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earth embrace

“Quando ero giovane ero solita dire a mia nonna: “Tutto quel che voglio è una casa, un posto.”

Lei rispondeva: “Di cosa stai parlando? Non appena i tuoi piedi toccano la terra, da essi crescono radici. Tu sei a casa. Questo suolo è la nostra casa. Sei sempre stata a casa.”

Trovare quella connessione è l’intera chiave di quel che stiamo facendo, riportare tale connessione alla Terra, all’acqua, di modo che le persone smettano di abusare di entrambe.

Abbiate cura di voi stessi. Non aspettate che qualcuno venga a salvarvi, perché non accadrà. Dobbiamo sollevarci e salvarci da soli.” – LaDonna Brave Bull Allard, Standing Rock Sioux, settembre 2019 (trad. Maria G. Di Rienzo).

Su di lei e non solo:

https://lunanuvola.wordpress.com/2016/11/02/ascoltate-lacqua/

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(tratto da: “Meet Priscilla Achakpa, Nigeria”, profilo e intervista a cura di Nobel Women’s Initiative, ottobre 2019, trad. Maria G. Di Rienzo.)

Priscilla Achakpa

L’insigne attivista ambientalista nigeriana Priscilla Achakpa è diventata moglie a 16 anni, madre e poi giovane vedova. Diseredata dalla famiglia del marito e dalla propria è tornata a scuola e ha conseguito lauree specialistiche in gestione d’impresa, amministrazione e sviluppo. Aveva iniziato una carriera come impiegata di banca, poi ha cambiato bruscamente direzione.

Oggi, dirige il Women Environmental Programme (WEP – Programma ambientalista delle donne), un’organizzazione nonprofit, apolitica e non religiosa che affronta le istanze ambientali che hanno impatto sulle vite delle donne stesse. Su tutte: il cambiamento climatico.

Come sei passata dalla banca all’attivismo ecologista?

Avevo la sensazione che qualcosa mancasse – sentivo il bisogno di trovare un lavoro che fosse più stimolante e che mi permettesse di tornare qualcosa alla comunità. Questa sensazione mi spinse ad avventurarmi all’esterno e cominciai a seguire corsi di studio sull’ambiente. Era una cosa completamente diversa, più complessa, più scientifica. Ma volevo una sfida. Volevo un lavoro che ispirasse la mia passione.

Nel 1997, due giornaliste ed io scoprimmo che le industrie tessili nello stato di Kaduna scaricavano rifiuti direttamente nell’ambiente. La maggior parte di essi finiva nel fiume Kaduna, sulle cui rive agricoltori poveri, in grande misura donne, stavano coltivando ortaggi. Cominciavano ad avere malattie della pelle e ne davano colpa alla stregoneria. Coinvolgemmo scienziati che presero campioni, effettuarono esami e scoprirono che tutto nell’area era diventato tossico. Alla fine portammo le industrie in tribunale – per me, fu l’inizio dell’attivismo. Nel 1998 diventammo il Women Environmental Programme, la prima organizzazione femminile nel nord del paese ad entrare nell’ambito dell’ambientalismo.

Perché hai scelto di concentrarti sul cambiamento climatico?

Il nostro programma è attivo in cinque aree tematiche: ambiente, amministrazione, cambiamento climatico, pace e trasformazione del conflitto. Le istanze di genere sono al centro di ogni cosa che facciamo. Includerle è cruciale se i programmi di sviluppo vogliono essere rilevanti e sostenibili.

Il cambiamento climatico è una delle istanze più urgenti della nostra epoca e ha già avuto impatto sulla Nigeria. Lo sconfinamento dei deserti cresce a un tasso sorprendente, il che ha generato crescenti tensioni sulla proprietà terriera, incluse lotte fra gli agricoltori e i pastori nomadi. Questi scontri hanno anche peggiorato le divisioni etniche. Siccità prolungate, ondate di calore e vento hanno interessato il nord, la nostra regione che produce cibo. Il lago Chad, uno dei laghi più grandi del mondo, che in passato forniva acqua e sosteneva le comunità di pescatori, si è ridotto del 95%. Le persone, specialmente le donne, sono state costrette a migrare, il che comporta ulteriori difficoltà. Nei campi per le persone sfollate le donne sono frequentemente molestate e persino stuprate. I fiumi si sono seccati e ciò significa che le donne devono viaggiare per chilometri cercando acqua.

I cambiamenti climatici sono duri di per sé, ma amplificano anche problemi e diseguaglianze che già esistono – inclusa la diseguaglianza di genere. Storicamente le donne hanno avuto minor accesso alle risorse, minor potere nella sfera decisionale: questo ci rende maggiormente vulnerabili ai rischi di estremi eventi climatici. E’ importante rendere il genere centrale nelle strategia di adattamento al clima nel mentre si lavora per migliorare la resilienza ai suoi impatti.

Come si concretizza questo nel lavoro di WEP?

