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sarah

(“The Rainbow Flag” di Sherry Argonne, giovane cantautrice e poeta – dall’età di 8 anni – contemporanea. Trad. Maria G. Di Rienzo.

In immagine c’è Sarah Hegazi (1990 – 14 giugno 2020), attivista lesbica egiziana, morta suicida. Fu arrestata, imprigionata e torturata per tre mesi nel 2017 per aver sventolato la bandiera arcobaleno a un concerto.

Questa traduzione è per lei.)

LA BANDIERA ARCOBALENO

Non andartene senza me nella tua borsa

in un luogo dove la gente rispetta la Bandiera Arcobaleno

Io sono nata per essere chi voglio essere

aspettandomi che le persone mi avrebbero accettata

ma ho capito che devo lottare per quello che voglio

lottare per me stessa e stare in prima linea

Sto dicendo qualcosa di sbagliato?

Voglio solo un po’ di luci colorate

Sto solo descrivendo la mia vita in una canzone

Sto chiedendo i miei ben noti diritti

Non sono una hooligan, non sono malvagia

Sto liberando la Bandiera Arcobaleno

Ero solita tenere un occhio chiuso

Ora sono pronta a volare

via verso un luogo dove il sole sorge

dove puoi cadere ma poi sopravvivi

Chiedo l’impossibile?

Voglio la pace nel mondo

Niente razzismo, niente politicanti

Voglio solo sentire inneggiare alla libertà

Tu sei liberata, che tu sia bianca o nera

sei nata per lottare per la libertà della Bandiera Arcobaleno

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La vulgata fornisce più o meno questo scenario: c’è una bellissima fanciulla, maggiorenne vaccinata e diplomata, che davanti allo specchio si interroga sul proprio futuro. Ha svariati scenari a disposizione: laurearsi e poi conseguire un dottorato di ricerca; andare in tour mondiale con una compagnia teatrale; entrare in una compagnia di danza classica come prima ballerina; lavorare nel settore artistico/creativo di una grande azienda produttrice di tessuti; accettare l’offerta di una squadra professionista di pallacanestro; fare / consegnare pizze nel ristorante della zia; lavorare come inserviente in un asilo nido… aggiungeteci quel che vi pare.

La ragazza si guarda attentamente, sospira (perché le donne sospirano di default in prossimità di specchi, giusto?) e dice “No, studiare è stancante, mandare a memoria tutte le battute di una commedia pure, “Giselle” non la faccio più perché mi annoia, in azienda avrei poche ferie, giocare a pallacanestro mi mette a rischio infortuni, vicino al forno delle pizze è troppo caldo e i bambini piccoli non mi piacciono. Per cui, visto che sono molto attraente e molto compassionevole, e ci sono in giro un mucchio di uomini infelici a cui non viene dato abbastanza amore, farò la sex worker.” Visto? E’ la scelta di una professione come un’altra, anzi di una professione assai migliore di altre, dove non ci si stanca, ci si diverte, non si è a rischio di nulla, il guadagno è ottimo e si è trattate con il massimo rispetto. Niente niente, poi può persino arrivare il “cliente” ricchissimo e strafigo che ti compra bei vestiti e gioielli e alla fine si innamora di te e ti porta a vivere nella sua villa fronte mare.

Nella realtà, però, le cose vanno un po’ diversamente. Come, per esempio, lo racconta la storia di Bridget Perrier (in immagine).

bridget

Bridget, canadese del gruppo etnico Anishinaabe, fu adottata quando aveva 5 settimane da una famiglia non indigena, nel 1976. A otto anni fu molestata da un amico di famiglia e a undici “riconsegnata” all’assistenza sociale. La misero in una casa-famiglia dove ragazze più grandi la iniziarono al commercio sessuale. Lo stesso anno, fu reclutata dalla tenutaria di un bordello. A 12 anni Bridget era una “sex worker”. A 14 fu punita per aver tentato di far soldi all’esterno del bordello: la tennero prigioniera per 43 ore, durante le quali fu stuprata e torturata. Fuggì, ricevette cure mediche (punti interni ai genitali) e l’uomo che aveva abusato di lei fu condannato a due anni, dicasi due, di galera. Bridget finì per “lavorare” agli ordini di un magnaccia che ovviamente otteneva la sua obbedienza a botte.

A 16 anni, mise al mondo il suo primo figlio, un bimbo che a nove mesi sviluppò una forma particolarmente maligna di leucemia e ne morì a cinque anni. La sua morte, dice Bridget, fu la prima terribile spinta a cercare di uscire da quella situazione. Nel 1999 mise al mondo la sua seconda figlia e quello fu il punto di svolta. Poiché era una senza tetto entrò nel programma di assegnazione temporanea di alloggi, sostenuta dai servizi di welfare si diplomò alle superiori e poi prese un diploma in assistenza sociale. Subito dopo fondò assieme ad altre donne “Sex Trade 101”, un’organizzazione che combatte il traffico di esseri umani a scopo di sfruttamento sessuale e dà sostegno alle sopravvissute come lei.

Oggi di anni Bridget Perrier ne ha 43 e dice: “La gente pensa di noi che siamo in frantumi, ma non è vero. Io ho una buona resilienza, ho solo subito moltissime fratture.”

Maria G. Di Rienzo

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anti-slavery campaign

“Tre anni fa, ero una madre single con due bambini che viveva con sua madre vedova. La situazione era così difficile che quando un’amica mi ha parlato dell’andare in Germania, gente, sono partita!

Siamo arrivate solo sino in Libia. Sono stata venduta, stuprata e torturata. Ho visto molti nigeriani morire, inclusa la mia amica Iniobong.

