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Posts Tagged ‘costituzione italiana’

Il giovane Marco Rossi, giocatore del Monregale calcio, ha avuto qualche difficoltà “stradale” il mese scorso e ha ritenuto di doverne dare pubblicamente conto con un video. La trascrizione della sua testimonianza è questa:

In poche parole c’è una negra di merda che pensa di avere dei diritti, e tra l’altro ‘sta negra è pure donna, quindi già “donna” e “diritti” non dovrebbero stare nella stessa frase, in più se aggiungi un “negra”… quindi fa già ridere così, no? Però, in poche parole sto orangotango del cazzo ha avuto la brillante idea di denunciarmi per falsa testimonianza. Che però forse è vero, un po’ di falso l’ho dichiarato perché ero fuso e ubriaco, ci sta. Però per principio non mi devi rompere il cazzo anche perché you are black, diocan, negra di merda! E niente, bon, in poche parole io adesso dovrei pagare la macchina a una solo perché sa fare il cous cous: ma baciami il cazzo va’, puttana! Puttana! Troia! Poi ho preso la macchina di mia madre, ho preso l’autovelox, non ho pagato una lira e devo pagare la macchina a te diocan, sempre se si può chiamare macchina quella merda di triciclo che c’hai. Troia, lavami i pavimenti.”

Nelson Mandela la pensava così:

“Lo sport ha il potere di cambiare il mondo. Ha il potere di ispirare, ha il potere di unire le persone in un modo che poche altre cose sanno fare. Parla ai giovani in un linguaggio che loro capiscono. Lo sport può creare speranza dove prima vi era solo disperazione. E’ più potente dei governi nell’abbattere le barriere razziali. Ride in faccia a ogni tipo di discriminazione.”

Vero, in teoria e in linea di massima. Poi nella pratica c’è qualche dissonanza come Marco Rossi. Perché gli strumenti – dallo sport ai video – sono in essenza l’uso che ne fai.

C’è un po’ di gente che sta chiedendo alla dirigenza del Monregale di buttare fuori il suo giocatore. Io dilazionerei la proposta. Tenetelo in squadra, per il momento, e fate un po’ di “rieducational channel” per tutti.

Cominciate con lo studio di questi tre testi: Costituzione della Repubblica Italiana, Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, CEDAW – Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione contro le donne. Fase due: invitate Aboubakar Soumahoro e Leaticia Ouedraogo a tenere una lezione ai vostri calciatori sugli effetti del razzismo e del sessismo nelle loro vite.

Poi portate Rossi e compagnia in tour al campo di sterminio di Auschwitz.

Infine informateli: “Adesso non avete più scuse, non potete dire che non sapevate e che non avevate capito e che stavate scherzando eccetera. Vi abbiamo dato la possibilità di smettere di essere stupidi e crudeli. Il prossimo che fa/dice una stronzata razzista, sessista, omofoba eccetera se ne va a calci nel didietro.”

Maria G. Di Rienzo

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“Ciò che è certo è che le sardine si sono riunite per combattere tutte le forme di comunicazione politica aggressive, che strizzano l’occhio alla violenza, verbale o fisica, online o offline”. Così ha ribadito alla stampa Mattia Santori e questa è invero la “cifra” primaria che ha portato in piazza quell’Italia, di cui faccio parte, che non si riconosce nella narrazione a senso unico propinata alla nazione per anni da il 99% dei media.

Anni in cui dalle televisioni colavano (e continuano a colare) interviste fiume senza contraddittorio, in pratica comizi, colme di falsità e incitamenti all’odio e clamorose stupidaggini. Anni di aggressioni online e offline (e anche queste continuano), dalle campagne sul web fatte a colpi di insulti e diffamazioni alle loro concretizzazioni fisiche quando i figuri analfabeti della politica sono andati al governo: gli assalti ai giornalisti e ai magistrati, gli abusi di potere contro il dissenso di semplici cittadini, la crudeltà dei “porti chiusi” sono cose di appena qualche mese fa.

Quel che le sardine originarie si sono chieste, se fossimo davvero così soli e così pochi a provare rigetto e disagio e dolore, ha trovato risposta. Tutto qui. Ma, da destra a sinistra, dai filosofi agli opinionisti ai giornalisti ai rappresentanti di partito, gli osservatori non riescono a darsene pace.

La prima ondata di pistolotti aveva questo tormentone sullo sfondo: chi sta dietro a queste piazze piene? Mentre i loro autori si arrampicavano sugli specchi per disegnare il complotto, il loro stordimento era perfettamente percepibile: da dove saltano fuori italiani e italiane che chiedono il rispetto e la realizzazione della Costituzione e che dichiarano di non amare la violenza, quando gliela propiniamo 24 ore su 24 come panacea universale? Chiunque possa o non possa aver offerto il suo sostegno, il dato confortante è questo: non si è riusciti ad addormentare e ad avvelenare tutto il Paese.

