La storia che sto per raccontarvi è datata, ma tende a tornarmi in mente in settembre – il mese in cui sono riuscita a farla finire. E come vedrete, l’aneddoto non è privo di scopo.
Dunque, qualche anno fa comincio a ricevere e-mail, inviate da un signore sconosciuto, che pubblicizzano convegni o incontri nell’ambito di un assessorato alle pari opportunità (tra l’altro situato molto distante da dove io vivo). Non sono frequenti, ma le iniziative sono talmente squallide e malfatte, sospese in un vuoto astorico, prive di qualsiasi approccio informato al genere (“Sei discriminato perché uomo?” Sì, dove, sentiamo: ti hanno rifiutato l’ingresso al convento di clausura delle Orsoline?), che le cancello il più rapidamente possibile per contenere il fastidio entro limiti ragionevoli.
Non so dove il signore abbia pescato il mio indirizzo e chi crede io sia, comunque si premura anche di inviarmi auguri per l’onomastico: 12 settembre, Santa Maria. Il testo è in sintonia perfetta con il lavoro dell’assessorato, e cioè patetico. Naturalmente mi dà del tu come se fossimo i migliori amici del mondo e spara fraseggi d’antan – mi è gradito, cara… Cancello pregando gli dei del cyberspazio affinché siano pietosi e allontanino da me questo idiota. Ma le mie preghiere cadono nel vuoto. Di quando in quando il signore continua a farsi vivo con gli aperitivi organizzati dal suo dipartimento e, preciso come un orologio, il 12 settembre successivo reitera le sue felicitazioni per una ricorrenza che io non osservo e di cui mi sovvengo solo a causa delle sue e-mail.
A questo punto rispondo. Una sola frase: La prego di voler gentilmente cancellarmi dalla sua mailing list. Grazie. Tutto qui. Nessuna valutazione sulla qualità delle “proposte culturali” che mi invia, ne’ sull’invadenza inopportuna delle stesse, onomastici compresi. Nessun vaffanbrodo. Ma il signore si offende. E’ impossibile che qualcuno – una donna, poi! – non lo trovi interessantissimo e non voglia aver a che fare con lui.
Così, mi invia una lezioncina paternalistica e condiscendente in cui spiega che “è sbagliato rifiutare la relazione”: e certo, per una donna è sempre sbagliato non volere quel che un uomo vuole, e se poi quell’uomo è lui, dirgli “No” è semplicemente una tragedia… Strano l’effetto che le “pari opportunità” hanno su questo individuo, sembra proprio il solito maschilista tronfio e improvvido.
Infine, parte la scoreggina di commiato: Io mi occupo di genere, tu cosa fai?
Avrei dovuto replicare: “No, burbanzoso ignorante, lei non si “occupa di genere”; le hanno solo messo una poltrona nuova sotto il didietro e seduto là, senza sapere una beata mazza di studi di genere e di storia, dà aria alla boccuccia, prenota aperitivi e riscuote il valsente relativo. Comunque non è per gonfiare il suo ego che le “pari opportunità” sono entrate nel lessico e nelle istituzioni, ma per tentare di ridurre le discriminazioni di genere: che colpiscono le donne. Quella che si “occupa di genere”, semmai, sono io. E visto che lei non ha fatto neppure lo sforzo di cercare di sapere chi sono prima di inondarmi della sua spazzatura, non intendo perdere un secondo di più spiegandoglielo.” Ma l’idea insopportabile di aver a che fare ancora con un tal soggetto mi ha spinta a cancellare la missiva e a incrociare le dita: sparisci, burino. E questa volta i miei desideri sono stati esauditi.
Perché ogni tanto ci ripenso? Perché non è l’unico sprovveduto e/o opportunista negli assessorati e nelle commissioni di ogni livello che dovrebbero perseguire l’eguaglianza di genere: di “messi là” (e “messe là”) per meriti di partito o per equilibri di ricompense all’interno di una coalizione elettorale ce n’è una marea. Non sanno niente di “genere” e nemmeno interessa loro imparare. Ed è uno dei motivi per cui la maggioranza di questi tavoli non funziona, non produce nulla di significativo o addirittura organizza eventi che vanno in senso completamente contrario (gli spogliarelli che fanno bene all’anima delle donne l’8 marzo, tanto per citarne uno).

