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Posts Tagged ‘censura’

Premessa n. 1: chi ammette di non capire molto di un argomento o di aver bisogno di ulteriori informazioni ha tutta la mia comprensione, ma quando è così credo sarebbe meglio per lui/lei astenersi dal piazzare comunque pubblicamente commenti a casaccio, tanto per stare in ballo. Se non sai le mosse e non senti bene la musica aspetta qualche momento a bordo pista, osserva, ascolta, apprendi – e poi decidi se ballare o no.

Premessa n. 2: sono stata paziente e ho tradotto a beneficio dei confusi, ma non chiedetemi altri interventi in merito, di commentare questo o quello, che ne penso del tal fatto eccetera. La questione non rientra nelle mie priorità e la chiudo qui. Sbattendo la porta, se volete.

Maria G. Di Rienzo

Kathleen Lowrey è una docente associata di antropologia all’Università di Alberta, in Canada. Il 12 giugno scorso ha scritto un lungo e dettagliato articolo per “Quillette” di cui, di seguito, traduco alcuni brani.

“Io sono una delle molte accademiche che è stata “cancellata” perché ha un tipo sbagliato d’opinione – o quasi cancellata, perlomeno. Mentre scrivo, resto una professoressa di antropologia all’Università di Alberta e dal luglio 2019 sono stata presidente per i programmi del dipartimento relativi agli studenti. Era una nomina che doveva durare tre anni. Ma nello scorso marzo sono stata rimossa da quella posizione a causa delle lamentele di uno studente ufficioso, il quale ha dichiarato che lo facevo sentire “non al sicuro” quando argomentavo le critiche femministe alle attuali teorie sul genere. (Ndt.: Lowrey usa “they, them” per indicare lo studente senza specificarne il sesso, cosa che io non posso imitare nella traduzione, giacché volgerebbe al plurale un discorso riferito a una terza persona singolare.)

All’inizio di questo mese, la mia collega Carolyn Sale ha scritto un resoconto sul mio caso per il blog del “Centro per la Libera Espressione” all’Università di Ryerson. Come tende a succedere con queste controversie, ciò ha fatto sì che studenti e colleghi passassero al setaccio i miei social media in cerca di altro materiale “critico sul genere”. Quando l’hanno trovato, hanno chiesto che io sia licenziata dalla mia posizione di ruolo e accusata formalmente di “discorso d’odio”. (…)

Ricordo di essermi imbattuta (Ndt: attorno al 2010) in un sito web chiamato “Gender Trender”, gestito da una femminista radicale lesbica con lo pseudonimo Gallus Mag. Dapprima, lo scorrevo come un’anacronistica curiosità – uno strambo avamposto di un’era femminista del passato. Ma lo stile della prosa di Gallus era divertente e diretto, al contrario della maggioranza degli studi accademici sul genere e io mi sono trovata a tornare sul sito più volte per vedere che cosa quel vecchio dinosauro (così la immaginavo) aveva scritto di nuovo.

Ma al di là della maniera sardonica con cui presentava le informazioni, finii per capire quanto serio fosse ciò che Gallus documentava. Fra le altre cose, trattò nel 2016 l’omicidio di due lesbiche e del loro figlio a East Oakland, crimine di cui il pubblico ministero accusò un uomo che si identificava come trans, Dana Rivers (che era anche stato uno degli organizzatori di “Camp Trans”, una campagna contro il festival musicale per sole donne, chiamato Michfest, durante gli anni ’90).

Gallus non era paranoica quando descriveva la “cancellazione del femminile” e la “cancellazione delle lesbiche”, ne’ nella sua insistenza sul fatto che l’ideologia di genere – la quale include il convincimento che un uomo possa diventare donna, e viceversa, semplicemente dichiarando di essere tale – serviva gli interessi degli uomini.

