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Con questo pezzo inauguro la rubrica “Arte Contemporanea Italiana”, perché come ripetono Salvini & Meloni siamo il Paese delle “eccellenze”, siano esse zucchine di mare o 49 milioni di stracchini, ciliegie, arrosticini e paninazzi.

Dunque, la prima opera che vi presento si intitola “Maschio dominante con fragole” e viene dalla Lombardia.

maschio dominante con fragole

Il soggetto ritratto mentre Coldiretti lo premia, proprio per la sua eccellenza, è il sig. Gugliemo Stagno D’Alcontres, la cui azienda “StraBerry” è sotto sequestro per lo sfruttamento di braccianti africani. Costoro lavoravano 9 ore al giorno alla raccolta di fragole (ma molto onestamente la direzione ne faceva figurare 6 e mezza) per un compenso orario di 4,5 euro, con insulti – coglione, negro di merda, animale – e prevaricazioni e minacce come bonus.

Il signore raffigurato sopra spiega ridendo al telefono come queste siano strategie imprenditoriali di alto livello: “Questo deve essere l’atteggiamento perché con loro devi lavorare in maniera tribale, come lavorano loro, tu devi fare il maschio dominante, è quello il concetto, io con loro sono il maschio dominante… è così… io sono il maschio dominante!

Appena c’è uno che sbaglia mandalo subito a casa, così lo vedono gli altri, capito? Non lo fare parlare, perché se lui inizia parlare anche altri sentono, se loro vedono che tu lo mandi subito da capo, gli altri hanno paura di andare da capo dopo! hai capito? (la mancanza della “l” – sarebbe “dal capo” – è dovuta al fatto che Stagno D’Alcontres mima il linguaggio da burletta attribuito agli africani dal razzismo: “sì, badrone”, per intenderci).

Il concetto da dirgli è proprio questo, se troviamo una fragola fatta male se ne vanno a fare in culo, non è che c’è il perdono, non so se mi spiego.

Stamattina appena ho visto uno che parlava dopo un secondo l’ho mandato a casa, non è che gli ho dato la seconda possibilità…”Vai a casa!” E appena vedo uno con il cellulare io lo mando a casa! E’ il terrore di rispettare le regole!”

Ricordate per caso Antonio Calabrò, vicepresidente di Assolombarda?

https://lunanuvola.wordpress.com/2020/04/23/due-tormentoni/

Così egli ci ammoniva nell’aprile scorso (e ha continuato ad ammonirci ossessivamente anche dopo): “Un punto dev’essere fermo, nella coscienza generale: la ricchezza, il lavoro, il benessere sono frutto dell’attività d’impresa.”

Detesto le frasi monche e mal costruite. Enunciamo questa correttamente:

“Un punto dev’essere fermo, nella coscienza generale: la ricchezza e il benessere dell’imprenditore sono frutto dell’attività d’impresa condotta tramite il terrore; il lavoro per giungere a questo risultato lo fate voi poveracci: sottopagati, sfruttati, umiliati e cacciati a calci nel didietro se osate fare un pausa per bere o scambiate una parola con il vicino di filare.” (Non cito a caso, diversi braccianti hanno testimoniato esattamente quel che ho scritto.)

Maria G. Di Rienzo

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(tratto da: “The Double X Economy by Linda Scott review – the need to empower women”, di Gaby Hinsliff per The Guardian, 18 giugno 2020, trad. Maria G. Di Rienzo. Il libro di cui si tratta è edito da Faber.)

Linda Scott

Il nuovo libro di Scott (in immagine), The Double X Economy, ruota attorno all’ormai relativamente nota idea che al fianco di quella che è vista come l’economia principale si svolga un’economia ombra di lavoro fatto dalle donne, penalizzate dai limiti sociali posti per esse e dalle barriere erette contro la loro partecipazione, e che potenziare coloro che vi sono intrappolate sarebbe di più largo beneficio per la società intera.

Ciò che lei porta a questo argomento un po’ usurato è una prospettiva globale, attingendo ad aneddoti spesso affascinanti sui villaggi africani e del Bangladesh in cui ha lavorato, ma anche un’entusiasmante presa di posizione contro il biasimare le donne per cose di cui non hanno colpa.

Cercare costantemente modi in cui le donne possano essere “aggiustate”, in modo che finalmente guadagnino gli stessi benefici economici degli uomini è, argomenta lei, mancare di vedere che sono spesso gli uomini – o più specificatamente le dinamiche che certe volte sorgono da gruppi di uomini – che hanno necessità di essere aggiustate.