Oggi sono una fornaia a Benin e guadagno abbastanza soldi per provvedere alla mia famiglia. I miei ragazzi non cresceranno vergognandosi della loro madre. Il mio nome è Gift Jonathan e non sono in vendita.”

(trad. Maria G. Di Rienzo)

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Gli Emirati Arabi Uniti hanno, come tutte le nazioni al mondo – chi più chi meno, alcuni problemi nel garantire diritti umani alla cittadinanza. Le torture inflitte ai detenuti, le grossolane ingiustizie a danno dei lavoratori e delle lavoratrici stranieri/e e la discriminazione di genere hanno indotto l’anno scorso l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite a rendere note le proprie preoccupazioni al proposito. L’ultima istanza non è legalmente considerata discriminazione: le donne degli Emirati hanno ancora bisogno del permesso di un uomo per sposarsi e quando sono sposate il marito ha facoltà di proibire loro di lavorare all’esterno della casa e di limitare la loro libertà di movimento; alcune forme di violenza domestica non sono sanzionate per legge, così come non è sanzionato lo stupro all’interno del matrimonio.

In questo contesto, il governo ha la faccia tosta di indire premi per l’Indice del Bilanciamento di Genere diretti ai suoi dipartimenti che meglio hanno realizzato obiettivi di “partecipazione” femminile. Com’è visibile dalla foto – e com’è ovvio – i premiati sono tutti uomini.

premiati

Il vice Primo Ministro nonché Ministro dell’Interno, sceicco Saif bin Zayed Al Nahyan è stato premiato per i suoi sforzi nell’introdurre il congedo di maternità nell’esercito degli Emirati; i meriti degli altri personaggi sono meno chiari (miglior ente governativo, miglior autorità federale, miglior iniziativa): si tratta comunque del vice governatore di Dubai nonché Ministro delle Finanze, sceicco Hamdan bin Rashid Al Maktoum (anche sua moglie ha ricevuto un “riconoscimento”, per quanto non degno di premiazione pubblica), del Ministro per le Risorse Umane e l’Emiratizzazione (ignoro cosa comporti l’ultima qualifica) Nasser bin Thani al-Hamli e del direttore generale dell’Autorità su Competitività e Statistiche Abdulla Nasser Lootah.

L’immagine sopra è circolata diffusamente sui social media con commenti di questo tipo:

“Mi dispiace di dover essere quella che ve lo dice, ma avete dimenticato di invitare le DONNE.” – Rianne Meijer, blogger olandese.

“Mashallah (ndt. “Come dio ha voluto”, qui ironico), grande vittoria per il bilanciamento di genere.” – Hayder al-Khoei, analista su questioni mediorientali.

“Ve lo giuro, non è satira.” – Joey Ayoub, blogger libanese.

“Wow, hanno davvero rappresentato perfettamente le differenze. Uno dei tipi era vestito di grigio.” – Tim Binnington, co-fondatore e presidente di “Sovereign Land Ltd.”

Maria G. Di Rienzo

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(tratto da: “17 Signs That You’d Qualify as a Witch in 1692”, di Leah Beckmann per Mental Floss, 22 ottobre 2015, trad. e adattamento Maria G. Di Rienzo. Ndt.: E’ notevole la somiglianza dei 17 segni particolari della stregoneria con le giustificazioni moderne fornite alla violenza di genere.)

Scopri se sei colpevole di maleficio e/o se saresti stata accusata di praticare la stregoneria secondo le leggi e le prove usate durante i processi alle streghe di Salem nel 1692.

hail

1. SEI UNA FEMMINA

Sei una donna, di qualsiasi tipo? Se sì, sei probabilmente una delle spose infernali del demonio. Sin dal periodo medievale “un aspetto dell’essere femmina è stato associato alla strega”. Per secoli, la gente ha creduto che le donne fossero più inclini a peccare degli uomini – e peccare è un chiaro segno dell’adorazione del diavolo. A Salem, 13 donne e 5 uomini furono arrestati con l’accusa di praticare la stregoneria, sebbene storicamente il numero delle donne accusate sia drammaticamente superiore a quello degli uomini.

2. SEI POVERA / NON RIESCI A SOSTENERE TE STESSA FINANZIARIAMENTE

Le povere, le senzatetto e quelle costretti ad affidarsi alla comunità per avere sostegno sono state le più vulnerabili e spesso accusate di stregoneria. Sarah Good, impiccata nel 1692, era estremamente odiata e sospettata dai vicini perché andava di casa in casa a mendicare cibo.

3. SEI RICCA / SEI FINANZIARIAMENTE INDIPENDENTE

Se sei una donna adulta che vive questa vita senza sostegno aggiuntivo, probabilmente hai anche un vasetto di occhi di tritone nella credenza della cucina. Ogni segno che una donna potesse vivere senza l’aiuto o la supervisione di un uomo causava allarme. La donna in questione era molto spesso isolata dalla comunità – sino, naturalmente, a che veniva arrestata e processata. Fra il 1620 e il 1725, donne senza fratelli o figli che potessero ereditare le loro sostanze composero l’89% delle donne giustiziate per stregoneria nel New England.

