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Archive for the ‘Arte’ Category

I can hear it

Posso sentirlo (lo sento)!

Il suono della… spazzatura misogina!

Deena Mohamed, artista egiziana, ha cominciato a disegnare fumetti a 18 anni creando sul web la supereroina Qahera dell’immagine (se ci aggiungete l’articolo determinativo il nome di Qahera diventa “Il Cairo”, dove Deena vive) che combattendo contro la misoginia e l’islamofobia si è guadagnata fama, seguaci e premi.

La disegnatrice adesso di anni ne ha 26 e sta lavorando alla innovativa, umoristica, profondamente emotiva e magica trilogia “Shubeik Lubeik”, anch’essa pluripremiata e pubblicata in arabo e inglese, il cui volume finale dovrebbe uscire nel 2021.

Shubeik Lubeik

Nell’Egitto di fantasia che essa ritrae i desideri sono letteralmente in vendita, giusto al chiosco all’angolo della strada, i più potenti e costosi in bottiglie e quelli per i poveracci in lattine. Stappando il contenitore, appare un genio fatto di caratteri di calligrafia araba che chiede: “Qual è il più grande desiderio del tuo cuore?”

La difficile domanda con cui si legano l’una all’altra storie e identità diverse che chiamano l’Egitto la propria casa.

Maria G. Di Rienzo

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Toni Truesdale

“Storia e Mitologia hanno bisogno di includere senza restrizioni le storie di tutte le donne.

La prospettiva femminile dovrebbe riflettersi nell’estetica, nei valori, nella spiritualità e nella moralità.

Io sviluppo arte figurativa che mostra la naturale bellezza e intelligenza negli aspetti della vita multiculturale di sorelle, madri, figli, zie e nonne tutte: e celebro la nostra comunanza attraverso il tempo, la cultura comune delle donne che io chiamo il nocciolo invisibile.

Toni Truesdale (in immagine sopra), insegnante d’arte, disegnatrice e pittrice di murales, illustratrice contemporanea statunitense (trad. Maria G. Di Rienzo).

Tutto quel che vedete qui è opera sua.

eve out of africa

(Eva)

Harvest

(Il Raccolto)

toni murales

(Murale)

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gollum berlino

“Il mio tesoro!”

(Murale di Eme Freethinker, Mauerpark, Berlino. Particolare di un’immagine di John MacDougall.)

In tempo di pandemia, anche Gollum sta ripensando le priorità della sua vita: voglio dire, provate a usare un anello al posto della carta igienica… disastro.

E allora, non fatelo.

Non inseguite modelli irraggiungibili, non distruggetevi per rispondere alle aspettative altrui, smettete di recitare il personaggio “appropriato” e vivete la vostra vita come volete, come ciò che siete.

La vostra felicità non dipende dall’approvazione di una giuria sociale, familiare, lavorativa, scolastica. Se vi concentrate sui “risultati” da ottenere nell’attenervi alle prescrizioni, la vostra felicità sarà sempre distante di un podio e l’ansia vi impedirà sia di godere dei singoli momenti di gioia sia di perseguire i vostri sogni.

Le vostre fondamenta e il vostro motore sono le persone che amate e che vi amano. Abbiatene cura. Davanti al pericolo, al bisogno, alla sofferenza tutto quel che avrete di prezioso per restare a galla e ripartire saranno le vostre relazioni.

Maria G. Di Rienzo

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Otley Chevin Leeds

Pavoni con la coda a ventaglio,

elefanti dipinti.

Copriletti ricamati

di prati e siepi.

Foreste di bambù

e picchi con cappelli di neve.

Cascate, ruscelli,

i geroglifici delle gru dalle grandi ali

e il fiore di loto luccicante dopo la pioggia.

L’aria

trasparente in modo ipnotico

rarefatta.

Il viaggio è un faticoso uno alla volta

lungo e lento

ma necessariamente tale.

