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Posts Tagged ‘papua nuova guinea’

In questo momento c’è una bimba di sei anni ricoverata in ospedale: è stata torturata con coltelli arroventati affinché confessasse di essere una strega. I fatti sono accaduti la settimana scorsa nel villaggio di Sirunki in Papua Nuova Guinea, dove la piccola viveva isolata perché era la figlia di un’altra “strega”: quella Keniari Lepata che fu bruciata viva nel 2013 e che vi ho menzionato qui:

https://lunanuvola.wordpress.com/2017/10/31/solo-un-pensiero/

“Parte del falso mito della magia nera (o sanguma, com’è chiamata localmente) – ha detto alla stampa uno dei soccorritori, il missionario luterano Anton Lutz – per cui le donne sono streghe, include la credenza che questa cosa possa passare da madre a figlia. Fra tutte le bambine del villaggio lei è stata scelta per chi era la sua genitrice e hanno creduto fosse responsabile di ogni cosa storta che accadeva nel villaggio. Rispetto alle streghe, questa gente crede anche che diranno la verità solo se torturate.” L’Inquisizione era della stessa opinione, per quel che ne so io.

Il Primo Ministro del paese, Peter O’Neill, ha deprecato l’accaduto e dichiarato che: “Al giorno d’oggi la sanguma non è una reale pratica culturale, è una falsa credenza che implica l’abuso violento e la tortura di donne e bambine da parte di individui patetici e perversi.”

Tuttavia, la polizia e le ong presenti nell’area attestato di essere scioccate dal frequente ripetersi di tali situazioni e non riescono a spiegarne l’impennata. Quando la madre della piccola morì, il caso fece abbastanza clamore da indurre il governo a sviluppare un piano d’azione nazionale contro la violenza legata alla stregoneria: sono passati quattro anni e il piano è rimasto sulla carta.

Ruth Kissam, della Fondazione tribale della Papua Nuova Guinea, è una delle attiviste che stanno tentando di mettere fine a questo tipo di femminicidio: “Uno dei più grossi problemi è che dopo le violenze i perpetratori non sono mai arrestati. Il piano è eccellente e potrebbe facilmente essere implementato in ogni provincia, ma resta inerte perché dovrebbe essere finanziato.” Il governo ha promesso di investire fondi nei programmi e nelle campagne relative il prossimo anno…

Maria G. Di Rienzo

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Helen CFS-44 Rome 2017

“Cari Delegati,

grazie per avermi dato l’opportunità di parlarvi. Io sono Helen Hakena dell’Agenzia per lo Sviluppo delle Donne Leitana Nehan, con sede a Bougainville in Papua Nuova Guinea (PNG).

Voglio raccontarvi la storia della mia comunità a Bougainville. Per quelli di voi che non hanno familiarità con il Pacifico, Bougainville è un’isola, un po’ più larga di Cipro, ed è una regione autonoma della PNG. La nostra cultura è matrilineare – il che significa che la nostra terra si eredita tramite le donne. Ma questo non significa che le donne governino, gli uomini restano i capi e i decisori. Tuttavia la nostra terra è cruciale per le donne poiché, assieme ai nostri oceani, ci fornisce quasi tutto il cibo e le risorse da cui dipendiamo, oltre a essere centrale per la nostra vita culturale e comunitaria.

La nostra isola è fertile e sarebbe in grado di provvedere alla sicurezza alimentare e ai nostri bisogni nutrizionali, ma abbiamo dovuto affrontare numerose difficoltà che hanno avuto impatto particolare su donne e bambine. Bougainville ha sofferto una guerra ventennale quando una delle più grandi miniere aperte del mondo, Panguna, ha distrutto i nostri fiumi, il nostro terreno e ambiente, distruggendo pure le nostre comunità.

Sebbene le miniere e i disboscamenti sulla nostra isola abbiano prodotto centinaia di milioni di dollari di profitto, la nostra isola non è diventata prospera. Meno dell’1% dei guadagni sono andati alle comunità locali. La miniera ha un impatto enorme sulla nostra capacità di produrre cibo e di aver accesso all’acqua potabile. La miniera ha contaminato la nostra acqua e ha ridirezionato la nostra economia al servizio della miniera stessa e dei suoi proprietari stranieri.