Nella regione in cui lavoriamo, le agricoltrici non avevano la capacità di conservare grandi quantità di raccolti deperibili come i pomodori, i peperoni e altri vegetali. Circa tre mesi fa, siamo state in grado di installare una tenda essiccatrice solare, con tutti i materiali relativi ottenuti localmente. Abbiamo anche lavorato con la comunità, di modo che le donne fossero in grado di effettuare l’essiccazione da loro stesse, il che ha reso l’operazione sostenibile.

Nella comunità si sono formate cooperative per dare turnazione al lavoro. Risultati e testimonianze sono stati straordinari. Meno cibo va sprecato, le sostanze nutritive sono preservate e le agricoltrici possono vendere i prodotti essiccati, il che migliora le loro entrate. Noi abbiamo finanziato questo progetto da sole, come esperimento, ma ovviamente una sola tenda non è sufficiente. Stiamo cercando modi di ampliare la scala dell’intervento, non solo all’interno di questa comunità: abbiamo richieste da moltissime altre.

I ministri dell’agricoltura ne sono rimasti impressionati, ma si sa quanto i governi possano essere lenti ad agire. Stiamo cercando partner che sostengano più interventi di questo tipo.

Tu hai scritto saggi di alto livello accademico sul tuo lavoro e hai partecipato a incontri internazionali sul cambiamento climatico. Ma hai anche detto “il mio vero lavoro è sul campo”. Cosa intendevi?

Quando agiamo globalmente, dobbiamo tradurre quel che facciamo nel contesto locale. Noi lo stiamo facendo – e non solo in Nigeria. Abbiamo uffici Burkina Faso, Togo, Tunisia. Quando ascolto le voci delle donne locali, le donne comuni, donne che sono toccate ogni giorno dal cambiamento climatico e dal come prendersi cura delle proprie famiglie, ne sono ispirata.

Proprio in questo momento, WEP sta lavorando con organizzazioni locali che non avevano mai visto un finanziamento di 1.000 dollari (Ndt. 890 euro) in vita loro. Quando le sostieni, i risultati in quel che fanno sono eccezionali. Non si può sottolineare abbastanza la felicità e l’impegno che questi gruppi a livello di base portano a bordo. Quando ascolto le loro storie, sono spinta a fare di più.

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Oggi siamo in piazza con Fridays For Future in 160 città italiane. Il cambiamento climatico dev’essere affrontato ora o in tempi assai brevi non avremo proprio l’occasione di affrontare nient’altro.

water

L’immagine che vedete è dell’artista e reporter Aïda Muluneh. Fa parte della sua ultima serie “Water Life”, attualmente in mostra a Londra e realizzata su richiesta dell’ong WaterAid.

L’acqua è il primo elemento tramite cui possiamo avvertire gli effetti del cambiamento climatico. Le temperature più alte e le conseguenti condizioni meteorologiche insolite e imprevedibili sono causa di siccità, alluvioni, scioglimento dei ghiacciai, deterioramento o scomparsa delle fonti d’acqua potabile e così via.

Per quelli che “il clima no perché viene prima la lotta di classe”: a soffrire principalmente di questa situazione sono le comunità più povere. A livello globale una persona su dieci non ha accesso ad acqua pulita e indovinate pure di che classe sociale fa parte.

Per quelli che “non c’è nesso fra migrazione e clima”: da queste comunità senz’acqua, impossibilitate a lavorare e vivere, le persone fuggono. O pretendiamo che restino a morire di sete e di malattia in silenzio, così non ci disturbano?

Per quelli che “cosa c’entra il femminismo”: l’accesso all’acqua potabile pesa sulle spalle delle donne in tutte le regioni devastate e impoverite del mondo. Il cambiamento climatico le costringe a percorrere distanze incredibilmente lunghe per trovare acqua, tragitti durante i quali sono spesso vittime di violenze sessuali. Le bambine non vanno a scuola per aiutare le madri a raccogliere acqua, le ragazze vieppiù non ci vanno quando hanno le mestruazioni. Vi basta?

In Etiopia, che è il paese di origine di Aïda Muluneh, ogni fottuta ora muoiono quattro bambini per malattie collegate alla scarsità e all’inquinamento dell’acqua. E poi la gioventù nostrana che manifesta oggi starebbe inscenando “una bigiata di massa”? Sig. Salvini, non ci sono bambini solo sui suoi palcoscenici, sa.

Maria G. Di Rienzo

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want you to panic

L’installazione che vedete sopra è dell’artista Sophie Thomas. Su ambo i pannelli campeggia in rosso la frase di Greta Thunberg “Voglio che andiate in panico” e sullo sfondo si intrecciano i commenti sul cambiamento climatico di “scettici” famosi.

“Facendo le mie ricerche per creare il pezzo – ha detto Sophie alla stampa – ho esaminato alcune delle voci che durante il passato decennio abbiamo udito negare il cambiamento climatico in modo assai chiassoso: sono molto maschili.”

