Feeds:
Articoli
Commenti

Posts Tagged ‘capitalismo’

“Il dominio e lo sfruttamento del patriarcato e del capitalismo predatorio hanno permeato ogni aspetto della nostra società per troppo tempo. Noi tutte/i sappiamo di averne avuto abbastanza. Siamo solo insicure/i rispetto al sentiero che abbiamo di fronte e i modelli a cui far riferimento scarseggiano.

Lo sradicamento di questa oppressione richiede il ripensamento sulla maggior parte delle cose che sono diventate “normali” per noi anche se ciò è doloroso o disagevole. Se vogliamo un mondo migliore, dobbiamo disegnare la via che ci condurrà là. Possiamo imparare da ciò che ha funzionato in passato e rivolgere il nostro cuore alla saggezza e all’intuizione, agli ideali di cooperazione, inclusione, compassione e negoziazione per nutrire interconnessioni sane.

Dobbiamo rigettare il dominio e lo sfruttamento e la superficialità del consumismo. Lavoriamo insieme per trasformare noi stesse/i e il nostro mondo in un più sostenibile futuro di prosperità, pace, eguaglianza e gioia.”

Karen Tate, scrittrice, conferenziera, trainer, attivista per la giustizia sociale, giornalista radiofonica (trad. Maria G. Di Rienzo). Karen è una delle figure più influenti del movimento che si rifà alla “spiritualità della dea”: ha pubblicato sei libri al proposito (in immagine sotto la copertina di uno di essi).

karen book

 

Read Full Post »

(tratto da: “People Aren’t Bad for the Planet—Capitalism Is”, di Izzie Ramirez per Bitch Media, 27 marzo 2020, trad. e adattamento Maria G. Di Rienzo. Izzie Ramirez – in immagine – è una reporter freelance e la caporedattrice di NYU Local.)

Izzie

C’è una brutta china nei commenti che giustificano i decessi umani per preservare l’ambiente. Come l’attivista per il clima Jamie Margolin ha spiegato in un tweet “Dire ‘I deboli moriranno ma va bene perché ciò aiuta il clima’ non è giustizia climatica. Questo è ecofascismo.” L’ecofascismo è definito da governi che esercitano il loro potere per la protezione dell’ambiente a costo delle vite individuali.

Nel loro articolo del 2019 “Overpopulation Discourse: Patriarchy, Racism, and the Specter of Ecofascism,” Jordan Dyett e Cassidy chiarirono come l’ecofascismo prese piede nel 19° e 20° secolo in Germania, dove “una serie di preoccupazioni ecologiche cominciarono ad interagire con la xenofobia, il nazionalismo e il razzismo presenti nella regione.”

All’epoca, le autorità fasciste tedesche erano solite giustificare determinate politiche di esclusione collegando l’ambiente alla salute. La retorica tipica includeva il controllo della popolazione, misure anti-sovrappopolazione e nozioni per cui i gruppi minoritari erano specie invasive che costituivano una minaccia all’ambiente stesso. Questa è ideologia comune ai suprematisti bianchi, in particolare, e a quelli che commettono omicidi di massa. Per esempio, l’assassino responsabile degli omicidi di un gran numero di persone a El Paso, Texas, nel 2019 citò la degradazione ambientale come una delle sue ragioni. “Se riusciamo a sbarazzarci di abbastanza gente, allora il nostro stile di vita diventerà più sostenibile”, scrisse nel suo manifesto.

Nel contesto odierno, comunque, persone comuni stanno argomentando che il Covid-19 sarebbe il vaccino della Terra contro gli esseri umani mentre il virus sta gettando il mondo nello scompiglio e sta uccidendo migliaia di persone, molte delle quali appartengono alla classe lavoratrice, non hanno accesso alla sanità e sono costrette a continuare a lavorare perché sono considerate forza lavoro essenziale. Per come le cose stanno ora, l’ecofascismo – visto attraverso tali conversazioni sui social media – sta asserendo che la gente povera, la gente disabile e la gente anziana dovrebbero sacrificarsi per far vivere il resto di noi. Ciò non è solo moralmente riprovevole ma è l’incomprensione del problema più vasto: il coronavirus non è un “detox” per la Terra, è una perturbazione dei sistemi che potenziano il capitalismo.

