello che volete, scopatevi chi volete, state insieme a chi volete, ma se davvero aveste una dignità umana, queste pagliacciate non le fareste! queste sono cose inutili, fastidiose, di costume e di un costume fastidioso che non porta a niente se non ad autoemarginarvi e basta. Io sono etero e non per questo motivo organizzo sfilate e faccio il pagliaccio in giro per le città. Vivo la mia vita e la mia sessualità nella vita privata come cazzo voglio. Senza fare il circo come voi. Se davvero foste intelligenti, sensibili e, ripeto, degni delle vostre tendenze e delle vostre scelte, non fareste minimamente queste cose. E lasciate stare la storia, la guerra, i partigiani, la sinistra, voi non c’entrate niente con tutte queste cose!”

E in che modo l’eterosessualità sarebbe una faccenda “privata”? I fidanzamenti e i matrimoni non sono pubblici? Non esistono leggi che regolano le relazioni all’interno della famiglia eterosessuale? Qualche ministro ha per caso detto che le famiglie basate su una coppia eterosessuale non esistono? Questo è il motivo per cui bisogna ancora andare a fare “circo”, mister.

2. “I movimenti omosessuali sono finanziati da George Soros. Il mio consiglio è di andarsi a leggere i documenti trafugati da DCleaks alla sua fondazione. Chiedetevi come mai l’omosessualità è vista come una cosa positiva “dai giornali dell’establishment” ? Perchè c’è qualcuno che PAGA. Ripeto, documenti di DCleaks alla mano, la galassia omosessuale è finanziata dalla speculatore finanziario americano. Uno zozzo.

E’ comprovato – sono atti pubblici – che Soros ha finanziato e finanzia i democratici americani e varie fondazioni / iniziative. Ma sicuramente non ha creato il movimento LGBT. Quando i poliziotti manganellavano e arrestavano la gente a New York, Stonewall Inn, era il 28 giugno 1969, Soros aveva appena iniziato la sua carriera finanziaria e non poteva fregargliene di meno. L’anno dopo, quando le manifestazioni commemorative della rivolta di Stonewall si diedero in varie città statunitensi – New York ovviamente, Chicago, Los Angeles, San Francisco – gli attivisti cucirono a mano le loro bandiere mentre Soros stabiliva il suo secondo fondo speculativo di investimenti grazie ai guadagni ottenuti dal primo. Credo che del movimento omosessuale gliene fregasse ancor meno dell’anno precedente.

3. Penso che se dovessimo dare spazio a tutte le nostre ambiguità : droga ,pedofilia , violenza sulle donne , questo mondo sarebbe così, un pedofilo reclama ok diamo lui cio che desidera ! Un povero drogato reclama ok diamo lui cio che vuole ! Un pezzo di m…. Vuole una donna da violentare ok diamo lui cio che vuole! Ora basta le ambiguità in cantina come si è sempre fatto ai tempi dei miei nonni , tutto ciò non collide per niente , oppure la cura esiste ma non la si vuole provare! Con questo non voglio discriminare nessuno fatevi curare un mio amico ghey c’è riuscito!

L’amico “ghey” c’è riuscito, complimenti, l’avrà aiutato Povia. Non so che problemi di salute avesse, ne’ cos’è esattamente un “ghey”, ma gay e lesbiche non possono “guarire” dall’essere se stessi/e. E suggerire che essere se stessi sia essere malati è proprio discriminazione, patetico individuo.

Seguono fascisti in serie:

4. vi sentite fighi che vi parate il culo coi partigiani sporchi di rosso sangue ma non durerete a lungo frocioni di merda vi meritate un pieno genocidio di massa

5. Ora capisco a pieno il pericolo del comunismo,alla fine si è dimostrato la stessa ed identica faccia del neoliberismo ultracapitalista. Gloria ed onore a coloro che capirono tutto prima e dichiararono guerra ad entrambi; Hitler e Mussolini!

6. Che cazzo centra bella ciao? Assurdi!!! Poi sti comunisti fasulli si sono appropriati della resistenza come se l’avessero fatta solo loro. Ignoranti asini e presuntuosi.

7. La sinistra e questi finocchi se la prendono guardacaso con le categorie deboli: Feti, bambini e malati, imponendo loro destini anche contro la loro volontà. Sinistra=merda.

