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Archive for the ‘Caramelle per gli occhi’ Category

Flying Spaghetti Monster

Io preferirei davvero che tu evitassi di usare la Mia esistenza come motivo per opprimere, sottomettere, punire, sventrare e/o, lo sai, essere meschino con gli altri. Io non richiedo sacrifici e la purezza va bene per l’acqua potabile, non per le persone.

Io preferirei davvero che tu evitassi di giudicare le persone per come appaiono, o per come si vestono, o per come camminano o, comunque, di giocare sporco, va bene? Ah, e ficcati questo nella tua testa dura: Donna = Persona. Uomo = Persona. Tizio noioso = Tizio noioso…

R’amen! Questi sono un paio degli eccellenti otto comandamenti – condimenti emanati dallo Spaghetto Volante (con polpette, in immagine sopra) per i fedeli del Pastafarianesimo e mi servono come apertura per dirvi che il documentario “I, Pastafari” del regista Michael Arthur sarà disponibile online da martedì prossimo, 26 maggio.

https://www.ipastafaridoc.com/

Il documentario ripercorre la nota storia di come l’allora studente Bobby Henderson – era il 2005 – reagì alla possibilità che il creazionismo fosse insegnato nelle scuole del Kansas, chiedendo che lo stesso numero di ore fosse dedicato al Flying Spaghetti Monsterè il nome originale della divinità – e alla sua creazione del mondo, e passa a illustrare numerosi casi in cui i pastafariani sono comparsi nei tribunali di diverse nazioni affinché la loro religione ricevesse le tutele che tutte le altre fedi hanno… e quindi, anche per il diritto di farsi le foto per il passaporto con lo scolapasta in testa.

Il Pastafarianesimo è stato a lungo visto come nulla di più di uno scherzo, ma il documentario analizza i suoi messaggi dando ad essi il credito che meritano; per quel che mi riguarda, credo che le idee e i concetti si possano veicolare in mille maniere e che farlo ridendo sia sicuramente meglio che farlo urlando o minacciando.

La satira di Henderson e accoliti era ed è terribilmente seria: nelle stesse parole del fondatore include la necessità di “tenere la religione fuori dalle scuole pubbliche, tenere il denaro fuori dalla religione e questo genere di cose”. Quando la scienza diventa solo un’opinione come un’altra, sostengono i pastafariani, le opinioni dei potenti diventano fatti alternativi: “Sopprimere l’istruzione e nutrire l’ignoranza è il talento di ogni autoritario di successo. Questo si è verificato durante tutta la storia umana e ne stiamo testimoniando una rinascita oggi. Non tutto è perduto. L’antidoto ai fatti alternativi e alle fake news è la scienza. Non è più razionale accettare che assassinare gli infedeli garantisca l’accesso al paradiso. Se solo fossimo tutti abbastanza istruiti da pronunciare una semplice parola, PROVALO, è possibile che molti degli odierni titoli disturbanti sulle prime pagine dei giornali scomparirebbero. Solo quando condivideremo di nuovo una base comune per definire un “fatto” potremo smettere di battibeccare e cominciare a discutere di soluzioni realistiche per raddrizzare le disgrazie del mondo.”

Maria G. Di Rienzo

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Questo è promettente: Alice Wu la regista-sceneggiatrice di “Saving Face” (“Salvare la faccia”, 2005) ha prodotto un nuovo film che sarà in onda su Netflix il 1° maggio prossimo.

Alice Wu è nata il 21 aprile 1970 negli Stati Uniti, figlia di migranti provenienti da Taiwan, e la sua prima opera autobiografica trattava del fare coming out come lesbica nella comunità cinese-americana. All’epoca, disse: “Mi auguro che il pubblico abbia la sensazione che, al di là di chi ciascuno è, che sia gay o etero, o qualsiasi sia il suo retroscena culturale, se c’è qualcosa che desidera in segreto, si tratti dell’avere il grande amore o altro, non è mai troppo tardi per averlo. Voglio che il pubblico esca dal cinema provando un senso di speranza e di possibilità.” E in effetti sono le caratteristiche che fanno di “Saving Face” un gran bel film e che gli hanno guadagnato una serie di premi.