La seconda ha ossessivamente chiesto ai manifestanti di risolvere ogni problema nazionale, dall’Ilva alla manutenzione stradale di Roma, omettendo scientemente che ciascuno di loro sta pagando dei rappresentanti a ogni livello amministrativo per fare tale lavoro.

La terza è divisa in due opposti schieramenti che di comune hanno una fretta dannata:

1) i favorevoli chiedono di capitalizzare immediatamente i numeri delle piazze in partiti o liste civiche, condendo i complimenti con velate minacce di disastri futuri: “E se per una manciata di voti dovessero prevalere proprio quelle forze che mai canteranno “Bella ciao” e che detestano la Costituzione repubblicana nata dalla Resistenza antifascista (altro che realizzarla), la necessità della pazienza potrebbe davvero lenire anche un poco il rimorso di non aver trovato il coraggio di correre il rischio, certamente grandissimo, di un impegno elettorale?” Personalmente, non posso provare rimorso per le scelte altrui e non mi sento obbligata a fondare partiti: la società civile fa politica a livello non istituzionale ed è perciò che si chiama così.

2) i contrari stanno freneticamente costruendo “fake news” (finte piazze in cui si canta “odio la lega” o immerse nei rifiuti dopo le manifestazioni) e dipingendo i dimostranti come “bulli etici” che demonizzano l’avversario. In più, ci vogliono vendere Salvini e Meloni (e Di Maio) come rappresentanti dei ceti medio-bassi: “Come è possibile che la gente beneducata, colta, civile, preoccupata delle sorti dei deboli, scenda in piazza per squalificare i leader di quei medesimi deboli?” Io appartengo alla categoria definita economicamente debole, ma ciò non mi rende in automatico un’ignorante intrisa di razzismo, sessismo e omofobia: i leader di cui l’opinionista parla non mi assomigliano ne’ mi rappresentano – a maggior differenza, non maneggio soldi ambigui o proprio sporchi e sono incensurata.

Dal 14 dicembre è uscito questo elenco:

“Pretendiamo che chi è stato eletto vada nelle sedi istituzionali a fare politica invece che fare campagna elettorale permanente.

Pretendiamo che chiunque ricopra la carica di ministro comunichi solamente su canali istituzionali.

Pretendiamo trasparenza nell’uso che la politica fa dei social network.

Pretendiamo che il mondo dell’informazione protegga, difenda e si avvicini il più possibile alla verità.

Pretendiamo che la violenza, in ogni sua forma, venga esclusa dai toni e dai contenuti della politica.

Chiediamo alla politica di rivedere il concetto di sicurezza, e per questo di abrogare i decreti sicurezza attualmente vigenti. C’è bisogno di leggi che non mettano al centro la paura, ma il desiderio di costruire una società inclusiva, che vedano la diversità come ricchezza e non come minaccia.

Le sardine nelle istituzioni ci credono, e si augurano che con il loro contributo di cittadini la politica possa migliorarsi.”

Fin qui sottoscrivo e nuoto. Non ho bisogno di altro.

Maria G. Di Rienzo

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compagni di merende

Questa l’invocazione del “fratello d’Italia” Cannata, vicepresidente del consiglio comunale di Vercelli fresco di elezione.

Rilevo dai quotidiani che il suo problema è costante: ha una pagina Facebook piena di definizioni per lesbiche e gay, che vanno dalla “feccia” alle “merde” agli “schifosi comunisti”. Il sig. Giuseppe Cannata è medico chirurgo e odontoiatra, si dice anche negli articoli: dev’essere un altro che il giuramento di Ippocrate l’ha usato per incartare i branzini dal pescivendolo. Purtroppo la stampa non specifica se entrando nel suo ambulatorio sbattere i tacchi urlando sieg heil fosse obbligatorio o facoltativo e se appendere un fez in sala d’aspetto comportasse uno sconto sulla parcella.

Ad ogni modo, di fronte alle reazioni non proprio entusiaste di molti, compresi il gruppo Arcigay locale, l’Ordine provinciale dei medici e membri autorevoli del suo partito (non meno beceri di lui, ma sicuramente più furbi) cucina la consueta ridicola minestrina auto-assolutoria:

“Non sono omofobo e non intendevo assolutamente offendere nessuno.”

Infatti, pubblicare articoli sulle manifestazioni del Pride con il commento “quante merde in giro” e “questi schifosi comunisti” indica un sereno e ponderato giudizio, una predisposizione innata al dialogo e un incrollabile rispetto per gli altri.

“Ho tanti amici omosessuali che stimo e a cui voglio bene.”

E che non se la prendono assolutamente quando infango con il mio livore sguaiato e insensato l’intera categoria. Anzi, si sentono una meraviglia, queste merde comuniste. Gli voglio bene, perdinci.

“Ero indignato per le vicende di Bibbiano.”

Perciò me la prendo con chi rispetto a tali vicende non c’entra nulla. Bibbiano è una manna, ragazzi, il sindaco indagato per abuso d’ufficio è PD, il che consente di allargare la responsabilità a tutta la sinistra passata, presente e futura, e soprattutto a questi schifosi che continuano ad essere schifosi. Guardate i sondaggi su Salvini: più urli e diffondi intolleranza più voti prendi.