Cominciai anche ad apprezzare la sua affermazione che i media del mainstream erano spesso riluttanti nel riportare fatti che gettavano dubbi sull’ideologia di genere ortodossa. Per quel che riguarda il blog di Gallus, soggetto a continui attacchi da parte di attivisti trans, fu prima censurato e poi rimosso da WordPress nel 2018, quando lei raccontò la storia di Jonathan Yaniv – un eccentrico misogino canadese che è riuscito a cancellare dalle piattaforme dozzine di donne che esprimono disgusto per la sua volgarità sessuale aggressiva (o che rifiutano di chiamarlo “Jessica”). (…)

L’ideologia di genere contemporanea richiede reverenza acritica per costrutti di genere retrogradi, come l’idea che un bambino a cui piaccia giocare a servire il tè o piacciano i bei vestiti possa essere giudicato “nato nel corpo sbagliato” e perciò sia davvero, a tutti gli effetti, una bambina.

Qualsiasi fossero gli scopi iniziali dei sostenitori dell’ideologia di genere, questo sistema di convincimenti sta conducendo a orrori reali inflitti a donne e minori. L’attivista Heather Mason, per esempio, ha documentato le molestie e gli abusi che sono prevedibilmente risultati dall’aver trasferito uomini che si identificano come donne nelle prigioni femminili. Nel 2005, l’anno in cui mi sono trasferita a Edmonton dagli Stati Uniti, la tredicenne Nina Courtepatte fu stuprata, uccisa a martellate e al suo cadavere fu dato fuoco su un campo di golf di Edmonton. Il suo assassino ora dice di identificarsi come donna e si trova in un carcere con prigioniere di sesso femminile:

https://torontosun.com/news/world/hunter-psychopathic-child-sex-killer-uses-trans-card

Qualcuno è preoccupato del diritto di queste carcerate a “spazi sicuri”?

Oppure leggete questo resoconto di un’operazione chirurgica raffazzonata per la “riassegnazione di genere” compiuta su una donna:

https://glinner.co.uk/interview-with-scott-newgent/

o il resoconto di quest’altra su un minore:

https://www.womenshealthmag.com/health/a30631270/jazz-jennings-surgery-complications/

Avete letto nulla sui rischi mortali associati alle medicine che bloccano la pubertà?

https://thefederalist.com/2018/12/14/puberty-blockers-clear-danger-childrens-health/

Sapete cos’è una “trans-vedova”?

https://www.transwidowsvoices.org/

O un “detransitioner” (Ndt. Persona che si è sottoposta a pratiche per il cambio di sesso e che vuole tornare al sesso originario.) ?

https://www.feministcurrent.com/2020/01/09/detransitioners-are-living-proof-the-practices-surrounding-trans-kids-need-be-questioned/

Io sì. E non posso disimparare nulla di tutto questo.

Se non volete esaminare nessuno dei link, guardatevi in video la femminista cilena Ariel Pereira che parla in modo assai efficace delle sue esperienze di transizione e de-transizione:

https://www.youtube.com/watch?v=kFyQ5EStiRs

(…)

Chiuderò su un punto derivato dalla mia ricerca nei bassopiani dell’America del Sud. Ho lavorato per oltre vent’anni con persone indigene che parlano Guaraní, in special modo in Bolivia.

Una delle caratteristiche che segnarono l’incontro fra le popolazioni che parlano Guaraní e i colonizzatori europei fu il modo in cui i missionari – i più famosi per questo sono i gesuiti – interpretarono la cosmologia Guaraní come perfettamente compatibile con la teologia cristiana.

Trovarono che particolarità dei miti e delle pratiche religiose Guaraní fossero “prefigurative” dell’avvento di Cristo, o segnate da un effettivo incontro precedente con la cristianità: per esempio, le storie dell’eroe culturale Pai Sume furono interpretate come se includessero la visita del discepolo Tommaso.

Il modo in cui l’ideologia trans contemporanea assimila qualsiasi tipo di pratiche culturali al mondo a prove dell’esistenza di una universalità trans – hijras nell’Asia del Sud, persone con “due spiriti” nel Nord America, bancis in Indonesia, bacha bazi e bacha posh in Afghanistan, “vergini giurate” nei Balcani e così via è molto simile.

Come per le proiezioni europee e cristiane sulla cultura Guaraní, ciò accade quando aderenti a una visione del mondo totalizzante sottomettono la verità sul mondo esterno ai loro ristretti preconcetti.

L’antropologia mi ha insegnato come individuare questo istinto. Le femministe critiche sul genere mi hanno insegnato come ci si confronta con esso.”