Persino ora, molta popolazione è esposta al mercurio, usato dai minatori artigianali – incluse donne incinte – per arrivare all’oro e come risultato abbiamo un alto tasso di complicazioni durante i parti e nascite di bambini deformi.

La guerra ci ha reso impossibile curare in sicurezza i nostri orti, ove ognuna di noi coltiva gli alimenti base, e ci ha reso impossibile vendere o scambiare i nostri prodotti. Insieme, la miniera e la guerra, hanno dato esiti terribili per la salute di madri e bambini. Io stessa ho partorito in un edificio abbandonato assieme ad altre donne, una delle quali è morta.

La guerra ha anche portato con sé un embargo che ha impedito ogni importazione di carburante, medicine o tecnologia. L’embargo, tuttavia, ha provato l’intraprendenza degli abitanti di Bougainville e la capacità di produrre da soli tutta l’energia e il cibo di cui avevamo bisogno. Abbiamo prodotto energia dai maiali (ndt. dalla trasformazione di deiezioni e scarti negli allevamenti) e abbiamo usato l’olio di cocco come carburante per i motori.

La contaminazione proveniente dalla miniera e il conflitto messi assieme hanno creato gravi problemi di salute, educativi e sociali. Ciò ha dato come risultato una delle percentuali più alte al mondo di violenza contro le donne, con il 62% degli uomini che ammette di aver stuprato una donna.

Ora, dopo aver negoziato la pace e fatto passi verso il miglioramento delle conseguenze dello sviluppo, abbiamo di fronte un’altra enorme minaccia: il cambiamento climatico.

La mia organizzazione ha condotto un’Azione di ricerca partecipata femminista sulle isole Carteret di Bougainville, per documentare l’impatto del cambiamento climatico sulle vite degli abitanti e intraprendere iniziative per costruire un movimento locale per la giustizia climatica.

La nostra ricerca ha scoperto le cose seguenti:

La popolazione degli atolli che circondano Bougainville è già stata spostata altrove – sono i primi rifugiati climatici del mondo. Gente che ha vissuto senza elettricità, senza aver contribuito alle emissioni climatiche sta ora soffrendo le conseguenze dell’avidità e della distruzione mondiali.

Il cambiamento climatico ha impatto negativo sulla sicurezza alimentare in diversi modi, inclusa la diminuita accessibilità al cibo locale tramite la riduzione dei raccolti agricoli, della disponibilità di terra coltivabile, dell’acqua pura, del pesce e della vita marina in genere. Stiamo facendo esperienza di cambiamenti nei cicli delle piogge, di inondazioni, dell’innalzamento del livello del mare e di salinizzazione. Ciò rende più difficile per le comunità vivere di agricoltura – le donne non riescono a coltivare abbastanza per nutrire se stesse e le loro famiglie.

Donne e uomini sperimentano impatti diversi derivati dal cambiamento climatico, in particolare relativi al loro ruolo nella produzione del cibo. Quando la terra è matrilineare, la perdita della terra è devastante per le donne. Molte delle donne sfollate sono state abbandonate dai loro marito e hanno davanti un cupo futuro. I ruoli e i saperi differenti che donne e uomini hanno nella produzione di cibo e raccolti, così come nella pesca, devono essere accuratamente pianificati altrimenti la discriminazione può solo peggiorare.

Le donne devono avere potere collettivo per sviluppare soluzioni a lungo termine. Noi ora lavoriamo con le amministrazione degli atolli per assicurarci che le donne abbiano un ruolo nel definire il proprio futuro. Noi donne abbiamo guidato il processo di pace e io credo che possiamo guidare il processo per lo sviluppo sostenibile se ce ne viene data l’opportunità.

Ora i governi e le corporazioni stanno parlando di riaprire la miniera. La ragione che ci danno per questo è che non c’è altra via per il benessere, che abbiamo bisogno di più soldi per maneggiare un futuro di cambiamenti climatici, che abbiamo bisogno di valuta estera per importare più cibo e più energia.

Dobbiamo chiederlo a noi stessi: il nostro pianeta ha bisogno di più benessere o solo di un benessere più giusto?