4. HAI UN’AMICA O PIÙ AMICHE

Prendete nota: un gruppo di donne che si riunisce senza la presenza di un maschio era considerato “una congrega che si incontra per adorare il Demonio”. (Ndt.: per molti uomini ciò è “sospetto” anche al giorno d’oggi)

5. HAI AVUTO UN BATTIBECCO CON UNA O PIU’ D’UNA DELLE TUE AMICHE

Cacciatori di streghe dalla triste fama, come Matthew Hopkins e John Searne, ispirarono un tale terrore nella comunità che non ci volle molto perché le donne cominciassero ad accusare altre donne di stregoneria per deviare le accuse loro rivolte. Prendete il caso di Rachel Clinton: “Donne di valore e qualità la accusano di dar loro gomitate” mentre camminano insieme verso la chiesa. Rachel era lei stessa una donna “di valore e qualità”, ma una madre mentalmente disturbata e un matrimonio tardivo la spinsero al fondo della scala sociale. Aggiungete le gomitate e Rebecca fu condannata per stregoneria.

6. HAI AVUTO UNA DISCUSSIONE O UN DISACCORDO CON QUALCUNO

La cosa importante da ricordare è che chiunque poteva accusare chiunque altro. E lo facevano. Se qualcuno ti accusa di pratiche stregonesche di qualsiasi tipo, era lo stesso che se ti avessero vista volare nuda verso la luna a cavallo di una scopa.

7. SEI MOLTO ANZIANA

Le donne più anziane, sposate e non, erano estremamente soggette alle accuse. Rebecca Nurse era un’invalida 70enne quando fu accusata da vicini con cui litigava. A 71, divenne la più vecchia donna a processo, fu condannata e messa a morte come strega.

8. SEI MOLTO GIOVANE

Dorothy Goode aveva solo 4 anni quando confessò di essere una strega (implicando simultaneamente sua madre, Sarah, che fu impiccata nel 1692). Dorothy fu imprigionata per nove mesi prima del suo rilascio. L’esperienza le lasciò uno stato permanente di disagio mentale.

9. SEI UNA LEVATRICE

In parole povere, come dice Joel Southern, “l’età, lo stato sociale e matrimoniale, l’autonomia, le influenze pagane, la conoscenza segreta delle erbe e, più importante di tutto il resto, lo svilimento della sua professione come sporca e degradante servirono a demonizzare la levatrice. In breve, la levatrice rappresentava tutto quel che la Chiesa temeva.”

10. SEI SPOSATA E HAI TROPPI BAMBINI

Hai un grembo fertile in modo innaturale che può essere solo il risultato di magia nera. Aggiungi a ciò una coppia che vive nel vicinato e ha difficoltà a concepire e certamente stai rubando a loro dei potenziali bambini. Perché sei una strega.

11. SEI SPOSATA E HAI POCHI FIGLI O NESSUN FIGLIO

Il diavolo ha maledetto il tuo empio utero con la sterilità. In più, se i tuoi vicini e i loro sei bambini stanno soffrendo in qualche modo, lo devono certamente alla bacucca gelosa che vive nei paraggi e ha maledetto la loro casa.

12. HAI MOSTRATO UN COMPORTAMENTO “OSTINATO”, “STRANO” O “AUDACE”

Ribatti in modo sfacciato e sei una strega, probabilmente. Tornando al processo di Rachel Clinton, i suoi accusatori consolidarono il caso contro lei così: “Non ha forse mostrato il carattere di una donna amareggiata, invadente, esigente – in breve probabilmente il carattere di una strega? Non ha forse sgridato, inveito, minacciato e lottato?”

13. HAI UN NEO, UNA VOGLIA O UN TERZO CAPEZZOLO

Ognuno di questi segni sul corpo poteva essere interpretato come il marchio del demonio. Era anche il punto a cui il famiglio della strega – di solito un cane, un gatto o un serpente – si attaccava per bere il suo sangue. Le accusate erano completamente depilate sino a che non si trovava un qualche tipo di segno. Adesso immaginatevi un cuccioletto che tracanna sangue dal neo di Marilyn Monroe.

14. TI E’ ANDATO A MALE IL LATTE O IL BURRO

Diverse testimonianze durante i processi di Salem menzionano latticini andati a male in relazione alle accusate. Siate oneste sulla condizione del vostro frigorifero prima di continuare.

15. HAI FATTO SESSO FUORI DAL MATRIMONIO

Nel 1651 Alice Lake di Dorchester fu processata come strega per aver “fatto la sgualdrina e essere rimasta incinta”. Fu impiccata lo stesso anno.

16. HAI TENTATO DI PRONOSTICARE L’IDENTITA’ DEL TUO FUTURO MARITO

Hai sognato ad occhi aperti sulla tua anima gemella? Hai scritto il suo nome in corsivo sul tuo taccuino? Allora, come per Tituba – una donna schiava che viveva a Salem – le tue attività possono costituire stregoneria. Tituba aiutava le giovani a vaticinare l’identità dei loro futuri sposi e divenne la prima donna accusata di stregoneria a Salem.

17. HAI VIRTUALMENTE INFRANTO OGNI REGOLA CONTENUTA NELLA BIBBIA E PERTANTO HAI STRETTO UN PATTO CON IL DIAVOLO

Ecco una lista di regole che i puritani osservavano. Romperne una qualsiasi poteva condurre a un’accusa di stregoneria.

– La stretta osservanza del Sabbath, “il giorno d’addestramento alla disciplina militare”. Ciò includeva niente fuoco, niente commercio, niente viaggi e niente qualcosa chiamato “nuova mostra del pane nel luogo sacro”: quest’ultima roba era punibile con la morte.