Potete ascoltate il testo intero qui:

https://www.youtube.com/watch?v=k0bWqq8sQiE

Si tratta di “Lockdown”, poesia che Simon Armitage ha scritto in marzo e che recita con l’attrice Florence Pugh nel video indicato sopra. Il testo è stato messo in musica e in vendita per raccogliere fondi a beneficio di Refuge, un’organizzazione che si occupa di violenza domestica.

La “poesia della quarantena”, pubblicata per la prima volta da The Guardian, si muove dall’esplosione della peste bubbonica a Eyam, nel 17° secolo, al poema epico in sanscrito “Meghaduta” dell’indiano Kalidasa (4°-5° secolo d.C.).

Il video merita attenzione per la magia della musica, le immagini che incorporano speranza e sogno nella quotidianità e lo scopo per cui è stato creato.

A me è piaciuta particolarmente l’armonia delle voci recitanti, in cui maschile e femminile si alternano: voci vicine senza prevaricazione, alleate in passione e rispetto. Maria G. Di Rienzo

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sororidad transparencia

“La capacità di una donna di essere libera è collegata alla sua capacità di amare un’altra donna.”

Susan Griffin (nata nel 1943), attivista ecofemminista, filosofa, saggista e commediografa.

sororidad

“Pensavo di poterlo aggiustare da sola, ma con voi è stato molto più facile.”

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(“How to make yourself small or how to be black and survive” di Porsha Olayiwola, in immagine, trad. Maria G. Di Rienzo. Olayiwola è scrittrice, poeta, educatrice, futurista, femminista, lesbica, storica della “diaspora nera”, direttrice artistica… La lista sarebbe ancora più lunga, ma c’è una frase che può fungere da riassunto: questa giovane donna è un genio. Vederla su un palcoscenico, che stia recitando le sue poesie o mettendo in scena una performance teatrale, è illuminante e catartico.)

porsha

Come rimpicciolire te stessa o come essere nera e sopravvivere

Accovacciati giù

in basso

non stendere le tue membra per tutta la loro lunghezza

Fletti le ginocchia

lascia che le tue ossa si ripieghino o

si rompano

Avvizzisci

Lascia che la tua pelle ti abbracci

come una bara, tienila vicina

La tua lingua è fragorosa

per diluire il ruggito, dirotta i tuoi occhi

osserva solo il manto stradale

Così un’ombra massiccia spalanca per noi

una tomba

Vedi solo le formiche

minuscoli esseri di melanina

scorrazzarne via

indenni

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“Io sono un’artista che si sta specializzando in primitivismo perciò per me la storia, in un dipinto, è assai più importante dei dettagli. Molti pensano che i primitivisti non sappiamo disegnare, ma in effetti si tratta di un’area artistica complessa e interessante: rappresentare qualcosa con il minimo numero possibile di linee è assai più difficile di quel che sembra.

La mia arte mancava di significato all’inizio. Quando sono diventata una femminista, ho cominciato a guardare le opere di varie donne artiste e anche i fumetti – storie in figure – e ho capito per la prima volta che l’arte poteva parlare di cose importanti. Ho capito che le artiste incorporavano un’agenda sociale e politica tramite il loro lavoro.”, Yulia Tsvetkova (in immagine).

tsvetkova

Lo scorso marzo sono stati revocati gli arresti domiciliari a Yulia, l’artista femminista e lesbica di cui avevo parlato qui:

https://lunanuvola.wordpress.com/2020/01/23/la-censura-e-questa/

Il 7 aprile Open Democracy, chiedendosi come mai un progetto educativo composto da illustrazioni sia diventato “pornografia”, ha pubblicato una lunga intervista a Yulia curata da Anna Kim. Di seguito, la traduzione di alcuni brani.

Perché pensi di essere stata liberata dagli arresti domiciliari? Perché è accaduto ora ed è stata una novità per te?

E’ stata una novità per me: ne’ io ne’ il mio avvocato ce lo aspettavano. Penso abbia in parte a che fare con le procedure burocratiche. Ci hanno messo tre mesi e mezzo per fare un’inchiesta e letteralmente dieci giorni fa hanno cambiato i dettagli dell’articolo in virtù del quale ero accusata e hanno fatto invece un’indagine. Si supponeva che dovessero arrestarmi di nuovo, ma non è accaduto. Il giudice voleva andare avanti ma il procuratore, con mia totale sorpresa, ha sostenuto la nostra parte.

