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Posts Tagged ‘solidarietà’

Brujas

In Messico, le misure di quarantena per il coronavirus hanno avuto lo stesso impatto sulle donne che si è verificato ovunque: aumento dei casi di violenza domestica (le denunce alla polizia registrano il 25% in più rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente), aumento del carico di responsabilità familiari, perdita del lavoro (giacché la maggioranza di coloro che operano nel settore “informale” dell’economia sono donne), eccetera. Lo stato di Veracruz, lockdown o meno, è quello con la più alta percentuale di femicidi / femminicidi: e in tale stato, sempre come sta accadendo altrove, a sostenere le donne in difficoltà sono le femministe.

Qui si chiamano Brujas del Mar (Streghe del Mare), hanno alle spalle l’organizzazione degli scioperi dell’8 marzo, durante la quarantena hanno creato una linea telefonica di soccorso per la violenza domestica, gestiscono un efficace sistema di aiuti alimentari per le donne e stanno mettendo insieme una rete per la consulenza legale gratuita alle vittime di violenza. Le Streghe sono giustamente famose in Messico e ricevono richieste di assistenza – soprattutto per trovare rifugi o denunciare perpetratori – non solo dalla loro regione.

Brujas del Mar ha avuto inizio come gruppo ristretto di quindici femministe su Facebook, per diventare nel giro di un anno una delle organizzazioni chiave per la mobilitazione, l’informazione e l’azione diretta delle donne messicane. Le Streghe si autofinanziano e raccolgono fondi vendendo bandane e portachiavi. Non devono niente a nessuno e stanno facendo un lavoro straordinario.

arussi unda

“E’ come la storia di Cenerentola. – ha detto in marzo la portavoce 32enne del gruppo, Arussi Unda (in immagine sopra) alla stampa – Tutto parte dal villaggio sperduto, dal minuscolo collettivo, dalle donne-nessuno… ma prima o poi doveva accadere. Le donne in Messico non ne possono più. Non si tratta solo dell’ovvia crisi dei femicidi, ma di tutto quel che accade ogni giorno nelle case, nelle scuole, al lavoro. Non esiste un posto sicuro per noi donne.”

Maria G. Di Rienzo

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(“Repression Against Mapuche Hortaliceras by Chilean Police Continues”, di Aljoscha Karg per Cultural Survival, 14 maggio 2020. Trad. e adattamento Maria G. Di Rienzo.)

hortaliceras temuco

Il 4 maggio scorso le misure di isolamento per prevenire la diffusione del Covid-19 sono state tolte nella città cilena di Temuco, collocata nei territori ancestrali della gente Mapuche. Quella che, in effetti, doveva essere una facilitazione affinché segmenti della popolazione potessero giornalmente guadagnarsi da vivere, si è trasformata in una violenta repressione delle forze speciali della polizia cilena contro le hortaliceras (in immagine sopra). Le hortaliceras sono donne Mapuche che per tradizione, da molte generazioni, vendono frutta e vegetali coltivati in orti domestici nelle strade di Temuco. Come dice Rosa Martínez, presidente del gruppo di hortaliceras “Folil Mapu”: “Lavoriamo per tutta la nostra vita nel centro di Temuco, come le nostre madri e le nostre nonne.”

Non è stata la prima volta in cui la polizia cilena ha impiegato violenza contro le venditrici. “La repressione continua ormai da molto tempo – racconta Martínez – ed è il sindaco di Temuco Miguel Becker (del partito di centro-destra Chile Vamos) a darne mandato. Le forze speciali ci maltrattano e ci picchiano mentre gettano i nostri ortaggi nella spazzatura. Noi vogliamo mantenere la nostra cultura, la cultura Mapuche. Siamo piccole coltivatrici, che lavorano la terra seguendo la conoscenza ancestrale. Ora la violenza è peggiorata, le forze speciali ci hanno assalite anche la settimana scorsa.”