– Niente adulterio

– Non guidare gente verso altri Dei con le profezie o i sogni

– Non farsi stuprare

– Non piantare più di un tipo di seme in un campo

– Non toccare la carcassa di un maiale

– Non indossare abiti fatti da più di un tipo di tessuto

– Niente capelli a caschetto

– Niente trecce

– E sicuramente non tollerare che una strega viva

Avete fatto qualcuna di queste cose? Allora congratulazioni, siete colpevoli di aver praticato la stregoneria. Siete destinate all’inferno e probabilmente a essere impiccate, bruciate o lasciate marcire in una lurida prigione sino alla morte. Possa il mantello delle oscure ombre avvolgervi nel suo disgraziato abbraccio. Salute a Satana.

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(brano tratto da: “The Season of the Witch – Max Dashu On Why We Sexualize, Trivialize, and Fear the Witch”, di Jocelyn Macdonald per AfterEllen, 31 ottobre 2018, trad. e adattamento Maria G. Di Rienzo. Max Dashu, in immagine sotto, è scrittrice, ricercatrice, esperta di storia delle donne e fondatrice dei Suppressed Histories Archives – Archivi delle Storie Occultate.)

max dashu

AfterEllen: Nella cultura popolare abbiamo una concezione delle streghe come esseri brutti e ributtanti che operano magia malvagia per maledire o ingannare la brava gente. Vorrei discutere da dove viene questa idea.

Max Dashu: C’è una vasta e complessa storia culturale su questo. Siamo al termine di un lungo processo di demonizzazione delle streghe. La maggior parte delle persone hanno sentito parlare della caccia alle streghe, ma sempre per la maggior parte non sanno di che si trattasse, com’era, quanto è durata. La tendenza, negli Usa, è pensare alla caccia alle streghe di Salem – è la forma più famosa e si è situata molto tardi sullo spettro dell’intero processo, infatti le streghe non erano più bruciate sul rogo. Le persone che sono state perseguitate furono impiccate. Ma la cosa è andata avanti per più di 1.000 anni.

E’ una storia difficile da tracciare, perché non sempre ci stiamo occupando di periodi storici ben documentati. Non sempre ci sono registrazioni dei processi nel primo Medioevo. Ma abbiamo indicazioni su questo lungo arco di persecuzioni nelle menzioni di cronisti in vari posti e nelle leggi di diversi paesi, in particolare in Europa occidentale dopo la caduta dell’Impero Romano.

A noi tutti è stato insegnato che l’Europa si convertì al cristianesimo e che dopo erano tutti cristiani, e la cosa è più complicata di così. C’è tutta questa cultura pagana – nei calendari, nelle feste, nei nomi dati ai luoghi e nelle terre che li attorniano, le usanze, la religione degli antenati, consuetudini riguardanti la guarigione, la divinazione e modi in cui risolvere i problemi – che cade nell’ambito della strega. Noi vediamo un processo di demonizzazione delle streghe. Nel periodo coperto dal mio libro “Witches and Pagans” (ndt. l’inizio del Medioevo), si nota che la gente guardava ancora alle streghe come guaritrici. Ci sono preti che sgridano le persone perché sono andate a farsi curare dalla strega e non in chiesa. “Non devi fare questo, è malvagio, è opera del demonio.”, ma la gente aveva una tradizione di vecchia data di medicina erboristica, magia cerimoniale, cicli stagionali.

AE: Quindi com’era la stregoneria nell’anno 1.000, mille anni prima della nostra era?

Max Dashu: C’è questo passaggio dove si descrivono le persone che portano offerte a rocce e alberi e alla primavera e in anglosassone dice “swa wiccan taeca∂”, cioè “come insegna la strega”. Perciò abbiamo un interessante pezzo di informazione, qui. Lo scritto era un libro penitenziale: stava tentando di indurre le persone ad astenersi da questa spiritualità basata sulla Terra, ma mostra cosa stavano facendo e mostra che ciò non aveva nulla a che vedere con l’adorazione del diavolo. La gente di solito apprende che le streghe erano adoratrici del diavolo e questa è la demonizzazione di tali donne sagge. Ma in realtà, quel che vediamo nella descrizione è che stanno praticando la venerazione della terra, la venerazione dell’acqua – molto simile al popolare “l’acqua è vita”. Ci sono molti rimproveri che dicono non portate offerte, non accendete luci davanti alla fontana, non fate queste cose. Perché la gente amava le acque. Le trattava con reverenza. Dunque, in quel periodo, la parola “strega” è riferita a qualcuna che è un’insegnante spirituale.

La strega è una consigliera. La chiesa non voleva questo perché voleva avere una religione centrata attorno al concetto patriarcale di dio e questo non comprendeva la Natura. Le cerimonie connesse alla Natura erano minacciose, perciò demonizzarono la strega. (…)

Quando vediamo che le donne erano guaritrici, erboriste, levatrici, oracoli – per esempio in Scandinavia c’è una consistente documentazione sulle sacerdotesse sciamane dette “donne del bordone” per via del bastone cerimoniale che usavano – l’idea che una donna possa essere una leader spirituale non è così inusuale. Se guardi la cosa in una prospettiva globale, vedrai sciamane su tutto il pianeta. Persino il cristianesimo degli inizi aveva profetesse. La persecuzione delle streghe divenne un modo conveniente per sopprimere il potere femminile. Ciò è ancora con noi nell’archetipo della strega: la donna potente è una donna cattiva, la donna anziana è una donna cattiva e l’idea che la strega fosse collegata al male è parte del più vasto spostamento da immagini positive delle donne all’idea che il potere femminile sia una minaccia per la società.

AE: Alle donne fu data la caccia, furono processate e bruciate, ma stante i grandi numeri non potevano essere tutte streghe (ndt. nel senso suggerito da Dashu). Un gran numero di donne anziane, non sposate, ribelli, possono essere state accusate di stregoneria anche non conducevano rituali.