I detective avevano chiesto inizialmente che i miei arresti domiciliari fossero inaspriti con il bando ad ogni comunicazione e all’accesso a internet, perciò le cose avrebbero potuto andare in modo molto diverso. Non posso chiamarlo un disgelo o una dinamica positiva, può essere stata solo una coincidenza, il che è molto comune.

Ma il tuo caso non è ancora chiuso?

No, adesso sono ufficialmente una sospettata, ho la notifica in cui mi si sospetta di aver commesso il crimine relativo alla diffusione di pornografia. Alcuni media hanno detto, sbagliando, che non sono stata accusata di nulla, ma l’annuncio dell’incriminazione avviene alla fine del procedimento, davanti a una giuria, quando l’indagine è finita e c’è il rinvio a giudizio, perciò è ancora troppo presto per incriminarmi.

Nel tuo post su Facebook, in cui dici di essere stata rilasciata dagli arresti domiciliari, hai scritto che la pubblica accusa aveva “grandi piani” per te. Cosa significava?

Durante le sedute in tribunale la pubblica accusa, chiedendo l’estensione del mio stato di arresto, ha elencato tutto ciò che avrebbe fatto durante le udienze: interrogare mia madre e ogni membro del mio gruppo sui Monologhi della Vagina; controllare i miei account e chiamare a testimoniare un bel po’ di esperti: in campo artistico, psichiatrico, informatico. Potrei dover affrontare un secondo arresto: ancora non è chiaro, ma il caso non è chiuso.

Da quando ricevi minacce dal gruppo omofobico “Pila protiv LGBT (Saw contro LGBT: il gruppo si ispira al film horror omonimo, chiama alla violenza contro le persone omosessuali e mette online i loro dati privati, come indirizzo e numero di telefono, organizza aggressioni durante le manifestazioni del Pride, eccetera)? Che sta facendo la polizia al proposito?

Il movimento “Saw” è in giro da un paio d’anni, dal 2017-2018. Io non ero un’attivista all’epoca e non una singola istituzione, inclusi l’FSB (Servizi federali per la sicurezza della Federazione russa) e il Centro per il contrasto all’estremismo, è stata in grado di scoprire gli autori della lettera di minacce (ricevuta da Yulia e da altre/i). Li abbiamo cercati da noi e abbiamo fatto denunce.

La prima volta in cui mi hanno minacciata direttamente è stata nell’estate del 2019 quando io, assieme ad attiviste/i di ogni parte della Russia, sono finita nella cosiddetta “Lista Pila” e ho fatto denuncia. E’ stato solo di recente che l’FBS ha risposto dichiarando che si trattava di non luogo a procedere.

Quel che è stato buffo è che io dovevo fornire prove delle minacce al poliziotto che aveva in carico i miei casi penali e civili. In altre parole, questo tizio stava raccogliendo prove incriminatorie contro di me, mentre allo stesso tempo io dovevo fornirgli prove in mia difesa.

Il 18 marzo scorso nuove minacce, con il mio indirizzo e numero di appartamento, sono arrivate per posta. Questa volta chiedevano 250 bitcoins prima del 31 marzo, altrimenti mi avrebbero uccisa. Dopo le prime minacce la polizia ci ha messo sei settimane per dirmi che non poteva fare niente e consigliarmi di non uscire di casa e di prendermi un cane. Le uniche domande che mi hanno fatto durante la nostra conversazione miravano a sapere se disegno pornografia e se vado a letto con le donne, perciò sarebbe stato futile chiedere aiuto da quella parte.

Allo stesso tempo, quando ricevo mail di odio dagli omofobi, la cosa si risolve in un paio di giorni. Se qualcuno pensa si tratti di un bello scherzo va bene, ma troviamo l’umorista e diciamogli che non è divertente.

[Nota dell’editore: Yulia Tsvetkova ha riportato su FB il 2 aprile di aver ricevuto nuove minacce da “Saw”.]