Persino chi cerca di sfidare il capitalismo è forzato a vivere al suo interno, giacché dobbiamo sopravvivere in un’economia capitalista concentrata sul beneficio immediato anziché sulle conseguenze future. Perciò le persone salgono in autobus per andare ai loro impieghi salariati, montano in auto per andare in fabbrica e condividono veicoli per far quadrare i conti. Queste persone non hanno molte alternative economiche, perché hanno bocche da sfamare e bollette da pagare. La loro adesione per sopravvivenza al capitalismo non li rende egoisti o sacrificabili. In effetti, se voi siete preoccupati per il cambiamento climatico, queste sono le esatte persone per cui dovreste preoccuparvi.

Read Full Post »

E’ la versione americana, gonfiata e amplificata e molto più abbiente, di Feltri o di Sgarbi.

Le frasi seguenti vengono da un libro degli anni ’90 composto di sue citazioni:

“Se le donne volessero essere apprezzate per i loro cervelli, andrebbero in biblioteca invece che da Bloomingdale’s.”

“Voglio sesso orale da Jane Fonda. Avete dato un’occhiata a Jane Fonda? Non è male per essere una cinquantenne.”

“So per certo (è fattuale!) che ogni donna che ha del rispetto per se stessa, quando cammina accanto a un cantiere e non riceve un fischio si gira e continua a camminare avanti e indietro fino a che non ne ottiene uno.”

“La famiglia reale (britannica) – che mucchio di disadattati: un gay, un architetto, quella lesbica con la faccia da cavallo e un ragazzo che ha rinunciato a Koo Stark per una manza grassa.”

“Uno sport che non usa palle? Il sesso lesbico.”

“(i computer delle mie aziende) fanno qualsiasi cosa, incluso fornirvi sesso orale. Immagino che questo metta fuori gioco un bel po’ di voi ragazze.”

Il resto qui di seguito è invece cosa assai più recente rilasciata in pubblico:

“Mi piace il teatro, andare a cena e dar la caccia alle donne. Lasciate che vi spieghi: sono un miliardario single ed eterosessuale a Manhattan. Che ne pensate? E’ un sogno bagnato.”

Ne ha anche per “l’enorme massa di maschi neri e latini dell’età, diciamo, fra i 16 e i 25 anni” senza impiego e senza prospettive semplicemente perché non sa “come comportarsi nel posto di lavoro”, pensa che avere una sanità pubblica (“Obamacare”) sia “una disgrazia” e soffre di una sorta di disagio psicologico per cui pensa di essere vittima di razzismo (i tipi come lui dicono cose del genere dopo aver preso una multa per velocità eccessiva): “La polizia ferma sproporzionatamente e troppo i bianchi – e troppo poco le minoranze.”

Il libro è “The Portable Bloomberg: The Wit and Wisdom of Michael Bloomberg” (wit and wisdom, capito, arguzia e saggezza): i curatori hanno assicurato che tutte le citazioni sono proprio del sig. Bloomberg e che nulla è stato abbellito o esagerato e inoltre che alcune frasi sono state lasciate fuori dal testo perché “troppo oltraggiose” (cioè, c’era davvero di peggio?). Bloomberg, da par suo, non ne ha mai smentita nessuna. Ha solo ammesso che sì, forse ha detto delle cose “inappropriate” che potrebbero aver offeso qualcuno e in tal caso, ovviamente, si scusa.

“Le sue parole – hanno aggiunto i suoi sostenitori – non sempre hanno concordato con i valori su cui fonda la sua vita.” Ah be’, questo aggiusta tutto. Sono sicura che se questo pagliaccio ricco sostituisce il pagliaccio ricco attuale (Trump) possiamo aspettarci massimo rispetto e altissima considerazione per le donne – in particolare per le donne lesbiche e per le minoranze di qualsiasi tipo nonché una affettuosa attenzione per chi non può permettersi i costi della sanità privata:

A chi sta morendo perché non può pagare le proprie cure mediche invio un saluto e una preghiera. Mi scuserà se non gli faccio visita, ma dopo il teatro devo andare a cena e a caccia di manze, sa quelle robe senza cervello che passano il tempo nei grandi magazzini e attorno ai cantieri. Pensi che in biblioteca non ne ho mai vista una, anche perché non ci vado mai.”

Repubblicano o democratico – Bloomberg è passato per ambo i partiti – il “sogno americano” sembra essere ridotto a un anziano cafone sessista, razzista, classista e omofobo… va da sé, strafogato di soldi.