Max Dashu: Nel primo periodo vedi che quelle accusate erano in qualche modo coinvolte nell’erboristeria o nei rituali, ma con il passar del tempo le accuse ebbero più a che fare con la politica sessuale. (…) C’è questa pornografia diabolica che sorge nelle camere di tortura e sostiene che la strega fa sesso con il diavolo. Ciò che le donne torturate sono costrette a fare per ottenere la fine dei tormenti è ripetere ai torturatori le loro fantasie. Questo ha avuto un grosso impatto sulla cultura europea e su come la sessualità è incorniciata da tropi quali tortura, catene, bavagli, donne legate. Le cosiddette confessioni che le donne erano costrette a ripetere per far finire la tortura erano lette pubblicamente prima dell’esecuzione. Alle donne era data questa scelta: “Non ti bruceremo viva, ti strangoleremo prima se accetti di leggere la tua ammissione di colpa davanti alla gente”. Perciò la gente che andava avidamente a guardare le esecuzioni puntava il dito e diceva: “Oh, ha fatto davvero quelle cose, lo ammette”. La credenza in tali cose comincia così a diffondersi. E’ come un meme tossico che si propaga dalla cultura ed è un meme del capro espiatorio.

In una società oppressiva, ove per esempio le rivolte contadine sono tutte soffocate con un bel po’ di forza, gli oppressi non hanno modo di prendersela con i loro oppressori perciò cercare un capro espiatorio suona bene per molta gente. Le streghe sono un gruppo, poi ci sono gli ebrei, i rom e altri. Tutti e tre i gruppi furono accusati di omicidi rituali. La diffamazione sanguinosa, l’idea che le streghe uccidono i bambini. Cominciò con i preti che accusavano le erboriste di dare alle donne pozioni contraccettive. I preti dicevano che questo era omicidio. Stai uccidendo bambini, perché fai “bere sterilità” alle donne. (ndt. ho scelto di evidenziarlo perché mi ricorda i discorsi del “progressista” papa in carica)

Noi vediamo quanto è facile credere per le persone frustrate e arrabbiate che vogliono qualcuno da incolpare. E’ un mezzo assai efficace per schiacciare la resistenza all’oppressione. E’ molto più facile dar la caccia alle donne che a potenti signori armati.

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(“Lesbian ‘witches’ chained and raped by families in Cameroon”, Thomson Reuters Foundation, editing di Katy Migiro, trad. Maria G. Di Rienzo.)

black lesbian pride

Yaounde, 2 ottobre 2018 – Durante un triste servizio domenicale in chiesa, la 14enne Viviane – stanca di lottare contro la sua attrazione per le ragazze – si rassegnò a una conclusione infelice: era stata stregata. A scuola e in chiesa a Yaounde, la capitale del Camerun, le era stato a lungo detto che avere predilezione per il proprio sesso non era solo un peccato, ma anche il segno che un sinistro incantesimo era stato gettato su di te.

“Non vedevo le ragazze come tutti gli altri – ho pensato che uno spirito maligno mi avesse posseduta. – ha detto al telefono a Thomson Reuters Foundation, con una mesta risata, dalla Francia, dove ha chiesto asilo l’anno scorso con l’aiuto della sua fidanzata – Così ho cominciato a pregare per mandarlo via.”

Ma le sue preghiere fallirono. Quattro anno più tardi, Viviane fu incatenata al muro e violentemente stuprata da un uomo che la sua famiglia la forzò a sposare, dopo aver scoperto che era lesbica.

Dal Sudafrica all’India all’Ecuador, persone gay sono sottoposte a “stupro correttivo” dalle loro famiglie, da estranei e da vigilanti che credono l’omosessualità sia una malattia mentale che deve essere “curata”.

A volte, ciò è perpetrato con la copertura delle tenebre o quando il picchiare della pioggia su tetti di latta attutisce le grida, gay del Camerun hanno narrato a Thomson Reuters Foundation. Altre volte è orchestrato da membri della famiglia che regolarmente si fanno “giustizia” da soli, torturando, stuprando e assassinando parenti gay e lesbiche che loro pensano essere streghe o sotto maledizione.

La credenza nella stregoneria è diffusa in Camerun. Anche se è illegale praticare magia nera, le autorità fanno poco per impedire alle famiglie di consultare maghi che compiono sacrifici rituali per “curare” i loro parenti dall’omosessualità.

Le relazioni fra persone dello stesso sesso sono tabù all’interno dell’Africa, che ha alcune delle leggi più proibitive al mondo contro l’omosessualità. Persone gay sono di routine ricattate, assalite e/o stuprate, e subiscono sanzioni penali che vanno dall’imprigionamento alla morte. Un rapporto del 2017 dell’ILGA – International Lesbian, Gay, Bisexual, Trans and Intersex Association, attesta che 33 paesi africani su 54 criminalizzano le relazioni fra persone dello stesso sesso.

Gli atti omosessuali costano cinque anni di prigione in Camerun, dove secondo CAMFAIDS (un gruppo di sostegno LGBT+) almeno 50 persone sono state condannate – fra il 2010 e il 2014 – per crimini che vanno dall’indossare abiti dell’altro sesso a quello dell’uomo che ha inviato un messaggio di testo con scritto “Ti amo” a un altro uomo.

“La violenza anti-LGBT+ sta peggiorando.”, ha detto Michel Engama, direttore di CAMFAIDS, il cui predecessore Eric Ohena Lembembe è stato trovato morto nel 2013 con il collo spezzato e il volto bruciato da un ferro da stiro, come riportato da Human Rights Watch.