Sentite qua: avete sentito parlare del Consiglio europeo (o Consiglio d’Europa), vero? Non esercita funzioni legislative, ma definisce priorità e orientamenti e obiettivi e politiche generali dell’Unione europea. Dà “la linea”, per così dire. L’anno scorso, la Commissione per l’eguaglianza di genere del Consiglio d’Europa organizza un convegno ad Amsterdam (4/5 luglio 2013) che si intitola “I media e l’immagine delle donne” e la cui presentazione recita: “Ogni giorno, e in tutto il mondo, siamo costantemente esposti ad immagini e informazioni che provengono da una vasta gamma di fonti. Tale contesto gioca un ruolo cruciale nel dar forma alle nostre opinioni, ai nostri valori e alle nostre idee di quale sia un comportamento desiderabile e accettabile per donne e uomini. Sfortunatamente, la visibilità data alle donne nei mass media, sia essa in testo, audio o audiovisivo, è più spesso che no basata su raffigurazioni stereotipate di cosa sia femminile e mascolino. Tramite l’accettazione e l’imitazione di questi cosiddetti “role models”, sono perpetuati dannosi stereotipi di genere che interessano ogni aspetto delle nostre vite.”
Durante il convegno (una delle relatrici era Laura Bates di “Everyday Sexism”, di cui ho tradotto una mezza dozzina di articoli) la Commissione consegna ai partecipanti il suo manuale “Women and Journalists” su come combattere gli stereotipi di genere nei media. L’Italia fa parte del Consiglio d’Europa. I partecipanti italiani a questa iniziativa sono due, una donna e un uomo. So i loro nomi, ma niente di quel che abbiano fatto in materia di “genere”: però questo può essere sfuggito a me, anche se “i titoli di studio e professionali e le esperienze lavorative” del signore sono online e fra monitoraggi, verifiche, bilanci, statistiche, gestioni ecc. il “genere” non fa capolino. Ad ogni modo, DUE dei manuali succitati sono stati dati ai rappresentanti dell’Italia. A un anno di distanza, mi piacerebbe sapere che fine hanno fatto: la traduzione va per le lunghe? Erano già tradotti ma convocare le redazioni dei quotidiani e discuterne con loro era troppo femminista? E’ stato fatto tutto questo e anche di più ma gli stessi quotidiani si sono rifiutati di scriverne?
Perché, vedete, il Consiglio d’Europa dice cose del genere (17 giugno 2014): L’eguaglianza fra donne e uomini è un valore fondamentale dell’Unione europea. E le dice annunciando che il trio di presidenze (Latvia, Lussemburgo e Italia) dell’UE si assicurerà, durante i 18 mesi di programma (1° luglio 2014 – 31 dicembre 2015), di mantenere gli impegni relativi al Patto europeo per l’eguaglianza di genere (2011-2020) e di prendere come cornice guida le strategie divisate dalla Commissione per l’eguaglianza fra donne e uomini (2010 – 2015).
E continua così: “(…) Le tre presidenze continueranno a sostenere l’attivazione del mercato del lavoro per le donne, mantenendo l’obiettivo del 75% di impiego per donne e uomini. Si occuperanno delle istanze che sono rilevanti in questa prospettiva, incluse il divario fra le pensioni, gli stereotipi di genere, il rapporto fra donne e tecnologia e il ruolo delle donne nella formazione delle decisioni. Un altro tema che riceverà attenzione è la necessità di combattere la violenza di genere. (…) Le tre presidenze cercheranno di implementare la prospettiva di genere in tutte le aree politiche (“gender mainstreaming”) e nel contesto di azioni esterne.”
Non abbiamo ancora visto/sentito nulla? Calma. Poco più di 2 mesi non sono sufficienti a lamentarsi, è solo il 20 settembre. Di sicuro la presidenza italiana intende stupirci a breve. Di sicuro. Sperando che di suo non proponga gli auguri per l’onomastico a tutte le italiane. Maria G. Di Rienzo
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