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Yulia Tsvetkova

Dallo scorso dicembre, la 26enne russa Yulia Tsvetkova – in immagine sopra – è agli arresti domiciliari per due mesi: le è stata imposta una cavigliera elettronica e ha il divieto di comunicare con chiunque, fatta eccezione per sua madre e il suo avvocato. Il prossimo processo a suo carico potrebbe risultare in una condanna a sei anni di carcere.

No, non è una serial killer – è un’artista femminista e pro diritti umani delle persone lgbt. Le orribili azioni che ha commesso sono ad esempio l’aver allestito “I monologhi della vagina” con un gruppo teatrale giovanile, l’aver usato i suoi spazi social per diffondere messaggi positivi sulle donne e sulle persone omosessuali, l’aver creato campagne artistiche come “Una donna non è una bambola” (#женщина_не_кукла), fatta di sei immagini da lei disegnate e corredate da testi quali “Le donne reali hanno peluria corporea e ciò è normale”, “Le donne reali hanno le mestruazioni e ciò è normale”.

Yulia serie

Tale attività, per le autorità russe, sarebbe “propaganda rivolta a minori di relazioni sessuali non tradizionali” (gli account di Yulia, secondo la legge del suo paese, sono chiaramente segnalati come 18+) e “produzione e divulgazione di materiali pornografici”, per la quale le è stata comminata una multa di 50.000 rubli. Durante tutto il 2019 l’artista è stata più volte tenuta arbitrariamente in stato di fermo, interrogata e minacciata dalle forze dell’ordine.

Fiorello, Amadeus, Junior Cally e compagnia frignante: la censura è questa.

Maria G. Di Rienzo

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Nel paese dei balocchi e dei farlocchi, ogni volta in cui abbiamo alzato la testa e abbiamo detto: questo è offensivo, quest’altro incita alla violenza, quest’altro ancora è falso e scorretto, non ha alcun riscontro storico ne’ scientifico… un coro di cialtroni ambosessi ci ha urlato con somma indignazione che tutto era rubricabile come “opinione” e che, come tale, tutto doveva essere nobilmente difeso.

Esaminare contesto e merito è troppo difficile, quando per vivere si usano a stento un paio di neuroni, meglio sparare idiozie a nastro e sentirsi vincenti, potenti, superiori, legittimati dai numeri anche quando i numeri non ci sono (tutti dicono che…) e paladini della “libertà di pensiero”.

Be’, io vorrei sapere dove questi eroi e queste eroine sono adesso, nel momento in cui le opinioni può averle solo chi sta al governo. Nella fattispecie, si possono avere idee e convinzioni solo quando esse concordino con quelle di chi ha vinto le elezioni. I seguaci di Voltaire non annusano niente? Io sento una gran puzza di prove generali di dittatura. Solo in questi primi 9 giorni di giugno:

* A Porto Mantovano la Digos ha vietato i lenzuoli che criticano Salvini, interpretati come “turbativa di comizio”.

* A Novate Milanese la contestazione pacifica durante il comizio del suddetto è tenuta a distanza dalla polizia, che ha sequestrato un gommone gonfiabile per “questioni di ordine pubblico”.

*A Roma, durante la manifestazione del pubblico impiego, gli agenti della Digos intimano la chiusura di uno striscione (l’avrete probabilmente visto, una vignetta inoffensiva) ai sindacalisti della Uil: “Hanno visto lo striscione, lo hanno fotografato e si sono avvicinati per intimarci di chiuderlo: hanno detto che non potevamo esporlo perché raffigurava i due ministri e loro avevano la direttiva secondo cui non si possono esporre striscioni che facciano riferimento ai due ministri. (nda. Di Maio e Salvini) Abbiamo ribattuto dicendo che non era offensivo ma ironico, loro hanno concordato ma avevano una direttiva da rispettare. A un certo punto ce lo stavano togliendo dalle mani con la forza, ma lo abbiamo chiuso noi. Da allora ci hanno seguito fisicamente e sorvegliato a vista fino a Piazza del Popolo affinché non esponessimo lo striscione. In piazza ci hanno chiesto di portarlo via con il furgone e sono rimasti sempre nelle vicinanze.”.