Almeno 600 attacchi e reati omofobici sono stati registrati in Camerun lo scorso anno, secondo

Humanity First Cameroon, un’organizzazione che raggruppa associazioni LGBT+, con una lesbica su cinque e un gay su dieci che hanno denunciato di essere stati stuprati. Gli attivisti dicono che la vera dimensione del problema è probabilmente molto peggiore, poiché la maggior parte degli assalti non sono denunciati.

La famiglia di Viviane la picchiò e la frustò dopo aver scoperto i messaggi di testo espliciti che aveva mandato alla sua ragazza. Sua zia e i suoi fratelli la portarono al loro villaggio, dove lo stregone locale la costrinse a bere pozioni a base di sangue di gallina e le inserì peperoncini piccanti nell’ano, giustificando il tutto come un rituale di “purificazione”.

Trovarle un marito che fosse pastore della chiesa era una possibilità di ripulire il nome della famiglia, ha spiegato Viviane. Il fatto che avesse già due mogli e 30 anni più di lei non fu preso in considerazione. “Non ci furono discussioni al proposito. – ha detto, aggiungendo che la famiglia ricevette la “dote” dal pastore ancor prima che lei fosse informata dell’accordo – Per loro, io ero una specie di collana che avevano venduto.”

Sebbene lo stupro sia reato in Camerun, non c’è la possibilità che una simile violazione sia ascritta a un marito, ha detto Viviane: “Un pastore in Camerun è come un dio. Dio non può violentare. E se lo accusi di stupro, il diavolo sei tu.”

Nel mentre Viviane ha ritenuto che la sua miglior opzione fosse fuggire dal paese, Frederique ha parlato pubblicamente dopo aver subito uno stupro di gruppo nel 2016, dopo aver lasciato in taxi un seminario LGBT+ a cui aveva partecipato a Yaounde. Il tassista si fermò per salire un altro uomo e guidò sino a una parte deserta della città, dove entrambi la violentarono mentre la schernivano accusandola di essere una lesbica e una strega.

“Continuavano a urlare che io meritavo quel castigo, che mi stavano correggendo. – ha detto la 33enne, che ha ormai raccontato la sua storia a centinaia di ragazze durante incontri e seminari in Camerun – Se avessi denunciato penalmente, sarei stata vista non come una vittima, ma piuttosto come qualcuna che si era meritata quel che era accaduto.” Frederique crede che la sua decisione di parlare le abbia salvato la vita: “Anche una mia amica è stata stuprata e si è sentita completamente sola, isolata, depressa. Si è quasi uccisa. – dice cercando di trattenere le lacrime – Io avevo pensato di fare lo stesso. Ma ero anche così furibonda. Non volevo che altre ragazze patissero questo, ne fossero vittime come me. Volevo esporre i perpetratori per far finire tutto questo.”

Non è facile, dice anche. Le lesbiche in Camerun vivono ogni giorno in segretezza e prudenza, comunicando con nomi in codice e cambiando di frequente i luoghi pubblici in cui si incontrano. “Continuiamo a lottare, – dichiara – anche se siamo doppiamente discriminate: prima come donne e poi come lesbiche.”

Engama di CAMFAIDS sa che le precauzioni non garantiscono sicurezza e sottolinea come il ventenne Kenfack Tobi Aubin Parfait sia stato picchiato a morte, il mese scorso, da suo fratello maggiore che credeva fosse gay.

“C’è una vera guerra condotta contro di noi. – dice Engama, che riceve regolarmente minacce di morte – Ma continueremo a lottare sino a che si saranno stancati… Nessuno può darci la libertà. Dobbiamo prendercela.”

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Nel 1999, con la risoluzione 54/120, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite accolse la raccomandazione fatta dalla Conferenza mondiale dei ministri responsabile per la gioventù (Lisbona, Portogallo, 8-12 agosto 1998) e dichiarò il 12 agosto Giorno Internazionale della Gioventù. Dedicato ogni anno a un tema differente – costruzione di pace, dialogo, sostenibilità, lavoro, cambiamento climatico ecc. – incoraggia i giovani a costruirvi intorno eventi e a narrare pubblicamente le loro storie al proposito. Il tema del 2018 è stato “Spazi sicuri per la gioventù”: “I giovani hanno bisogno di spazi sicuri dove poter radunarsi, impegnarsi in attività relative ai loro diversi bisogni e interessi, partecipare al processo decisionale ed esprimere liberamente se stessi. Ci sono molti tipi di spazi, ma quelli sicuri sono quelli che garantiscono la dignità e la sicurezza della gioventù.”

Il brano che segue è tratto dalla testimonianza di Kania Mamonto (in immagine), 25enne indonesiana, resa a Angela Singh e Valeriia Voshchevska in occasione del Giorno Internazionale della Gioventù del 2018, per Amnesty International.

kania

“Almeno mezzo milione di persone furono massacrate durante la tragedia del 1965 (1) in Indonesia e il mio lavoro è documentare le storie dei sopravvissuti. Organizzo gruppi comunitari di sopravvissuti e faccio da ponte fra le generazioni. E’ importante che le persone giovani comprendano il passato del nostro paese. Come attivista per i diritti umani, io non voglio vedere ingiustizie. Voglio lavorare con altri, condividere conoscenza e intraprendere azioni, ma essere un’attivista per i diritti umani in Indonesia non è facile.

Lo scorso aprile, partecipavo a un evento culturale assieme a numerosi altri difensori dei diritti umani. Ero la Maestra di Cerimonie (ndt. presentava e conduceva le attività). Un gruppo violento ci ha costretti a barricarci nell’edificio per otto ore di seguito. E’ stato terrificante.