Attualmente l’opera fa parte della mostra organizzata a Londra presso Protein Studios dal gruppo ambientalista “Do The Green Thing” (“Fai la cosa verde”) ed è costruita sulla loro convinzione che “il cambiamento climatico sia una crisi creata dall’uomo in ogni senso, con la cultura dominata dagli uomini che alimenta i comportamenti dannosi mentre donne e bambine ne pagano sproporzionatamente il prezzo”.

“Il cambiamento climatico è sessista: colpisce molto di più le donne e le bambine proprio perché esse sono già marginalizzate nelle nostre società. – ha spiegato Ashley Johnson, membro di “Do The Green Thing” – Ci sono conseguenze di genere, ci sono cause di genere e ci sono soluzioni di genere. Volevamo esplorare questa idea e offrire all’arte una possibilità di rispondervi.”

Perché è presto detto:

* Le Nazioni Unite hanno calcolato che l’80% degli sfollati durante disastri climatici sono donne, tuttavia le donne sono una minoranza in ogni commissione del maggior gruppo decisionale NU sul clima, la Framework Convention on Climate Change. “Le donne spesso non sono affatto coinvolte nelle decisioni sulle risposte al cambiamento climatico, – ha detto alla BBC la scienziata ambientalista Diana Liverman – così il denaro relativo arriva agli uomini piuttosto che alle donne.”

E in effetti le iniziative guidate dalle donne su base comunitaria di frequente non ottengono finanziamenti perché i loro progetti sono considerati non abbastanza “grandi”: nonostante le piccole coltivatrici abbiano dimostrato che quando è garantito loro l’accesso allo stesso credito e alla stessa attrezzatura forniti agli uomini sono in grado di coltivare il 20/30% in più di cibo sullo stesso ammontare di terreno e di tagliare le emissioni di due milioni di tonnellate entro il 2050.

* Le donne muoiono in disastri “naturali” 14 volte di più degli uomini per una serie di cause legate al sessismo: ad esempio non ricevono gli avvisi e gli allarmi, giacché le informazioni sono sovente trasmesse da uomini ad altri uomini in spazi pubblici, mentre le donne sono a casa (dove la “cultura” e le “tradizioni” le vogliono), oppure non hanno imparato a nuotare non per propria volontà, ma perché sarebbe stato indecoroso per una femmina il farlo.

* Mano a mano che siccità e stagioni secche aumentano e fonti di acqua potabile scompaiono o si esauriscono, sono le donne delle comunità rurali che sono costrette a percorrere lunghe distanze per fornire acqua alle loro famiglie, mettendo a rischio la loro incolumità e la loro salute.

* Poiché le donne sono anche la maggioranza dei poveri al mondo, è per esse più difficile riprendersi dopo un disastro: sono quelle che hanno più possibilità di non riavere i propri impieghi, sono sovraccariche di responsabilità domestiche e la situazione le rende maggiormente vulnerabili a forme di schiavitù sessuale e sfruttamento.

“In un mondo patriarcale – dicono le donne di “Do The Green Thing” – il cambiamento climatico semplicemente ingigantisce le diseguaglianze esistenti nella nostra società.”

Maria G. Di Rienzo

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nonna e juliet

Juliet Acom (in immagine a destra, con la nonna), ugandese, è la fondatrice e presidente di R.E.S.T.O.R.E, un centro che risponde alle emergenze create nelle comunità dall’anemia falciforme e fornisce assistenza alle persone che vivono con questa condizione e a chi si prende cura di loro.

Fra le proprie passioni cita i diritti umani, la risoluzione dei conflitti, la sicurezza alimentare, la tutela dell’ambiente, l’istruzione: sono istanze, spiega, di cui discuteva con sua nonna da bambina. L’istruzione informale, sostiene Juliet, è vera e propria ricchezza: “Le lezioni che la mia nonna analfabeta mi ha impartito mi hanno permesso di dar forza alle donne e alle comunità e di contribuire agli obiettivi internazionali di sviluppo.”

Ecco alcuni esempi di “nonnesca” saggezza che anche noi potremmo trovare utili:

– Conservazione dell’ambiente: Quando mangi un frutto da un albero che cresce abbastanza grande da fare ombra, porta il seme con te. Quando giungi in un posto privo di alberi simili, mettilo nella terra così che persone e animali possano avere gli stessi frutti e la stessa ombra. (Ancora oggi Juliet viaggia con le tasche piene di semi.)

– Cibo per tutti: Non andare mai a letto sazia mentre i tuoi vicini di casa stanno morendo di fame. Se sono troppo orgogliosi per accettare la carità, proponi loro di coltivare il tuo giardino in cambio di cibo o denaro. E mentre lavorano la tua terra, unisciti a loro.

– Acqua e igiene: Non scaricare immondizia e non urinare nei pressi di una fonte d’acqua. Se trovi immondizia accanto alla sorgente non vergognarti di raccoglierla e di portarla altrove. E quando vieni a sapere di attività comunitarie per pulire il villaggio, sii la prima ad arrivare al punto di ritrovo.