Nel mentre il sindaco Becker nega ogni opportunità di dialogo, alcune delle hortaliceras sono paradossalmente accusate di violenza contro la polizia cilena. Allo stesso tempo, non hanno le risorse economiche per assumere avvocati o denunciare gli agenti di polizia che usano forza eccessiva. Perciò, ricapitola Martínez, “Dobbiamo continuare a resistere con quel che abbiamo. Quel che vogliamo è che il nostro lavoro non vada perduto e che la nostra cultura continui a esistere, che si capisca la necessità di una forza lavoro come le hortaliceras o come i piccoli coltivatori che producono frutta e vegetali freschi e organici, e che l’opportunità di continuare a lavorare per noi non si sta avvicinando.”

rosa

(Rosa Martínez)

Alla domanda su cosa può essere fatto per aiutare la causa delle venditrici Martínez chiarisce che le hortaliceras chiedono “sostegno, sostegno morale, sostegno nel senso di comprensione di ciò che vogliamo, nel senso di non essere lasciate sole in questa lotta e che essa è una lotta mondiale.”

Gli atti repressivi della polizia cilena sono in netto contrasto con il fatto che il Cile è firmatario sia della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani sia della Dichiarazione delle Nazioni Unite sui Diritti dei Popoli Indigeni, in special modo perché quest’ultima asserisce i diritti dei popoli indigeni di proteggere sia le loro culture sia la loro autodeterminazione.

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kindred spirits

(particolare di una fotografia di Ognyan Yosifov/Alamy)

Il monumento che vedete si trova a Midleton, in Irlanda. Si chiama “Kindred Spirits” (“Spiriti Affini”) e commemora un gesto di solidarietà compiuto dalla nazione nativa americana dei Choctaw nel 1847, durante la “grande carestia” irlandese (1845-1849).

Costoro erano i sopravvissuti del cosiddetto “sentiero delle lacrime”: avevano cioè sofferto nel 1831 la deportazione forzata dai loro territori, assieme a decine di migliaia di nativi di altre tribù, e circa 2.500 di loro erano morti di fame durante le marce forzate.

La notizia che oltre l’oceano un popolo stava soffrendo e veniva decimato dagli stenti allo stesso modo li raggiunse e li colpì al punto che raccolsero offerte per inviarle agli irlandesi: la somma fu di 170 dollari, l’equivalente di più di 5.000 dollari oggi.

Oggi, appunto, il coronavirus ha uno dei suoi peggiori focolai nelle riserve indiane degli Stati Uniti. I motivi sono ancora quelli di un tempo: la scarsità di acqua corrente e di presidi sanitari, con la conseguente presenza di malattie croniche, non sono fattori casuali o collegati in modo intrinseco all’appartenenza a un’etnia, sono i risultati di una politica di espropriazione e dominio – così come espropriazione e dominio (inglesi) inasprirono la carestia in Irlanda, che era cominciata con la distruzione dei raccolti di patate a causa della peronospora.

La nazione Navajo e quella Hopi sono fra i gruppi più duramente colpiti dalla pandemia. Ma gli irlandesi hanno buona memoria. La scorsa settimana la raccolta di fondi a favore dei nativi americani aveva oltrepassato 1 milione e ottocentomila dollari: molte migliaia di essi vengono dall’Irlanda, tanto che gli organizzatori hanno ringraziato pubblicamente il paese.

Lo ha fatto anche Gary Batton, capo della nazione Choctaw dell’Oklahoma: “La tribù è stata gratificata e forse non molto sorpresa nell’apprendere dell’assistenza che ci giunge dai nostri amici speciali, gli irlandesi. Noi siamo diventati spiriti affini con gli irlandesi sin dagli anni della grande carestia. Speriamo che i popoli d’Irlanda, Navajo e Hopi costruiscano la stessa durevole amicizia, come noi abbiamo fatto.”

Maria G. Di Rienzo

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question

(brano tratto da un intervento del 19 marzo 2020 di Teresa Anderson e Niclas Hällström, per Action Aid, su cambiamento climatico e coronavirus. Teresa Anderson è la coordinatrice delle politiche sul clima per Action Aid International, Niclas Hällström è il direttore di WhatNext?, un forum svedese sulle istanze globali sociali e ambientali. Trad. e adattamento Maria G. Di Rienzo.)

EGUAGLIANZA: I governi devono proteggere le donne, i poveri e i vulnerabili dalle crisi e dal loro impatto, dando uguale valore a ogni vita umana al di là di nazionalità, status economico, genere, etnia o età. Allo stesso modo, non è accettabile che una generazione continui a “fare come prima” sapendo di essere relativamente al sicuro, nel mentre aumenta il rischio e l’impatto per un’altra generazione.