“Le donne sono pagate meno non perché siano meno istruite, meno motivate, meno ambiziose, meno propense a chiedere più soldi, più deboli, più codarde, più pigre, destinate a essere madri che stanno a casa, o qualsiasi altra delle centinaia di scuse sputate fuori dalla cultura popolare che biasimano le donne. – è uno dei passi brucianti del libro – Sono pagate meno perché uomini ostili e le istituzioni che essi creano continuano a trovare maniere per frustrare l’eguaglianza di genere.” (…)

Il punto centrale di Scott è che lo stesso schema di eguaglianza economica femminile accoppiata alla minaccia di violenza maschile è identificabile su tutto il pianeta: è davvero possibile che le donne ovunque abbiano preso le stesse decisioni fallimentari ripetutamente, o piuttosto c’è qualcosa che le ostacola e le ferma? Il vantaggio delle lenti non occidentali da lei usate per questo argomento consiste nel rendere più facile vedere ingiustizie palpabili quando sono portate all’estremo – in società dove le donne ancora non possono di diritto avere proprietà, scegliere chi sposare o rifiutarsi di fare sesso – piuttosto di quando sono in casa tua. (…)

“Nessuna scusa giustifica la sofferenza sopportata dalle donne – scrive Linda Scott – ma questo non impedisce alla gente di continuare a provarci.”

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Dalla stampa italiana:

“I comitati per la ripartenza dopo l’emergenza Coronavirus vengono implementati con le competenze femminili. Cinque donne nella task force di Colao e altre sei in quella della Protezione civile. Nella commissione per la fase 2 ci saranno Enrica Amaturo, Marina Calloni, Linda Laura Sabbadini, Donatella Bianchi e Maurizia Iachino.”

Da The Associated Press, “Women demand voice in Italy virus response dominated by men”, di Frances D’Emilio:

“Ogni sera, quando gli esperti della sanità aggiornavano gli italiani ansiosi in conferenze televisive sul devastante scoppio del coronavirus nella loro nazione, la composizione delle autorevoli figure includeva solo una donna: l’interprete per il linguaggio dei segni.

E non una singola donna era presente nella commissione di venti membri nominata per consigliare il governo su come e quando l’Italia potesse riaprire in sicurezza le sue fabbriche, i suoi negozi, le sue scuole e i suoi parchi – una disparità tanto più clamorosa giacché più di metà dei medici del paese e tre quarti dei suoi infermieri sono donne, molte delle quali in eroica prima linea contro la pandemia. Per non menzionare il fatto che i tre ricercatori che hanno isolato il coronavirus nei primi giorni di epidemia in Italia erano donne.

L’indignazione per la diseguaglianza di genere è ora esplosa apertamente, con circa 70 ricercatrici e scienziate che hanno firmato una petizione in cui si chiede al governo di includere le donne negli organismi decisionali sul virus quale questione di “democrazia e civiltà”. A spalleggiarle c’è un movimento di base sui social media chiamato “Dateci voce”, un richiamo alla presenza simbolica dell’interprete per il linguaggio dei segni durante le conferenze. E’ stata anche depositata in Senato da 16 deputate Una mozione che chiede al governo di rimediare allo sbilanciamento. (…)

Questa settimana il premier Giuseppe Conte ha dato riconoscimento agli appelli, chiamando la dirigenza della commissione di esperti di scienza e tecnica che consigliano il governo sulla riapertura a reclutare donne nei suoi ranghi. Ha fatto urgenza al suo gabinetto di ministri di “tenere a mente l’equilibrio di genere” nell’assemblare le task force. (…)

Ma le preoccupazioni delle donne italiane vanno oltre i comitati per la pandemia. Le donne temono che la chiusura delle scuole sino a settembre, accoppiata alle attitudini culturali che favoriscono gli uomini, le farà arretrare ancora di più nella forza lavoro. Secondo le stime dell’Unione Europea del 2018, il 53% delle donne italiane era presente nella forza lavoro a fronte del 73% degli uomini. Solo la Grecia si situava più in basso fra le nazioni europee: 49% di donne e 70% di uomini.

La scarsità di aiuto domestico economicamente accessibile e il rigetto degli uomini dei ruoli domestici, inclusi i lavori di casa, sono fattori che sono stati biasimati per anni per l’impossibilità o la riluttanza delle donne di unirsi alla forza lavoro. (…)

“Sono tristemente sicura che a breve termine ci saranno danni” al lento progresso delle donne nel mercato del lavoro, ha detto Valeria Poli, biologa molecolare all’Università di Torino (che ha firmato la petizione di cui sopra). Ha espresso sgomento per il fatto che in 25 anni la presenza femminile nella forza lavoro italiana è cresciuta solo dell’8%. (…)”

E poi c’è questo: “Le 117 vittime di violenza in quarantena, 90% sono donne”.

Maria G. Di Rienzo

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not amused

(Non siamo divertiti – “I pinguini di Madagascar”)

1. Lapo Elkann

Non so se debba fondare un partito alla fine dell’emergenza e quanto abbia eventualmente investito per avere la copertura di cui gode attualmente, ma i media del gruppo Gedi (Repubblica, Espresso, Huffpost, radio, tv) lo stanno “sparando” da un paio di settimane a tutto volume – e stanno francamente annoiando.

Visto che notizie relative al soggetto non ci sono, a meno che si vogliano considerare tali le dirette sui social in cui si impegnano senza soluzione di continuità centinaia di altre celebrità e politici, la holding di Elkann (Laps to Go o solo Laps – società che possiede azioni/quote di altre società) è presentata come una sorta di opera pia, una ong caritatevole il cui solo scopo è essere di conforto alla popolazione italiana.

Per esempio: “Italia Per Sempre, la diretta con Lapo Elkann e Frankie Hi-Nrg – Continuano le dirette dal profilo Instagram di Italia Indipendent (sic) per il progetto Italia Per Sempre, “l’inno all’Italia” creato da Lapo Elkann e volto a sostenere i cittadini durante l’emergenza coronavirus con un momento di svago.”

Italia Independent è una società che produce accessori di lusso personalizzabili, che è andata in rosso nel 2018 e che è stata salvata da una immissione di capitale esterno (Talent EuVeca) all’inizio del 2019: non è un’informazione irrilevante, ma nei peana alle attività del benefattore Lapo Elkann non c’è.

Sarebbe anche da notare che il patriotico rampollo della famiglia Agnelli strilla gli inni all’Italia dal Portogallo, come ha dichiarato alla radio il 17 aprile scorso: “Sto trascorrendo la mia quarantena a Lisbona. Sto a casa, lavoro tutto il giorno per supportare ed aiutare il mio Paese con la nostra campagna di solidarietà. Poi pulisco e cucino. Il mio cavallo di battaglia culinario è lo spaghetto sciué sciué.” (E chi se ne frega.)

Nessuno degli entusiastici articoli o servizi ricorda neppure i trascorsi dello spaghettaro, uso a festini con droga (nel 2005 un’overdose di oppiacei quasi lo uccide) in compagnia di persone transessuali (2005, 2016 – in quest’ultimo caso avrebbe simulato il proprio sequestro per ottenere soldi dalla famiglia) o di altri uomini (nel 2014 due fratelli lo ricattano con un filmato ad hoc).

Consigli per Lapo? Usi “sostenere” al posto di “supportare”, non definisca “lavoro” l’autocelebrazione, faccia coming out e viva felice senza sfiancarsi per il nostro svago. Consigli per i giornalisti? Fate i giornalisti.

2. Le levate di scudi a difesa della Lombardia.

Sono di un’ipocrisia e di una noia mortali. Ne prendo una per tutte. Ho controllato e sono sicura che Carlo Magno non è tornato a proclamarsi re dei longobardi, ne’ orde di francesi o spagnoli hanno rivendicato il territorio. Dovete sapere però che criticare la gestione della sanità e dell’epidemia da parte della Lega (Attilio Fontana e compagnia) e indagare sulle morti al Trivulzio equivalgono a “assalti polemici”, “demagogie”, “propaganda e partigianeria” e occultano “la voglia di dominio della politica sull’economia invece che la competitività e il mercato ben regolato” (manca un verbo, ma l’autore è coltissimo e ci raccomanda anche un libro di Savinio). Cercate di ficcarvi in testa che “la regione vale un quarto del Pil italiano” e che “giocare contro Milano significa giocare contro il futuro dell’Italia”: “Un punto dev’essere fermo, nella coscienza generale: la ricchezza, il lavoro, il benessere sono frutto dell’attività d’impresa.” Questo è ciò che il neoliberismo crede e divulga, ma non pertanto diventa dogma divino, essendo una mera asserzione smentita più volte da Storia e dati.

Ci sono anche veri e propri voli pindarici sul merito premiato e sulla capacità di stare insieme dei coraggiosi imprenditori: pensate che “Carlo Bonomi, presidente di Assolombarda, è stato designato con due terzi dei voti del Consiglio generale dell’organizzazione. Per lui hanno votato lombardi e veneti, emiliani e campani, romani, calabresi e siciliani”. Cioè, sarebbe oggetto di reverente meraviglia il fatto che un gruppo settario di ricchi ha scelto il proprio ricco rappresentante senza badare alla sua origine regionale. Fiato alle trombe! Cavalierato per tutti!

Al sig. Antonio Calabrò, vicepresidente di Assolombarda, che ci ha regalato queste profonde riflessioni nel suo pezzo complottista “Le polemiche contro Milano nascondono una cultura anti-impresa”, consiglio un libro anch’io: “Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta”, di John Maynard Keynes. Parla tra l’altro della necessità dell’intervento statale nell’economia nelle fasi di crisi. Se non ha voglia di leggere, provi ad ascoltare le canzoni di Gualtiero Bertelli sulle metodologie non proprio umane con cui l’impresa ha costruito il suo “virtuoso” primato, oppure presti attenzione a qualche notizia: come quella dell’operaio licenziato da ArcelorMittal Italia, qualche giorno fa, per aver denunciato pubblicamente la mancanza di protezioni dal coronavirus in fabbrica. Sa, l’azienda ha dichiarato di avergli dato il benservito perché “è venuta a mancare la fiducia” nel dipendente. “Insieme”, ancora una volta. – così lei chiude il suo pistolotto soffiandosi il naso dalla commozione – ma solo se tieni la bocca chiusa, operaio di m.!

Maria G. Di Rienzo

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(tratto da: “People Aren’t Bad for the Planet—Capitalism Is”, di Izzie Ramirez per Bitch Media, 27 marzo 2020, trad. e adattamento Maria G. Di Rienzo. Izzie Ramirez – in immagine – è una reporter freelance e la caporedattrice di NYU Local.)

Izzie

C’è una brutta china nei commenti che giustificano i decessi umani per preservare l’ambiente. Come l’attivista per il clima Jamie Margolin ha spiegato in un tweet “Dire ‘I deboli moriranno ma va bene perché ciò aiuta il clima’ non è giustizia climatica. Questo è ecofascismo.” L’ecofascismo è definito da governi che esercitano il loro potere per la protezione dell’ambiente a costo delle vite individuali.

Nel loro articolo del 2019 “Overpopulation Discourse: Patriarchy, Racism, and the Specter of Ecofascism,” Jordan Dyett e Cassidy chiarirono come l’ecofascismo prese piede nel 19° e 20° secolo in Germania, dove “una serie di preoccupazioni ecologiche cominciarono ad interagire con la xenofobia, il nazionalismo e il razzismo presenti nella regione.”

All’epoca, le autorità fasciste tedesche erano solite giustificare determinate politiche di esclusione collegando l’ambiente alla salute. La retorica tipica includeva il controllo della popolazione, misure anti-sovrappopolazione e nozioni per cui i gruppi minoritari erano specie invasive che costituivano una minaccia all’ambiente stesso. Questa è ideologia comune ai suprematisti bianchi, in particolare, e a quelli che commettono omicidi di massa. Per esempio, l’assassino responsabile degli omicidi di un gran numero di persone a El Paso, Texas, nel 2019 citò la degradazione ambientale come una delle sue ragioni. “Se riusciamo a sbarazzarci di abbastanza gente, allora il nostro stile di vita diventerà più sostenibile”, scrisse nel suo manifesto.

Nel contesto odierno, comunque, persone comuni stanno argomentando che il Covid-19 sarebbe il vaccino della Terra contro gli esseri umani mentre il virus sta gettando il mondo nello scompiglio e sta uccidendo migliaia di persone, molte delle quali appartengono alla classe lavoratrice, non hanno accesso alla sanità e sono costrette a continuare a lavorare perché sono considerate forza lavoro essenziale. Per come le cose stanno ora, l’ecofascismo – visto attraverso tali conversazioni sui social media – sta asserendo che la gente povera, la gente disabile e la gente anziana dovrebbero sacrificarsi per far vivere il resto di noi. Ciò non è solo moralmente riprovevole ma è l’incomprensione del problema più vasto: il coronavirus non è un “detox” per la Terra, è una perturbazione dei sistemi che potenziano il capitalismo.

Persino chi cerca di sfidare il capitalismo è forzato a vivere al suo interno, giacché dobbiamo sopravvivere in un’economia capitalista concentrata sul beneficio immediato anziché sulle conseguenze future. Perciò le persone salgono in autobus per andare ai loro impieghi salariati, montano in auto per andare in fabbrica e condividono veicoli per far quadrare i conti. Queste persone non hanno molte alternative economiche, perché hanno bocche da sfamare e bollette da pagare. La loro adesione per sopravvivenza al capitalismo non li rende egoisti o sacrificabili. In effetti, se voi siete preoccupati per il cambiamento climatico, queste sono le esatte persone per cui dovreste preoccuparvi.

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question

(brano tratto da un intervento del 19 marzo 2020 di Teresa Anderson e Niclas Hällström, per Action Aid, su cambiamento climatico e coronavirus. Teresa Anderson è la coordinatrice delle politiche sul clima per Action Aid International, Niclas Hällström è il direttore di WhatNext?, un forum svedese sulle istanze globali sociali e ambientali. Trad. e adattamento Maria G. Di Rienzo.)

EGUAGLIANZA: I governi devono proteggere le donne, i poveri e i vulnerabili dalle crisi e dal loro impatto, dando uguale valore a ogni vita umana al di là di nazionalità, status economico, genere, etnia o età. Allo stesso modo, non è accettabile che una generazione continui a “fare come prima” sapendo di essere relativamente al sicuro, nel mentre aumenta il rischio e l’impatto per un’altra generazione.

PROTEZIONI SOCIALI: Sanità pubblica e gratuita, congedo pagato per malattia e benefici relativi alla disoccupazione per i lavoratori, nelle economie formali e informali, sono necessari in modo urgente, così che le persone non debbano scegliere se proteggere i loro mezzi di sussistenza o proteggere la società durante la pandemia.

SOLIDARIETÀ: Nessun Paese può “farcela da solo”. I governi devono lavorare insieme ed evitare di ritirarsi in approcci nazionalisti e competitivi. Le nazioni ricche devono contribuire con una giusta parte e aumentare il sostegno finanziario e tecnologico per le nazioni in cui i redditi sono più bassi. La vera solidarietà significa anche adottare e condividere soluzioni.

LA MANO INVISIBILE DEL MERCATO NON AGGIUSTERÀ QUESTE COSE:

Crisi climatica e pandemia mostrano la necessità di profondi cambiamenti di sistema. Queste emergenze rivelano le ingiustizie delle economie neo-liberiste, in cui potenti corporazioni economiche danno priorità ai profitti rispetto al bene comune e fanno tutto quel che possono per evitare di essere regolamentate.

Le risposte dei governi alla pandemia richiedono di prendere decisioni di ordine pubblico, incluse forti misure restrittive, nell’interesse dei cittadini piuttosto che dei loro finanziatori politici delle corporazioni.

NON E’ MAI TROPPO TARDI PER AGIRE: Ogni giorno che passa conta. Ogni azione che limita il danno ha valore. Anche se siamo stati più lenti a uscire dai blocchi di partenza di quanto avremmo dovuto, diamoci dentro ora. Rinunciare non è un’opzione, al di là di quanto grave la situazione possa apparire.

FATE QUEL CHE SERVE, MA NON ABUSATE DEL POTERE: Nel mentre molti governi sono stati lenti nel prendere misure severe per fermare la pandemia, i cittadini hanno chiesto misure più forti per contenere la crisi. La società ha mostrato la sua volontà di accettare svantaggi, forti interventi governativi, protezione sociale e sì, meno shopping e meno voli aerei, se ciò significa proteggere milioni di vite a rischio.

I governi devono tener conto di questo. Ma non devono abusare del loro potere, ne’ cementare misure prese durante le emergenze in limiti autoritari alla libertà dopo che la crisi è passata.

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8 marzo 2020, lettera aperta (trad. Maria G. Di Rienzo):

Ai capi di stato e di governo di tutto il mondo.

Noi siamo Hilda e Leonie, donne che stanno lottando in prima linea contro la crisi climatica e l’ingiustizia di genere.

Hilda e Leonie

(Hilda Flavia Nakabuye di “Fridays for Future Uganda” e Leonie Bremer di “Fridays for Future Germany”, particolare di un’immagine di Thomas Reuters Foundation.)

Hilda:

Io sono cresciuta in tre differenti luoghi dell’Uganda. Da mia zia, da mia mamma e da mio papà – e tutto quel che mi importava era andare a scuola, cosa che mi è sempre piaciuta. Tuttavia, è arrivato un momento in cui la mia famiglia non poteva più pagare le tasse scolastiche. Come risultato, ho saltato la scuola per tre mesi. La crisi climatica ha cominciato a reclamare il nostro orto, con forti piogge che lavavano via le sementi, costanti periodi di siccità che prosciugavano i torrenti e forti venti che hanno portato alla massiccia diffusione di insetti nocivi, così anche i soldi sono andati a finire. In modo ingiusto, i paesi che hanno contribuito di meno alla crisi del clima sono quelli colpiti più duramente.

Ho visto molta gente morire a causa della crisi climatica e ci sono persone che ne muoiono ogni giorno mentre la situazione continua a peggiorare. Tuttavia, nulla è stato fatto da chi è al potere per combattere o risolvere questa crisi. L’impatto della crisi climatica mi ricorda lo sfrenato razzismo e l’apartheid che i miei antenati hanno subito. Io sto costantemente soffrendo a causa dei gravi effetti che hanno su di me le azioni, le parole e l’avidità di chi è al potere, con poco aiuto o niente aiuto del tutto da parte dei paesi sviluppati. Invece, stanno contribuendo incondizionatamente all’aumentare delle emissioni grazie alle quali milioni di vite innocenti sono già state perdute nel Sud globale. In effetti, questo dovrebbe essere il momento in cui questi paesi rispondono al loro dovere morale e ripuliscono il loro caos.

Leonie:

Nel mentre Hilda è diventata un’attivista di Fridays for Future per l’impatto diretto del cambiamento climatico sulla sua vita, io avrei potuto non averne mai idea, giacché vivo in Germania dove la gente può ancora permettersi il lusso di ignorare l’attuale tremendo impatto della crisi climatica. Questo paese è abbastanza ricco da poter semplicemente compensare i danni fatti dalla siccità ai raccolti importando prodotti. La mia vita sino ad ora è stata senza problemi e non ho mai dovuto saltare la scuola, i pasti o le vacanze.

Sul treno verso la conferenza mondiale sul clima, Hilda si è confrontata con me con la sua storia e il fatto che il paese da cui provengo non sta agendo in base alle sue responsabilità. La Germania è spesso chiamata la pioniera della protezione del clima, il che è contraddittorio rispetto al fatto che è ha il quarto posto al mondo pro capite per emissioni di CO2 (CO2-Bericht des Joint Research Center).

E’ spaventoso che il più grande obiettivo della Germania sia un’economia funzionante al costo, al peggio, della vita delle persone. La crisi climatica è il risultato del sistema economico industrializzato diretto da una società patriarcale. Al contrario, nei gruppi di attivisti per il clima le donne sono predominanti, poiché sono quelle che soffrono di più per la crisi climatica.

Le donne devono essere in prima linea nella lotta contro la crisi climatica. Secondo le Nazioni Unite, l’80% delle persone disperse da questa crisi sono donne.

Hilda:

La crisi climatica ha un volto femminile.

Nel mio vicinato, la maggioranza delle coltivazioni sono maneggiate da piccole agricoltrici. La crisi climatica ha immediato impatto sulle condizioni di vita delle donne, causa fame e rischi per la salute e ha un effetto terribile sulle nostre famiglie. Siccità e inondazioni causano perdita di raccolti, ma i proprietari terrieri hanno la possibilità di ricevere compensazioni dallo stato. Alle donne, tuttavia, è tradizionalmente negata la proprietà della terra, il che conduce a una minaccia diretta per i nostri minimi mezzi di sussistenza.

Come donna africana, io sono spesso oppressa dal razzismo, dal sessismo, dalla cultura, dal classismo e ora la crisi climatica si aggiunge come cappello.

Questo è il motivo per cui noi, Leonie e Hilda, abbiamo fatto squadra. Dobbiamo tutti ascoltare l’uno il dolore dell’altro, la paura, la sofferenza e altre emozioni causate dalla crisi climatica.

Noi abbiamo capito che essa è il pericolo più grave per gli esseri umani e in special modo per le donne.

Dobbiamo unirci e lottare contro la crisi climatica oltrepassando i confini continentali. Dobbiamo lottare per la protezione del clima senza sessismo, razzismo e oppressione e costringere i governi a fare altrettanto.

Fridays for NOW! – Hilda & Leonie”

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selma

“La nostra mobilitazione in Lussemburgo è necessaria: siamo fra le nazioni che emettono più CO2, il consumo di carne è molto alto e non stiamo facendo nulla per aumentare la consapevolezza sul cambiamento climatico. Ed è ridicolo che chiunque conosca almeno una persona che ha due o tre automobili. E’ importante sottolineare che non siamo “giovani che vogliono portare disturbo alla società”, vogliamo solo che le nostre voci siano ascoltate. Stiamo ponendo domande concrete. Ma sappiamo che è necessario perturbare la quotidianità delle persone di modo che esse non ci ignorino. L’emergenza climatica ci impone di agire ora. Vorremmo un nuovo patto politico verde, leggi più restrittive: pensiamo per esempio alla Banca di Investimento Europeo di Kirchberg, che sta ancora finanziando un buon numero di attività inquinanti. I nostri genitori? E’ vero che all’inizio erano un po’ preoccupati, ma abbiamo parlato con loro e capiscono che stiamo facendo questo per il nostro futuro.”

Selma Vincent (in immagine sopra), lussemburghese, liceale 16enne, attivista di “Youth For Climate Luxembourg”.

lussemburgo

Degno di nota il fatto che, prima delle manifestazioni, il gruppo organizza per le/i partecipanti seminari su nonviolenza e disobbedienza civile: quando scendono in piazza, queste ragazze e questi ragazzi sanno come attirare l’attenzione sul proprio messaggio, come muoversi in sicurezza, come dialogare con polizia e passanti, come affrontare situazioni di crisi, eccetera. Messaggio ai gruppi simili italiani: se non lo state già facendo imitateli – è sano, furbo e divertente.

Maria G. Di Rienzo

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the wishing well di kathy kehoe bambeck

E’ passato un quarto di secolo dalla “Quarta conferenza mondiale sulle Donne: azione per l’eguaglianza, lo sviluppo e la pace” delle Nazioni Unite, da cui uscì la nota Piattaforma di Pechino firmata da 189 Paesi. All’epoca mi era stato commissionato un articolo al proposito, per cui il mio primo ricordo di quel settembre 1995 è uno scassato telefono viola in cui riverso domande in inglese, fra mille disturbi sulla linea, a una gentile delegata che si trova in Cina. Il risultato finale della Conferenza consentì un minimo di entusiasmo, potendo essere riassunto così: “L’avanzamento delle donne e il raggiungimento dell’eguaglianza fra donne e uomini sono materia di diritti umani e condizione per la giustizia sociale e non dovrebbero essere visti come un’istanza isolata delle donne. L’empowerment delle donne e l’eguaglianza fra donne e uomini sono prerequisiti per raggiungere sicurezza politica, sociale, economica, culturale e ambientale fra tutti i popoli.”

Gli impegni presi e sottoscritti nella dichiarazione di chiusura includevano l’eliminare la violenza contro le donne, l’assicurare a tutte le donne l’accesso alla pianificazione familiare e alla cura della salute riproduttiva, il rimuovere le barriere alla partecipazione delle donne ai processi decisionali, il fornire alle donne impieghi decenti e salario uguale per uguale lavoro. Il documento chiedeva anche ai governi di affrontate l’impatto della degradazione ambientale sulle donne e di ascoltare le donne indigene in ogni materia relativa allo sviluppo sostenibile, di riconoscere lo sproporzionato fardello posto sulle donne dal lavoro non pagato di cura e di impegnarsi per una migliore rappresentazione delle donne nei media.

Venticinque anni dopo, nessuna nazione ha tenuto completamente fede alle promesse. Ci sono stati miglioramenti e progressi, ma viviamo ancora in un mondo in cui una donna su tre subisce violenza fisica e/o sessuale durante la sua vita, in cui le donne sono pagate meno degli uomini pur svolgendo le stesse mansioni lavorative e centinaia di migliaia di donne muoiono ancora ogni anno per complicazioni relative alla gravidanza e al parto collegate allo scarso o inesistente accesso a risorse e strutture, eccetera, eccetera. Inoltre, in molte zone del pianeta i diritti umani delle donne hanno fatto o stanno facendo passi indietro: l’avanzamento di destre, partiti religiosi fondamentalisti, movimenti sovranisti / populisti coincide ovunque con un peggioramento dello status femminile.

L’inerzia o la vera e propria misoginia della politica si intrecciano al vissuto sociale e il 2019, in Italia, va al suo termine con notizie di questo tipo:

30 dicembre 2019: “Feriva la compagna con i coltelli come il suo idolo Joker: arrestato 38enne romano – L’uomo, benestante residente nella Capitale, da alcune settimane soggiornava in strutture ricettive dei Castelli. Una sera di 20 giorni fa, i militari sono dovuti intervenire in un locale di Nemi dove il 38enne era andato in escandescenza e aveva iniziato a picchiare la compagna, la 40enne con cui aveva una relazione da qualche mese. (…) Appassionato di coltellini da caccia che usava con la stessa disinvoltura del suo idolo, spesso la minacciava di colpirla e le procurava tagli sulle gambe.”

Sorelle (e fratelli alleati), non aspettate il cambiamento e continuate a crearlo, perché il cambiamento siete voi. Siamo noi. Affido questo al pozzo dei desideri. Vi voglio bene e ogni bene vi auguro per il prossimo anno.

Maria G. Di Rienzo

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(tratto da: “Global gender equality will take another 100 years to achieve, study finds”, di Jessie Yeung, per CNN Business, 17 dicembre 2019, trad. Maria G. Di Rienzo.)

italia

Molte di noi non vivranno per vedere l’eguaglianza di genere raggiunta in tutto il mondo, secondo un nuovo studio che predice come la pietra miliare sia distante almeno 100 anni.

L’annuale Global Gender Gap Report del World Economic Forum posiziona l’Islanda come il paese con maggior eguaglianza di genere per l’undicesimo anno consecutivo, seguito dai vicini nordici Norvegia, Finlandia e Svezia. Siria, Pakistan, Iraq e Yemen sono agli ultimi posti.

Il rapporto analizza 153 paesi nel loro progresso verso la parità di genere, concentrandosi su quattro temi principali: partecipazione economica, conseguimenti nell’istruzione, salute e sopravvivenza, potenziamento politico.

“L’inchiesta di quest’anno mette in luce la crescente urgenza di azione. – dice il rapporto – Con l’attuale tasso di cambiamento, ci vorrà circa un secolo per raggiungere la parità, una sequenza temporale che è semplicemente inaccettabile nel mondo globalizzato di oggi, in special modo fra le generazioni più giovani che palesano visioni sempre più progressiste sull’eguaglianza di genere.”

Alcuni dei quattro temi mostrano del progresso; per esempio, 35 paesi hanno già raggiunto l’eguaglianza di genere nell’istruzione e tutti i paesi dovrebbero raggiungerla entro 12 anni: progresso che è largamente dovuto ai recenti avanzamenti nei paesi in via di sviluppo, dice il rapporto. La salute e la sopravvivenza delle donne stanno anche migliorando, con 48 paesi oggetto della ricerca che hanno raggiunto quasi la piena eguaglianza.

Per altre aree, tuttavia, ci vorrà più tempo. La partecipazione e le opportunità economiche quest’anno per le donne sono regredite: “solo una manciata di paesi” si stanno appena avvicinando all’eguaglianza e il mondo avrà bisogno di 257 anni in più per ottenerla pienamente. Di media, solo poco più di metà delle donne adulte sono nel mercato del lavoro di fronte al 78% degli uomini, dicono gli autori del rapporto.

Il divario di genere nella rappresentazione politica pure ristagna: nessun paese ha completamente chiuso la differenza e, globalmente, la stima dà 95 anni per raggiungere l’eguaglianza.”

Potete leggere l’intero rapporto qui:

http://www3.weforum.org/docs/WEF_GGGR_2020.pdf

L’Italia arretra al 76° posto, surclassata da nazioni quali Bosnia Erzegovina, Montenegro, Kazakistan e Botswana. Se lo trovate consolante vi dirò che facciamo meglio del Suriname (77)…

Ma chissà, forse il prossimo anno raggiungeremo la posizione n. 41 come la Giamaica? Il ventesimo posto dell’Albania no, vedete ogni giorno quanto tempo ci vuole in Italia per trattare le donne da esseri umani.

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