“So di avere utilizzato parole improprie e mi dispiace. Spero che queste mie scuse possano essere accettate da chi si è sentito offeso e mi auguro che non si strumentalizzi questo inciampo”.

L’accostamento infame omosessualità/pedofilia e l’ancora più infame invito a uccidere sono quindi, secondo costui, semplicemente due innocenti imprecisioni per cui qualcuno potrebbe sentirsi offeso, ma non essere offeso davvero, andiamo. Ah, e non permettetevi di “strumentalizzare” un minuscolo errore di cui il “medico che ha sempre aiutato tutti” non dovrebbe neppure rispondere: è inciampato, tutto qui.

La nuova amministrazione comunale di Vercelli, in effetti, inciampa di continuo. Non fa politica nella sua opportuna sede istituzionale, ma sui social media: sono passati solo tre giorni dall’esternazione dell’altro “fratello d’Italia”, l’assessore Emanuele Pozzolo che ha messo alla berlina un invalido civile al 100% (“occupante abusivo di casa”, “reddito di cittadinanza in saccoccia”) da lui ritenuto uno dei “parassiti” che in Italia “vivono alle spalle degli altri”.

Se pure questi amministratori della cosa pubblica pensano – e io ne dubito – che le loro esternazioni siano innocue, si sbagliano completamente. Solo per portar loro un esempio recentissimo, la propaganda antigay in Polonia diffusa dal partito di maggioranza PiS – Prawo i Sprawiedlywosc (amici sovranisti della Lega) e sostenuta dalla chiesa cattolica locale ha infettato:

giornali – il quotidiano filogovernativo Gazeta Polska offrirà in omaggio con ogni copia un adesivo con la bandiera arcobaleno e la sigla Lgbt cancellate da una X;

assemblee comunali e regionali – in circa trenta si sono dichiarate “Lgbt-free”, e cioè “liberi” dalle persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender (questo cane è libero da pulci, questa città è libera da ebrei, ecc.)

rappresentanti governativi – un prefetto si è spinto a premiare le autorità locali di cui sopra per la loro iniziativa discriminatoria.

I risultati non si sono fatti attendere. I cosiddetti “ultrà di destra” hanno raccolto il messaggio alla perfezione. Le 800 persone (numero stimato) che hanno partecipato alla manifestazione del Gay Pride a Bialystok, il 21 luglio u.s., sono state bersagliate da sacchetti di plastica contenenti urina e sterco, attaccate con bastoni, pugni di ferro, catene, rincorsi e picchiati brutalmente in ogni strada (cercavano di rifugiarsi nei negozi per salvarsi dai pestaggi). La polizia ha reagito solo quando è stata assalita anch’essa.

Il partito di governo in Polonia, quindi un’aggregazione con ampio e facile accesso a tutti i media, compresi ovviamente quelli statali, ripete da mesi che gli individui compresi nella sigla Lgbt “Sono una minaccia per la nazione e per la famiglia“: di conseguenza, i farabutti che hanno aggredito un corteo pacifico i cui slogan erano del tipo “L’amore non è un reato” lo hanno potuto fare sentendosi spalleggiati e persino eroici – stavano difendendo la nazione da persone inermi che chiedono solo di essere trattate in modo umano, poiché umane sono.

Signori “Fratelli d’Italia”, è questo che volete? Urlare verso un gruppo di individui, cittadini del vostro stesso paese, titolari come voi di inalienabili diritti umani, “Ammazziamoli tutti” è persino peggio del dichiararli “minaccia per la nazione”.

L’Italia non ha bisogno della fratellanza dei violenti. Per bocca mia, oggi la ripudia come ripudia la guerra e si dichiara figlia unica. La sua casa è civile, aperta a tutti/e e vi si praticano rispetto e cura – le regole per vivere in essa, che questo dicono, stanno scritte nella Costituzione.

Maria G. Di Rienzo

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Le dichiarazioni del capo della polizia Gabrielli sono oggi sui giornali: loda i suoi uomini per “l’ottima gestione durante la campagna elettorale”; ammette che “il giornalista ferito (Origone di Repubblica) è un fatto molto grave”; esprime apprezzamento per “la fiducia che ci ha rivolto” alla procura di Genova “al contrario dei soliti professionisti del risentimento prigionieri dei loro stessi personaggi”; assicura che se invece di un giornalista si fosse trattato di un comune cittadino la reazione sarebbe stata identica (la Storia d’Italia dice che fino ad oggi non è stato così, ma va bene, fingiamo che sarà così da ora in poi) e infine afferma “Non siamo l’esercito del Principe”.

Io non so chi siano i professionisti del risentimento – mi viene in mente solo una persona, e poi vi dirò chi e perché – però ho inchiodati alla memoria dozzine di episodi in cui, negli ultimi mesi, gli “uomini di Gabrielli” si sono comportati esattamente come l’esercito del Principe.