Più di 200 persone erano intrappolate, bambini inclusi. Gli assalitori hanno usato sassi per spaccare le finestre, ci hanno sparato contro e abbiamo rischiato di essere battuti. Dopo il nostro rilascio, la mia faccia era spalmata su tutti i media.

L’intero incidente è stato assai traumatico. Lavoro molto duramente per rendere possibile il cambiamento, ma non è così che la cosa viene percepita all’esterno. Ho imparato a maneggiare quel che è accaduto e voglio istruire la gente sul lavoro che faccio. Se per alcune persone il mio lavoro è un problema, voglio che ne parlino con me in una discussione aperta.

Lottare per ciò in cui credi non ti rende una cattiva persona. Noi vogliamo giustizia ed eguaglianza.”

Maria G. Di Rienzo

(1) Si tratta dell’operato delle “squadre della morte” dell’esercito durante la dittatura di Suharto: omicidi di massa, torture, stupri, lavoro forzato – il tutto diretto a quanti fossero sospettati di essere comunisti o comunque dissidenti. Nel 2016 il Tribunale internazionale dell’Aja non solo ha condannato gli eventi del 1965 come “crimini contro l’umanità”, ma ha indicato con chiarezza i complici esterni di tali crimini: i governi dell’epoca di Stati Uniti d’America, Gran Bretagna e Australia. Secondo i giudici, gli Usa sostennero l’esercito indonesiano “ben sapendo che era impegnato in un programma di omicidi di massa” e la Gran Bretagna e l’Australia ripeterono e diffusero la propaganda di tale esercito, persino dopo che “era palesemente evidente come omicidi e altri crimini contro l’umanità fossero in corso”.

Se all’annuncio del pronunciamento del Tribunale l’Indonesia fece sapere tramite il suo Ministro per la Sicurezza che nessuno poteva interferire negli affari del paese e che tale paese si sarebbe occupato della questione a modo suo, le tre nazioni summenzionate non commentarono: inoltre, sebbene invitate in precedenza a partecipare alle indagini, snobbarono semplicemente i giudici e non si presentarono.

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(tratto da: “The Relentless Torture of The Handmaid’s Tale”, di Lisa Miller per The Cut, 2 maggio 2018, trad. e adattamento Maria G. Di Rienzo.)

La seconda stagione de “Il Racconto dell’Ancella” è appena cominciata, pure ogni nuovo episodio porta con sé nuovo terrore. Ho pensato che forse ero solo traumatizzata dal primo episodio, in cui le nostre protagoniste preferite sono inesorabilmente torturate – colpite da scariche elettriche tramite pungoli per bestiame, prese a calci, minacciate con cani, incatenate a una stufa a gas e ustionate, lasciate vive sulla forca ma coperte di urina – fino a che ho sopportato l’episodio numero due.

Là mi sono imbattuta, all’interno di un paesaggio dalla luce dorata che evoca il profondo sud, in una vasta marea di donne schiave, a stento in vita, costrette a scavare in rifiuti tossici sino a che muoiono. Durante una scena di agghiacciante tortura psicologica il sottile, fastidioso suono di Kate Bush che canta “Il lavoro di una donna” accompagna le immagini di donne letteralmente terrorizzate a morte; altrimenti, la colonna sonora è principalmente un costante gemito in tono minore, come il suono del vento che attraversa una finestra rotta, punteggiato dal pianto e dai colpi di tosse delle donne, e da urla.

Ho premuto il tasto che toglie l’audio e quello per l’avanzamento veloce così spesso durante questa seconda stagione che sono costretta a chiedermi: Perché sto guardano questa cosa? Sembra tutto così ingiustificato, come un pestaggio senza fine. Davvero, le hanno tagliato la lingua? Davvero, hanno messo in fila tutti i giornalisti contro un muro – inclusa una mamma che portava scarpe comode da gravidanza (quanto manipolativo è ciò?) – e li hanno fucilati? Davvero, l’hanno nutrita a forza, le hanno messo ceppi alle caviglie; le hanno lasciato assaggiare la libertà e poi gliel’hanno portata via? Davvero, davvero, davvero? Ci sono film che trattano di genocidi e schiavitù storici che obbligano a una necessaria analisi della brutalità nella vita reale. Ma questo. Questo è un mondo inventato.

Rispondo a me stessa: per quel che riguarda la prima stagione, ero d’accordo con il consenso della critica. Questa è “televisione importante”. Una parabola femminista, adattata dal romanzo di una donna, che è stata premiata con otto Emmy – la maggior parte dei quali conferiti a donne – e che tratta dei potenziali eccessi del patriarcato, non così inconcepibili ora, nell’era di Pence e Trump.

All’epoca su Slate, facendo la recensione, Willa Paskin sottolineò che guardare la prima stagione l’aveva fatta sentire “quasi virtuosa”, scrisse, “come l’immergersi in un oceano d’inverno”. Anch’io ero stata agganciata dal rigoglioso orrore della stagione iniziale. Sembrava fedele al romanzo originale di Margaret Atwood, ma molto più intimo, come se si stesse guardando una scena del crimine attraverso uno spioncino.

Volendo avvolgermi ancora in quel senso di virtù, solidale con le donne sullo schermo, ho continuato a guardare. Ma la mia voce interiore rifiuta di restare in silenzio. Sarebbe femminista guardare donne ridotte in schiavitù, degradate, picchiate, amputate e stuprate? Come, esattamente, sto partecipando a una rivoluzione femminile stando seduta sul mio comodo divano a consumare questo? “Il racconto dell’Ancella” ha saltato il fosso, nella sua seconda stagione, trasformandosi da intrattenimento con princìpi a pornografia di tortura?