PROTEZIONI SOCIALI: Sanità pubblica e gratuita, congedo pagato per malattia e benefici relativi alla disoccupazione per i lavoratori, nelle economie formali e informali, sono necessari in modo urgente, così che le persone non debbano scegliere se proteggere i loro mezzi di sussistenza o proteggere la società durante la pandemia.

SOLIDARIETÀ: Nessun Paese può “farcela da solo”. I governi devono lavorare insieme ed evitare di ritirarsi in approcci nazionalisti e competitivi. Le nazioni ricche devono contribuire con una giusta parte e aumentare il sostegno finanziario e tecnologico per le nazioni in cui i redditi sono più bassi. La vera solidarietà significa anche adottare e condividere soluzioni.

LA MANO INVISIBILE DEL MERCATO NON AGGIUSTERÀ QUESTE COSE:

Crisi climatica e pandemia mostrano la necessità di profondi cambiamenti di sistema. Queste emergenze rivelano le ingiustizie delle economie neo-liberiste, in cui potenti corporazioni economiche danno priorità ai profitti rispetto al bene comune e fanno tutto quel che possono per evitare di essere regolamentate.

Le risposte dei governi alla pandemia richiedono di prendere decisioni di ordine pubblico, incluse forti misure restrittive, nell’interesse dei cittadini piuttosto che dei loro finanziatori politici delle corporazioni.

NON E’ MAI TROPPO TARDI PER AGIRE: Ogni giorno che passa conta. Ogni azione che limita il danno ha valore. Anche se siamo stati più lenti a uscire dai blocchi di partenza di quanto avremmo dovuto, diamoci dentro ora. Rinunciare non è un’opzione, al di là di quanto grave la situazione possa apparire.

FATE QUEL CHE SERVE, MA NON ABUSATE DEL POTERE: Nel mentre molti governi sono stati lenti nel prendere misure severe per fermare la pandemia, i cittadini hanno chiesto misure più forti per contenere la crisi. La società ha mostrato la sua volontà di accettare svantaggi, forti interventi governativi, protezione sociale e sì, meno shopping e meno voli aerei, se ciò significa proteggere milioni di vite a rischio.

I governi devono tener conto di questo. Ma non devono abusare del loro potere, ne’ cementare misure prese durante le emergenze in limiti autoritari alla libertà dopo che la crisi è passata.

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Jung Dae Rye

La donna in immagine è Jung Dae-rye – pronuncia: giong de ri – che è stata intervistata l’11 marzo u.s. nell’ambito di un programma di intrattenimento della tv coreana. Il format prevede di solito che i conduttori girino per le strade per incontrare gente comune (a cui sottopongono quiz), ma con la crisi da coronavirus tutto ovviamente resta in studio.

Jung Dae-rye, che è un’infermiera, è apparsa in video per raccontare come stanno andando le cose a Daegu, la città attualmente più colpita dal Covid-19 in Corea del Sud. La donna ha descritto una situazione durissima: medici e paramedici fanno turni di 15-17 ore, i letti sono tutti occupati, mancano mascherine, guanti e altro materiale.

Jung Dae-rye è una volontaria. Normalmente vive e lavora a Seul, ma ha risposto alla richiesta di aiuto delle autorità locali. Le hanno chiesto perché lo ha fatto.

“E’ il mio senso del dovere: sento che, al di là delle circostanze, devo per prima cosa fare un passo avanti. Ho sempre pensato che di fronte a una crisi nazionale avrei preso l’iniziativa. Quando mi hanno domandato se sarei venuta qui non ho pensato a me stessa, ho detto di sì. A volte sono preoccupata per la mia famiglia, ma non sono ansiosa per nessun altro motivo. Spero che i pazienti guariranno in fretta e che sconfiggeremo il Covid-19. Gente da tutto il paese sta dando una mano e mandando pacchi di generi alimentari e spero che l’intera nazione attraverserà insieme questo periodo difficile.”

A questo punto conduttori e personale hanno cominciato a piangere. Non hanno saputo dire perché e Dae-rye li ha esortati a non farlo, commuovendosi un po’ ma ribadendo di non avere problemi. Poi le hanno chiesto se voleva mandare un messaggio ai suoi parenti: “Alla mia famiglia voglio dire solo che sto bene. Non c’è altro, non preoccupatevi troppo per me. Non ho niente di cui lamentarmi. I miei familiari mi mancano, ma so che se la crisi nazionale continua può diffondersi oltre frontiera. Noi infermiere siamo in prima linea, trattiamo i pazienti faccia a faccia, stiamo loro vicini e stiamo facendo del nostro meglio.”