Un lenzuolo appeso al balcone che recita “Non sei il benvenuto”, senza neppure un nome che identifichi chi non è gradito alla persona che l’ha esposto e privo di qualsiasi termine offensivo o espressione di minaccia, non può essere fatto ritirare a forza dalla polizia di una repubblica democratica: dai soldati privati del Principe sì.

Se qualcuno tiene comizi pubblici, in una repubblica democratica, deve aspettarsi e reggere il dissenso: il quale, concretizzato in slogan o cartelli, fischi o canzoni, senza che vi sia implicata violenza alcuna, è del tutto legittimo. Ma se siamo in un Principato, i soldati di sua altezza identificano tali persone, sequestrano loro i cellulari e gli striscioni, le allontanano, le minacciano e le insultano: proprio quel che hanno fatto gli uomini di Gabrielli.

In una repubblica democratica, gli studenti hanno il diritto di dimostrare pacificamente senza controlli preventivi atti a verificare se vi siano “cose” contro il Principe (nonché il diritto di esercitare le loro capacità critiche in ambito scolastico senza essere censurati e senza che i loro insegnanti siano puniti per questo): il capo della polizia trova degna di lode anche questa assai discutibile gestione dell’ordine pubblico che salta a piè pari ogni garanzia costituzionale? E’ invero più consona all’esercito privato del Principe che alla polizia di una repubblica democratica – e in effetti i poliziotti coinvolti nel pestaggio del giornalista Origone hanno aspettato quattro giorni prima di presentarsi “spontaneamente” a dare la loro testimonianza: è probabilmente il tempo di cui avevano bisogno per ricordarsi di non essere gli scherani di sua altezza ma funzionari pubblici al servizio della repubblica italiana.

Ed è proprio il Principe (l’attuale Ministro dell’Interno), non è difficile notarlo, a rispondere alla definizione di Gabrielli di “professionista del risentimento”. Presentandosi come legittimato a qualsiasi cosa dai successi elettorali, non tollera ne’ critiche ne’ opposizioni, straborda continuamente dal proprio ruolo istituzionale invadendo competenze e responsabilità altrui, e chiede metaforicamente la testa di chiunque giudichi scomodo (l’ultimo è Gad Lerner omaggiato di ostracismo in “diretta Facebook”, quelli non “famosi” li trascina via la Digos per strada).

“In sintonia” con il Ministro suddetto, Gabrielli dichiara anche di voler pene più severe per chi aggredisce poliziotti durante le manifestazioni di protesta. Gli artt. 336 e 337 del Codice Penale, riferiti a violenza e minacce ai danni di pubblici ufficiali, prevedono dai sei mesi ai cinque anni di galera: cosa auspica, il capo della polizia, in un paese in cui chi uccide la propria moglie / compagna può aspettarsi di tornar libero entro quattro anni e in cui la legittima difesa è stata stiracchiata sino a fornire giustificazione all’omicidio volontario?

E solo per far conversazione, pensa ci vorrebbero pene maggiori anche per i politici corrotti o che sarebbe meglio cancellare il reato d’abuso d’ufficio (art. 323 C.P.)? Quest’ultima idea è del (suo?) Principe.

Maria G. Di Rienzo

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Tranquilli, la lama mi serve solo in cucina.

Tranquilli, la lama mi serve solo in cucina.

Cosa io pensi delle “riforme costituzionali” in discussione al Parlamento italiano è noto e scorrendo questa pagina potete saperlo nel dettaglio, visto che mi sono presa la (assai probabilmente inutile) briga di farlo conoscere al Presidente del Senato Grasso e alla Presidente della Camera Boldrini. Per cui, non mi ripeterò.

Quel che vorrei chiedere agli urlatori in quota cinquestelle, soprattutto a quelli fra loro che si qualificano come giornalisti, è di smettere di usare la metafora “stanno violentando la Costituzione”. Spiacente, ma non credo in assoluto allo sdegno che detta frase dovrebbe convogliare. A dirla sono le stesse persone che dello stupro hanno fatto una barzelletta per irridere donne politiche, giornaliste e qualunque essere umano di sesso femminile protestasse contro questa loro attitudine.

Una risposta tipica che in quest’ultimo caso si ottiene dai grillini d’assalto, indignati dallo stupro della Costituzione, è questa: Cosa c’è, sei gelosa, lo vuoi prendere tu nel culo, lo vuoi un bel negrone?

A replicare in tal modo sono gli stessi che alzano i loro ditini dubitanti ad ogni notizia di cronaca o studio o rapporto internazionale sulla violenza sessuale, chiedendosi se non si tratti dell’ennesimo complotto delle femministe misandriche. E sono gli stessi che commentano a tutto spiano sulla inevitabilità dello stupro, sulla naturalità dello stupro e sul fatto che, in realtà, alle donne lo stupro piace da matti, lo sognano, lo provocano e fa un gran bene alla loro autostima: dopotutto, un UOMO si è degnato di trovarle scopabili, di cosa si lamentano ‘ste stronze?