Non sono la sola persona a notare l’amplificata violenza della seconda stagione, una conseguenza ovvia, probabilmente, dell’aver ricevuto prima del previsto così tanti premi e così tante lodi, e dell’essere uscita dalla mappa della trama originale di Atwood. La stagione successiva doveva chiaramente essere più grande della prima, più epica, più ambiziosa a livello visuale, più intensa. Ma “sembra che lo show stia solo scegliendo a caso cose orribili da far succedere alle donne per ottenere l’effetto shock.”, ha detto Laura Hudson durante una tavola rotonda a The Verge (ndt.: rete di media informatici), “Perché guardarlo? Io non ho bisogno di vedere donne brutalizzate per capire che Gilead è un posto malvagio o che lo è la misoginia; credetemi, ho capito.”

Il romanzo di Atwood era un esercizio mentale: un intellettuale affresco di “supponiamo che” girante per lo più attorno ai dettagli personali di vite comuni. Ciò che aveva reso l’adattamento televisivo così affascinante, per me, era la collisione della fantascienza con le descrizioni di gente ordinaria in case con cucina, che forzava “noi” a trasporci in “loro”. (…)

La prima stagione finiva dov’era terminato il libro di Atwood, con June seduta da sola nel retro di un furgone, incerta sul proprio destino. Con la seconda, gli sceneggiatori sono sulla propria frontiera narrativa e il sentiero che creano è deludente quanto prevedibile. Nel finale del primo episodio, l’attrice Elisabeth Moss (ndt.: June) taglia la graffetta metallica che indica il suo status di Ancella dalla sua stessa orecchia con un paio di forbici. E’ straziante da vedere. E quando ha finito, e i suoi seni sono coperti dal suo proprio sangue, si solleva come una Furia vendicatrice per dichiarare la propria liberazione.

season 2

Ma poiché questo è il primo episodio e ci sono dio sa quanti altri episodi e stagioni a venire, noi capiamo che sarà intrappolata di nuovo – e picchiata e torturata e stuprata di nuovo, che la violenza nei suoi confronti continuerà e continuerà. (ndt.: E’ quel che è effettivamente accaduto nel terzo episodio, non ancora in onda quanto l’Autrice ha scritto il presente articolo.)

E’ una storia sessista vecchia quanto la Bibbia: il coraggio dell’eroina è intensificato dalla sua vittimizzazione, perché la cultura misogina esalta le donne che soffrono. Che June sia incinta, e sia una madre angosciata (ndt: la figlia le è stata sottratta), sono cose che aumentano il suo eroismo secondo lo show. Gli sceneggiatori della seconda stagione sanno bene come i fondatori di Gilead che non c’è tropo più sacro della maternità. In un esasperante e grottesco rovesciamento, l’allegoria femminista di Atwood si è trasformata in una vetrina degli abusi delle donne: tornando alla scena descritta sopra, ho notato che la macchina da presa indugiava sul sangue sgocciolante di June. E là ho deciso, io ho chiuso. (ndt.: ho chiuso anch’io, prima ancora di leggere questo.)

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In questo momento c’è una bimba di sei anni ricoverata in ospedale: è stata torturata con coltelli arroventati affinché confessasse di essere una strega. I fatti sono accaduti la settimana scorsa nel villaggio di Sirunki in Papua Nuova Guinea, dove la piccola viveva isolata perché era la figlia di un’altra “strega”: quella Keniari Lepata che fu bruciata viva nel 2013 e che vi ho menzionato qui:

https://lunanuvola.wordpress.com/2017/10/31/solo-un-pensiero/

“Parte del falso mito della magia nera (o sanguma, com’è chiamata localmente) – ha detto alla stampa uno dei soccorritori, il missionario luterano Anton Lutz – per cui le donne sono streghe, include la credenza che questa cosa possa passare da madre a figlia. Fra tutte le bambine del villaggio lei è stata scelta per chi era la sua genitrice e hanno creduto fosse responsabile di ogni cosa storta che accadeva nel villaggio. Rispetto alle streghe, questa gente crede anche che diranno la verità solo se torturate.” L’Inquisizione era della stessa opinione, per quel che ne so io.

Il Primo Ministro del paese, Peter O’Neill, ha deprecato l’accaduto e dichiarato che: “Al giorno d’oggi la sanguma non è una reale pratica culturale, è una falsa credenza che implica l’abuso violento e la tortura di donne e bambine da parte di individui patetici e perversi.”

Tuttavia, la polizia e le ong presenti nell’area attestato di essere scioccate dal frequente ripetersi di tali situazioni e non riescono a spiegarne l’impennata. Quando la madre della piccola morì, il caso fece abbastanza clamore da indurre il governo a sviluppare un piano d’azione nazionale contro la violenza legata alla stregoneria: sono passati quattro anni e il piano è rimasto sulla carta.

Ruth Kissam, della Fondazione tribale della Papua Nuova Guinea, è una delle attiviste che stanno tentando di mettere fine a questo tipo di femminicidio: “Uno dei più grossi problemi è che dopo le violenze i perpetratori non sono mai arrestati. Il piano è eccellente e potrebbe facilmente essere implementato in ogni provincia, ma resta inerte perché dovrebbe essere finanziato.” Il governo ha promesso di investire fondi nei programmi e nelle campagne relative il prossimo anno…

Maria G. Di Rienzo

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