Cosa hai mente di fare in futuro? Tornerai all’attivismo, al teatro, all’attività su internet e al lavoro educativo?

Non ho idea di cosa farò, c’è ancora la possibilità che io vada in prigione per un periodo compreso fra i due e i sei anni. La mia attività qui è stata tagliata alla radice. Tutto quel che ho fatto negli scorsi due anni è svanito e non ho nulla di pronto per il futuro. Ci sono alcuni appunti e progetti che amerei sviluppare, ma non è realistico pensarlo, al presente. Ma certamente voglio essere coinvolta nel teatro e nell’attivismo pro diritti umani in Russia o da qualche altra parte.

Yulia Tsvetkova illustration

(un dipinto di Yulia)

Maria G. Di Rienzo

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building solidarity x awid

(Non chiediamo carità ma solidarietà.

Domandiamo di vivere in sicurezza e libertà.)

“Io immagino un mondo dove le donne si muovono liberamente e quello è il mondo che disegno.

Le mie donne hanno ripudiato tutte le idee di vergogna che erano in precedenza state attribuite dal sistema ai loro corpi e alla loro pelle.

Hanno percorso una lunga strada e infine hanno scelto di essere gloriosamente se stesse.

Hanno il completo controllo della loro mente e del loro corpo. Prendono spazio e non si scusano perché lo fanno.

Io sono circondata da queste donne ed esse alimentano la mia arte.”

Vidushi Yadav, “femminista, artista, attivista, in quest’ordine!”

(Indiana, è la giovane Autrice delle illustrazioni che vedete. La prima viene dal lavoro che Vidushi fa per Awid – Association for Women’s Rights in Development. Trad. Maria G. Di Rienzo.)

vidushi yadav

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amanirenas 2

Amanirenas (o Amanirena) fu regina – qore e kandake, “re” ed “erede matrilineare” – del Kush dal 40 al 10 BCE.

E’ solo una delle mille e mille figure femminili storiche sepolte da un metodo per cui se non corrispondono a uno stereotipo patriarcale è meglio non parlarne affatto. Questa poi, oltre a essere una guerriera, era pure cieca da un occhio!

Jason Porath – https://www.rejectedprincesses.com/ – racconta di lei così (l’illustrazione sottostante è sua):

“Molto tempo fa, quando Roma aveva messo gli occhi sul sud, una regina con un occhio solo combatté così fieramente che Roma non andò mai più oltre l’Egitto.

Il suo nome era Amanirenas.

Questa è la sua storia, e la storia di una testa famosa decapitata.

amanirenas

La vicenda inizia con la sconfitta di Cleopatra e Marcantonio per mano di Augusto.

Dopo aver annesso l’Egitto, Augusto e i suoi si ripromisero di spingersi ancora più a sud.

Ciò significa che la prossima nazione era quella di Amanirenas, regina del regno di Kush, in quello che oggi è il Sudan.

Florido quanto l’Egitto, Kush era tuttavia molto più piccolo dell’Impero Romano. Ad ogni modo, mentre Roma era distratta altrove, Kush colpì per primo.

Il marito di Amanirenas morì durante le prime battaglie, lasciando lei e il figlio a continuare la lotta.

Kush conquistò due grandi città romane, prese prigionieri ed espanse i confini del regno.

Come sberleffo finale, i Kushiti decapitarono numerose statue di Augusto.

Augusto non ne fu divertito. Roma reclamò le sue città, invase il Kush, distrusse la sua antica capitale e vendette migliaia di persone come schiave. Sembrava che Kush fosse stato messo in ginocchio. Non era così.

Amanirenas contrattaccò velocemente e ripetutamente, in apparenza usando alcune terrificanti tattiche di guerra.

Un’incisione mostra Amanirenas con due spade, mentre dà da mangiare prigionieri al suo leone domestico. Altre registrazioni descrivono l’uso di elefanti da guerra contro i nemici.

kandake

Dopo non molto, Roma acconsentì a un trattato di pace permanente (Ndt.: senza tributi o altre condizioni). Combinando resistenza ambientale e resistenza armata, Kush si dimostrò troppo difficile perché Roma continuasse a combattere.