Di recente, lo stesso sedicente giornalista che si è prodotto in un vomitevole elenco da mercato della carne per dimostrare come le donne del governo Renzi siano per lui meno scopabili di quelle del governo Berlusconi, e come quindi il malefico “Renzie” abbia reso persino questo disservizio alla nazione, si è messo a a strillare “stanno stuprando la Costituzione con una ferocia inaudita”. Sul serio? Be’, per gli uomini, politici o meno, è inevitabile e naturale stuprare, non è così? E poi cosa c’è, sei geloso? Lo vorresti anche tu?

Quando ero giovane e punk, secoli fa, avevo meno pazienza di oggi. Non avrei scritto per spiegarmi, perché persino questa ventina striminzita di righe mi sarebbe sembrata eccessiva avendo a disposizione due termini che dipingono con precisione l’attitudine dei signori succitati: fucking poseurs (fottuti sbruffoni, che posano ad arte imitando sentimenti/passioni non loro). Maria G. Di Rienzo

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Costituzione della Repubblica Italiana, art. 50 – Tutti i cittadini possono rivolgere petizioni alle Camere per chiedere provvedimenti legislativi o esporre comuni necessità.

25 aprile

Onorevoli membri del Parlamento italiano, confido che l’articolo costituzionale riportato sopra non sia ancora stato “riformato”: in base ad esso, quale cittadina del vostro stesso paese, vi informo innanzitutto di non accettare lo stravolgimento del Senato (Parte Seconda della Costituzione – Ordinamento della Repubblica, artt. 55 e seguenti). Non siete infatti riusciti e riuscite a farmi capire come un Senato non eletto direttamente dalla cittadinanza italiana, formato a guisa di dopolavoro per consiglieri regionali e sindaci, in pratica privo di potere, in balia dell’esecutivo, con la sola facoltà di proporre disegni di legge alla Camera, sia passo necessario e salvifico per le sorti future del popolo italiano.

Dico “popolo italiano” perché è da questo che l’Italia è fatta: dalla gente che ci vive. Dico “popolo italiano” perché ad esso formalmente appartiene la sovranità su questo paese. Tale popolo non è stato informato ne’ consultato in merito ad una decisione che è solo un passo indietro sulla strada della democrazia. Doveste persino indire un referendum su di essa a cose fatte, e finiste pure per perderlo, lo sfregio resterebbe. E’ uno sfregio sui nostri volti, che voi smettete di vedere e di considerare umani, e a cui smettete di attribuire un valore qualsiasi, non appena eletti. Una volta legittimati per elezione o cooptazione (come purtroppo sta avvenendo sempre più spesso) quelle sale in cui sedete si tramutano in scenari di conflitto per le vostre ambizioni personali o in palcoscenici su cui si recitano commedie da quattro soldi per attirare l’attenzione dei media.

Nell’ultima legislatura ci avete ammannito apriscatole, finocchi, manette, bolle di sapone, spigole, catene carcerarie, mollette sul naso, cartelli deliranti pieni di insulti e magliette stampate con offese, concerti di suonerie di telefoni cellulari, “occupazioni” buffonesche di tetti e aule di commissione e banchi della presidenza, urla e minacce reciproche e reciproci spintoni o ceffoni. In coscienza, mi troverei molto riluttante ad affidare a persone simili financo la cura di una pianta in vaso, figuriamoci il dar loro mandato di riscrivere la Costituzione del mio paese: perché essa regola i miei diritti e i miei doveri come cittadina; perché ha influenza diretta sul godimento dei miei diritti umani e civili; perché è il simbolo “vivente” del patto sul bene comune che ci tiene insieme come membri di una nazione.

Non vi ricorderò coloro che sono morti per arrivare al momento in cui la Costituzione fu vergata, giacché potrebbe apparirvi come mero artificio retorico, ma voglio ricordarvi quelli e quelle che discuterono, in un confronto civile e non per questo meno deciso, su come scriverla: mediando, negoziando e bilanciando sino a creare una Carta considerata fra le migliori a livello internazionale. Credo sinceramente voi non vi siate dimostrati all’altezza di mettere mano al loro lavoro. E pregarvi di riflettere su ciò che state facendo è il contenuto della mia petizione.

La seconda parte di questa comunicazione concerne invece l’esposizione di “comuni necessità”. Onorevoli membri del Parlamento italiano, intendo attirare la vostra attenzione su due di esse, relative alle donne del vostro paese. Per qualcuno/a di voi sarà una sorpresa, ma tali necessità non riguardano quanto “estetiche” (e cioè apprezzabili dallo sguardo maschile) siano deputate e ministre, come si atteggino e cosa indossino, se siano single o impegnate a livello sentimentale e se l’emiciclo fornisca o no loro un parrucchiere di soccorso. In effetti, se smetteste di alimentare la descritta attitudine sessista vi saremmo grate: non pretendo di parlare a nome di tutte le attiviste antiviolenza italiane, ma sono una di loro e so quanti danni essa provoca. Astenervi dalle continue nauseanti battute/offese a sfondo sessuale e dalla compilazione di liste di “deputate meglio vestite” e similia ci darebbe un segnale positivo.