Naturalmente una “direttiva” del genere è ILLEGALE, perché non esiste il reato di “vilipendio a Gigino” o “lesa maestà di Matteo”: l’unica persona tutelata in questo senso, non come individuo ma come carica istituzionale, è il Presidente della Repubblica (Codice Penale – art. 278). Perciò la Questura se ne esce con questa spiegazione: “si è ritenuto che lo striscione fosse lesivo del decoro paesaggistico”.

mirandola2

* Sul pestaggio del giornalista Origone da parte della polizia, il Ministro dell’Interno tace e manda avanti il suo sottosegretario, il quale esprime “rammarico”, ma nulla di più, giacché “i cronisti non erano riconoscibili”. Capito bene? Niente scuse, niente prese di distanza o condanne, niente rassicurazioni sul diritto di cronaca / informazione, niente impegni sulla protezione dei giornalisti… e un inquietante “fra le righe”: i cittadini non riconoscibili come reporter, fotografi, cineoperatori possono essere massacrati di botte in totale impunità?

* I giudici che hanno emesso sentenze non gradite al Ministro suddetto – dopo una squallida operazione di “dossieraggio” che ha scandagliato le loro vite private – sono stati definiti “contrari al governo”, avendo “espresso idee” o avendo “avuto rapporti di collaborazione o vicinanza con riviste sensibili al tema degli stranieri“! Per cui, non dovrebbero esercitare la loro professione quando le questioni legali di cui si occupano potrebbero risolversi in maniera tale da infastidire l’esecutivo in materia di immigrazione. In questo contesto, sembra che “Salvini” e “governo” siano sinonimi e che l’indipendenza della magistratura sia cosa del passato: perché il Viminale non sta solo esprimendo le sue opinioni, “sta valutando di rivolgersi all’Avvocatura dello Stato” per verificare se c’è qualche escamotage adatto a sanzionare i magistrati nel mirino.

Vedete bene che palesare critiche o convincimenti avendo l’agio di dare “direttive” alle forze dell’ordine o di avviare procedimenti legali in nome dello Stato è un po’ diverso dal farlo con un lenzuolo alla finestra o uno striscione per strada, vero? Le posizioni di forza da cui si parte non sono paragonabili.

Comunque, sino a questo momento le giustificazioni adottate da governo e questure hanno davvero brillato per creatività (risultando purtroppo insensate e ridicole, ma sono i rischi del mestiere quando la politica diventa spettacolo tragicomico). Mi domando di quali altri reati potrebbero essere accusati i dissenzienti che dicano o scrivano “quel che Di Maio e Salvini stanno facendo non mi piace”, magari di “deturpazione di patrimonio artistico della nazione italiana (tutelato dalla Costituzione – art. 9)” – in effetti le biografie autorizzate reiterano l’abbagliante bellezza dei due, oppure di “atti osceni in luogo pubblico” (Codice Penale – art. 527), giacché l’operato dell’attuale governo è privo di senso del pudore?

mirandola

Maria G. Di Rienzo

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Stato dell’arte: ho un discreto numero di file che aspettano di essere elaborati, tradotti, trasformati in articoli (ma so già che molti non ce la faranno, triturati da tempo e opportunità); ho in corso la stesura di un romanzo (e sarei davvero lieta di potervi dedicare maggiore impegno); ho come tutte/i voi le mansioni quotidiane di sopravvivenza da espletare e, purtroppo, anche un tendine lesionato e alle spalle due mesi di tentativi frustranti di indurre la sanità pubblica e privata ad occuparsene correttamente (mi hanno fatto diagnosi sbagliate, mi hanno costretta a girare come una trottola, mi hanno succhiato un bel po’ di soldi e non mi hanno dato uno straccio di risposta: non so come finirà, spero solo di tornare a camminare normalmente, prima o poi). Quel che voglio dire è che la mia vita – e com’è probabile anche molte delle vostre – al momento è già abbastanza faticosa di suo e mi piacerebbe non ci si aggiungessero altre rogne. Ma il dubbio che siano in agguato, all’orizzonte, dietro l’angolo ce l’ho eccome.