Maria G. Di Rienzo

(Le citazioni vengono da: The Week in Patriarchy, “Who said it – Trump or Bloomberg? Take our revealing quiz”, di Arwa Mahdawi per The Guardian, 22 febbraio 2020.)

Read Full Post »

L’Autore del brano che state per leggere si chiama Claudio Schuftan, è dottore in pediatria e medicina internazionale, è nato in Cile e attualmente lavora nella salute pubblica a Ho Chi Minh City, in Vietnam. Sta anche coordinando la campagna quinquennale del Movimento per la Salute Popolare, attivo in più di settanta nazioni: “Equità, sviluppo eco-sostenibile e pace sono al cuore della nostra visione di un mondo migliore – un mondo in cui una vita sana per tutti è una realtà; un mondo che rispetta, apprezza e celebra tutta la vita e le diversità; un mondo che consente il fiorire dei talenti e delle abilità delle persone affinché si arricchiscano l’una con l’altra; un mondo in cui le voci del popolo guidano le decisioni che danno forma alle nostre vite…”

In passato ha lavorato per: Unicef, Programma alimentare mondiale, FAO, Unione Europea, Banca africana di sviluppo, Università delle Nazioni Unite, Organizzazione mondiale della sanità, Fondo internazionale per lo sviluppo agricolo, Agenzia svedese per la cooperazione e lo sviluppo, Peace Corps, Ministeri della Salute di Kenya e Vietnam, Ministero per la Pianificazione economica del Camerun, ecc. ecc.

Potete andare a farvi un’idea di quant’è lungo il suo cv su:

http://www.claudioschuftan.com

E questo ci porta alla prima ragione per cui ho deciso di tradurre il brano (di un pezzo più lungo, che è un assemblaggio di citazioni di altri autori e di riflessioni personali): se volesse gonfiare il curriculum vitae con tutte le persone autorevoli che ha semplicemente incontrato o con tutte le banche dati / biblioteche che ha utilizzato, il dott. Schuftan rischierebbe di non finire mai, a differenza dell’avv. Conte – che nessuno ha votato, ma che ha ricevuto l’incarico di formare il nuovo governo italiano.

La seconda è che lo scritto è particolarmente efficace nel definire la politica e i politici.

Tratto da: “Power, Politics, Politicians & Human Rights – Analysis”, di Claudio Schuftan, maggio 2018, trad. Maria G. Di Rienzo:

Maggiore è lo squilibrio di diseguaglianza nella bilancia del potere, maggiore è l’oppressione e maggiori sono gli abusi dei diritti umani.

La politica è ciò che facciamo (o non facciamo), la politica è ciò che creiamo, la politica è ciò per cui lavoriamo, ciò in cui speriamo e che osiamo immaginare. (Paul Wellstone)

Il perenne dominio politico, sociale e culturale esercitato dai paesi industrializzati è il risultato di una distribuzione diseguale di potere, a causa della quale coloro che non hanno potere o ne hanno molto meno vedono le loro aspettative di vita limitate o distrutte e i loro diritti umani violati dai più potenti. Questa mano pesante si manifesta in modi diversi: dalla discriminazione all’esclusione, dalla marginalizzazione allo sterminio fisico, psicologico e/o culturale, e dalla demonizzazione alla forzata invisibilità.

Tutte queste forme di dominio possono essere ridotte a una sola parola: oppressione. Le società con gli squilibri di potere più longevi sono in effetti società divise fra oppressori e oppressi. I fattori che stanno alla base del dominio variano da epoca a epoca. Nei tempi moderni, diciamo fin dal 16° secolo, i tre principali fattori del dominio sono stati: capitalismo, colonialismo e patriarcato.

Attualmente viviamo in società capitaliste, colonialiste e patriarcali. Per avere una resistenza di successo contro queste forme di dominio dobbiamo intraprendere simultaneamente lotte anticapitaliste, anticolonialiste e antipatriarcali.

Da questo dato storico consegue che gli avanzamenti sono stati, quando ci sono stati, minimi come se – e ne abbiamo fatto esperienza – gli elementi del dominio restassero uniti e l’opposizione restasse divisa. Il potenziale della democrazia liberale nel rispondere alle aspirazione e ai diritti umani degli popolazioni oppresse e discriminate è sempre stato molto limitato, e i suoi limiti sono diventati sempre più seri in tempi recenti.

Ovunque, movimenti democratici a livello di base sono strangolati da forze antidemocratiche e, in alcuni paesi, da dittature. Nel mondo odierno, la democrazia è presa in ostaggio da potentati economici che tutto sono fuorché democratici.