Il prossimo si chiama “The Half of It”, che probabilmente – data la difficoltà di tradurre l’espressione in modo letterale – in italiano finirà per essere “L’altra metà”. E’ in pratica Cyrano de Bergerac ai nostri giorni la qual cosa, visto quanto amo la commedia di Rostand, già mi delizia di suo.

the half of it

Ellie Chu (l’attrice cinese-americana Leah Lewis, in immagine) è una liceale timida, solitaria e occasionalmente oggetto di stupidi sfottò razzisti. Ellie è eccellente negli studi e arrotonda le entrate familiari scrivendo per i compagni di scuola i saggi assegnati ad essi dagli insegnanti. La sua arcinota bravura nello scrivere fa sì che un altro studente, disperatamente innamorato e senza quasi speranza di riuscire a impressionare la ragazza dei suoi sogni, le chieda di creare lettere d’amore per costei. Purtroppo, o per fortuna, si tratta della ragazza di cui è innamorata anche Ellie…

Il tratto autobiografico, qui, riguarda il miglior amico della regista, un coetaneo eterosessuale che, grazie alla profondità emotiva del loro rapporto, la aiutò a venire a patti con la propria identità. “Così eccomi qua, – ha scritto Alice Wu presentando il suo lavoro – che procedo verso la mezza età e ho appena fatto un film sugli adolescenti. Ora che è finito, vedo alcune cose più chiaramente. La principale: ero solita pensare che ci fosse un solo modo di amare. Che A + B – C equivalessero all’Amore. Ora che sono più vecchia, so che ci sono più modi di amare. Così tanti, più di quanti avessi mai immaginato.”

Date un’occhiata al trailer, è fantastico:

https://www.youtube.com/watch?v=B-yhF7IScUE

Maria G. Di Rienzo

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Alla fine di febbraio ho cominciato a seguire “Hyena” solo per vedere di nuovo in azione Kim Hye-su (https://lunanuvola.wordpress.com/2019/12/10/il-sentiero/). Immaginavo, dato il contesto – avvocati di lusso per gente di lusso con conseguente manipolazione della legge a favore dell’1 % della società – che nonostante la statura professionale dell’attrice mi sarei annoiata presto e avrei lasciato perdere. Sicuramente, pensavo anche, avrebbe contribuito ad allontanarmi il consueto noiosissimo romanzetto amoroso fra i due protagonisti principali: sapete, lei di umili origini e lui nato con il cucchiaio d’oro in bocca (come dicono i coreani, produttori della serie), la povera donzella che subisce ogni insulto rispondendo con un timido sorriso e affogando nell’amore sacrificale l’arroganza, la maleducazione e il sessismo del nobile giovanotto.

shut up

Invece no. Questa donzella, ovvero il personaggio dell’avvocata Jung Geum-ja che Kim Hye-su interpreta, morde – letteralmente e metaforicamente. Della storia pesantissima di violenza domestica che ha alle spalle porta addosso cicatrici sensibili nell’animo e fisiche sul corpo, ma da essa non è stata ne’ spezzata ne’ vinta e neppure ha permesso a detta esperienza di definirla come persona.

E’ incline a uscire dal seminato legale per ottenere risultati, temeraria, spregiudicata, spesso etichettata come “spietata” per una condotta che se riferita a un collega di sesso maschile sarebbe esaltata come assertiva e scaltra e, in pratica, invincibile in tribunale. Ogni volta in cui qualcuno tenta di “rimetterla al suo posto” ricordandole che proviene dai ranghi più bassi della comunità o che in fondo è solo una donna, l’avvocata se ne infischia e riporta l’interlocutore sul merito più abbietto: quanti soldi costui vuole perdere o guadagnare, quanti lei stessa ne guadagna o perde a seconda della situazione.

La storia d’amore c’è ma, finalmente, assume caratteri inusuali per gli sceneggiati coreani (e per gli sceneggiati in genere). Jung Geum-ja mette in scena un’elaborata trappola emotiva in cui far cadere l’avvocato Yun Hee-jae (interpretato da Ju Ji-hoon, che forse conoscete come il principe affogato in orde di zombies di “Kingdom”) al solo scopo di ottenere informazioni riservate da usare contro di lui in una causa legale. Una volta ritrovatisi in tribunale, la “finta” relazione fra i due si chiude obbligatoriamente, sebbene lasci strascichi in entrambi. Un po’ di fans del personaggio maschile stanno lamentando online la triste sorte del “sedotto e abbandonato”, cosa che mi lascia perplessa visti i picchi di maleducazione e malizia che costui raggiunge sovente. A volte lo trovo così insopportabile da saltare le scene non appena comincia a sfoggiare sarcasmi da quattro palanche e scortesia.