E qui si configura la prima delle necessità cui accennavo sopra: il contrasto alla violenza di genere. Il primo agosto la Convenzione di Istanbul entrerà in vigore per 13 nazioni facenti parte del Consiglio d’Europa che l’hanno sottoscritta, fra cui l’Italia. La Convenzione si basa sulla comprensione del fatto che ad investire le donne è una violenza perpetrata nei loro confronti proprio perché sono donne, e rende il contrasto a tale violenza “un obbligo legalmente vincolante”. Non vi è ancora traccia delle iniziative che dovreste prendere in merito, ne’ il Piano nazionale Antiviolenza riaffiora dall’oblio in cui è svanito, eppure le sole cifre della violenza di genere nel vostro paese dovrebbero riempirvi da un lato di sgomento e dall’altro di rammarico per non esservene occupati/e sino ad ora: una donna su tre fa esperienza di violenza fisica e/o sessuale durante la sua vita; una su cinque fa esperienza di stalking; a giorni alterni una donna muore o è gravemente ferita, nella maggior parte dei casi per mano di un partner o ex partner. La Convenzione di Istanbul non basta firmarla: essa richiede ai governi leggi, misure pratiche e allocazione di risorse. E nemmeno questo servirà a ridurre la violenza se non comincerete ad ascoltare chi la violenza la subisce e chi lavora per eliminarla – generalmente senza incoraggiamento alcuno da parte vostra.

La seconda necessità che vorrei sottoporre alla vostra attenzione è questa: all’inizio del mese di luglio 2014, dati Istat, abbiamo toccato il livello record della disoccupazione femminile in Italia. Solo da marzo a maggio di quest’anno 81.000 donne hanno perso il posto di lavoro. L’istanza si collega alla precedente in modo vizioso, perché non avendo autonomia a livello economico per una donna è molto più difficile uscire da situazioni di abuso domestico o relazionale, e molto più facile entrare in situazioni di abuso lavorativo (occupazioni in “nero”, ricatti, insufficienza o assenza di misure di sicurezza sul lavoro, eccetera). Le donne perdono i loro impieghi a causa della crisi economica, certo, ma in misura maggiore rispetto agli uomini, nel mentre continua ad essere ascritto ad esse il 99% del lavoro di cura relativo a bambini, anziani, disabili, malati. E voi, onorevoli membri del Parlamento italiano, avete pensato bene di aggravare la loro situazione tagliando le cosiddette “spese sociali”, le quali già venivano in soccorso delle donne per una percentuale risibile.

Se mai a qualcuno/a di voi pungesse vaghezza di rispondere a questa lettera, vi prego: non parlatemi di grandi cause che hanno la precedenza e di luminosi lontani orizzonti da raggiungere facendone pagare il prezzo proprio a chi ha meno. Non può esserci causa più grande, per l’apparato che deve dirigere una nazione, del benessere di chi quella nazione compone, i suoi cittadini e le sue cittadine. E qualsiasi orizzonte raggiunto calpestando la loro dignità, i loro diritti e il rispetto a loro dovuto, avrebbe solo il colore dell’oscurità più fitta. Distinti saluti, Maria G. Di Rienzo.

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a sua insaputa

Hanno detto che la Costituzione a loro non piace. Cambiamola subito!!!

Così?

Art. 1. L’Italia è un’oligarchia tecnocratica movimentista fondata sul web. La sovranità appartiene a chi ha registrato il marchio del movimento presso un notaio.

Art. 2. L’oligarchia tecnocratica movimentista riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo qualora l’uomo in questione sia regolarmente registrato sul blog di chi detiene il marchio del movimento, e richiede l’adempimento inderogabile dell’obbedienza pronta, cieca e assoluta al detentore del marchio suddetto.

Art. 2 bis. Ah sì, vale anche per le donne. (Astenersi incinte.)

Art. 3. Tutti i cittadini movimentisti, purché connessi a internet, hanno pari dignità sociale: uno conta uno, tutti discutono, poi decide il detentore del marchio.

Oppure così?

Art. 1. L’Italia è un impero economico liberale, fondato sulle rendite. La sovranità appartiene a chi può permettersela.

Art. 2. L’impero economico liberale riconosce ad ogni suddito il diritto inviolabile di prostituirsi, e incoraggia il godimento di tale diritto soprattutto per le femmine (meglio se minorenni).

Art. 3. Tutti i clientes del possessore di rendite, siano servi o serve, hanno la dignità che si meritano (nessuna) e ricevono compensi adeguati alle loro prestazioni e alla loro godibilità durante feste sociali.

O così andrebbe meglio?

Art. 1. L’Italia è uno schifo che lo regge la casta assieme ai professoroni masoni perché è tutto un inciucio.

Art. 2. E’ talmente uno schifo che nessuno si sveeegliaaa e vede che l’euro ce l’hanno imposto mettendo nannaparticelle nelle scie chimiche che poi mi addormento sempre davanti alla tv e fate girare!

Art. 3. Complotto!!!!

Maria G. Di Rienzo (a cui la Costituzione italiana piace com’è.)

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La sedia ha smesso di ballare sotto di me. Il pavimento dà di nuovo un’impressione di solidità e il lampadario è confortevolmente fermo. Mi sono tolta i sandali, ma non ho ancora disfatto la borsa riempita in fretta e furia mentre tutto ondeggiava. Ho dato un’occhiata ai quotidiani online e ora so che il terremoto ha di nuovo colpito l’Emilia (qui in Veneto ci sono stati solo alcuni crolli) e che alle tre del pomeriggio, mentre scrivo, la stima è di quindici morti.

Mi scuso in anticipo se questo pezzo sarà lungo e variegato, in contrasto con la brevità solita dei miei articoli. Ci sono parecchie cose che voglio dire prima che il soffitto mi crolli in testa, se questo è il mio fato. La prima è questa: chiunque muoia lascia dietro di sé qualcuno che lo amava. Non dimenticatelo. Persino il più perfetto dei farabutti, con la sua scomparsa, segna per sempre qualche cuore, sia pure solo quello di sua madre o del suo cane. Il loro dolore è reale e merita rispetto anche se il morto in questione è Vlad Dracula. Terremoti a parte, ci sono due serial killer in giro per l’Italia, ultimamente, dalle cui azioni si srotolano una scia di cadaveri e un diluvio di sangue: uno è l’odio per le donne e l’altro la cosiddetta “crisi economica”, che sarebbe assai più corretto chiamare “crisi del capitalismo selvaggio”. Non credo ci sia necessità di sciorinarvi per l’ennesima volta nomi, cronache e statistiche: oltre ad essere penoso per me (che essendo un’empatica dietro ad ogni trafiletto percepisco quasi fisicamente visi e corpi e relazioni) ho la sensazione che sia perfettamente inutile al fine di convincere chi non vuol essere convinto. E questo è il mio testamento all’Italia, non un dossier.

Mentre disoccupati si avvelenano con il gas, operai si impiccano, pensionati si sparano e piccoli imprenditori si lanciano dalla finestra; mentre i lavoratori dei ceti più bassi muoiono come mosche della mancanza di rispetto per la loro umanità (che tale è la noncuranza in materia di sicurezza sul lavoro); mentre donne di tutte le età e le condizioni sociali crepano soffocate, battute, infilzate, fucilate per mano di uomini che almeno una volta hanno detto di amarle, date un’occhiata a cosa occupa le prime pagine dei giornali, guardate cos’è veramente importante: la “riforma” costituzionale proposta dal sig. Silvio Berlusconi. Questo tizio ha sempre lavorato “pro domo sua” qualsiasi fosse la carica da lui ricoperta e non stupisce che adesso manovri per diventare il Presidente di questa disgraziata repubblica. Ma mi stupiscono ancora – e mi disgustano parecchio – le reazioni da lacché di opinionisti, politici, funzionari dello stato. Fiutata la faccenda, le prostitute che lo intrattenevano ai suoi festini sono diventate per i giornalisti tutte “soubrette” e “donne di spettacolo”, i prefetti le accolgono come ospiti d’onore liberandosi immediatamente da ogni altro impegno (avete mai provato, voi che non siete “olgettine” a prendere appuntamento con un prefetto?), e i pubblici ministeri fanno inchini alla tenutaria del bordello di Arcore baciandole la mano: non so in quanti abbiate fatto esperienza di un processo, e in che forma, ma avete mai visto un pm sdilinquirsi di fronte all’imputato che deve accusare? Nemmeno nei film, quando il reo di turno si è comprato giudici e giuria, vedrete una cosa del genere, perché è del tutto sensato per i corrotti mantenere le sembianze dell’innocenza: altrimenti, chi crederà che la sentenza uscita da quel tribunale sia giusta, conforme alla legge? Ma a noi italiani non importa, abbiamo deciso da vent’anni e più che è tutta una giostra, tutto uno schifo, sono tutti uguali e l’unica cosa che conti è quanto bene si frega il prossimo nostro. In Italia non ci diamo neanche pena di serbare l’apparenza, tanto il marcio è penetrato in profondità nella nostra vita sociale. Solo questo può spiegare perché un padre italiano porti la figlia sedicenne al concorso “Miss Fondoschiena” – sto edulcorando, la dicitura reale era più esplicita – e si dica “orgoglioso” di lei quando lo vince. Solo questo spiega le madri maitresse e le intere famiglie di magnaccia che ruotano attorno ai “burlesque” di un vecchio signore dalle tasche traboccanti di soldi. Perché questo individuo non ha altro. Soldi. In che modo essi lo intitolano a riscrivere la Costituzione italiana? Sapete, questa Carta, spesso citata come esempio di equilibrio nel conciliare interessi privati e pubblici, il manifesto di una nazione che rinasceva dalla guerra, il documento che parla di una “repubblica fondata sul lavoro” e giura di tutelarlo (art. 35), che parla di sovranità del popolo, di pari dignità sociale per tutti i cittadini, non l’hanno decisa a tavolino manager, pubblicitari, giornalisti distesi a tappetino e segretari-mazzettari per sex workers. Pone limiti e bilanciamenti anche al Presidente della Repubblica. Forse per questo all’aspirante tale non piace. E’ del tutto legittimo. A me non piacciono le sue televisioni, le sue politiche, la sua corte d’avanspettacolo, e tutto rientra nella normalità dell’avere opinioni. Certo, le differenze fra noi sono molte, ma le principali in questo caso sono che io non ho – e neppure lo vorrei – un Alfano da infilare un po’ ovunque in tv e sui quotidiani a strombettare le mie richieste, ne’ sono in grado di fare accordi espliciti o sottobanco con chi non la pensa come me (votiamo quello se voi votate questo ecc.).