Le politiche di potere guidano le politiche generali.

Coloro che hanno potere politico usano modi diversi per alterare le nostre percezioni al fine di rendere se stessi socialmente e politicamente accettabili. E’ quando tali meccanismi non li sorreggono che comincia la tirannia, per esempio la criminalizzazione degli oppositori e dei difensori dei diritti umani. Il potere esamina continuamente le strutture sociali e gli individui usando una concezione distorta di ciò che è giusto o sbagliato e buono o cattivo. In pratica non risponde mai ad alcuna chiamata morale e al rispetto dei diritti umani. (Alberto Acosta)

Quando potenti gruppi politici sistematicamente operano in un determinato modo, questo modo non diventa “la norma” solo per i loro membri, giacché essi chiedono la stessa accettazione agli altri.

La ragione fondamentale è l’obbligo per ogni individuo attivo nel gruppo ad assimilare il proprio comportamento a quello del gruppo, cioè a adattare se stesso al comportamento dell’insieme cui appartiene. La norma diviene quindi il modo collettivo di comportarsi e l’anormalità è ogni azione che tenti di sovvertire tali pratiche comportamentali (Manuel Acunia) [State pensando a Trump?] (chiede l’Autore fra parentesi quadre: io, guardando l’Italia, stento a trovare un politico da NON nominare).

La demagogia sembra funzionare ancora: i demagoghi vendono supremazia e non eguaglianza, seminano sospetto e non quiete, e gettano la categoria “nemico” contro determinate categorie di persone vulnerabili – facili capri espiatori degni del loro odio. Questo tipo di politici, campioni nel costruire ambiguità, appaiono più intenti a profittare delle autentiche paure di specifici gruppi di elettori, piuttosto del promuovere cura del benessere collettivo e dei diritti umani di tutti.

Questi praticanti estremisti di un’agenda ristretta la fanno franca nell’ignorare molte delle leggi internazionali vigenti, incluse quelle relativi ai diritti umani. E poiché, per chi di legge non sa, il sistema del diritto internazionale è complicato, è difficile sollevare l’opinione pubblica contro i demagoghi: le persone, sfortunatamente, non vedono sempre tutte le minacce loro dirette.

E così fanno le dittature. I dittatori non vagliano i dubbi, ne’ propri ne’ altrui; i loro giudizi sono categorici come gli aggettivi che usano. I dittatori fungono da possessori di un destino e si danno da soli il diritto di decidere delle vite di coloro che da essi dissentono. Le argomentazioni corrette raramente sono servite o servono a cambiare le loro decisioni.

Molti politici, per i quali i diritti economici, sociali e culturali significano poco o nulla, sono indifferenti alle conseguenze di un’austerità economica su coloro che sono meno abbienti. Vedono i diritti umani solo come un irritante ostacolo ai vantaggi personali che cercano tramite le loro iniziative. Per altri politici ancora, la mera indifferenza non è abbastanza; il loro rigetto dell’agenda sui diritti umani è espresso in termini satolli del loro totale spregio per i poveri.

Solo pochissimi politici hanno il coraggio di accettare il loro reale livello di abilità.

Read Full Post »

(tratto da: “Art can influence political action for women’s liberation”, intervista all’artista femminista Emilia de Sousa – in immagine sotto – di Brenda Campos per FES Connect, 28 marzo 2018. Trad. Maria G. Di Rienzo. FES è l’acronimo della fondazione non-profit tedesca Friedrich-Ebert-Stiftung, che promuove la democrazia sociale e i diritti umani. Il mese scorso ha organizzato un incontro di donne a Maputo, in Mozambico, per discutere modi innovativi di analizzare e raddrizzare le ingiustizie politiche, economiche e sociali.)

emilia de sousa

Studiose femministe, sindacaliste, blogger e attiviste per i diritti umani hanno fatto parte del Laboratorio Idea per trovare approcci unitari alla creazione di conoscenza femminista, mutuo sostegno e azione politica, per trasformare le narrative neoliberiste e conservatrici che giustificano lo sfruttamento economico e la strumentalizzazione politica delle donne in molte odierne società africane.

Emilia de Sousa, un’artista mozambicana multidisciplinare, i cui dipinti e disegni sfidano l’immagine della donna in una società capitalista e patriarcale, ha partecipato al dibattito e ha fatto del “potere femminista per il cambiamento” un’opera d’arte.