Questo pianeta e le nostre risorse sono il nostro bene comune, appartengono a tutti noi e alle generazioni future. La Papua Nuova Guinea è uno dei paesi della Terra che ha più bio-diversità e ha la terza più grande foresta pluviale del mondo. Di sicuro, questo deve valere di più dell’oro e del rame.

Io so che ci vorrebbero governi coraggiosi e delle differenti Nazioni Unite per resistere al peso del potere delle corporazioni e dei ricchi. Io so quando sarebbe duro cooperare per raccogliere più tasse, mettere una moratoria a nuove miniere di carbone, proteggere tutti i nostri fiumi e la nostra terra dall’inquinamento, garantire alle donne potere decisionali su terreni e risorse, mettersi d’accordo su un minimo vitale ragionevole, garantire a ogni persona assistenza sanitaria gratuita e protezione sociale durante la sua intera vita, inclusa la sicurezza alimentare.

Creare giustizia nello sviluppo. Sarebbe possibile. Abbiamo la ricchezza per farlo. Ci serve solo la volontà politica. Grazie.”

Helen Hakena (in immagine – FAO Flickr Feed) ha tenuto questo discorso a Roma, il 12 ottobre scorso, durante la 44^ sessione plenaria del Comitato sulla Sicurezza Alimentare delle Nazioni Unite.

La sua organizzazione femminista è stata centrale nel porre fine alla guerra civile. Helen continua a promuovere i diritti umani delle donne nel suo paese, in cui fare ciò equivale all’essere attaccate come streghe – e spesso assassinate come tali. Maria G. Di Rienzo

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ursula

“Il mio nome è Ursula Rakova. Vivo in Papua Nuova Guinea, ma sono nata nelle Isole Carteret nel Pacifico del sudovest. Le anziane e gli anziani e la mia intera comunità mi hanno affidato questo grande compito, dire al mondo cosa sta accadendo nella mia isola e come il cambiamento climatico sta distruggendo le nostre vite. Il mio lavoro comprende l’organizzare la mia gente e spostarla dall’isola compromessa alla terraferma, dove dobbiamo reinsediarci su terreno che sia sicuro in ogni senso. Siamo costretti ad abbandonare la nostra isola, la nostra antica casa, per la provincia di Bougainville in Papua Nuova Guinea, dove dobbiamo cominciare nuove vite e trovare mezzi sostenibili per produrre il nostro cibo e sopravvivere.

Io voglio assicurarmi che il mio popolo abbia vita futura per le generazioni che verranno. E voglio dire a chi non crede che il cambiamento climatico stia accadendo: se avete cuore a sufficienza per sapere di essere fatti di carne e sangue, cominciate a pensare a noi sull’isola. Quella che per voi è una scelta relativa allo stile di vita, per noi è una questione di vita o morte. Dovreste mettervi nei nostri panni, e magari fare una visita alle nostre isole. Vi invitiamo a venire a vedere con i vostri occhi.” Ursula Rakova – trad. Maria G. Di Rienzo

(Ursula – nell’immagine sopra – è la direttrice dell’ong “Tulele Peisa”, che significa “Navigare le onde da noi stessi”. Nel 2014, il suo lavoro di reinsediamento degli abitanti delle Isole Carteret, alcuni dei primi rifugiati ambientali al mondo, è stato premiato dalle Nazioni Unite con l’Equator Prize. Sulle isole, a causa dell’innalzamento del livello delle acque, la terra coltivabile è scomparsa, le zanzare degli acquitrini si sono moltiplicate esponenzialmente diffondendo la malaria, e così via. Le iniziative di successo che Ursula continua a organizzare per l’autonomia economica delle donne sono state presentate in numerosi incontri e convegni internazionali.)

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Se chiedete a Mary, Angela o Agnes cosa significa “sicurezza” vi risponderanno: giustizia, buon governo e accesso ai servizi. Come pensano di ottenerla? Innanzitutto insegnando agli uomini a smettere di farsi guerra. E’ per questo che, nel 1999, hanno fondato il gruppo “Donne per la pace di Kup”. Kup è un sotto-distretto che si trova nella provincia Simbu della Papua Nuova Guinea, ha una popolazione di circa 18.000 persone divise in 12 clan e dispersa in numerosi piccoli centri.