Il motivo per cui la testimonianza di Jung Dae-rye ha suscitato il pianto non era in effetti facile da spiegare per chi si è emozionato: questa donna non è una celebrità, è una persona comune che mostra il coraggio e la resistenza e la fiducia e la capacità di vivere insieme in modo consapevole e compassionevole delle persone comuni – quando si sentono popolo, quando si giudicano umane e di valore, quando pensano di essere parte di qualcosa che è più grande di loro ma che senza la loro attiva presenza non sarebbe completo e funzionante.

L’infermiera Dae-rye e le sue simili e i suoi simili, in tutto il mondo, siamo noi. Non eroi, non “bellezza”, non speciali: veri. Versi lacrime d’amore, quando lo capisci.

Maria G. Di Rienzo

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building solidarity x awid

(Non chiediamo carità ma solidarietà.

Domandiamo di vivere in sicurezza e libertà.)

“Io immagino un mondo dove le donne si muovono liberamente e quello è il mondo che disegno.

Le mie donne hanno ripudiato tutte le idee di vergogna che erano in precedenza state attribuite dal sistema ai loro corpi e alla loro pelle.

Hanno percorso una lunga strada e infine hanno scelto di essere gloriosamente se stesse.

Hanno il completo controllo della loro mente e del loro corpo. Prendono spazio e non si scusano perché lo fanno.

Io sono circondata da queste donne ed esse alimentano la mia arte.”

Vidushi Yadav, “femminista, artista, attivista, in quest’ordine!”

(Indiana, è la giovane Autrice delle illustrazioni che vedete. La prima viene dal lavoro che Vidushi fa per Awid – Association for Women’s Rights in Development. Trad. Maria G. Di Rienzo.)

vidushi yadav

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“Lucia Borgonzoni: Discriminata perché donna. Bonaccini mi fa passare per la velina. Irrispettoso.

La replica immediata del candidato Dem: Da me nessun attacco personale. L’unica critica è che sul territorio c’è più Salvini che lei.”

La candidata della Lega si è così lamentata in televisione aggiungendo (ovviamente) “non c’è una donna del Pd a dire che è una vergogna”. La donna del Pd presente in studio, Anna Ascani, ha immediatamente espresso (altrettanto ovviamente) la sua solidarietà.

Lucia Borgonzoni ripete, forse senza neppure saperlo, la sceneggiata che a suo tempo fu di Carfagna e altre. Della lotta contro il sessismo ha capito solo che potrebbe esserle utile in campagna elettorale per sminuire i suoi avversari politici: sminuendo, nel contempo e ancora forse senza esserne consapevole, l’istanza stessa. La situazione è presentata come “questi, ma soprattutto queste, denunciano le discriminazione quando fa loro comodo, ma se è una donna di destra a subirla fanno orecchie da mercante”. Non è vero – e gli esempi al proposito possono essere rinvenuti facendo una rapida ricerca sui quotidiani, o persino nello spazio minimale del presente blog – ma in questo modo il sessismo diventa una mera carta da giocare (esattamente come lo presentano molti uomini e in particolare quelli della sua sponda) per costringere altre donne, del tutto estranee alle vicende contestate, a scusarsi.

A considerare Borgonzoni una seconda scelta o qualcuno di “minore”, invece, è proprio il suo partito: nei manifesti che pubblicizzano la sua candidatura il suo volto neppure c’è, c’è quello del signor Salvini. E qui bisognerebbe porre delle domande alla sensibile Lucia: ha protestato, lei, per le donne e per le ragazze che Salvini mette regolarmente alla gogna sui social media qualora lo contestino? Ha seguito l’ossessiva campagna di Salvini contro Laura Boldrini e l’ha stigmatizzata? Ha trovato disgustosi e sessisti gli insulti e le vere e proprie diffamazioni di cui è stata bersaglio Carola Rackete? Conosco già le risposte. Se fossero affermative, Borgonzoni non si sarebbe mai candidata con la Lega.

