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Posts Tagged ‘orlando shooting’

Quella che segue è la traduzione di un brano del discorso tenuto a Chicago da Staceyann Chin – poeta, scrittrice, attivista per il cambiamento sociale – il 14.6.2016, durante una dimostrazione seguita alla sparatoria di Orlando.

stacey durante il discorso

Le sue parole mi suonano adatte, in modo strano e straziante e bellissimo, a piangere la morte di Emmanuel Chidi Namdi, profugo di 36 anni ucciso di botte da un razzista italiano, e ad abbracciare sua moglie Chimiary sopravvissuta all’aggressione.

Nel 1997, giunsi a queste rive degli Stati Uniti d’America perché non era sicuro, per me, vivere apertamente da lesbica nel mio paese, la Giamaica.

Mi ricordo arrivare sola, incerta, in una piccola (sorride) città chiamata New York. Entro poche settimane mi trovai fra le braccia di altre femministe e attiviste e altre persone LGBT che credevano nella lotta globale per la libertà. E’ stato qui, in questo paese, che ho appreso a usare la mia voce, a parlare contro il bigottismo e il pregiudizio e l’ingiustizia e la discriminazione ovunque accadano, in qualunque momento accadano, a chiunque accadano.

Riesco a stento a credere che siano passati vent’anni. Così tanto è successo sulla scia della nostra lotta collettiva. Le persone LGBT in sempre più paesi possono ora sposare l’amore che hanno scelto. Possiamo avere cariche pubbliche, tenerci per mano, adottare bambini. Siamo più sicuri sul posto di lavoro. Molti di noi sono completamente accettati dalle proprie comunità.

La nostra marcia verso il progresso è stata così efficace, così ferma la nostra fiducia nel potere del cambiamento, che siamo stati quasi divertiti quando la destra radicale ha dato inizio alla sua nuova ondata di bravate in Mississippi e Carolina del Nord e Tennessee. Eravamo certi che il buonsenso avrebbe prevalso in questo paese. Eravamo certi che il mondo stava cambiando velocemente e sapevamo che alla fine avremmo vinto. (…) Dopo vent’anni di sicurezza il mio corpo lesbico si è risvegliato al terrore che il corpo nero, il mio corpo di donna, il mio corpo migrante hanno sempre conosciuto.

(…) Di fronte a 49 vite spente, come ricaviamo senso da una cosa così di senso priva? La risposta – la risposta è quella di sempre. Raccogliamo i pezzi l’uno dell’altro. Come sempre ci giriamo a sinistra, ci giriamo a destra, cerchiamo dietro di noi e ci troviamo l’un l’altro e continuiamo a trovare amore. Contro queste folli difficoltà, dovremmo dilettarci dell’incrollabile capacità dell’essere umani, di tenerci stretti l’un l’altro, di guarirci l’un l’altro. Se mai c’è stato un anno in cui sventolare quella bandiera arcobaleno, se mai c’è stato un anno – è questo. (Applausi)

(…) Per Stonewall e per Selma, per la comunità LGBT, ho lasciato la Giamaica vent’anni fa. Per il Kenya, per l’Uganda, per questo paese, per tutti noi. Per poter guarire, per ogni persona che vive su questo pianeta, noi dobbiamo combattere la furia di coloro che ci preferirebbero morti. Facciamo massa contro i poteri che spingono contro la libertà, arrabbiamoci, manifestiamo. (Applausi)

Lottiamo per avere più spazi in cui i nostri corpi possano essere al sicuro. Respingiamo le leggi ingiuste che cercano di far girare il tempo all’indietro. In nome di coloro che sono morti, io vi sfido a vivere a voce ancora più alta, a essere ancora più orgogliosi di voi stessi. Solleviamo insieme le nostre voci, i nostri spiriti. Gridiamo, di modo che ognuno su questo pianeta possa udire la voce del cuore umano.

Scegliere l’amore. Scegliere l’amore. Io vi sfido a scegliere l’amore.” Maria G. Di Rienzo

staceyann e figlia

Staceyann con la figlia Zuri

https://lunanuvola.wordpress.com/2011/08/31/io-ti-amero-comunque/

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Elena Kostyuchenko

Elena Kostyuchenko è una cronista del quotidiano russo Novaya Gazeta e una delle più note attiviste per i diritti delle persone LGBT nel suo paese. Elena, lesbica dichiarata, è stata aggredita e arrestata in numerose occasioni, sia mentre faceva il suo lavoro di giornalista, sia mentre partecipava a manifestazioni. Il brano seguente è tratto da un suo articolo sui social media del 13 giugno 2016:

Non è che mi piaccia particolarmente questa parola, “omofobia”. E’ astratta, ma almeno descrive rozzamente perché, negli ultimi due anni, 19 dei miei amici sono stati assaliti, due amiche sono state stuprate e altre due uccise. E più di 20 persone che conosco sono state costrette a lasciare il paese. Tutto ciò è accaduto solo all’interno della mia cerchia di amici, che non è poi così vasta.

Votano leggi contro di noi, siamo trattati come non eguali e ufficialmente etichettati come di “minor valore” (vedasi l’art. 6.21 del Codice amministrativo russo – il cosiddetto divieto di “propaganda gay” in presenza di minori), non abbiamo diritto al matrimonio o alla custodia condivisa dei figli e non abbiamo il diritto di visitarci l’un l’altro in prigione o in ospedale.

Da tre anni, ormai, sono attivi gruppi neonazisti che hanno come loro esclusive prede i membri della comunità LGBT. La televisione alimenta attivamente l’atmosfera di odio e paura. Per un solo anno i media si sono presi una pausa e si sono concentrati sulla guerra ucraina, ma ora siamo tornati ad essere noi i nemici numero uno dello stato: date solo un’occhiata alle notizie.

Sono lieta che voi viviate le vostre vite senza notare nulla di tutto ciò e che nulla di tutto ciò vi riguardi. Sarei lieta, anche, se non veniste a conoscere del tutto i seguenti dettagli, come il suono di un proiettile sparato da un fucile ad aria compressa che entra nell’occhio di qualcuno, o come compilare una denuncia alla polizia contro il tipo che vostro padre vi ha portato perché vi mettesse “a posto”.

O come comporre il numero d’emergenza al telefono perché qualcuno sta tentando di aprire la porta di casa vostra, e la polizia non verrà, perciò rimanete svegli sino al mattino con un coltello in mano, ascoltando qualcuno che tenta di forzare la serratura. E più tardi quel mattino, quando le cose si sono un po’ calmate, uscite di casa, chiudete la porta dietro di voi e non fate più ritorno. Questo è quanto hanno dovuto subire persone che conosco. Forse alcuni vostri amici e colleghi hanno avuto esperienze simili. In effetti, è assai probabile.

Io so quanto tempo impiega a guarire un naso rotto. Posso persino parlare per esperienza personale, perché a me l’hanno rotto spesso. So quanto ci vuole a guarire quando ti tirano addosso pietre, bottiglie e pezzi d’asfalto. So cosa vuol dire quando trovi la tua ragazza strangolata in macchina, quando i medici ti informano che diventerai sorda per il colpo che hai ricevuto in testa (potrei parlarne diffusamente, dato che è successo a me), quando ti rovesciano urina addosso e filmano il tutto, quando il tuo capo ti chiama e ti licenzia, quando sei costretto a cambiare scuola, università e lavoro.

So persino com’è quando i tuoi compagni di classe ti stuprano dietro il parcheggio. So com’è quando un poliziotto ti sputa in faccia, mentre i suoi compagni stanno strozzando la tua amica e tu non puoi fare nulla al proposito perché hai le braccia torte dietro la schiena e ovunque attorno a te c’è una folla che urla trionfante: “Froci!”. So cosa vuol dire sognare di comprare un piccolo pezzo di terra, cintarlo con un muro di cinque metri e crescere i tuoi figli dentro questa gabbia, perché è il solo modo di garantire la loro sicurezza.

Ogni conversazione su questo tema finisce con consigli tipo: “Non essere visibile”. Nei giorni in cui ci sono omicidi di massa, finisce con la gente che dice: “Chi se ne importa del loro orientamento sessuale”. Voi davvero non capite cos’ha provato mia madre quando ha sentito della sparatoria nel night club gay (Orlando, ndt.). Non capite cosa provo io quando mi accorgo che non ho modo di confortarla.