Hai accettato di contribuire al Laboratorio Idea per la riflessione e l’azione femministe africane in un modo unico e da art-ivista. (ndt.: con il dipinto visibile nell’immagine sopra) Com’è stata questa partecipazione per te?

Partecipare al Laboratorio Idea è stato un viaggio emotivo. E’ stato molto eccitante, difficile da descrivere con parole esatte in tutte le sfumature delle sensazioni. Essere nella stessa stanza con tutte quelle donne meravigliose che lottano per i diritti e il benessere delle donne è stata la concretizzazione di un sogno, mi ha aperto la mente.

I temi affrontati, le discussioni, i piani, l’unione delle menti, il potere di costruire ponti fra le diverse esperienze individuali per formare qualcosa di più grande, un collettivo inarrestabile, è stato davvero ispirativo ma anche una sfida per me.

Sono rimasta colpita dalle presentazioni personali, dalla forza delle donne nella stanza e dalla connessione delle nostre lotte che sembrano assai simili in un certo modo. Ciò mi ha fatto pensare, piangere e ridere. Ho raccolto un sacco di energia dal gruppo e ho cercato di metterla nel dipinto, che raffigura lo sbloccarsi del potere delle donne tramite l’azione collettiva e la solidarietà.

Cosa ti motiva nel creare arte femminista?

Non ricordo quando esattamente mi sono definita una femminista / artista / attivista negli anni della mia adolescenza. Ma ricordo che il momento in cui mi sono sentita completa e potenziata è stato quello in cui ho cominciato a esprimere i miei convincimenti e le mie frustrazioni di donna nera tramite l’arte. Ha funzionato come auto-terapia.

Mi sono sempre concentrata sull’esperienza dell’essere una donna, anche in modo inconscio. Il tema ricorrente nei miei dipinti e disegni sono i corpi delle donne, la nostra lotta per riconciliarci con la nostra realtà corporea al di là delle false immagini femminili che la società capitalista e patriarcale tenta di imporre.

Le donne sono costantemente strumentalizzate. Le nostre insicurezze e i nostri dubbi diventano pubblicità per vendere prodotti commerciali che alla fine ci mantengono nelle prigioni dei nostri complessi e alimentano competizioni separate per la bellezza, le incertezze, l’anoressia, la vergogna, i disturbi. L’amore di sé, la compassione collettiva, l’empatia, la solidarietà di altre donne e l’esprimere te stessa coraggiosamente sono rimedi per queste influenze negative a cui siamo esposte sin dalla nascita. Ma per comprendere la confortevole forza di un’espressione collettiva e dell’auto-accettazione, dobbiamo spesso compiere un viaggio lungo, solitario e duro. Tale esperienza ispira i miei dipinti: la sofferenza delle donne e l’evento che apre gli occhi e la mente, l’accettare le tue debolezze e le tue imperfezioni e l’aiutare altre ad arrivare allo stesso punto di liberazione.

Che ruolo può giocare l’arte nella nostra lotta per espandere i diritti delle donne e ridurre la discriminazione?

L’arte è inseparabile dalle società e ha una grande influenza sull’azione politica, in particolare nel combattere la discriminazione contro le donne. L’artista parte dalla sua prospettiva e dalla sua esperienza soggettive. Permette l’accesso ai suoi sentimenti e riflessioni, alla sua rabbia e alle sue paure – può farlo con la musica, la pittura, le illustrazioni, la scrittura – e in questo modo crea messaggi in un linguaggio multidimensionale, colorato e potente, che va oltre le argomentazioni razionali e induce le persone a capire l’essenza dei problemi sociali, politici o economici.

Io credo che le esibizioni artistiche che toccano i temi del femminismo, della discriminazione e dell’abuso perpetrati contro le donne diano voce a chi è oppresso e possano toccare le persone in modi svariati. Dobbiamo portare l’arte nei vicinati e nelle scuole, dobbiamo parlarne e farne fare esperienza alle generazioni più giovani, così che possano trovare i loro propri modi di esprimere se stesse, di definirsi e raccogliere forza per trasformare il loro ambiente in qualcosa di più amichevole, più giusto e più libero di quello in cui viviamo attualmente.

Quale cambiamento desideri per la società mozambicana, da un punto di vista femminista?