– Risoluzione dei conflitti: Non prendere mai le parti di qualcuno che è chiaramente in torto – le lacrime degli oppressi sono la ragione per cui molte persone un tempo agiate hanno avuto una fine straziante. (Secondo la nonna, ottimista, i farabutti la pagano sempre: o devono rispondere della loro corruzione o si beccano ogni sorta di terribili disgrazie.)

– Sviluppo comunitario: Non sei stata benedetta con la conoscenza, l’abilità o le risorse per tenere tutto questo in magazzino. L’altruista condivide queste benedizioni con coloro che sono meno fortunati. Se condividi, il tuo cuore sarà sempre disposto alla felicità.

– Potenziamento economico femminile: Buon cibo, begli abiti, gioielli, un marito ricco? Ok, tutto questo può andar bene per una donna, ma per farcela nella vita, una donna deve leggere libri, imparare un mestiere, risparmiare soldi e unirsi a gruppi di risparmiatori e, soprattutto, ascoltare sua nonna!

Maria G. Di Rienzo

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(brano tratto da: “The Season of the Witch – Max Dashu On Why We Sexualize, Trivialize, and Fear the Witch”, di Jocelyn Macdonald per AfterEllen, 31 ottobre 2018, trad. e adattamento Maria G. Di Rienzo. Max Dashu, in immagine sotto, è scrittrice, ricercatrice, esperta di storia delle donne e fondatrice dei Suppressed Histories Archives – Archivi delle Storie Occultate.)

max dashu

AfterEllen: Nella cultura popolare abbiamo una concezione delle streghe come esseri brutti e ributtanti che operano magia malvagia per maledire o ingannare la brava gente. Vorrei discutere da dove viene questa idea.

Max Dashu: C’è una vasta e complessa storia culturale su questo. Siamo al termine di un lungo processo di demonizzazione delle streghe. La maggior parte delle persone hanno sentito parlare della caccia alle streghe, ma sempre per la maggior parte non sanno di che si trattasse, com’era, quanto è durata. La tendenza, negli Usa, è pensare alla caccia alle streghe di Salem – è la forma più famosa e si è situata molto tardi sullo spettro dell’intero processo, infatti le streghe non erano più bruciate sul rogo. Le persone che sono state perseguitate furono impiccate. Ma la cosa è andata avanti per più di 1.000 anni.

E’ una storia difficile da tracciare, perché non sempre ci stiamo occupando di periodi storici ben documentati. Non sempre ci sono registrazioni dei processi nel primo Medioevo. Ma abbiamo indicazioni su questo lungo arco di persecuzioni nelle menzioni di cronisti in vari posti e nelle leggi di diversi paesi, in particolare in Europa occidentale dopo la caduta dell’Impero Romano.

A noi tutti è stato insegnato che l’Europa si convertì al cristianesimo e che dopo erano tutti cristiani, e la cosa è più complicata di così. C’è tutta questa cultura pagana – nei calendari, nelle feste, nei nomi dati ai luoghi e nelle terre che li attorniano, le usanze, la religione degli antenati, consuetudini riguardanti la guarigione, la divinazione e modi in cui risolvere i problemi – che cade nell’ambito della strega. Noi vediamo un processo di demonizzazione delle streghe. Nel periodo coperto dal mio libro “Witches and Pagans” (ndt. l’inizio del Medioevo), si nota che la gente guardava ancora alle streghe come guaritrici. Ci sono preti che sgridano le persone perché sono andate a farsi curare dalla strega e non in chiesa. “Non devi fare questo, è malvagio, è opera del demonio.”, ma la gente aveva una tradizione di vecchia data di medicina erboristica, magia cerimoniale, cicli stagionali.

AE: Quindi com’era la stregoneria nell’anno 1.000, mille anni prima della nostra era?

Max Dashu: C’è questo passaggio dove si descrivono le persone che portano offerte a rocce e alberi e alla primavera e in anglosassone dice “swa wiccan taeca∂”, cioè “come insegna la strega”. Perciò abbiamo un interessante pezzo di informazione, qui. Lo scritto era un libro penitenziale: stava tentando di indurre le persone ad astenersi da questa spiritualità basata sulla Terra, ma mostra cosa stavano facendo e mostra che ciò non aveva nulla a che vedere con l’adorazione del diavolo. La gente di solito apprende che le streghe erano adoratrici del diavolo e questa è la demonizzazione di tali donne sagge. Ma in realtà, quel che vediamo nella descrizione è che stanno praticando la venerazione della terra, la venerazione dell’acqua – molto simile al popolare “l’acqua è vita”. Ci sono molti rimproveri che dicono non portate offerte, non accendete luci davanti alla fontana, non fate queste cose. Perché la gente amava le acque. Le trattava con reverenza. Dunque, in quel periodo, la parola “strega” è riferita a qualcuna che è un’insegnante spirituale.

La strega è una consigliera. La chiesa non voleva questo perché voleva avere una religione centrata attorno al concetto patriarcale di dio e questo non comprendeva la Natura. Le cerimonie connesse alla Natura erano minacciose, perciò demonizzarono la strega. (…)

Quando vediamo che le donne erano guaritrici, erboriste, levatrici, oracoli – per esempio in Scandinavia c’è una consistente documentazione sulle sacerdotesse sciamane dette “donne del bordone” per via del bastone cerimoniale che usavano – l’idea che una donna possa essere una leader spirituale non è così inusuale. Se guardi la cosa in una prospettiva globale, vedrai sciamane su tutto il pianeta. Persino il cristianesimo degli inizi aveva profetesse. La persecuzione delle streghe divenne un modo conveniente per sopprimere il potere femminile. Ciò è ancora con noi nell’archetipo della strega: la donna potente è una donna cattiva, la donna anziana è una donna cattiva e l’idea che la strega fosse collegata al male è parte del più vasto spostamento da immagini positive delle donne all’idea che il potere femminile sia una minaccia per la società.

AE: Alle donne fu data la caccia, furono processate e bruciate, ma stante i grandi numeri non potevano essere tutte streghe (ndt. nel senso suggerito da Dashu). Un gran numero di donne anziane, non sposate, ribelli, possono essere state accusate di stregoneria anche non conducevano rituali.

Max Dashu: Nel primo periodo vedi che quelle accusate erano in qualche modo coinvolte nell’erboristeria o nei rituali, ma con il passar del tempo le accuse ebbero più a che fare con la politica sessuale. (…) C’è questa pornografia diabolica che sorge nelle camere di tortura e sostiene che la strega fa sesso con il diavolo. Ciò che le donne torturate sono costrette a fare per ottenere la fine dei tormenti è ripetere ai torturatori le loro fantasie. Questo ha avuto un grosso impatto sulla cultura europea e su come la sessualità è incorniciata da tropi quali tortura, catene, bavagli, donne legate. Le cosiddette confessioni che le donne erano costrette a ripetere per far finire la tortura erano lette pubblicamente prima dell’esecuzione. Alle donne era data questa scelta: “Non ti bruceremo viva, ti strangoleremo prima se accetti di leggere la tua ammissione di colpa davanti alla gente”. Perciò la gente che andava avidamente a guardare le esecuzioni puntava il dito e diceva: “Oh, ha fatto davvero quelle cose, lo ammette”. La credenza in tali cose comincia così a diffondersi. E’ come un meme tossico che si propaga dalla cultura ed è un meme del capro espiatorio.

In una società oppressiva, ove per esempio le rivolte contadine sono tutte soffocate con un bel po’ di forza, gli oppressi non hanno modo di prendersela con i loro oppressori perciò cercare un capro espiatorio suona bene per molta gente. Le streghe sono un gruppo, poi ci sono gli ebrei, i rom e altri. Tutti e tre i gruppi furono accusati di omicidi rituali. La diffamazione sanguinosa, l’idea che le streghe uccidono i bambini. Cominciò con i preti che accusavano le erboriste di dare alle donne pozioni contraccettive. I preti dicevano che questo era omicidio. Stai uccidendo bambini, perché fai “bere sterilità” alle donne. (ndt. ho scelto di evidenziarlo perché mi ricorda i discorsi del “progressista” papa in carica)

Noi vediamo quanto è facile credere per le persone frustrate e arrabbiate che vogliono qualcuno da incolpare. E’ un mezzo assai efficace per schiacciare la resistenza all’oppressione. E’ molto più facile dar la caccia alle donne che a potenti signori armati.

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Giove sorge sulle acque

giove con maggiori lune

(“Fish Swim the Moon” – “Un pesce nuota nella luna”, di Rasma Haidri, poeta contemporanea. Di origini indiane, nata negli Usa, ora vive in Norvegia: “Una volta, mi hanno sfidata con la domanda Perché scrivi poesia? Io ho risposto che ogni poesia è una piccola ricerca per trovare la mia strada verso casa.” Trad. Maria G. Di Rienzo.)

La luna sorge di color arancio,

fili di nuvola nera circondano

la sua pancia gravida.

Mia figlia ha disegnato Giove

in questo modo, usando trentasette sfumature di rosso,

ha tracciato ogni anello uno sopra l’altro

ha piazzato in orbita ogni luna gialla. L’insegnante

ha scritto In ritardo! in cima al foglio.

Nulla è mai in ritardo.

Non i rintocchi di questo carillon.

Non questo rifiuto portato in giro dal vento.

Non questo Giove che sorge su acque nere,

dove un pesce nuota nella luna,

e noi camminiamo senza annegare.

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Fuori dall’acqua

(“Out of water”, di Jasmine Cui – in immagine -, trad. Maria G. Di Rienzo. Jasmine ha scritto questo pezzo nel 2016, quando aveva 17 anni. Studia scienze politiche, economia e violino. E’ inoltre la co-editrice della rivista Ellis Review.)

jasmine cui

FUORI DALL’ACQUA

Un uomo non è un pesce, ma noi siamo scappati

su una barca che era più adatta a pescare.

Il suo scafo puzzava di sale

marciume e disperazione. Là,

ho imparato a mistificare la nausea

per eccitazione. Mia madre non è

un pesce, ma il funzionario per l’immigrazione

la guarda come se fosse una trota –

debole e stupida. Le sue labbra sono uno studio

sul rallentatore, le parole ne escono a gattoni

come se lui fosse un bimbetto. Sta tentando

di parlare pescese. Mio padre non è un pesce,

ma suo padre era un carpentiere. Lo vedo

tagliare saponaria e la pelle sul suo collo

mentre impara a respirare aria

straniera attraverso i fori nella sua gola.

Io non sono un pesce, ma in terraferma dimentico

come si fa a respirare quando vedo agenti di polizia.

Portano impermeabili durante la stagione delle piogge

e sembrano pescatori. Un uomo non è un pesce,

ma il porto è la nostra mecca

dove pescivendoli offrono razza e salmone

in cambio di spiccioli e uomini bianchi mostrano

le loro avide pance chiedendo di più.

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(brano tratto da: “The women behind El Salvador’s historic environmental victory”, di Daniela Marin Platero e Laila Malik per Awid, 11 aprile 2017, trad. e adattamento Maria G. Di Rienzo.)

In un’epoca in cui le corporazioni multinazionali portano in tribunale i governi in tutto il mondo, per avere il diritto di estrarre risorse naturali a spese della terra e dei popoli che la abitano, la prospettiva di vittoria sembra a volte fievole.

Ma questo mese, in Salvador, la marea è cambiata. Prendendo una decisione che stabilisce un precedente a livello globale, il paese latino-americano ha bandito l’estrazione mineraria di metalli in tutta la nazione. Era il solo modo di fermare il progetto “El Dorado” di una compagnia canadese-australiana che intendeva cercare oro nella regione centrale del Salvador: la realizzazione del progetto – in un paese che ha risorse idriche scarse e inquinate – avrebbe messo a serio rischio di contaminazione il fiume Lempa, fonte d’acqua per il 77,5% della popolazione salvadoregna.

Il bando è il coronamento di 11 anni di proteste da parte delle comunità locali, in cui le donne sono state le principali attiviste: organizzando marce e blocchi stradali e seminari informativi hanno difeso territori e diritti umani.

carolina

Carolina Amaya (in immagine qui sopra), femminista ecologista e fondatrice del Tavolo Nazionale contro l’estrazione metallifera, dice che il bando chiuderà 25 progetti che si trovavano in fase esplorativa e annullerà i permessi di sfruttamento conferiti alla compagnia transnazionale “Commerce Group”. Amaya, Antonia Recinos – Presidente dell’Associazione per lo sviluppo socioeconomico Santa Marta (prima immagine qui sotto) e Vidalina Morales (seconda immagine qui sotto) sono tre delle donne che hanno passato anni a lottare in prima linea, ispirando e motivando centinaia di altre. Alcune, durante questa lotta, sono cadute: la loro compagna Dora Alicia Sorto, membro del Comitato Ambientalista di Cabañas, è stata uccisa nel 2009, quando era incinta di otto mesi.

antonia

vidalina

Amaya dice anche che la lista delle cose da fare rimane lunga, incluso l’assicurarsi il pagamento dei risarcimenti dalla compagnia mineraria Oceana Gold che ha distrutto ecosistemi e relative comunità, il lavorare su consultazioni popolari per stabilire comuni liberi dall’attività estrattiva, il rafforzare l’organizzazione della resistenza in vista di possibili cambi di governo e il premere per l’approvazione di protezioni legali quali la legge sull’acqua e la ratificazione di impegni presi per sostenere la protezione di assetti naturali.

Vidalina Morales aggiunge che il sentiero per andare avanti è molto chiaro: “Noi siamo le legittime proprietarie dei nostri territori e dei nostri corpi. Non possiamo continuare a vivere senza proteggere e accudire i nostri beni comuni. Dobbiamo intensificare gli impegni organizzativi a ogni livello e lavorare alla costruzione e alla difesa di progetti alternativi.”

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Molto probabilmente, ormai avrete sentito parlare dei mesi di resistenza all’oleodotto (Dakota Access Pipeline) da parte della tribù Sioux Standing Rock, fiancheggiata da membri di circa 100 altri gruppi nativi statunitensi e canadesi. L’oleodotto attraverserebbe i fiumi Mississippi e Missouri e il lago Oahe con circa mezzo milione di barili al giorno. Il Missouri è la fonte principale di acqua potabile per la gente di Standing Rock.

La risposta a questa resistenza nonviolenta, fatta di presenza, preghiere e cerimonie tradizionali, si è rapidamente militarizzata e gli attacchi ai dimostranti sono diventati molto duri. Tuttavia, le donne hanno dato inizio alla protesta, e le donne sono ancora lì.

Emily Arasim e Osprey Orielle Lake di WECAN – Women’s Earth and Climate Action Network, hanno intervistato e fotografato 15 di queste leader, per EcoWatch, il 29 ottobre scorso. Ecco i loro volti e alcune delle loro parole. (Trad. e adattamento Maria G. Di Rienzo)

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LADONNA BRAVE BULL ALLARD

(Standing Rock Sioux di Fort Yates, North Dakota; fondatrice del Campo delle Pietre Sacre.)

In primo luogo e principalmente siamo protettrici dell’acqua, siamo donne che si ergono perché l’acqua è donna e noi dobbiamo stare al suo fianco. Se vogliamo vivere come esseri umani dobbiamo avere acqua, senza acqua moriamo. Perciò quel che facciamo è restare qui, in preghiera, in disobbedienza civile. Lo facciamo con gentilezza, ma resistiamo.

L’abuso nei confronti delle donne è ben noto nella storia americana, nella storia del mondo: e questo ti dice molto di quel che sta accadendo alla nostra Terra. Se rispetti le donne, rispetti la Terra e rispetti l’acqua.

jaslyn

JASLYN CHARGER

(Cheyenne River Sioux di Eagle Butte, South Dakota; fondatrice del Consiglio Internazionale della Gioventù Indigena.)

Sento la sofferenza di quel che il governo sta facendo alla nostra Madre Terra. La stanno violando, in tutto il mondo le aprono il ventre e tirano fuori i suoi intestini e questo non è giusto. Noi come donne possiamo sentire il suo dolore, siamo connesse a lei. Possiamo sentire le sue grida anche se non ha una voce, la vediamo.

Se avete paura, trovate coraggio, perché c’è qualcuno là fuori che ha bisogno di voi, c’è qualcuno là fuori il cui futuro dipende da voi, e questo è tutto quello che dobbiamo ricordare a noi stesse: perché dobbiamo trovare forza nel nostro dolore, perché non importa quel che ci fanno, se ci lanciano addosso i cani, se ci schiacciano, se ci picchiano a morte – noi continueremo a essere qui.

champa

CHAMPA SEYBOYE

(Spirit Lake Sioux che vive a Mandan, North Dakota)

Sono qui per dar sostegno all’acqua pulita, a Madre Terra. Ho una figlia e sono qui con mia nonna, i miei zii, le mie sorelle e quel che spero di ottenere è più consapevolezza sulla necessità di avere acqua pulita, è un nostro diritto. Tutti abbiamo diritto ad acqua pulita, non dovremmo essere costretti a lottare con le unghie e con i denti costantemente per avere qualcosa che Madre Terra ci provvede.

kandi

KANDI MOSSETT

(Mandan, Hidatsa, Arikara di New Town, North Dakota)

Voglio aiutare a fermare quest’avida industria petrolifera; l’oleodotto misura 11.000 miglia di lunghezza (oltre 17.700 chilometri, ndt.) e sta danneggiando tutti lungo il corridoio d’acqua sino al Golfo del Messico. Immediatamente, in questa zona, avremo milioni di persone che soffriranno un impatto diretto: non si tratta solo di noi ma di chiunque viva lungo i corsi d’acqua. Questo paese ha detto di voler ridurre le emissioni, be’ se il Dakota Access Pipeline viene costruito produrrà emissioni annue equivalenti a quelle di 30 centrali a carbone.

phyllis

PHYLLIS YOUNG

(Standing Rock Sioux)

Io sono la “Donna che si erge accanto all’acqua” e l’altro mio nome è “Donna che ama l’acqua”. La mia gente mi ha dato questi nomi perché proteggere l’acqua è la lotta della mia vita. Io sono cresciuta accanto a questo fiume: quando avevo 10 anni ci hanno fatto spostare e reinsediare altrove e i miei nonni non sono mai stati compensati per la terra che avevano perso. Sono tornata qui, sto vivendo di nuovo lungo il fiume e sto dicendo all’esercito delle corporazioni: “Non mi farete spostare di nuovo. Non mi metterete in un posto a cui non appartengo.”

Noi non vogliamo oleodotti. Non vogliamo petrolio lungo il nostro fiume e attraverso la nostra terra. Vogliamo energie alternative – il sole è nostro fratello. Il sole è il nostro mondo naturale e dobbiamo utilizzare le energie solari e naturali: probabilmente il mondo capitalista sarà devastato da questo, ma è così che dev’essere. Non si tratta solo di noi. Si tratta del mondo intero. Si tratta di Madre Terra che ha sopportato e sofferto così a lungo: ora ha bisogno del nostro aiuto e della nostra protezione.

lauren

LAUREN HOWLAND

(Jicarilla Apache di Dulce, New Mexico; membro del Consiglio Internazionale della Gioventù Indigena)

Sono qui per difendere l’acqua. Sono qui per lottare per i miei figli e i figli dei miei figli – per le generazioni a venire. Sono qui per proteggere queste persone tutt’intorno a noi, questa terra, questa terra sacra.

shrise

SHRISE WADSWORTH

(Hopi del Bear Strap Clan, Shungopavi Village, Second Mesa, Arizona)

Sono qui per mostrare il mio sostegno ai miei fratelli e sorelle, e per accendere ispirazione e motivazione nella mia generazione, affinché esca allo scoperto e abbracci la propria eredità, affinché ognuno di loro abbracci chi è come persona, per mostrare alla mia comunità che anch’essa ha una voce e che tale voce è udita.

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JOYE BRAUN

(Cheyenne River Sioux di Eagle Butte, South Dakota – rappresentante dell’Indigenous Environmental Network e organizzatrice della protesta.)

Mentre stavamo protestando mia figlia ebbe un grave attacco epilettico. Quando venne al campo dopo l’accaduto ci disse cosa aveva visto: serpenti neri che attraversavano la terra e quando a uno era mozzato il capo ne spuntava subito fuori un altro. Disse che le donne si sarebbero fatte avanti in questa lotta, che le donne sarebbero state in prima linea con i loro scialli rossi – e vedete, è quanto sta accadendo ora qui. Dobbiamo essere pronte a lottare e pronte a portare altrove tutto quanto impariamo e insegniamo.

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MICHELLE COOK

(Diné del Walk Around Clan, Oak Springs, Arizona – consigliera legale di Standing Rock)

Stiamo lottando contro l’oleodotto, ma stiamo lottando anche contro l’intero sistema della violenza. L’intero sistema che ci ha chiamati selvaggi, che ha negato la nostra umanità e noi stiamo rispondendo creando una comunità che ha i suoi propri valori. Una comunità che rispetta le donne. Che dà la priorità ai bambini. Che insegnerà ai bambini la conoscenza tradizionale della vita, e questa conoscenza darà vita a loro.

tara

TARA HOUSKA

(Ojibwe, Couchiching First Nation di International Falls, Minnesota; direttrice nazionale della campagna “Onora la Terra”.)

Quando è troppo è troppo. I popoli indigeni sono stati presi a bersaglio per troppo a lungo e abbiamo dovuto dar via tutto. Siamo stati bersagliati per le nostre terre, per i nostri figli, per le nostre lingue, per la nostra cultura e quel poco che ci resta ora è minacciato dalla contaminazione e dalle distruzione. Ho la speranza che quando fermeremo questo progetto ci sarà un momento in cui la gente capirà che le nazioni indigene sono qui, sovrane, e che non tollereremo più la conversazione così com’è oggi.

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ERYN WISE

(Jicarilla Apache e Laguna Pueblo, New Mexico; membro del Consiglio Internazionale della Gioventù Indigena e coordinatrice media)

Ho fatto un sogno, circa due mesi prima di venire qui: c’era la mia nonna, che è morta, e mi chiedeva un bicchier d’acqua. Quando glielo portavo era pieno di terriccio e petrolio. E lei continuava a tentare di bere da quel bicchiere e io diventavo disperata perché volevo darle dell’acqua e non riuscivo a trovarla. Se non facciamo qualcosa per proteggere l’acqua, allora non ne avremo più.

winona

WINONA KASTO

(Cheyenne River Sioux, cuoca del Campo di Oceti Sakowin)

Sono una cuoca tradizionale per la gente Lakota, cucino da circa trent’anni. E’ sempre stato importante per me esserci, esserci per le persone, le persone che dobbiamo nutrire affinché restino forti, così potranno restare qui e fare il lavoro che stanno facendo per tutti noi.

morning-star

MORNING STAR GALI

(Achomawi Band di Pitt River, California del nordest)

Eccoci qui, a difendere in prima linea, con le donne che tengono questa linea… con una donna che sta fronteggiando accuse di reato, solo perché è stata qui con i suoi bambini, che sono rimasti al campo. Tutte noi siamo qui per le generazioni future, affinché abbiano acqua pulita.

leanne

LEANNE GUY

(Diné, da Navajo, New Mexico; direttrice esecutiva della Southwest Indigenous Women’s Coalition)

Come donne, noi siamo datrici di vita e abbiamo un forte legame con la Madre Terra. La violenza contro di lei è violenza contro le donne. E questa è una parte della nostra lotta: tentare di fermare la violenza, la violenza sessuale e domestica, e la violenza contro l’acqua, contro le nostre terre, contro di noi come popoli.

deezbaa

DEEZBAA O’HARE

(Diné/irlandese/svedese che risiede a Oakland, California)

Come popoli indigeni noi sappiamo che l’acqua è vita, sappiamo di venire dall’acqua, sappiamo che l’acqua è l’ambiente primario e le donne la portano. Noi portiamo l’acqua dentro noi stesse. Dobbiamo ascoltare il nostro nucleo centrale, il nostro nucleo centrale di responsabilità come umanità, onoriamo noi stessi, onoriamoci l’un l’altro, prendiamoci cura di noi stessi come del mondo attorno a noi. Questa è una preghiera che è stata creata qui e non è solo per la nostra generazione, è per le prossime, e perciò la portiamo con noi, la portiamo avanti per la guarigione e il benessere della Terra. E non dobbiamo fare questo da soli. È tempo che gente di tutte le nazioni si risvegli e ascolti l’acqua. L’acqua è vita.

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