All’epoca, le fondatrici del gruppo avevano sperimentato un ventennio di insicurezza e violenza grazie ai conflitti tribali. La miseria in cui le comunità erano precipitate fra omicidi, sfollamenti, stupri, crescita del contagio da Hiv e della criminalità, era intollerabile. Il primo passo per uscirne, spiegano, era guadagnare sostegno nell’opinione pubblica, affinché la pressione esercitata sui capi tribali per porre fine agli scontri fosse efficace. Allo scopo organizzarono seminari e campagne su tutto il territorio nazionale, mettendo particolarmente in luce l’ammontare incredibile di violenze dirette contro le donne durante i conflitti; un risultato clamoroso fu che donne di tribù rivali, che non si parlavano da anni, sfilarono insieme in una marcia per la pace. “Questa chiamata alla pace mostrava ai leader combattenti una resistenza unita e compatta delle donne.” Creato l’ambiente favorevole, ovvero un momento di altissima attenzione in cui era difficile per i capi tribali evitare il dialogo, riuscirono ad incontrarli. “Ci siamo presentate con rispetto, in modo non aggressivo, osservando le norme culturali consuete. Anche se il nostro discorso è una sfida diretta alla supremazia maschile volevamo convincerli, non umiliarli. Noi lo chiamiamo “winim bel”, vincere i cuori. In questo contesto la nostra strategia per il cambiamento non può che essere a lungo termine. Ma per quanto riguarda i fucili, quelli li abbiamo fermati subito.”

 

 

Perché ovviamente non tutte le fazioni in gioco hanno compreso o accettato immediatamente il messaggio. Così, le attiviste sono passate all’azione diretta: si sono accampate in mezzo ai campi di battaglia con tende e fornelli… ed è risultato difficile continuare a sparare, è stato necessario parlare. A questo punto, le “Donne per la pace di Kup” si sono offerte come mediatrici fra i vari gruppi in lotta. Ci sono voluti otto anni di lavoro, di promozione della coesione sociale, di sostegno alle vittime dei conflitti, di auto-organizzazione nei villaggi, ma nel 2007 il distretto è andato al voto senza violenza settaria a far da contorno alle elezioni. Precedentemente, dalle devastazioni agli scontri armati, passando per l’enorme pressione esercitata sulle donne affinché non andassero a votare, Kup aveva visto e sofferto di tutto. Nel 2007 invece Mary Kini e le altre, seguite ormai da un gran numero di aderenti e simpatizzanti, tennero dappertutto due settimane di corsi preparatori: cos’è il sistema elettorale, lo scopo delle elezioni ed il loro svolgersi, il diritto di votare, il diritto di essere eletti, tutto questo lo hanno spiegato diversificando i materiali a seconda del grado di alfabetizzazione dei concittadini a cui si rivolgevano. Inoltre, lanciarono la campagna “Elezioni libere dalla violenza”, in cui chiesero ai candidati di impegnarsi pubblicamente in tal senso, e monitorarono i seggi, per sventare i possibili brogli e permettere alle donne di partecipare con più tranquillità. “Un sogno divenuto realtà.”, dice Mary con orgoglio, “Era la prima volta che le cose andavano in modo pacifico, in tutta la nostra storia.” Al termine di quelle storiche elezioni, molte persone hanno chiesto alle “Donne per la pace di Kup” di presentare delle candidate alle prossime. Nel 2012, potremmo avere le prime donne elette nel distretto.

Nel frattempo, non pochi cuori sono stati vinti. Alle assemblee per promuovere la pace fra i clan, raccontano le attiviste “era la prima volta che molti uomini ascoltavano le storie dolorose delle donne. Durante una di esse, uno dei capi tribali ci disse: Prendete la guida, noi staremo dietro di voi, e vi sosterremo e ci muoveremo in avanti con voi. Noi non riusciamo a negoziare. Gli uomini combattono, litigano. Il nostro modo di discutere è violento.”

