Per il 2016 lo hanno guadagnato Mozn Hassan – egiziana, in immagine – e l’associazione di cui è fondatrice “Nazra for Feminist Studies”: si tratta del Premio “Right Livelihood”, noto come il Nobel Alternativo (dal 1980 dà riconoscimento a individui e gruppi che presentano soluzioni innovative a gravi problematiche sociali).

La motivazione sta nel lavoro svolto dall’associazione su numerose istanze, fra cui la lotta alla violenza contro le donne e il fornire vari servizi di sostegno alle vittime di violenza sessuale, il sostegno al diritto delle donne alla partecipazione alla sfera politica e l’inclusione dei loro diritti nella legislazione e nella Costituzione egiziane.
Mozn non è potuta però andare a ritirare il Premio a Stoccolma (Svezia): è stata bandita dal viaggiare all’estero perché inclusa dalla magistratura, con “Nazra”, nel “Caso 173/2011”, meglio conosciuto come “Il caso delle organizzazioni non governative finanziate da stranieri”. L’associazione è accusata nientedimeno che di complotto contro lo Stato.
Lei lo aveva ampiamente previsto nel marzo scorso: “Durante la storia, il movimento femminista si è abituato a fronteggiare i momenti di svolta; vittorie e sconfitte; progresso e regresso; successi e fallimenti; passi indietro e risultati, anche se raggiunti lentamente. A ogni svolta, tuttavia, c’è stato un prezzo da pagare; dalle accuse che associavano la liberazione delle donne con l’immoralità e la deboscia, alle femministe che hanno perso anni della loro vita in prigione o agli arresti domiciliari perché chiedevano diritti.
Oggi, il movimento femminista fronteggia una nuova sfida, con la possibile azione giudiziaria e la diffamazione e la censura per attività pubbliche e azioni pacifiche intraprese in anni recenti da molti gruppi femministi, incluso “Nazra for Feminist Studies”, una delle ong che lavora in questo campo. (…) Le accuse che ci sono mosse come femministe sono legalmente punibili con sentenze che vanno dai 6 mesi ai 25 anni di prigione. Dal lato sociale, ci sono tentativi di svilire il nostro lavoro e il nostro ruolo che è relativo a fornire uno spazio sicuro alle donne e alle bambine di questo paese. “Nazra” lavora sulle istanze delle donne dal 2008. Lo scopo delle nostre attività va dal contrastare la violenza contro le donne e l’assalto sessuale dal lavorare affinché lo Stato si renda responsabile delle sue cittadine e include le loro istanze nella sua lista di priorità. Non so di quali leggi violate parlino, quando “Nazra” è stata appunto attiva sotto la legge egiziana e gli occhi dello Stato sin dal 2008. Abbiamo un quartier generale ufficiale che è pubblicizzato e noto a tutti. Manteniamo chiari, accurati e accessibili libri contabili e registrazioni. Abbiamo conti bancari trasparenti in banche egiziane. Paghiamo le tasse e forniamo previdenza sociale al nostro staff. (…)
Abbiamo lavorato, coordinato e condotto interviste con tutti: abbiamo lavorato con le organizzazioni della società civile e partiti politici così come con il Dipartimento per combattere la violenza contro le donne del Ministero degli Interni; con l’Università de Il Cairo sulle campagne contro le molestie sessuali; con i funzionari del Ministero della Giustizia sugli emendamenti al Codice penale per includere la definizione delle molestie sessuali come reato; con i funzionari del Ministero della Salute e con il Dipartimento di Medicina Forense su come trattare le sopravvissute alla violenza; con l’Assemblea costituente che ha redatto la bozza della Costituzione egiziana sugli articoli relativi alle donne, e con il Consiglio nazionale per le donne e il Consiglio nazionale per i diritti umani – sarebbe troppo lungo enumerarli tutti qui. (…)
Io non so quale minaccia alla nazione possa essere posta da coloro che difendono l’integrità dei corpi delle donne e lavorano affinché esse non siano soggette a violenza, così che possano godere del loro diritto a una sfera pubblica sicura, o così che siano rafforzate e possano assicurarsi i loro diritti economici, sociali e politici. (…)
Proteggere i corpi delle donne contro le violazioni è un crimine? Fornire terapia per le sopravvissute alla violenza e allo stupro è una minaccia? E’ una minaccia parlare di rappresentazione femminile? Lo è tentare di aiutare la società a produrre le sue totali capacità senza escludere le donne? Lavorare con le organizzazioni della società civile, i politici e le autorità statali per potenziare le donne è una minaccia? Tutto quello che le femministe dell’inizio hanno chiesto, da Hoda Shaarawi a Doriyya Shafiq, è ancora visto come una minaccia?!
La nostra preoccupazione oggi non è limitata all’azione legale contro coloro che lavorano sulle istanze delle donne, si tratta anche del fatto che il movimento femminista egiziano sembra fronteggiare una nuova era di regressione, tornando a doversi porre la domanda di base: come può esserci un movimento senza libertà associativa?
Come potrà esserci un movimento, se lo Stato non riconsidera la sua posizione, che definisce le nostre istanze parte di una qualche cospirazione occidentale contro l’Egitto?” Maria G. Di Rienzo
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