A questo punto, mi resta solo da dire qualcosa alle donne che, come Anna Ascani, vengono introdotte di forza nel giochino truccato dalle Lucie di turno: la solidarietà non è un precetto religioso, ne’ una prescrizione medica salvavita. Non siamo obbligate a esprimerla ove non ve ne sia necessità alcuna e non per rigore intellettuale, ma per intelligenza politica. Se Borgonzoni posa da discriminata e noi la assecondiamo, stiamo riducendo il sessismo, il maschilismo, la misoginia, il patriarcato e la violenza che tutto ciò produce alla “lagna delle donne”, stiamo togliendo profondità e senso alla lotta per l’eguaglianza e insultando quelle che dal partito di Borgonzoni hanno ricevuto veri e propri assalti.

La prossima volta, chiedete alla leghista o alla sovranista o alla neofascista che si lamenta ad arte da dove vengono le discriminazioni che le donne subiscono. Chiedete se è d’accordo con le posizioni e le proposte allucinanti dei suoi colleghi di partito o dei suoi alleati – l’ex ministro Fontana, il senatore Pillon, il vecchietto onnipresente pluripregiudicato e stramiliardario che saluta i fan perché deve andare “a puttane” – e quale che sia la sua replica chiedetele se restando con costoro crede di far avanzare o arretrare la condizione femminile nel nostro Paese.

Maria G. Di Rienzo

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(“Women calling out street harassment with chalk messages” di Haneen Al-Hassoun per CBC News, 30 agosto 2019, trad. e adattamento Maria G. Di Rienzo.)

Due donne di Ottawa stanno sfidando le molestie in strada usando i gessetti sui marciapiedi per documentare gli incidenti nel punto preciso in cui sono accaduti, con le stesse parole che sono state usate.

Natasha, 22enne, ha dato inizio a Cat Calls di Ottawa nello scorso aprile assieme a sua sorella Maya, 18enne. La CBC ha concordato con loro di usare solo i loro nomi propri giacché le due hanno ricevuto minacce tramite l’account Instagram su cui le donne sono invitate a pubblicare i loro resoconti delle molestie in strada.

Natasha trascrive poi gli insulti parola per parola sulle pavimentazioni e mette le fotografie online (con l’hashtag #StopStreetHarassment – Ferma le molestie in strada). Lei dice che i passanti sono spesso scioccati quando vedono i messaggi, perché si aspettavano qualcosa di più leggero.

“Quando ti avvicini e vedi cose che possono essere del tipo “Voglio fotterti” la cosa ti disturba notevolmente. Induce le persone a fermarsi sul loro percorso e a sentirsi a disagio e, forse, a provare le stesse sensazioni di chi è stata molestata.”

how much

(Quanto vuoi?)

Cat Calls di Ottawa fa parte di un’iniziativa globale dal nome “Chalk Back” – “Ribatti a gessetti”, a cui ha dato inizio Sophie Sandberg a New York. Ispirate dal suo esempio, Natasha e Maya ne hanno aperto una sezione locale, ora una delle circa 150 in giro per il mondo.

Natasha invita le donne che sono state molestate a unirsi a lei quando si avventura fuori con i suoi gessetti: “L’intera nostra visione di Cat Calls di Ottawa è creare un senso di solidarietà e alleanza. Perciò chi è stata molestata può venire con noi per sentire di star reclamando lo spazio in cui è accaduto.”

Natasha stessa ha subito molestie e le ha documentate: “Ti fa sentire non sicura nella tua stessa comunità. Non è una bella sensazione. Perciò, quando vai fuori e usi i gessetti ciò ti dà un modo di ribattere e di riguadagnare potere.” Natasha dice che da quando ha aperto l’account, Cat Calls di Ottawa riceve 2/3 segnalazioni al giorno. (1) Il suo scopo? Metterli via, i gessetti, e “essere certa che non vi siano più molestie in strada, a Ottawa e nel mondo intero”.

(1) Di quelle che ho visto, una mi ha colpito in modo particolare. Riguarda un uomo sui 60/70 anni che ha indirizzato queste parole a una perfetta sconosciuta: “Il tuo corpo sembra niente male per una bambina”. Chi ha ricevuto la molestia ha scritto a Cat Calls: “Sono abituata alle molestie in strada ma questa finora è la peggiore. Ho 14 anni.”

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italia donne.jpg

Giovanotte, grazie. Siete già andate oltre gli obiettivi prefissati (qualificazione agli ottavi) e oltre ogni aspettativa di riconoscimento da parte del pubblico – quale che sia il risultato finale della vostra impresa ai mondiali, il passo successivo dev’essere ottenere lo status da professioniste e le tutele relative.