L’orientamento delle persone uccise è importante. Se voi pensate di no, allora non ve frega nulla ne’ della ragione di questi omicidi, ne’ del perché essi continuano ad accadere ancora e ancora e ancora.”

Maria G. Di Rienzo

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(tratto da: “How to talk to a queer person who is afraid of dying”, un più ampio articolo di Carlos Maza per The Washington Post, 14 giugno 2016, trad. Maria G. Di Rienzo. Il pezzo tratta del massacro nel locale gay Pulse a Orlando.)

orlando vigil

Ho passato la maggior parte della domenica pensando a che messaggio di testo avrei mandato a mia mamma se mi fossi rifugiato nel bagno di un nightclub sapendo che un uomo armato stava per uccidermi. Mi sono raffigurato i bagni dei miei club preferiti. Ho immaginato dove avrei tentato di nascondermi. Ho immaginato come avrei tentato di barricare la porta. Mi sono figurato come sarebbe apparso il mio corpo sul pavimento.

Mi piacerebbe poter dire che quel giorno ho lasciato il mio appartamento e sono andato senza paura a celebrare il mese del Pride. Mi piacerebbe poter dire che mi sono unito a una dimostrazione o una veglia, o persino che mi sono semplicemente sbronzato al bar con i miei fratelli e sorelle queer. Mi piacerebbe poter dire che sono diventato una testimonianza vivente del coraggio LGBT di fronte alla violenza e all’odio.

Ma non l’ho fatto. Sono rimasto disteso sul divano a immaginare di essere colpito e ucciso in un bagno. (…)

La storia delle persone LGBT negli Stati Uniti è una storia di resilienza, anche di fronte a incredibili dolore e perdita. Rispondiamo a un mondo che ci chiede di scomparire ritmando lo slogan: “Siamo qui! Siamo queer! Abituati!”. Celebriamo il Pride in parte come atto di sfida e perseveranza. (…) Allo stesso tempo, le persone LGBT non sono supereroi. Quel che è accaduto a Orlando apre ferite in individui che sono a migliaia di miglia di distanza dall’assassino. Le persone LGBT stanno lottando con il fatto che non esiste qualcosa come uno “spazio sicuro”, che abbiamo creato l’idea di uno “spazio sicuro” per restare sani di mente, ma che è un’illusione.

E’ difficile quantificare il danno mentale e emotivo che capire questo ha sulla gente queer. Per me, è stata un’esperienza che mi ha isolato profondamente. La paura ti induce a ritirarti dal mondo, ti fa desiderare di fermarti e di spinge via da qualsiasi cosa potrebbe rivelarsi rischiosa. (…)

Non so che fare di tutto ciò. Persino ora, sto scrivendo perché voglio disperatamente provare la sensazione di avere un minimo di controllo su quel che mi accade. Perché voglio fare qualcosa, anche di piccolo, per sentirmi come se afferrassi la situazione. Non sta funzionando.

Se nella vostra vita ci sono persone omosessuali a cui tenete, parlate con loro. Sempre, ma specialmente adesso. Forse sembrano star bene. Forse vivono da qualche parte che sembra molto lontana, per distanza e cultura, da Orlando. Forse vi sentite a disagio a sollevare un argomento simile.

Dovreste comunque parlare con loro. Molte persone LGBT hanno passato anni tenendosi i problemi per sé – in special modo quelli correlati all’essere LGBT. Siamo diventati maestri nel sembrare “a posto”, nel convincere noi stessi che stiamo bene, quando non stiamo bene. Perché vogliamo disperatamente star bene. Ci sono buone probabilità che il tuo affascinante, sorridente e sicuro di sé amico gay si senta profondamente ferito e non benvenuto nel mondo.

Chiedi alle persone LGBT come va. Dì che vuoi loro bene. Dì loro che va bene piangere. Dì loro che non meritano di essere impauriti. Dì loro che ad ogni modo va bene aver paura. Dì loro che va bene aver timore di morire. Dì loro che sono importanti per te e che li vuoi qui, vivi, adesso. (…)

L’unico modo di maneggiare il dolore e il trauma è di sedere insieme con loro sino a che è finita. Al minimo, rendetevi disponibili. I vostri amici potrebbero non voler star seduti da soli.

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