E perché quelle tali televisioni, politiche e comparsate non mi aggradano? E’ per via di quel che ho detto all’inizio. E’ per i morti. Più esattamente, per coloro che li piangono e a cui nessuna autorità dello stato, nessun politico, nessun intellettuale o “esperto” ha qualcosa da dire. Ed è per coloro che sono ancora vivi ma che sono messi in pericolo da quelle televisioni, quelle politiche e quelle recite insensate ripetute ad libitum. Che tu ti suicidi o che ti ammazzino la faccenda non accade a caso. Ci sono circostanze che favoriscono o sfavoriscono il fatto che la situazione prenda quella piega. Se si comincia con gli streap-tease delle casalinghe su una tv privata negli anni ’80 e per trent’anni si continua a spogliare e degradare le donne tramite quasi tutti i canali televisivi (e la tv è il mezzo principale di informazione per il 70% degli italiani) che sono, guarda un po’, proprietà di una sola persona, e quando ogni uscita pubblica di questa persona e dei suoi sodali al riguardo conferma un disprezzo allucinante per le donne: ciò crea o no un contesto favorevole alla violenza di genere? Se gli scafisti albanesi sono i benvenuti purché portino belle ragazze, se “è assolutamente legittimo prostituirsi per fare carriera”, se la ex “fidanzate” di Berlusconi da ballerine da discoteca o modelle per calendarietti piccanti diventano ministre o parlamentari o consigliere regionali, ne consegue che è buono e giusto mettere la propria “fidanzata” disabile mentale in strada a guadagnare la sua vita e la nostra; e se le femmine non sono altro che pezzi di carne da solletico sessuale, perché scandalizzarsi per la rottamazione di una moglie vecchia o di un’amante riottosa chiamandoli “femminicidi”, ohibò, e perché oltraggiarsi per lo stupro di una bambina di sette anni? Quando era Presidente del Consiglio, il sig. Berlusconi disse che non aveva abbastanza soldati da mettere alle calcagna di ogni possibile vittima di stupro, perché “è pieno di belle ragazze là fuori”: be’, la bambina settenne l’ha stuprata un sergente americano di stanza in Italia, quindi possiamo consolarci, quel che ci manca di soldati lo suppliscono le nostre alleanze internazionali.

E se, sempre per una trentina d’anni, si smantellano le garanzie conquistate dai lavoratori a beneficio di tutto il paese, si rende la sanità pubblica impraticabile e costosissima, si distruggono le reti sociali di sostegno, si affossa l’Italia nel debito pubblico, si rende il lavoro sempre più precario, irraggiungibile o pericoloso, si smette di considerare i cittadini e le cittadine come principali risorse della nazione e referenti delle proprie politiche e ci si riferisce a loro come a “mammoni”, “fannulloni”, inani mangiatori di spaghetti se gli diamo un reddito garantito, assistenzialisti, rompicoglioni, falliti, e quant’altro: questo alimenta o no la spinta nelle persone “non di successo” – che sono la maggioranza, visti i termini con cui il successo si misura attualmente – a disprezzarsi, magari sino al punto di pensare che è meglio togliersi la vita?

Adesso ditemi: perché io dovrei accettare che chi ha contribuito pesantemente a questo stato di cose cambi la Costituzione del mio paese? Quel che ha fatto sino ad ora gli conferisce lo stauts ed il merito necessari? Perché altri e altre, la cui voce potrebbe avere un’eco ben più grande della mia, accettano o tacciono?

La borsa è ancora là, il trasportino per la gatta pure. Messi in salvo un po’ di libri, i cinquanta euro che costituscono la cassa familiare e la mia fedele amica pelosa, credo che potrei tornare in casa se il soffitto dovesse mettersi a ballare di nuovo. Non perché il disprezzo di cui parlavo sia arrivato a toccarmi, da questo punto di vista ho il cuore di pietra e le orecchie sorde. Ma la mia sopportazione ha pure un limite umano ed io un paese con Berlusconi Presidente della Repubblica non voglio vederlo. Maria G. Di Rienzo

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