I dibattiti femministi stanno lentamente crescendo in Mozambico. C’è ancora il cancro delle donne copertina. Dobbiamo essere belle, sexy, ma non volgari. I nostri corpi devono essere “perfetti”. A seconda di dove i peli si trovano sul tuo corpo, da una parte devono essere rimossi e dall’altra devono essere stirati (ndt.: i capelli). Dobbiamo essere sveglie e capaci di divertire, ma non dobbiamo fronteggiare padri, insegnanti e mariti. Lavoriamo il doppio e siamo pagate meno della metà, ma una brava donna non si lamenta, ne’ urla contro le ingiustizie o contro la violenza strutturale e fisica.

Facciamo di tutto per assumere su di noi una personalità e una vita che non sono nostre. Viviamo nella paura di esprimere la nostra propria voce, i nostri pensieri, i nostri sogni, perché non vogliamo essere giudicate. Siamo state educate a essere quel che non siamo e a cambiarci costantemente per compiacere gli altri. Essere te stessa, amare te stessa e rispettare te stessa, nella nostra società è in pratica un atto di ribellione.

L’arte non può restare silenziosa su questo. Dobbiamo far riflettere le donne, dobbiamo far riflettere la società, dobbiamo aiutare questa nuova generazione di donne e uomini a trovare la propria espressione e la propria narrativa su cos’è la vita. Una narrativa di compassione, di rispetto, di accettazione e umanità. Dobbiamo spingere per la trasformazione che vogliamo.

Read Full Post »

(brani tratti da “Interview: Meghan Murphy on the liberal backlash against feminism”, di Francine Sporenda per Révolution Féministe, 19 aprile 2016, trad. Maria G. Di Rienzo. Meghan Murphy (nell’immagine), l’intervistata, è un’attivista femminista canadese che, fra l’altro, cura il sito Feminist Current; Francine Sporenda, l’intervistatrice, è franco-americana, giornalista indipendente e vive in Francia.)

meghan

Che gli uomini vogliano o no scoparci non ha nulla a che fare con la nostra liberazione da strutture oppressive come la supremazia bianca, il capitalismo e il patriarcato. E attaccare e tentare di azzittire le femministe che osano dirlo è tanto patetico quanto pericoloso. Meghan Murphy

Francine Sporenda: Cosa pensi del recente voto del Parlamento francese che criminalizza l’acquisto di sesso in Francia?

Meghan Murphy: L’adozione del modello nordico non è solo un’importante e storica vittoria per la Francia, ma per tutta l’Europa e, più ampiamente, per il mondo intero, giacché stabilisce un precedente per altri paesi. I parlamentari hanno riconosciuto la prostituzione come una forma di violenza contro le donne che essendo intrinsecamente coercitiva ha un enorme impatto: questo è esattamente il tipo di analisi femminista che gli uomini dell’industria, lobbisti e sessisti e privilegiati, hanno lavorato intensamente per ridurre al silenzio (per ovvie ragioni).

L’esistenza continuata e l’accettazione sociale della prostituzione si basano sulla capacità di cancellare la realtà dell’industria – di cancellare le donne e le bambine reali su cui ha impatto e la reale idea di prostituzione in se stessa. L’industria del sesso dipende dalla nostra abilità, come esseri umani, di dire “Va bene, è sicura, è una scelta, non è dannosa, è solo un lavoro neutro come qualsiasi altro lavoro” e ignorare quel che accade alle donne reali nell’industria. (…) Che un paese progressista come la Francia abbia compiuto questo passo dimostra agli altri paesi che ci sono delle opzioni e che non possono semplicemente continuare a far finta di niente, a ignorare il problema o a scoparlo sotto il tappeto.

Intersezionalità significa che tu consideri il modo in cui vari sistemi di oppressione si intersecano nel colpire particolarmente e in profondità donne povere e donne di colore. Il femminismo, semplicemente, non può essere non-intersezionale. Non puoi liberare le donne senza guardare ai modi in cui le donne povere e le donne della classe lavoratrice e le donne di colore sono investite dal patriarcato o senza guardare ai modi in cui imperialismo, colonialismo, capitalismo e patriarcato lavorano insieme per mantenerci marginalizzate e divise. Non ha senso ignorare questa realtà. Sono le donne più marginalizzate a essere prese a bersaglio dall’industria del sesso – le donne più vulnerabili. E se tu non vuoi vedere come questi sistemi funzionino nell’opprimere le donne, non sei granché femminista, davvero. Meghan Murphy

Read Full Post »

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: