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Posts Tagged ‘democrazia’

Da un paio di giorni, illustri pensatori (stimati tali da altri – non si bene perché – o sedicenti) propongono una ricetta “politica” per l’emergenza coronavirus: far rientrare Salvini al governo per “rafforzarlo”. Il “lo” sarebbe riferito all’esecutivo in carica, ma se lo riferite al “leader dell’opposizione” è probabilmente più corretto.

“Sarebbe un bel segnale d’unità”, “La maggioranza non corrisponde agli umori elettorali prevalenti”, “Allargherebbe il consenso sulle decisioni del governo”… così cinguettano via social media, chiudendo con “Che ne pensate?” o “Che ne pensate amici?” (a somiglianza del loro eroe)

Visto che lo chiedete ve lo dirò:

1. Non sono vostra amica.

2. Dovreste vergognarvi di utilizzare a beneficio della vostra parte politica una crisi nazionale in cui sono MORTE già più di 1.200 persone.

3. Il sig. Salvini ha abbondantemente dato prova di sé quando era Ministro dell’Interno e raramente il Ministero beneficiava della sua presenza; quando ha ridotto a odio razzista il concetto di “sicurezza” con i suoi decreti; con le varie scandalose vicende giudiziarie in cui è coinvolto; con la pagliacciata del far cadere il suo stesso governo pensando di ottenere una svolta autoritaria e antidemocratica ecc. ecc. Abbiamo già dato, grazie.

4. Da quando in qua un governo varia in base a degli “umori elettorali” non meglio specificati? Zaia vi ha dato alla testa e pensate che l’esecutivo sia composto da influencer e debba misurare i suoi interventi sulla base di quanti “like” essi prendono su Facebook? Sino a che saremo in democrazia (cioè sino a quando un megalomane crudele e analfabeta non otterrà “pieni poteri” instaurando una dittatura, speriamo mai) gli “umori” devono essere espressi tramite libere elezioni, non basta millantarli.

5. Se in molti ospedali manca il sangue per la scarsità di donazioni, la risposta è “Mettiamo Vlad Dracula a capo del Servizio sanitario nazionale”? Ovviamente, NO.

6. In questo momento abbiamo un’infinità di preoccupazioni, poche certezze e stiamo faticando per tenere insieme le nostre vite e questo paese. Ci fareste la cortesia di lasciarci in pace?

Maria G. Di Rienzo

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ocean swarm

Il Manifesto delle sardine, 21 novembre 2019:

Cari populisti, lo avete capito. La festa è finita.

Per troppo tempo avete tirato la corda dei nostri sentimenti. L’avete tesa troppo, e si è spezzata. Per anni avete rovesciato bugie e odio su noi e i nostri concittadini: avete unito verità e menzogne, rappresentando il loro mondo nel modo che più vi faceva comodo. Avete approfittato della nostra buona fede, delle nostre paure e difficoltà per rapire la nostra attenzione. Avete scelto di affogare i vostri contenuti politici sotto un oceano di comunicazione vuota. Di quei contenuti non è rimasto più nulla.

Per troppo tempo vi abbiamo lasciato fare.

Per troppo tempo avete ridicolizzato argomenti serissimi per proteggervi buttando tutto in caciara.

Per troppo tempo avete spinto i vostri più fedeli seguaci a insultare e distruggere la vita delle persone sulla rete.

Per troppo tempo vi abbiamo lasciato campo libero, perché eravamo stupiti, storditi, inorriditi da quanto in basso poteste arrivare.

Adesso ci avete risvegliato. E siete gli unici a dover avere paura. Siamo scesi in una piazza, ci siamo guardati negli occhi, ci siamo contati. E’ stata energia pura. Lo sapete cosa abbiamo capito? Che basta guardarsi attorno per scoprire che siamo tanti, e molto più forti di voi.

Siamo un popolo di persone normali, di tutte le età: amiamo le nostre case e le nostre famiglie, cerchiamo di impegnarci nel nostro lavoro, nel volontariato, nello sport, nel tempo libero. Mettiamo passione nell’aiutare gli altri, quando e come possiamo. Amiamo le cose divertenti, la bellezza, la non violenza (verbale e fisica), la creatività, l’ascolto.

Crediamo ancora nella politica e nei politici con la P maiuscola. In quelli che pur sbagliando ci provano, che pensano al proprio interesse personale solo dopo aver pensato a quello di tutti gli altri. Sono rimasti in pochi, ma ci sono. E torneremo a dargli coraggio, dicendogli grazie.

Non c’è niente da cui ci dovete liberare, siamo noi che dobbiamo liberarci della vostra onnipresenza opprimente, a partire dalla rete. E lo stiamo già facendo. Perché grazie ai nostri padri e nonni avete il diritto di parola, ma non avete il diritto di avere qualcuno che vi stia ad ascoltare.

Siamo già centinaia di migliaia, e siamo pronti a dirvi basta. Lo faremo nelle nostre case, nelle nostre piazze, e sui social network. Condivideremo questo messaggio fino a farvi venire il mal di mare. Perché siamo le persone che si sacrificheranno per convincere i nostri vicini, i parenti, gli amici, i conoscenti che per troppo tempo gli avete mentito. E state certi che li convinceremo.

Vi siete spinti troppo lontani dalle vostre acque torbide e dal vostro porto sicuro. Noi siamo le sardine, e adesso ci troverete ovunque. Benvenuti in mare aperto.

E’ chiaro che il pensiero da fastidio, anche se chi pensa è muto come un pesce. Anzi, è un pesce. E come pesce è difficile da bloccare, perché lo protegge il mare. Com’è profondo il mare”.

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pastasciutta

Dal sito nazionale dell’ANPI:

“Il 25 luglio 1943 Mussolini viene arrestato, creando la temporanea illusione della fine del regime e della guerra. Seguiranno i mesi delle peggiori sofferenze per il popolo italiano, ma in quelle ore si festeggiò in tutta Italia la destituzione del Duce. Da Casa Cervi partì uno degli eventi spontanei più originali, con una grande pastasciutta offerta a tutto il paese, distribuita in piazza a Campegine dalla famiglia, per festeggiare, come disse Papà Cervi, il “più bel funerale del fascismo”.”

Dozzine di eventi, con offerta di pastasciutta antifascista, ricordano questa celebrazione: potete cercare quello più vicino a voi su:

http://www.anpi.it/eventi/

Perché dovreste farlo ve lo dice la Presidente nazionale dell’ANPI, Carla Nespolo:

“Il 25 luglio è festa grande per il nostro Paese. Si celebra infatti la caduta del regime criminale di Benito Mussolini. E l’ANPI sarà impegnata, in tutta Italia, in decine e decine di iniziative di memoria attiva. Ricordando la famosa “pastasciuttata” a Campegine offerta dai Cervi lanceremo un messaggio chiaro: il fascismo è e resterà un crimine. Sono intollerabili, oltreché illegali, tutte le manifestazioni apologetiche, cortei in orbace, saluti romani, ma soprattutto le violenze razzistiche. Diremo inoltre, con forza, che le tentazioni autoritaristiche, le barricate disumane contro i deboli in fuga dalle guerre e dalle torture sono fuori dalla Costituzione. Invitiamo tutte le cittadine e i cittadini a partecipare alle iniziative, a fare insieme e sempre di più antifascismo, democrazia e pace.

“Fare insieme” è quel di cui abbiamo bisogno, con urgenza. Non è necessario che come appartenenti a vari gruppi, associazioni, sigle, correnti ideali ecc. noi si sia unanimi su ogni singola istanza: ma dobbiamo assolutamente “fare insieme” su quelle che ci vedono d’accordo. E poiché in molti siamo davvero esauriti dalle continue esplosioni di violenza che ci circondano, cominciamo a raccogliere energie con una bella pastasciutta, ok? Mi raccomando, fra una forchettata e l’altra, parlate con gli sconosciuti al vostro tavolo, ex partigiani e non. Dite loro come vi sentite, chiedete come loro si sentono, raccogliete testimonianze e suggerimenti, offritene a vostra volta. E’ così che le relazioni si saldano e la resistenza nonviolenta si diffonde.

Maria G. Di Rienzo

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La storia è una di quelle che è facile rubricare come insignificante: 1) notte del 26 giugno scorso, proteste al porto di Civitavecchia per il ritardo sull’orario di imbarco per Tunisi; 2) un viaggiatore in attesa, tunisino, si oppone alla richiesta della polizia di spostare la propria automobile in fila per far passare un camion; 3) spinte, strattoni, scambio di insulti fra più persone; 4) tre tunisini arrestati e poi condannati per direttissima per resistenza a pubblico ufficiale.

Il video che riprende l’accaduto parte dal punto 3. Si vede un poliziotto spingere violentemente un uomo contro la fiancata di un’auto e costui rispondere a sua volta con una spinta. Nella confusione seguente, è possibile scorgere un poliziotto che schiaffeggia un uomo e poi estrae la pistola minacciando di sparare, ma a causa del movimento di altri corpi nella finestra del video non è chiaro se si tratti dei primi due.

Secondo le forze dell’ordine gli agenti sarebbero stati aggrediti per primi, la “sproporzione numerica” li avrebbe costretti a chiedere rinforzi e la pistola è stata estratta solo per “evitare ulteriori sopraffazioni”.

Tuttavia, sbandierare una pistola urlando “Guarda che ti sparo” non sembra proprio in linea con quanto previsto dall’art. 53 del Codice Penale sull’uso legittimo delle armi. Come detto, dalle immagini riprese non è possibile evincere l’intero svolgersi degli eventi, ma il protocollo per l’azione degli agenti prevede:

dialogo, ove “Signore per cortesia si sposti, in caso contrario viola il tal articolo di legge e siamo costretti ad arrestarla”, è senz’altro più corretto di un eventuale “Cavati dalle palle stronzo”;

allontanamento del sospetto, tramite persuasione, da luogo o posizione di pericolo che potrebbero recare danno all’agente o a terzi;

controllo meccanico, e cioè l’uso delle mani e della forza fisica per conseguire il punto succitato: in breve, il portare via qualcuno di peso, che però non è prenderlo a spintoni e a ceffoni;

impiego di strumenti difensivi (tipo il manganello) per l’applicazione di una forza contenuta;

impiego della forza letale, e quindi delle armi.

“Una vicenda ancora poco chiara, – dice un articolo al proposito – ma che sta già dividendo l’Italia. Sul web, infatti, ci si divide tra chi sostiene che sia stato un utilizzo eccessivo della forza da parte del poliziotto e chi chiede pene più dure per chi resiste agli agenti.”

Il vero fulcro della questione, dei dibattiti e delle divisioni sta in questa parola: tunisini. Se ad essa sostituissimo, per esempio, “trasteverini” gli schieramenti diverrebbero già meno granitici, ma poiché di tunisini si tratta questi sono i commenti più comuni:

“Preziose risorse che mostrano tutto il rispetto per l’autorita’ dello stato che li ha accolti. Al paesello suo l’agente buttava in mare la macchina con tutto il conducente. Ed era gia’ fortunato.”

(L’autore di quanto sopra, che tra l’altro non conosce l’esistenza della “a accentata” e non la scorge sulla sua tastiera, invece che preziosa risorsa per lo stato di cui è nativo, potrebbe essere definito nocumento culturale.)

“I carabinieri e i poliziotti dovrebbero essere dotati di teaser.”

(Okay, magari anche di trailer, così sappiamo meglio se nella seconda puntata usano gas lacrimogeno o fanno intervenire squadre antisommossa. Taser, la pistola elettrica si chiama taser!!!)

“Agli ordini della polizia si obbedisce, ma siccome il tunisino ha visto come la comandante Carola ha disobbedito alla GdF, ha pensato che fosse possibile pure per lui.”

(L’impulso a far da tappetino ai potenti sembra qui irresistibile: forse, se questa clamorosa idiozia arriva a conoscenza del ministro giusto, l’autore della stessa vincerà una telefonata o un caffè con il suo idolo. Però resta una clamorosa idiozia, beninteso.)

“L’America di Trump ci vorrebbe! Come sempre alcuni italioti pronti a difendere ad oltranza soggetti indifendibili!”

(Nella serie di commenti in cui quest’invocazione con relativo insulto – italioti – è inserita non ce n’era uno, dicasi uno, che difendesse i tunisini coinvolti nella vicenda. Se fosse possibile appellarsi agli Usa da questo blog, avrei già chiesto la concessione della green card per il suo sostenitore: se l’unica idea di futuro che ha è Trump, meglio che emigri.)

Per chiudere, a me non sta bene la continua richiesta di schieramento con contrapposizione frontale: la gestione dell’ordine pubblico è cosa molto seria che tocca i diritti umani delle persone coinvolte e non questione di tifoseria (“Io sto con la polizia!”, come squittisce di continuo un noto personaggio politico). La violenza la rifiuto per principio, per cui come non mi sta bene che sia usata da semplici cittadini, non mi sta nemmeno bene che alcuni elementi delle forze dell’ordine la usino a sproposito valicando i limiti prescritti dalle leggi. Esultare quando ciò accade in relazione a stranieri, migranti ecc. è indice di vista corta, perché una volta sdoganata questa tendenza non risparmia nessuno ed è veleno per la democrazia. Pur di godere dando addosso ai tunisini di turno, vi starà bene nel futuro prossimo avere paura, per principio, nel momento in cui un individuo in divisa si avvicina a voi per qualsiasi motivo? Vi starà bene sapere che anche se abusa di voi sarà giustificato, protetto e non risponderà delle sue azioni?

Maria G. Di Rienzo

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Nel paese dei balocchi e dei farlocchi, ogni volta in cui abbiamo alzato la testa e abbiamo detto: questo è offensivo, quest’altro incita alla violenza, quest’altro ancora è falso e scorretto, non ha alcun riscontro storico ne’ scientifico… un coro di cialtroni ambosessi ci ha urlato con somma indignazione che tutto era rubricabile come “opinione” e che, come tale, tutto doveva essere nobilmente difeso.

Esaminare contesto e merito è troppo difficile, quando per vivere si usano a stento un paio di neuroni, meglio sparare idiozie a nastro e sentirsi vincenti, potenti, superiori, legittimati dai numeri anche quando i numeri non ci sono (tutti dicono che…) e paladini della “libertà di pensiero”.

Be’, io vorrei sapere dove questi eroi e queste eroine sono adesso, nel momento in cui le opinioni può averle solo chi sta al governo. Nella fattispecie, si possono avere idee e convinzioni solo quando esse concordino con quelle di chi ha vinto le elezioni. I seguaci di Voltaire non annusano niente? Io sento una gran puzza di prove generali di dittatura. Solo in questi primi 9 giorni di giugno:

* A Porto Mantovano la Digos ha vietato i lenzuoli che criticano Salvini, interpretati come “turbativa di comizio”.

* A Novate Milanese la contestazione pacifica durante il comizio del suddetto è tenuta a distanza dalla polizia, che ha sequestrato un gommone gonfiabile per “questioni di ordine pubblico”.

*A Roma, durante la manifestazione del pubblico impiego, gli agenti della Digos intimano la chiusura di uno striscione (l’avrete probabilmente visto, una vignetta inoffensiva) ai sindacalisti della Uil: “Hanno visto lo striscione, lo hanno fotografato e si sono avvicinati per intimarci di chiuderlo: hanno detto che non potevamo esporlo perché raffigurava i due ministri e loro avevano la direttiva secondo cui non si possono esporre striscioni che facciano riferimento ai due ministri. (nda. Di Maio e Salvini) Abbiamo ribattuto dicendo che non era offensivo ma ironico, loro hanno concordato ma avevano una direttiva da rispettare. A un certo punto ce lo stavano togliendo dalle mani con la forza, ma lo abbiamo chiuso noi. Da allora ci hanno seguito fisicamente e sorvegliato a vista fino a Piazza del Popolo affinché non esponessimo lo striscione. In piazza ci hanno chiesto di portarlo via con il furgone e sono rimasti sempre nelle vicinanze.”.

Naturalmente una “direttiva” del genere è ILLEGALE, perché non esiste il reato di “vilipendio a Gigino” o “lesa maestà di Matteo”: l’unica persona tutelata in questo senso, non come individuo ma come carica istituzionale, è il Presidente della Repubblica (Codice Penale – art. 278). Perciò la Questura se ne esce con questa spiegazione: “si è ritenuto che lo striscione fosse lesivo del decoro paesaggistico”.

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* Sul pestaggio del giornalista Origone da parte della polizia, il Ministro dell’Interno tace e manda avanti il suo sottosegretario, il quale esprime “rammarico”, ma nulla di più, giacché “i cronisti non erano riconoscibili”. Capito bene? Niente scuse, niente prese di distanza o condanne, niente rassicurazioni sul diritto di cronaca / informazione, niente impegni sulla protezione dei giornalisti… e un inquietante “fra le righe”: i cittadini non riconoscibili come reporter, fotografi, cineoperatori possono essere massacrati di botte in totale impunità?

* I giudici che hanno emesso sentenze non gradite al Ministro suddetto – dopo una squallida operazione di “dossieraggio” che ha scandagliato le loro vite private – sono stati definiti “contrari al governo”, avendo “espresso idee” o avendo “avuto rapporti di collaborazione o vicinanza con riviste sensibili al tema degli stranieri“! Per cui, non dovrebbero esercitare la loro professione quando le questioni legali di cui si occupano potrebbero risolversi in maniera tale da infastidire l’esecutivo in materia di immigrazione. In questo contesto, sembra che “Salvini” e “governo” siano sinonimi e che l’indipendenza della magistratura sia cosa del passato: perché il Viminale non sta solo esprimendo le sue opinioni, “sta valutando di rivolgersi all’Avvocatura dello Stato” per verificare se c’è qualche escamotage adatto a sanzionare i magistrati nel mirino.

Vedete bene che palesare critiche o convincimenti avendo l’agio di dare “direttive” alle forze dell’ordine o di avviare procedimenti legali in nome dello Stato è un po’ diverso dal farlo con un lenzuolo alla finestra o uno striscione per strada, vero? Le posizioni di forza da cui si parte non sono paragonabili.

Comunque, sino a questo momento le giustificazioni adottate da governo e questure hanno davvero brillato per creatività (risultando purtroppo insensate e ridicole, ma sono i rischi del mestiere quando la politica diventa spettacolo tragicomico). Mi domando di quali altri reati potrebbero essere accusati i dissenzienti che dicano o scrivano “quel che Di Maio e Salvini stanno facendo non mi piace”, magari di “deturpazione di patrimonio artistico della nazione italiana (tutelato dalla Costituzione – art. 9)” – in effetti le biografie autorizzate reiterano l’abbagliante bellezza dei due, oppure di “atti osceni in luogo pubblico” (Codice Penale – art. 527), giacché l’operato dell’attuale governo è privo di senso del pudore?

mirandola

Maria G. Di Rienzo

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civicus

E’ uscito di recente il rapporto 2018 di Civicus sullo status della società civile nel mondo. Presenta i risultati del monitoraggio effettuato in 195 nazioni e potete leggerlo per intero qui:

https://www.civicus.org/documents/reports-and-publications/SOCS/2018/socs-2018-overview_top-ten-trends.pdf

Di seguito, la traduzione di due paragrafi esplicativi particolarmente interessanti.

Politica polarizzata (ndt. che aumenta i contrasti) e società divise.

Le persone a cui è negata voce e una quota equa di benessere a causa di modelli difettosi di amministrazione sono comprensibilmente arrabbiate. In molti paesi, la gente è stanca dell’offerta di politica e leader convenzionali; c’è stato un crollo nel sostegno ai partiti convenzionali, a meno che non siano guidati da leader che promettono un taglio netto con il passato.

La gente ha ragione di essere adirata, ma la rabbia ha sparato e si è inceppata in tutti i tipi di direzione. Alcuni hanno abbracciato piattaforme ampie e progressiste, ma molti si sono mostrati pronti a spalleggiare qualsiasi cosa sembri differente – incluse politiche identitarie restrittive che promettono soluzioni semplici a problemi complessi.

Le politiche basate sull’identità stanno surclassando le politiche basate sulle istanze. Le persone sono incoraggiate a biasimare minoranze e gruppi esclusi per i loro problemi. Ideologie neofasciste si stanno affermando, offrendo i canti di sirena del nazionalismo e della xenofobia. I confini, sia fisici sia simbolici, sono rinforzati e l’estrema destra sta distorcendo l’agenda politica mentre i partiti convenzionale tentano di riconquistare l’elettorato.

Queste tendenze, evidenti nel 2016, hanno guadagnato terreno nel 2017 come provato da un’elezione dopo l’altra in Europa.

Come risultato, leader dal braccio di ferro sono in ascesa, avendo come epitome il presidente russo

Vladimir Putin, che esporta le sue insidiose strategie da gioco d’azzardo nel sistema politico per concentrare, centralizzare e personalizzare potere politico. Molti seguono tattiche simili, inclusi

Viktor Orbán in Ungheria, Narendra Modi in India, Benjamin Netanyahu in Israele, Rodrigo Duterte nelle Filippine, Recep Tayyip Erdoğan in Turchia, Yoweri Museveni in Uganda e Donald

Trump negli USA, per nominarne solo alcuni. I governanti della linea dura mantengono il potere legiferando sugli interessi dei blocchi di popolazione che li sostengono, piuttosto che della società nel suo insieme, sopprimendo le voci dissenzienti e di minoranza.

Sebbene parecchi nella società civile siano stati in prima linea nell’esporre il fallimento di sistemi politici ed economici, la società civile può scoprirsi mistificata grazie a presunte associazioni con il globalismo e le elites, e messa in contrasto da asserzioni sull’interesse nazionale.

I governanti della linea dura reprimono la società civile quando essa tenta di denunciare le loro responsabilità e difende i gruppi esclusi quali migranti, rifugiati e persone LGBTI. Società aggressivamente polarizzate creano il bisogno urgente per la società civile dell’offerta di spazi ove il consenso possa essere ricostruito, rendendo nel contempo tale lavoro più difficile.

La sfida per la società civile, mentre lotta contro la repressione, è riconoscere la legittimità della rabbia offrendo alternative ragionevoli, realistiche ma immaginative che parlino alle aspirazioni delle persone a una vita migliore e incanalino quella rabbia che può essere diretta verso un cambiamento positivo.

In un contesto di politica polarizzata, abbiamo la necessità di costruire comprensione e sostegno per la nozione che le nostre società sono migliori quando il potere è condiviso. Dobbiamo promuovere di nuovo l’idea che, nel mentre votare in elezioni libere e pulite è un diritto duramente conquistato ancora non goduto da molti, la democrazia non comincia e finisce con le elezioni, e il dissenso espresso da coloro che non si situano fra i vincitori è una parte importante e di valore del processo democratico. Dobbiamo incoraggiare un approfondimento della democrazia, fondato sul concetto che la democrazia esiste ovunque vi sia dialogo: nella strada, sul posto di lavoro e a casa tanto quanto nella cabina elettorale.

L’ascesa della società incivile.

La nostra comprensione di ciò che la società civile è e di ciò per cui prende posizione è messa alla prova dal crescente affermarsi di voci regressive che si posizionano nell’arena della società civile.

Sebbene la società civile sia sempre stata una sfera diversa, competitiva e discorsiva, non è più assodato presumere che solo la società civile che crede nei diritti fondamentali, cerca il bene comune e sostiene le necessità delle persone escluse sia in grado di accedere a processi decisionali chiave. La società incivile è in ascesa.

Forze sociali conservative stanno reclamando gli spazi della società civile: fra di loro vi sono gruppi di pressione che cercano di derubare le donne dei loro diritti riproduttivi; “pensatoi” che hanno la funzione di agire come battistrada per idee nazionaliste e xenofobe e di pubblicizzare il fondamentalismo; movimenti di protesta contro i diritti di persone LGBTI, rifugiati e migranti.

Queste forze regressive che lavorano all’interno dell’arena della società civile stanno diventando sempre più confidenti. Ciò non accade per caso: sono spesso sostenute da governi regressivi che vogliono indebolire l’impatto della società civile che porta avanti posizioni progressiste. In alcuni paesi, inclusa la Polonia di recente, lo schema dei finanziamenti statali è stato rielaborato per permettere maggior sostegno alla società incivile.

I governi possono presentare se stessi come se stessero sostenendo e promuovendo la società civile, qualcosa che fa buon gioco a livello internazionale e permette ai governi di contrastare le critiche ai loro attacchi alla società civile. La società incivile sta facendo sempre di più sentire la sua presenza nella sfera internazionale – molto organizzata, numerosa, finanziata da governi amici e interessi economici poco lungimiranti – per reclamare lo spazio, argomentare contro i diritti umani e seminare confusione su cos’è la società civile mentre sembra impegnata a consultare la cittadinanza.

Poiché i gruppi anti-diritti aumentano, si espandono e colonizzano gli spazi della società civile, noi abbiamo bisogno di maggior chiarezza su cosa la società civile è, su cosa fa e in cosa crede. La cosa importante della società civile non è tanto la sua forma organizzativa o il modo in cui lavora, quanto ciò per cui si batte. Il test chiave è vedere se stiamo difendendo e producendo avanzamenti nei diritti fondamentali e se siamo guidati da una visioni di eguaglianza umana e di giustizia sociale. Per quanto la diversità e il pluralismo siano caratteristiche importanti dell’arena della società civile, dobbiamo chiarire e riaffermare i valori essenziali che definiscono chi può essere identificato come membro della società civile.

Dobbiamo reclamare gli spazi nei forum nazionali e internazionali che sono stati occupati dai gruppi anti-diritti. Dobbiamo anche prestare rinnovata attenzione agli sforzi per dimostrare che siamo responsabili e trasparenti, di modo che l’opinione pubblica possa capire cosa realmente è la società civile e ciò in cui crede.

(trad. Maria G. Di Rienzo)

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Mie care, miei cari: avete anche voi qualche problema nello stare a guardare la democrazia italiana mentre muore? Credete sia possibile rianimarla? Perché quella in cui stiamo vivendo è ormai un’oclocrazia (“governo/potere della folla”, Polibio – Storie, Libro VI) in cui politici “desiderosi di preminenza, non potendola ottenere con i loro meriti e le loro virtù” adulano e allettano le masse stimolandone sentimenti gretti e paure con rozza – e più spesso che no sgrammaticata – retorica; infine, “quando sono riusciti, con la loro stolta avidità di potere, a rendere il popolo corrotto e avido di doni, la democrazia viene abolita e si trasforma in violenta demagogia”. Le azioni di governo che ne conseguono sono prive di raziocinio, volubili, volgari, irresponsabili, ignoranti, dannose e inefficaci. Le minoranze finiscono immediatamente sotto tiro. I diritti umani diventano concessioni ai meritevoli (id est lecchini – parenti – amici – sodali). Le tutele alla dignità delle persone conquistate dalle lotte operaie, studentesche, femministe, sindacali sono bollate come “privilegi”. L’analfabetismo (di ritorno, funzionale, quel che volete) è una virtù. La violenza verbale e/o fisica diventa il solo modo di comunicare.

Il ruolo democratico dei cittadini è “ridotto in pratica al solo processo elettorale” (Hasanović), perché il principale difetto della democrazia in sé è questo: funziona solo se la cittadinanza conosce e si cura della democrazia stessa.

Perdonatemi se vi sembrano ovvietà. So che gran parte della mia audience fa parte di quell’ultimo, ormai assai ristretto, segmento di cittadinanza. So anche che niente attualmente, in Italia, incoraggia le persone a interessarsi attivamente del proprio paese: non abbiamo educazione alla partecipazione democratica ne’ nelle scuole ne’ altrove e nessun partito – stia al governo o all’opposizione – è interessato a promuoverla per come dev’essere, un modo civile, intelligente e inclusivo in cui le persone si impegnano nella costruzione della società in cui vivono tramite decisioni basate su dialogo (che può divenire confronto anche aspro, ma rigetta l’insulto e l’aggressione) e consenso… e lo fanno non per costruirsi una carriera, pagare diciassette amanti, avere lo yacht, il fuoristrada e l’attico in centro città, ma perché vogliono vivere in un mondo decente, in grado di dare un minimo di serenità e giustizia a tutti.

Dobbiamo avere un orizzonte. Dobbiamo avere un minimo di valori e sogni condivisi. Dobbiamo accordarci almeno su degli standard di base per cui una nazione non è un’azienda, le istituzioni non sono distributori automatici di regali agli amici degli amici e qualsiasi parlamento o assemblea decisionale non sono parcheggi per ambosessi svitati. C’è qualcuno, là fuori? Maria G. Di Rienzo

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Mia

Mia Mottley – in immagine – ha 52 anni, giusto l’età dell’indipendenza del suo paese (Barbados), in precedenza colonia britannica. Avvocata e leader del Barbados Labour Party, quando era alle medie Mia disse a uno dei suoi insegnanti che un giorno sarebbe diventata la prima “capa” di governo di sesso femminile nella storia della nazione. Quel giorno è arrivato: è stata eletta tale il 25 maggio 2018. E non ha semplicemente vinto – ha stravinto, perché ottenendo oltre il 70% dei voti il suo partito si è aggiudicato tutti e trenta i seggi disponibili: in pratica, Mia come Primo Ministro non ha opposizione.

Ha stravinto parlando di democrazia, di trasparenza in politica, economia e finanza, del restituire governo e governance alla popolazione, dei diritti umani di ciascuno e di tutti.

Non si è preoccupata di essere ladylike, di cosa gli uomini potessero pensare del suo aspetto, di dimostrare che oltre a saper stilare una bozza di legge sa anche cucinare e camminare su tacchi di dodici centimetri o di qualsiasi altra stronzata si esige in Italia da una donna politica: e, ripeto, ha stravinto. Facendo maledettamente bene il suo mestiere.

Maria G. Di Rienzo

mia mottley giuramento

Mia Mottley (a destra) presta giuramento nelle mani di un’altra donna, la Governatrice Generale Sandra Mason, nel palazzo del governo.

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L’Autore del brano che state per leggere si chiama Claudio Schuftan, è dottore in pediatria e medicina internazionale, è nato in Cile e attualmente lavora nella salute pubblica a Ho Chi Minh City, in Vietnam. Sta anche coordinando la campagna quinquennale del Movimento per la Salute Popolare, attivo in più di settanta nazioni: “Equità, sviluppo eco-sostenibile e pace sono al cuore della nostra visione di un mondo migliore – un mondo in cui una vita sana per tutti è una realtà; un mondo che rispetta, apprezza e celebra tutta la vita e le diversità; un mondo che consente il fiorire dei talenti e delle abilità delle persone affinché si arricchiscano l’una con l’altra; un mondo in cui le voci del popolo guidano le decisioni che danno forma alle nostre vite…”

In passato ha lavorato per: Unicef, Programma alimentare mondiale, FAO, Unione Europea, Banca africana di sviluppo, Università delle Nazioni Unite, Organizzazione mondiale della sanità, Fondo internazionale per lo sviluppo agricolo, Agenzia svedese per la cooperazione e lo sviluppo, Peace Corps, Ministeri della Salute di Kenya e Vietnam, Ministero per la Pianificazione economica del Camerun, ecc. ecc.

Potete andare a farvi un’idea di quant’è lungo il suo cv su:

http://www.claudioschuftan.com

E questo ci porta alla prima ragione per cui ho deciso di tradurre il brano (di un pezzo più lungo, che è un assemblaggio di citazioni di altri autori e di riflessioni personali): se volesse gonfiare il curriculum vitae con tutte le persone autorevoli che ha semplicemente incontrato o con tutte le banche dati / biblioteche che ha utilizzato, il dott. Schuftan rischierebbe di non finire mai, a differenza dell’avv. Conte – che nessuno ha votato, ma che ha ricevuto l’incarico di formare il nuovo governo italiano.

La seconda è che lo scritto è particolarmente efficace nel definire la politica e i politici.

Tratto da: “Power, Politics, Politicians & Human Rights – Analysis”, di Claudio Schuftan, maggio 2018, trad. Maria G. Di Rienzo:

Maggiore è lo squilibrio di diseguaglianza nella bilancia del potere, maggiore è l’oppressione e maggiori sono gli abusi dei diritti umani.

La politica è ciò che facciamo (o non facciamo), la politica è ciò che creiamo, la politica è ciò per cui lavoriamo, ciò in cui speriamo e che osiamo immaginare. (Paul Wellstone)

Il perenne dominio politico, sociale e culturale esercitato dai paesi industrializzati è il risultato di una distribuzione diseguale di potere, a causa della quale coloro che non hanno potere o ne hanno molto meno vedono le loro aspettative di vita limitate o distrutte e i loro diritti umani violati dai più potenti. Questa mano pesante si manifesta in modi diversi: dalla discriminazione all’esclusione, dalla marginalizzazione allo sterminio fisico, psicologico e/o culturale, e dalla demonizzazione alla forzata invisibilità.

Tutte queste forme di dominio possono essere ridotte a una sola parola: oppressione. Le società con gli squilibri di potere più longevi sono in effetti società divise fra oppressori e oppressi. I fattori che stanno alla base del dominio variano da epoca a epoca. Nei tempi moderni, diciamo fin dal 16° secolo, i tre principali fattori del dominio sono stati: capitalismo, colonialismo e patriarcato.

Attualmente viviamo in società capitaliste, colonialiste e patriarcali. Per avere una resistenza di successo contro queste forme di dominio dobbiamo intraprendere simultaneamente lotte anticapitaliste, anticolonialiste e antipatriarcali.

Da questo dato storico consegue che gli avanzamenti sono stati, quando ci sono stati, minimi come se – e ne abbiamo fatto esperienza – gli elementi del dominio restassero uniti e l’opposizione restasse divisa. Il potenziale della democrazia liberale nel rispondere alle aspirazione e ai diritti umani degli popolazioni oppresse e discriminate è sempre stato molto limitato, e i suoi limiti sono diventati sempre più seri in tempi recenti.

Ovunque, movimenti democratici a livello di base sono strangolati da forze antidemocratiche e, in alcuni paesi, da dittature. Nel mondo odierno, la democrazia è presa in ostaggio da potentati economici che tutto sono fuorché democratici.

Le politiche di potere guidano le politiche generali.

Coloro che hanno potere politico usano modi diversi per alterare le nostre percezioni al fine di rendere se stessi socialmente e politicamente accettabili. E’ quando tali meccanismi non li sorreggono che comincia la tirannia, per esempio la criminalizzazione degli oppositori e dei difensori dei diritti umani. Il potere esamina continuamente le strutture sociali e gli individui usando una concezione distorta di ciò che è giusto o sbagliato e buono o cattivo. In pratica non risponde mai ad alcuna chiamata morale e al rispetto dei diritti umani. (Alberto Acosta)

Quando potenti gruppi politici sistematicamente operano in un determinato modo, questo modo non diventa “la norma” solo per i loro membri, giacché essi chiedono la stessa accettazione agli altri.

La ragione fondamentale è l’obbligo per ogni individuo attivo nel gruppo ad assimilare il proprio comportamento a quello del gruppo, cioè a adattare se stesso al comportamento dell’insieme cui appartiene. La norma diviene quindi il modo collettivo di comportarsi e l’anormalità è ogni azione che tenti di sovvertire tali pratiche comportamentali (Manuel Acunia) [State pensando a Trump?] (chiede l’Autore fra parentesi quadre: io, guardando l’Italia, stento a trovare un politico da NON nominare).

La demagogia sembra funzionare ancora: i demagoghi vendono supremazia e non eguaglianza, seminano sospetto e non quiete, e gettano la categoria “nemico” contro determinate categorie di persone vulnerabili – facili capri espiatori degni del loro odio. Questo tipo di politici, campioni nel costruire ambiguità, appaiono più intenti a profittare delle autentiche paure di specifici gruppi di elettori, piuttosto del promuovere cura del benessere collettivo e dei diritti umani di tutti.

Questi praticanti estremisti di un’agenda ristretta la fanno franca nell’ignorare molte delle leggi internazionali vigenti, incluse quelle relativi ai diritti umani. E poiché, per chi di legge non sa, il sistema del diritto internazionale è complicato, è difficile sollevare l’opinione pubblica contro i demagoghi: le persone, sfortunatamente, non vedono sempre tutte le minacce loro dirette.

E così fanno le dittature. I dittatori non vagliano i dubbi, ne’ propri ne’ altrui; i loro giudizi sono categorici come gli aggettivi che usano. I dittatori fungono da possessori di un destino e si danno da soli il diritto di decidere delle vite di coloro che da essi dissentono. Le argomentazioni corrette raramente sono servite o servono a cambiare le loro decisioni.

Molti politici, per i quali i diritti economici, sociali e culturali significano poco o nulla, sono indifferenti alle conseguenze di un’austerità economica su coloro che sono meno abbienti. Vedono i diritti umani solo come un irritante ostacolo ai vantaggi personali che cercano tramite le loro iniziative. Per altri politici ancora, la mera indifferenza non è abbastanza; il loro rigetto dell’agenda sui diritti umani è espresso in termini satolli del loro totale spregio per i poveri.

Solo pochissimi politici hanno il coraggio di accettare il loro reale livello di abilità.

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posto di blocco

Per recensirlo mi basterebbe una frase: “E’ uno dei film più belli che io abbia mai visto.”, ma non gli renderebbe giustizia e riconoscimento: cose che le vittime del massacro di Gwanju (Corea del Sud, 18-27 maggio 1980) di cui il film tratta non hanno ancora pienamente ricevuto. Ma la pellicola, da quando è uscita nel paese d’origine il 2 agosto 2017, ha superato tutte le aspettative in brevissimo tempo, per tre settimane consecutive è stata in testa al box office diventando il 10° film più visto in Corea ed è la produzione che concorrerà agli Oscar nella sezione “Miglior film in lingua straniera”.

Si tratta di “Un tassista” (택시운전사), del regista Jang Hoon, che ora è online con sottotitoli in inglese e il titolo “A taxi driver”. Si basa sulla vera storia del giornalista tedesco Jürgen Hinzpeter, scomparso l’anno scorso a 79 anni, e del tassista Kim Sa-bok (morto di cancro nel 1984) che lo portò a Gwanju durante le sollevazioni per la democrazia.

All’epoca il governo della Corea del Sud era una dittatura militare con a capo Chun Doo-hwan, che aveva preso il potere nel 1979. Chun dichiarò la legge marziale per l’intera nazione, chiuse le università e il Parlamento, fece arrestare i leader dell’opposizione e operò una stretta censura sui mezzi di comunicazione. Le proteste contro il regime, per lo più organizzate e guidate dagli studenti universitari e liceali, erano soffocate con estrema violenza. Il 18 maggio la popolazione di Gwanju scese in massa nelle strade e i soldati aprirono il fuoco. La cittadina fu circondata da posti di blocco e resa irraggiungibile: persino le linee telefoniche furono tagliate. Nessuno all’esterno sapeva cosa stesse accadendo. Le voci sulla sollevazione e sull’impossibilità di documentarla raggiunsero il giornalista Hinzpeter a Tokyo: il giorno dopo prese un volo per Seul e fra mille pericoli condivisi con il tassista che guidava per lui filmò ciò che è visibile ancora oggi in strazianti montaggi documentari. In effetti, la pellicola ha ricreato fedelmente alcune delle sequenze riprese da Hinzpeter (che mi sono tornate in mente durante la visione con effetto “colpo al cuore”).

gwanju maggio 1980

(Gwanju, maggio 1980)

Il film si apre presentandoci il sig. Kim di Seul – l’attore Song Kang-ho in una delle sue migliori performance – tassista indipendente, vedovo con una figlioletta 11enne e poco propenso a occuparsi di altro che non sia il racimolare i soldi per l’affitto arretrato. Quando apprende per caso che uno straniero pagherebbe una cifra considerevole per un viaggio di andata e ritorno prima del coprifuoco a Gwanju, “ruba” l’incarico al tassista designato giungendo all’appuntamento prima di lui. Il ruolo del giornalista che lo ingaggia è ricoperto in modo altrettanto superbo dall’attore tedesco Thomas Kretschmann, ma nessuno dei co-protagonisti fallisce nel renderci i propri personaggi e parte del merito va senz’altro alla sceneggiatrice Um Yoo-na, che ha saputo disegnare umanità a tutto tondo anche per quelli che incontriamo di sfuggita o per poche battute.

Una volta a Gwanju, il tassista è costretto a riconsiderare il proprio disinteresse per la politica: non è solo la telecamera di Jürgen Hinzpeter, sono i suoi occhi a vedere i soldati massacrare giovani e vecchi a bastonate, sparare su una folla inerme e poi prendere di mira chi tenta di soccorrere i feriti (la cifra finale degli assassinati non è ufficiale, le stime arrivano a circa 2.000 persone). Sebbene, scosso in ogni fibra e preoccupato per la figlia rimasta sola, dapprima abbandoni la situazione, una volta tornato a Seul da solo non riuscirà a restarci. Non passerà neppure da casa prima di dirigersi di nuovo a Gwanju. Il film ha molte scene memorabili, ma a me resterà impressa per sempre quella apparentemente banale della telefonata che il tassista fa alla sua bambina prima di tornare al fianco di Hinzpeter: “Papà ha lasciato indietro un cliente. – le dice cercando di trattenere le lacrime – Qualcuno che ha davvero bisogno di prendere il mio taxi.”

Ne ha davvero bisogno perché il filmato delle atrocità perpetrate a Gwanju deve raggiungere l’esterno, come promesso allo studente che i due là incontrano e che poi ritroveranno cadavere all’ospedale, come promesso ai tassisti della cittadina che – fatto storico – si mettono di mezzo fra la linea di fuoco e i dimostranti per permettere la rimozione dei feriti, come promesso alla folla di cittadini che li ha accolti e festeggiati e ha offerto loro cibo, sorrisi, ringraziamenti e applausi.

“Dietro a un ospedale – ebbe a scrivere il vero Jürgen Hinzpeter – parenti e amici mi mostravano le loro persone care, aprendo parecchie delle bare che giacevano là in file e file. Mai nella mia vita, neppure filmando in Vietnam, avevo visto una cosa del genere.”

E alla fine, nella realtà e nella fiction, il filmato riesce a passare l’ispezione doganale: è nascosto in una grossa scatola di biscotti avvolta in carta dorata e addobbata con fiocchi verdi come in uso per i regali di nozze. Un oggetto così vistoso da passare inosservato, una delle piccole efficaci commoventi astuzie che i protagonisti usano durante tutto il film per sfuggire a una violenza feroce e persistente, per sopravvivere e testimoniare. Maria G. Di Rienzo

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