Non conosciamo le opinioni di Kush sulla guerra. Sino a oggi, nessuno è riuscito a tradurre i loro geroglifici.

Kush scomparve 400 anni dopo, lasciando rovine che non furono oggetto di studio sino al 1900.

Come un tempio riscavato nel 1914. Gli archeologi furono sconvolti dal ritrovamento della testa di una statua di Augusto, il reperto di quel tipo meglio preservato che fosse sino allora sopravvissuto.

Stava sotto il piede di un governante kushita.”

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(tratto da: “We Contribute to Diversity”, di Olowaili “Madre de las estrellas” – “Madre delle stelle” Green Santacruz, per Cultural Survival, dicembre 2019, trad. Maria G. Di Rienzo. L’Autrice è ritratta qui sotto.)

madre delle stelle

Noi Guna siamo un popolo dalla doppia nazionalità con una comunità a Panama e due in Colombia – una in campagna e l’altra in città.

Io vivo nella regione Guna di Abya Yala. Ho vissuto a Medellín da quando avevo 7 anni e ora ne ho 26. Sto terminando l’ultimo semestre di studi sulla comunicazione audiovisiva e sono una produttrice di audiovisivi e una direttrice culturale: la mia compagnia, che si chiama sentARTE, lavora per promuovere la diversità etnica e di genere.

Nella nostra tradizionale spirituale Guna, gli dei hanno mandato un uomo e una donna, ma poi hanno mandato anche una terza persona, un essere non definito per genere.

Dall’età di 12 anni sapevo che la mia preferenza sessuale era diretta verso le donne. E’ stato molto difficile per me, perché in numerose comunità indigene c’è un bel po’ di machismo e si richiede alle donne di assumere ruoli determinati. All’inizio è stata dura, perché le mie preferenze non erano accettate. A 15 anni avevo una partner che mi ha aiutato molto e fu allora che decisi di parlare ai miei genitori di lei. I miei genitori mi hanno accettata, ma è stata dura anche per loro.

Dopo aver discusso la faccenda con la mia famiglia, non mi sono più preoccupata di quel che pensava la gente, anche se esercito discrezione per sostenere i miei parenti.

Definire me stessa è un atto politico e con esso è arrivato il desiderio di essere un’attivista. Questo non è facile per una donna perché i testi che definiscono l’identità culturale, e che ci sono imposti, contengono troppe oppressioni di genere. Sarà una lunga lotta, ma io sento di avere il compito di aiutare altre donne, in special modo le donne indigene, i cui ruoli prescritti le opprimono doppiamente. Io non ho problemi nell’identificarmi dentro il termine LGBTQIA+. Al di là di tutto, io sono un essere umano che vuole amare un altro essere umano.

Dobbiamo istruire la società affinché essa sia informata, perché noi non siamo gente “stramba”. Siamo uguali. I miti per cui saremmo i portatori dell’AIDS devono essere banditi. Tale istruzione deve cominciare a scuola, con i bambini. Bisogna instillare educazione per suscitare consapevolezza nella società. Gli uomini gay in Colombia sono raffigurati molto male, le lesbiche meno ma ad esse si appiccica la falsa aura della bisessualità, tipica delle fantasie sessiste.

La mia professione si adatta perfettamente alle lotte dei popoli indigeni. Il fatto che vivo in città, separata dalla comunità, è disprezzato però partecipo ancora agli incontri comunitari guidati dai caciques (capi). Come persona indigena urbanizzata ho incontrato grande ignoranza rispetto ai popoli indigeni: la mia compagnia è stata creata proprio per salvaguardarli e renderli visibili. Ho realizzato un documentario per la televisione che sarà trasmesso in gennaio e che parla del potere femminile nelle comunità.

Il mio lavoro contribuisce alla costruzione di una società maggiormente egualitaria. Contribuiamo alla visibilità delle nostre culture indigene e della diversità in generale.

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