8. Io sto con Salvini,i finocchi e i neri più o meno sono uguali,fanno sempre le vittime e fomentano odio. Il fascismo sta imperando: negri,finocchi e zingari avete i giorni contati

9. Sono simpatizzante al Fascismo volevo dire una cosa di ricordare le persone che sono morte per portare l’Italia in alto e non parlo dei partigiani ma delle camicie nere onore per queste persone quando sono andate in Africa a portare civilità e quando in Italia si stava bene si mangiava c’erano gli ospedali che funzionavano meglio di adesso è un economia più stabile VIVA LA REPUBLICA DI SALO DUX MEA LUX

Non sanno l’italiano, che è la loro lingua madre, e questo già è problematico. Propagano della Storia una visione basata sulle loro fantasie e non su merito e cronaca, e questo è grave. Perché se mettete insieme le due cose il risultato dà come impossibile il farsi capire da questi individui con argomenti razionali. E una massa di disturbati con accesso alle cabine elettorali non promette bene per il futuro di questo paese.

Dulcis in fundo, un invito a Tina Costa e, per estensione, alle donne tutte (compresa quella che ha scritto questa stronzata, se il suo pseudonimo corrisponde davvero a una persona di sesso femminile):

10. Ma va a casa a fare la calza e infornare la lasagna

A dire il vero, Tina aveva risposto in anticipo, il giorno prima del Pride:

Sono una donna libera, vado dove voglio io, non devo chiedere il permesso a nessuno e ho accettato subito. Come Anpi abbiamo sostenuto diverse loro iniziative. Sono persone che, esattamente come tutti gli altri, hanno il diritto di fare quello che ritengono più opportuno della loro vita. L’orientamento sessuale non può e non deve essere un fattore di discriminazione.”

Maria G. Di Rienzo

pride roma 2018

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(“Society, watch me survive you”, di Meeni Levi – in immagine – 19 anni, belga: si definisce “senza genere” e fa parte della “Youth Coalition for Sexual and Reproductive Rights”. Il pezzo è stato scritto il 17 maggio 2016 in occasione del Giorno Internazionale contro l’omofobia, la transfobia e la bifobia. Trad. Maria G. Di Rienzo.)

meeni-levi

Un articolo mi ha detto che le persone LGBT tentano di uccidersi e si uccidono tre volte tanto rispetto agli altri e io ho detto: “Società, guardami mentre ti sopravvivo”.

Rossa è la luce nella mia mente

che dice

FERMATI e grida:

Loro non sanno chi sei

ti odieranno ti odieranno ti odieranno.

Arancione è il sorriso

che mi fa superare gli attacchi di panico.

Giallo è l’odore

del pigiama appiccicoso di sudore

quando il mio letto è un uragano e io non so nuotare.

(Anche il mio shampoo profuma di giallo – fa comodo.)

Verde è il liquore che annaffia l’arancione:

congratulazioni per essere sopravvissuto/a 18 anni.

Blu è il fare le prove per l’appello,

non sapendo quale nome usare,

pensando che sarebbe più semplice

farci solo una croce sopra.

Il viola sarebbe più facile

se la gente ascoltasse

invece di comporre la mia faccia

con zanne e gomme per cancellare.

(L’indaco mancante sono le persone

che mi dicono che ho il pallino

dell’essere complicato/a.

Io rispondo che loro hanno il pallino

di rendermi tale

e di non capire quel che intendo.)

rosa-arcobaleno

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(tratto da: “How to talk to a queer person who is afraid of dying”, un più ampio articolo di Carlos Maza per The Washington Post, 14 giugno 2016, trad. Maria G. Di Rienzo. Il pezzo tratta del massacro nel locale gay Pulse a Orlando.)

orlando vigil

Ho passato la maggior parte della domenica pensando a che messaggio di testo avrei mandato a mia mamma se mi fossi rifugiato nel bagno di un nightclub sapendo che un uomo armato stava per uccidermi. Mi sono raffigurato i bagni dei miei club preferiti. Ho immaginato dove avrei tentato di nascondermi. Ho immaginato come avrei tentato di barricare la porta. Mi sono figurato come sarebbe apparso il mio corpo sul pavimento.

Mi piacerebbe poter dire che quel giorno ho lasciato il mio appartamento e sono andato senza paura a celebrare il mese del Pride. Mi piacerebbe poter dire che mi sono unito a una dimostrazione o una veglia, o persino che mi sono semplicemente sbronzato al bar con i miei fratelli e sorelle queer. Mi piacerebbe poter dire che sono diventato una testimonianza vivente del coraggio LGBT di fronte alla violenza e all’odio.

Ma non l’ho fatto. Sono rimasto disteso sul divano a immaginare di essere colpito e ucciso in un bagno. (…)

La storia delle persone LGBT negli Stati Uniti è una storia di resilienza, anche di fronte a incredibili dolore e perdita. Rispondiamo a un mondo che ci chiede di scomparire ritmando lo slogan: “Siamo qui! Siamo queer! Abituati!”. Celebriamo il Pride in parte come atto di sfida e perseveranza. (…) Allo stesso tempo, le persone LGBT non sono supereroi. Quel che è accaduto a Orlando apre ferite in individui che sono a migliaia di miglia di distanza dall’assassino. Le persone LGBT stanno lottando con il fatto che non esiste qualcosa come uno “spazio sicuro”, che abbiamo creato l’idea di uno “spazio sicuro” per restare sani di mente, ma che è un’illusione.