Liberare le donne educando gli uomini nel processo è il loro motto: sembra che ci stiano riuscendo. Maria G. Di Rienzo

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(dal rapporto dello Speciale Inviato NU Philip Alston sulle esecuzioni extragiudiziarie, sommario dell’Alto Commissariato NU per i Rifugiati, trad. Maria G. Di Rienzo)

Storicamente, le persone classificate come streghe sono state perseguitate, torturate e uccise: la pratica continua a tutt’oggi. Ogni anno, migliaia di persone, in maggioranza donne anziane e bambini, sono accusate di essere streghe, soffrono abusi, vengono gettate fuori dalle loro famiglie e comunità ed in molti casi assassinate.

Philip Alston, nel suo più recente rapporto al Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite ha detto: “In troppe situazioni, essere classificata come strega equivale a ricevere una condanna a morte.”

I bambini, in particolare, sono sempre di più un bersaglio. L’abuso dei bimbi accusati di stregoneria è comune nei paesi che hanno sofferto anni di conflitto, dove le tradizionali strutture sociali si sono dissolte e dove i bambini-soldati sono emersi come una minaccia. E nei paesi dove le morti dovute all’AIDS sono comuni, dove vi sono poche o nessuna prospettiva di una vita migliore, e dove le chiese confermano l’esistenza della stregoneria, i bambini sono spesso accusati di avere poteri sovrannaturali e quindi perseguitati.

Alston ha concluso che: “La persecuzione e l’uccisione di individui accusati della pratica detta “stregoneria”, la cui stragrande maggioranza è composta da donne e bambini, è un fenomeno significativo in numerose parti del mondo. La risposta alla stregoneria frequentemente comporta forme sistematiche di discriminazione basate sul genere, sull’età e sulla disabilità. Le famiglie delle “streghe” sono spesso soggette a gravi violazioni dei diritti umani.”

Nel suo rapporto, Alston offre una visuale della vastità del problema e della sua diffusione geografica:

Nella Repubblica democratica del Congo, la maggioranza dei circa 50.000 bambini che vivono nelle strade della capitale Kinshasa vi si trovano perché accusati di stregoneria e rifiutati dalle loro famiglie. Molti bimbi sono imprigionati in strutture religiose, dove sperimentato tortura e maltrattamenti, e persino sono uccisi con il pretesto di esorcizzarli.

In India, Nepal e Sudafrica sono in atto vere e proprie cacce alle streghe. In Nepal, in particolare, le donne anziane e le vedove subiscono abusi durante cerimonie di esorcismo.

In Ghana, circa 2.000 persone accusate di stregoneria sono detenute in cinque differenti campi di prigionia. La maggioranza dei prigionieri sono donne anziane e in miseria: alcune sono forzate a vivere in questo modo da decenni.

In Tanzania circa un migliaio di persone, in maggioranza donne anziane, sono assassinate ogni anno perché ritenute streghe.

In Angola, il Comitato per i diritti del bambino ha chiesto “azioni immediate per eliminare il maltrattamento dei bimbi accusati di stregoneria”.

In Papua Nuova Guinea, sono stati riportati ufficialmente circa 50 omicidi l’anno relativi alla stregoneria, ma altre fonti suggeriscono che le cifre siano assai più alte.

In Nigeria, sta crescendo il numero dei bambini abbandonati o perseguitati come streghe.

Nel considerare i modi di affrontare il problema, lo Speciale Inviato NU ha detto che rendere illegale il credere nella stregoneria non è una soluzione: il rispetto per gli usi e costumi, tuttavia, non include la persecuzione e l’omicidio. Alston raccomanda, nel suo rapporto, che tutti gli omicidi di streghe siano legalmente trattati come tali, investigati e puniti. E i governi, aggiunge, devono fare la loro parte, compiendo tutti i passi disponibili per prevenire tali crimini e perseguire i loro perpetratori.

Alston desidera qualcosa di più dei programmi sociali atti a suscitare consapevolezza: crede che debba essere offerta protezione immediata a coloro le cui vite sono messe in pericolo e danneggiate dall’accusa di stregoneria.

P.S. – Un filmato sulle “streghe” del Ghana è visibile all’indirizzo:

http://www.guardian.co.uk/global-development/video/2010/nov/25/witches-gambaga-ghana

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