Sì, questo è il pezzo n. 3.000 e questa è la poesia con cui festeggiamo (voi 1.003 “seguaci” ed io):
“Disclosure” – “Rivelazione”, di Camisha L. Jones (trad. MG DR)
Scusi potrebbe ripetere. Sono dura
d’orecchio.
Al cassiere
All’addetto al ricevimento
All’uomo insistente che chiede indicazioni per strada
Mi dispiace, ci sento poco. Potrebbe
ripetere?
Alla riunione d’affari
Al seminario di scrittura
Al telefono per prendere appuntamento con il medico
Scusi – scusi – mi dispiace tanto – Sono
dura d’orecchio.
Ripetere.
Ripetere.
Ciao, il mio nome è Scusa
Alla stanza piena di estranei
che fatico a udire
Vomito scuse ovunque
Volano su ali di pipistrello
verso qualsiasi suono faccia cenno
Scusi. Scusi. Mi dispiace tanto
e ripetere
e non sentire
Caro (di nuovo)
Mi rammarico dell’informarti
che io sono
qui
Spiegando perché ha scritto questi versi, Camisha (in immagine) ha detto: “Una persona sbatte contro di me per strada e io istintivamente replico “Mi dispiace.” Pochi secondi più tardi, me ne pento. Noto la stessa compulsività verso le scuse mentre navigo nel mondo come persona un po’ sorda. Cosa significa che io mi senta obbligata in questo modo a chiedere perdono ripetutamente, per aver disturbato l’agio di altre persone? Attraverso questa poesia mi cimento con quel che accade al di sotto della superficie di questi scambi, con il costo di queste scuse (…)”
Io non sono dura d’orecchio ma faccio la stessa cosa. Mi pestano i piedi, mi urtano, mi sbattono borse nelle costole e io chiedo scusa. Il meccanismo è chiaro: come Camisha sono diversa dagli individui cafoni – neppure rispondono mai – in cui mi imbatto, so che quella diversità è per loro colpa e inferiorità, sento il loro disprezzo, e mi scuso di esistere.
E’ un po’ buffo dichiarare buoni propositi alla mia età, ma in occasione del tremillesimo articolo eccone uno: io smetto. Da adesso. Subito, blog compreso. Come, direte voi, non ricordiamo di aver letto pezzi in cui ti scusi ossessivamente.
Vero, il mio “mi dispiace” qui è stato il silenzio. Da dieci anni imbecilli odiatori di ogni tipologia e sesso vagano sul web inventandosi sul mio conto una varietà di idiozie, fraintendendo a bella posta quel che scrivo, ululando nella mia direzione insulti cretini e dispiegando pseudo analisi ancora più cretine. E io non ho detto loro una singola parola. Non intendo mettermi a discutere con questa gente ma da qualche giorno, per esempio, blocco ogni mio articolo a cui mettono collegamenti con titoli tipo “campagna d’odio contro gli uomini” e “questa femminazista delira” (e peggio): a me non frega un piffero e posso riaprirli quando voglio, gli odiatori invece restano a mani vuote.
Poi ci sono i due segmenti di opinionisti/e scemergenti che ripetono ad oltranza frasi di questo genere, sperando inutilmente che io non pubblichi più e ai quali fornisco qui le mie risposte definitive:
1.”Adesso che hai scritto questa cosa non succede niente.”
Adesso che tu hai composto quest’illuminato commento, invece, l’universo si rovescia sottosopra e un nuovo big bang è alle porte… Ridimensiona la sperequata opinione che hai di te stesso/a e trovati un hobby serio, dai.
2. “Quelli che frignano a ogni uscita di x hanno stufato.”
Quelli che fanno commenti a caxxo, prima di dare aria alla ciabatta dovrebbero verificare se quanto dicono corrisponde a verità, perché le loro balle hanno stufato in grado assai maggiore: io non faccio la stalker, non uso ne’ FB ne’ Twitter, non vado in giro per il web a lasciare le mie “opinioni” ovunque e non rompo gli zebedei a gente che non conosco: cerca di assomigliarmi un po’ e vivremo tutti/e meglio.
E, per inciso: finché vivo scrivo, che fa anche rima.
Maria G. Di Rienzo