Stato italiano: si sta palesando la nuova norma giuridica di “lesa salvinità”. Contesti a comizi pubblici e ti sequestrano il cellulare, ti identificano, ti maltrattano (“Ti spezziamo le dita” è quel che dicono i malavitosi nei film polizieschi, non quel che dovrebbero dire i poliziotti nella realtà); esponi striscioni di protesta e se non arriva la Digos ti mandano addirittura i vigili del fuoco; ti siedi fuori dal municipio con un cartello e ti multano per occupazione di suolo pubblico; i tuoi alunni comparano le leggi razziali fasciste a leggi attuali e ti sospendono dal lavoro nonché ti dimezzano lo stipendio… ci siamo.

Mimmo, mi leggi? Tu e il resto della redazione di Missione Oggi state bene? I vostri smartphone sono ancora con voi? Ok. Spero non sia un problema se ne parlo, ma detta rivista ha messo insieme un vero e proprio dossier sul Decreto Sicurezza: “La città si-cura / Uscire dal labirinto delle paure”: analisi, commenti, prospettive, proposte. E il Decreto non prende una sufficienza che sia una, nemmeno ovviamente la mia (sì amate/i cyberviandanti, ci sono in mezzo con un articolo anch’io). Se domani qualcuno manda “bacioni ai missionarioni” prepariamoci.

manifesti milano

Ma scherzi a parte, fra tutto il caos, la sofferenza e le preoccupazioni, io sono deliziata: leggo della prossima iniziativa a Milano (in immagine), penso al signore o alla signora di Firenze che ha esposto al balcone un lenzuolo con la scritta “Non sei il benvenuto. P.S. Digos, torno alle 20.00” e non posso fare a meno di sorridere, di respirare meglio, di sperare. Abbiamo attraversato brutti momenti altre volte. Se restiamo insieme, se restiamo umani, civili, determinati, nonviolenti, possiamo accendere un’alba che disperderà questa notte straziante.

Maria G. Di Rienzo

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wanuri

(tratto da: “Meet the director of the Kenyan lesbian romance who sued the government who banned it”, intervista a Wanuri Kahiu – in immagine sopra – di Cath Clarke per The Guardian, 12 aprile 2019, trad. Maria G. Di Rienzo. Il film di cui si discute è uscito nei cinema britannici lo stesso giorno dell’intervista.)

“Sto per mettermi a piangere.”, dice Wanuri Kahiu, agitando le mani e sorridendo. Mi sta raccontando di un filone su Twitter in cui un mucchio di gente ha risposto alla domanda: “Qual è stato il giorno più felice della tua vita?”. Una giovane donna kenyota ha replicato: “Guardare “Rafiki” con mia madre e fare coming out.”

“Rafiki” è il nuovo film di Kahiu – una magnifica storia romantica su due ragazze che si innamorano a Nairobi. E’ un film gentile, con una scena di sesso così blanda da poter essere guardata assieme a un parente anziano. Ma in Kenya, una società conservatrice in cui 534 persone sono state arrestate fra il 2013 e il 2017 perché avevano relazioni con individui dello stesso sesso, “Rafiki” è stato bandito.

Negli ultimi dodici mesi, Kahiu è stata assalita sui social media, minacciata di arresto e ha sofferto innumerevoli commenti offensivi, a volte proveniente da membri della sua stessa famiglia. “Ho visto i commenti più spregevoli venire da persone che amo. – dice – E’ stato incredibilmente arduo.”

Allo stesso tempo, la sua carriera sta prendendo il volo. Qualche giorno prima di essere bandito, “Rafiki” è stato selezionato per Cannes. Ora, Kahiu ha due progetti in corso: una serie di fantascienza per Amazon Prime e la direzione di Millie Bobby di “Stranger Things” in uno sceneggiato per giovani adulti prodotto da Reese Witherspoon, il che la rende la prima donna africana a ottenere un contratto di questo tipo. Un articolo la definisce “la nuova Kathryn Bigelow”.

Ci incontriamo di prima mattina in un albergo di Londra. Kahiu è arrivata in volo ieri da Nairobi, dove vive con il marito cardiologo e i loro due bambini. Dimostra dieci anni in meno della sua età (39 anni), beve tè alla menta e parla con impegno e concentrazione.

I suoi guai iniziarono nell’aprile dello scorso anno, quando la Commissione cinematografica del Kenya le ha chiesto una revisione di “Rafiki” (che significa “amica/o” in Swahili). “Consideravano il film troppo ottimista. Mi dissero che se avessi cambiato il finale, mostrando la protagonista principale Kena che si pente, lo avrebbero classificato come vietato ai minori di 18 anni.”

Kahiu si rifiutò e il bando seguì, con la Commissione che dichiarava come il film cercasse di “promuovere il lesbismo in Kenya, contrariamente alla legge e ai valori dominanti dei kenyoti.”

Da questo pronunciamento in poi, Kahiu si è sentita minacciata. Il presidente della Commissione la ha accusata di aver falsificato la sceneggiatura per ottenere la licenza necessaria a girare il film: “Ha minacciato di farmi arrestare, ma non ha potuto perché noi non abbiamo mai infranto la legge.”

rafiki movie

(Samantha Mugatsia nel ruolo di Kena e Sheila Munyiva nel ruolo di Ziki in “Rafiki”.)

Quale sarebbe stato lo scenario peggiore? “Essere arrestata. Le prigioni in Kenya non sono il massimo del lusso.” La regista ha allestito un rifugio sicuro nel caso le autorità perseguitassero lei stessa o le attrici. Il linguaggio usato dal presidente della Commissione era incendiario: “Il tentativo di normalizzare l’omosessualità è analogo al mettere l’aria condizionata all’inferno.”

Kahiu fece causa con successo affinché “Rafiki” potesse essere mostrato nei cinema per sette giorni, al fine di renderlo idoneo agli Oscar (ma alla fine il Comitato di selezione per gli Oscar del Kenya non lo scelse come candidato per il miglior film straniero). “Tutto quel che ho fatto è un film su una storia immaginaria. Sto letteralmente solo facendo il mio lavoro.” Le cause legali si susseguono. La regista ha denunciato il governo per violazione della libertà di espressione e sarà di nuovo in tribunale in giugno. (…)

Wanuri Kahiu ha realizzato uno sceneggiato sul bombardamento del 1998 dell’ambasciata statunitense a Nairobi, poi un documentario sull’ambientalista vincitrice del Premio Nobel per la Pace Wangari Maathai. Ma il film che mostra al meglio le sue ambizioni è il corto “Pumzi”, venti minuti di afrofuturismo ambientati 35 anni dopo che la terza guerra mondiale ha estinto la vita sulla Terra.

In Africa non ha sperimentato sessismo perché regista donna, dice, in parte per la scarsità di registi di ambo i sessi, in parte perché le donne sono sempre state percepite come narratrici (“Racconti storie ai bambini per tenerli distanti dal fuoco mentre stai cucinando.”)

Ciò che trova deprimente è l’aspettativa per cui, essendo un’africana che crea film, il suo lavoro dovrebbe avere a che fare con la guerra, la povertà e l’Aids. “E’ la gente che pensa all’Africa come a un paese orribile, deprimente, che muore di fame. E perciò il tuo lavoro dovrebbe riflettere questo.” Kahiu rigetta l’idea che tutta l’arte del continente debba riflettere determinate istanze. Ciò di cui c’è bisogno, sostiene, sono nuove visioni dell’Africa: “Se non vediamo noi stessi come persone piene di speranza e di gioia non lavoreremo verso queste ultime due. Io credo davvero che vedere sia credere.” Per questo scopo ha creato Afrobubblegum, un collettivo che sostiene arte africana “divertente, spensierata e fiera”. (…)

Il tè è stato bevuto, le fotografie sono state scattare e Kahiu sta per tornare alla sua stanza, non per dormire ma per lavorare sulla sceneggiatura per Amazon. Durante i giorni festivi, suo marito tenta di lusingarla per staccarla dal portatile. Ma non è così semplice, spiega lei: “Se penso a un giorno perfetto, c’entra il lavoro. L’unico modo in cui posso gestire il patriarcato, la mascolinità tossica, l’unico modo in cui riesco a trovare un senso al fatto che questo film è in tribunale, che delle persone minacciano la mia esistenza e il mio lavoro, è scrivere e creare. E’ il solo modo in cui sento di avere il controllo della situazione.”

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Ultima ora

Vi informo che ho presentato formale lamentela alla sezione legale di Facebook, il mio caso è stato registrato (n. 2488242) e attendo sviluppi. Questa è la traduzione di quel che ho scritto loro in inglese:

“Gentili Signori,

il mio nome è Maria G. Di Rienzo, sono una scrittrice, formatrice alla nonviolenza, attivista antiviolenza e giornalista italiana che il vostro settore gestionale nel mio Paese continua a molestare con il bando del mio blog su WordPress.

Non ho mai avuto un account FB ed è assai probabile che non lo avrò mai. Non c’è nulla di cui possiate lamentarvi rispetto ai vostri “standard” nel mio blog, nulla che li contravvenga, nulla di osceno o di volgare, nulla di contrario alla legge.

Voglio perciò che Facebook smetta di infangare il mio nome e la mia attività. So di non essere nessuno e so di non avere qualsivoglia influenza sul web perciò, per piacere, capitelo anche voi e mettete fine alle pagliacciate dei vostri colleghi italiani.

Con i migliori saluti, Maria G. Di Rienzo”

Sarà un caso, ma il bando è già stato revocato. Spero di non dover più scrivere niente in materia.

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Piantatela

Gentili signori / signore che in quel di Facebook maneggiate le richieste di “blocco” di pagine appartenenti ad altre piattaforme: mi sto stancando.

https://lunanuvola.wordpress.com/2019/02/09/un-milligrammo-di-differenza/

Credevo che il mese scorso vi foste presi la briga di controllare questo blog e aveste visto l’ovvio, cioè che non vi è in esso alcuna violazione dei vostri “standard” – tra l’altro molte vostre pagine li violano in lungo e in largo nella vostra completa indifferenza.

Adesso, è evidente che qualcuno trova “offensivo” non quel che scrivo, ma chi io sono (una femminista, una giornalista, una scrittrice, una storica, un’attivista antiviolenza, una trainer alla nonviolenza): dovreste però sapere che questi sono meramente fatti suoi, non vostri ne’ miei, e agire di conseguenza.

In questa situazione, in cui impedite ad altri di condividere i miei articoli a me, di fatto, non è data alcuna possibilità di controbattere, e voi non vi sforzate neppure di dare un’occhiata ai miei contenuti: basta il primo che passa e storce il naso e correte a cercare di soffocare la mia voce.

Devo informarvi che sto trovando altamente offensivo il vostro comportamento. Voglio sapere quali articoli sono segnalati, per quale motivo, perché un mese fa avete deciso di esservi sbagliati e avete tolto il blocco e perché ripetete l’errore senza aver fatto tesoro dell’esperienza precedente.

Voglio sapere se questa manfrina si ripeterà ogni mese nel tentativo di farmi gettare la spugna.

Voglio sapere se alberga in voi il minimo di civiltà necessario a chiedermi scusa per questo insulto continuato e a impegnarvi a non ripeterlo, giacché io non ho NIENTE di cui vergognarmi. E voi, come chi vi ha segnalato il suo falso turbamento, lo sapete benissimo.

Maria G. Di Rienzo

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Mie care e miei cari, oggi ho scoperto – grazie all’uomo di casa – che siete state/i tutti “puniti” da Facebook per aver condiviso tramite le vostre pagine articoli di questo blog. Non potete più farlo, infatti: se ci provate vi sarà detto che il mio spazio qui non risponde agli standard di FB.

Ho dato un’occhiata agli “standard” per precauzione (io non ho un account e non lo avrò mai), ma sapevo già che non avrei trovato NIENTE nei miei scritti o nelle mie traduzioni che potesse contravvenirli e infatti NIENTE c’è.

So anche, dalle esperienze altrui, che basta avere un amico fra i “controllori” di un social media o organizzare un po’ di segnalazioni farlocche per ottenere il bando: Facebook, sebbene abbia detto in passato che l’andazzo sarebbe cambiato, non verifica se le segnalazioni abbiano fondamento o no.

La cosa è vieppiù ridicola se si considerano il volume di traffico di questo blog, che registra di media sui 150/200 contatti al giorno, e il numero di condivisioni: ho un unico post che superava le 10K prima del bando e parla di un’ecologista polacca scomparsa nel 2007. In pratica, sono la Signora Nessuno, ma evidentemente c’è chi vuole la sparizione persino del milligrammo di differenza che opero sul web.

Ora, a me di Facebook non può importare di meno, ma voi (credo in stragrande maggioranza) le pagine FB le avete, assieme al diritto di condividere i miei articoli se volete farlo, giacché qui non c’è nulla che inciti all’odio o che esalti o propaghi violenza, ne’ una sola immagine che possa essere classificata come disturbante / violenta / pornografica ecc.

Perciò, vi sarei molto grata se diceste a Facebook che non accettate questa censura nei vostri confronti.

Maria G. Di Rienzo

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rice bunny

Come probabilmente già sapete, il governo cinese sta tentando di esercitare un ferreo controllo sui social media, timoroso dei contenuti “dissidenti” o semplicemente critici. Le femministe non sono escluse, anzi. Poco dopo l’8 marzo, Sina Weibo – una piattaforma simile a Twitter – ha chiuso “Voci Femministe” in faccia alle/ai sue/suoi 180.000 seguaci. Nel giro di un paio d’ore anche il relativo account su un servizio di messaggistica privata è stato cancellato. Le motivazioni fornite sono vaghe (“violazione delle regole”) e a tutt’oggi gli spazi virtuali non sono stati restaurati.

Per quel che riguarda #MeToo, il movimento è esploso in Cina dopo che una giovane donna, Luo Xixi, ha condiviso su Weibo le vicende relative all’assalto sessuale da lei subito da parte di un suo ex insegnante universitario: gli “anch’io” sono rapidamente diventati talmente tanti che, per tutta risposta, Weibo ha cancellato l’hashtag. Ma le femministe cinesi stanno aggirando il bando. L’immagine sopra mostra come: l’hashtag è diventato “Riso/Coniglio” (“coniglio del riso”) e viene espresso con gli emoji. Pronunciate ad alta voce, le parole diventano “mi tu” e non lasciano dubbi.

Maria G. Di Rienzo

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soltan

La donna nell’immagine è Soltan Achilova, 67 anni, giornalista corrispondente dal Turkmenistan per Radio Free Europe / Radio Liberty, mentre mostra i lividi dovuti all’attacco da lei subito il 25 ottobre scorso. Soltan stava fotografando un supermercato nella capitale del paese, Ashgabat, quando assalitori rimasti “ignoti” l’hanno picchiata – subito dopo essere uscita da un interrogatorio durato ore, da parte della polizia, su quel che stava facendo – e le hanno rubato la borsa e la macchina fotografica. Il supermercato è di proprietà dello stato e Soltan stava riprendendo le lunghe file di persone che attendevano di potervi accedere.

Nel 2014, la stessa cosa accadde mentre stava riprendendo immagini di un mercato: anche in questo caso gli aggressori sono rimasti “ignoti”, nonostante dopo averla malmenata l’avessero portata in una centrale di polizia, dove la sua macchina fotografica fu sequestrata e le immagini in essa cancellate.

L’8 novembre 2016 la faccenda si è ripetuta. La giornalista si trovava in una clinica per motivi di salute. Ha dapprima dovuto testimoniare un attacco a un’altra anziana (Soltan pensa che le due assalitrici l’abbiano scambiata per lei), gettata a pugni sul pavimento e lì pestata al grido “Questo è quel ti meriti per le fotografie!”. Più tardi, in serata, le assalitrici hanno trovato Soltan alla caffetteria della clinica e si sono scagliate contro di lei urlando: “Questa è quella che fa le fotografie e getta fango sul Turkmenistan!”. La giornalista ha subito il pestaggio e anche questa volta le delinquenti non hanno un nome.

Radio Free Europe / Radio Liberty ha potuto dar conto della vicenda solo il 14 novembre, venendone a conoscenza da parte di terzi, perché dal giorno dell’ultimo assalto ne’ il telefono ne’ la connessione internet di Soltan Achilova hanno funzionato per due settimane: probabilmente erano immersi in quel fango putrido che è la violenza.

Maria G. Di Rienzo

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