Ma il motivo principale per cui vi ringrazio è che mi avete restituito le ragioni di una passione.

Da bambina giocavo, come voi avete giocato da bambine, per quanto dovessi spesso farlo da sola – era difficile essere accettate nei gruppi di maschi. Avevo il mio quadernino autoprodotto con foto di squadre e calendari e coppe e arbitri – questi ultimi nella sezione “dannati”. Memorizzavo le formazioni e gli schemi di gioco. Ovviamente guardavo i campionati europei e mondiali.

Poi, pian piano, il piacere e l’interesse si sono sbriciolati.

Cos’avevo a che fare, io, con giovani miliardari e modelle sugli spalti e scommesse e società quotate in borsa e giri astronomici di soldi? La parte “epica” della faccenda – la sfida, il legame di un gruppo teso a uno scopo comune – non esisteva già più.

Prima di questo mondiale femminile, prima di Giuliani e Bonansea e Gama ecc. e una commissaria tecnica e due donne che in Rai fanno la radiocronaca… erano trent’anni che non guardavo una partita.

Il calcio ha comunque definitivamente perso molto per me e non credo proprio che in futuro darò la minima occhiata al campionato maschile o quant’altro. Ma voi giovani donne meritavate attenzione, sostegno e gratitudine e tifo scatenato per la partita di stasera (mannaggia, non so niente delle calciatrici cinesi… vado a informarmi). Auguri, Italia!

Maria G. Di Rienzo

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nonna e juliet

Juliet Acom (in immagine a destra, con la nonna), ugandese, è la fondatrice e presidente di R.E.S.T.O.R.E, un centro che risponde alle emergenze create nelle comunità dall’anemia falciforme e fornisce assistenza alle persone che vivono con questa condizione e a chi si prende cura di loro.

Fra le proprie passioni cita i diritti umani, la risoluzione dei conflitti, la sicurezza alimentare, la tutela dell’ambiente, l’istruzione: sono istanze, spiega, di cui discuteva con sua nonna da bambina. L’istruzione informale, sostiene Juliet, è vera e propria ricchezza: “Le lezioni che la mia nonna analfabeta mi ha impartito mi hanno permesso di dar forza alle donne e alle comunità e di contribuire agli obiettivi internazionali di sviluppo.”

Ecco alcuni esempi di “nonnesca” saggezza che anche noi potremmo trovare utili:

– Conservazione dell’ambiente: Quando mangi un frutto da un albero che cresce abbastanza grande da fare ombra, porta il seme con te. Quando giungi in un posto privo di alberi simili, mettilo nella terra così che persone e animali possano avere gli stessi frutti e la stessa ombra. (Ancora oggi Juliet viaggia con le tasche piene di semi.)

– Cibo per tutti: Non andare mai a letto sazia mentre i tuoi vicini di casa stanno morendo di fame. Se sono troppo orgogliosi per accettare la carità, proponi loro di coltivare il tuo giardino in cambio di cibo o denaro. E mentre lavorano la tua terra, unisciti a loro.

– Acqua e igiene: Non scaricare immondizia e non urinare nei pressi di una fonte d’acqua. Se trovi immondizia accanto alla sorgente non vergognarti di raccoglierla e di portarla altrove. E quando vieni a sapere di attività comunitarie per pulire il villaggio, sii la prima ad arrivare al punto di ritrovo.

– Risoluzione dei conflitti: Non prendere mai le parti di qualcuno che è chiaramente in torto – le lacrime degli oppressi sono la ragione per cui molte persone un tempo agiate hanno avuto una fine straziante. (Secondo la nonna, ottimista, i farabutti la pagano sempre: o devono rispondere della loro corruzione o si beccano ogni sorta di terribili disgrazie.)

– Sviluppo comunitario: Non sei stata benedetta con la conoscenza, l’abilità o le risorse per tenere tutto questo in magazzino. L’altruista condivide queste benedizioni con coloro che sono meno fortunati. Se condividi, il tuo cuore sarà sempre disposto alla felicità.

– Potenziamento economico femminile: Buon cibo, begli abiti, gioielli, un marito ricco? Ok, tutto questo può andar bene per una donna, ma per farcela nella vita, una donna deve leggere libri, imparare un mestiere, risparmiare soldi e unirsi a gruppi di risparmiatori e, soprattutto, ascoltare sua nonna!

Maria G. Di Rienzo

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