E’ difficile quantificare il danno mentale e emotivo che capire questo ha sulla gente queer. Per me, è stata un’esperienza che mi ha isolato profondamente. La paura ti induce a ritirarti dal mondo, ti fa desiderare di fermarti e di spinge via da qualsiasi cosa potrebbe rivelarsi rischiosa. (…)

Non so che fare di tutto ciò. Persino ora, sto scrivendo perché voglio disperatamente provare la sensazione di avere un minimo di controllo su quel che mi accade. Perché voglio fare qualcosa, anche di piccolo, per sentirmi come se afferrassi la situazione. Non sta funzionando.

Se nella vostra vita ci sono persone omosessuali a cui tenete, parlate con loro. Sempre, ma specialmente adesso. Forse sembrano star bene. Forse vivono da qualche parte che sembra molto lontana, per distanza e cultura, da Orlando. Forse vi sentite a disagio a sollevare un argomento simile.

Dovreste comunque parlare con loro. Molte persone LGBT hanno passato anni tenendosi i problemi per sé – in special modo quelli correlati all’essere LGBT. Siamo diventati maestri nel sembrare “a posto”, nel convincere noi stessi che stiamo bene, quando non stiamo bene. Perché vogliamo disperatamente star bene. Ci sono buone probabilità che il tuo affascinante, sorridente e sicuro di sé amico gay si senta profondamente ferito e non benvenuto nel mondo.

Chiedi alle persone LGBT come va. Dì che vuoi loro bene. Dì loro che va bene piangere. Dì loro che non meritano di essere impauriti. Dì loro che ad ogni modo va bene aver paura. Dì loro che va bene aver timore di morire. Dì loro che sono importanti per te e che li vuoi qui, vivi, adesso. (…)

L’unico modo di maneggiare il dolore e il trauma è di sedere insieme con loro sino a che è finita. Al minimo, rendetevi disponibili. I vostri amici potrebbero non voler star seduti da soli.

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Pride

pride flag

Quando ero una ragazzina, ho presunto di essere eterosessuale perché era tutto quello che la società mi presentava come opzione. Le sole persone gay che si vedevano sui media erano in genere ritratte o come ridicole, dei buffoni strafatti, o come degli individui malati e pericolosi.

Crescendo un po’, ho pensato che forse ero bisessuale. Passato qualche altro anno, credevo definitivamente di essere bisessuale. Appena un po’ più vecchia, mi sono chiesta se in effetti ero gay e infine ho detto: “Sì, sono proprio gay!”.

Questo non è successo, come molti bigotti insistono a dire, perché tutte le persone omosessuali attorno a me mi hanno fatto “diventare” come loro tramite, che ne so, osmosi? Ipnosi? Trucco mentale di uno Jedi gay?

E’ stato perché mentre crescevo e la società progrediva e la rappresentazione delle persone omosessuali aumentava e migliorava, e altra gente lasciava andare ansie e pregiudizi e apriva menti e braccia, le persone omosessuali intorno a me mi hanno fatto “diventare” onesta.

Essendo se stesse – sentendosi in grado di essere se stesse e di avere orgoglio nell’essere se stesse – mi hanno aiutato a fare lo stesso.

Io adesso so esattamente chi sono, e amo chi sono, e ne ho orgoglio.

Le parate, le bandiere arcobaleno, le copertine delle riviste, le dichiarazioni politiche – tutto ciò è ancora necessario perché non ogni persona omosessuale è pronta per dire o è in grado di dire quel che io ho appena detto.

Quelli e quelle di noi che possono farlo devono continuare a celebrare, a essere chiassosi e orgogliosi, visibili e sul tema, affinché il nostro orgoglio e la nostra gioia diano ad altri/e il coraggio di unirsi a noi nelle strade e di dire al mondo chi sono. Perché possano vivere pienamente le loro vite.

L’orgoglio non è un peccato. E’ una grazia salvifica.”

Alison Rose, 6 giugno 2016 (femminista lesbica, avida amante di libri e orgogliosa anche come gattara)

Il 18 giugno prossimo, per la prima volta, la manifestazione dell’orgoglio gay si terrà anche a Treviso. L’Amministrazione comunale ha negato al corteo l’attraversamento dei luoghi “chiave” della città, Piazza Duomo e Piazza dei Signori, senza una ragione plausibile. Ma i diritti umani non sono negoziabili, non sono concessioni di sindaci, presidenti e neppure di papi, e se danno fastidio a qualcuno il problema non sono i diritti umani ma l’ignoranza, l’arroganza e l’odio di quel qualcuno che pensa di poterli negare.

Maria G. Di Rienzo

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