Alcuni particolari che mi hanno invece deliziata: 1) il modo di muoversi sciolto e libero di Jung Geum-ja e le posture che il suo corpo assume. Quando sta seduta a gambe larghe di fronte a vezzose ed eleganti signore e impettiti signori è semplicemente fantastica; 2) la scena in cui Jung Geum-ja è appena uscita dallo shock della visita inaspettata del proprio padre violento, rilasciato dalla prigione, e l’avvocato Yun Hee-jae la invita a “usarlo” per trovare conforto, dicendo che quello è ciò che lei sa fare meglio. L’avvocata non ci pensa due volte, lo afferra per i vestiti e prima di baciarlo dice: “Questa notte non è mai esistita”; 3) il brano della colonna sonora che chiude ogni puntata: eccolo qui.

Yeo Eun – Hyena (Hyena OST Part 1)

https://www.youtube.com/watch?v=dLDBV4kIfI4

La mia testa, la mia testa

sta ronzando di nuovo

Il cielo grigio

sta ruotando di nuovo

Sono sempre stata sola sin dall’inizio

per cui non so neppure cosa sia la solitudine

Mi sto guardando in giro un’altra volta stanotte

Occhi spalancati in cerca di preda

Tu dici

no no no no non intrappolare me

Persino sui campi secchi

cade la pioggia

Tu dici

no no no no non intrappolare me

Il sole splende, è un’alba abbagliante

Io sto mirando ai cuori che tremano

Non sarò sconfitta, sto mordendo forte e in profondità

nascondendomi nell’ombra scura

Il mio cuore, il mio cuore

sta battendo forte di nuovo

Il cielo grigio

sta ruotando di nuovo

Io ero al livello più basso sin dall’inizio

perciò non so neppure cosa sia l’essere insudiciata

Sto annusando in giro ancora una volta stanotte

Occhi spalancati in cerca di preda

Tu dici

no no no no non intrappolare me

Persino sui campi secchi

cade la pioggia

Tu dici

no no no no non intrappolare me

Maria G. Di Rienzo

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Nessuno mi ha insegnato

se questo fosse il sentiero giusto

o se dovessi prenderne un altro

Se ne raggiungo il termine laggiù

mi fermerò

dicendo “E’ la fine”

Sono in piedi di fronte a un labirinto chiuso

Chiedo quale sia la mia via

ma l’eco non ha risposte

Potrei restare sullo stesso sentiero di ieri

come appesa su quella ragnatela

Da qualche parte nel mondo

nell’angolo più profondo

devo trovare la me stessa che ha perso la via

Prima che giunga l’oscurità che ingoia il sole

devo trovare la mia strada

che è intrappolata in una lunga muraglia

Insegnatemi, mie nascoste paure:

se questo sentiero termina, ve ne sarà un altro?

Devo sciogliere i nodi che mi legano i piedi

ma le mie mani intorpidite sono troppo doloranti

Da qualche parte nel mondo

nell’angolo più profondo

devo trovare la me stessa che ha perso la via

Prima che giunga l’oscurità che ingoia il sole

devo trovare la mia strada

che è intrappolata in una lunga muraglia

” (Il sentiero), Kim Yun-a – cantautrice, pianista, chitarrista del gruppo coreano indie-rock “Jaurim”.

https://www.youtube.com/watch?v=J3VZ78hWhQw

signal

La canzone fa parte della colonna sonora di “Signal”, uno sceneggiato trasmesso dalla rete tvN nel 2016 e che in questi giorni appare nelle classifiche dei migliori lavori televisivi coreani dell’ultimo decennio (io concordo). Se vi capita di poterlo vedere, fatelo: la storia è innovativa e potente ed è resa con un’armonia perfetta fra intreccio, regia e recitazione. Gli attori sono stati tutti sublimi, ma il mio Oscar personale va alla protagonista femminile Kim Hye-su (1970, straordinaria anche al cinema, vedasi “Coin Locker Girl”), a cui “Il sentiero” si riferisce.

Maria G. Di Rienzo

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portrait of a lady on fire

Ancora oggi, per molti critici e opinionisti e sedicenti studiosi è difficile accettare che le persone omosessuali siano sempre esistite. Quando le vicende relative a un personaggio storico rivelano senz’ombra di dubbio una relazione con un individuo del suo stesso sesso, costoro fanno salti mortali per descriverla come “amicizia” con l’aggiunta di precisazioni che dovrebbero escludere vi sia implicato l’amore – riservato alle coppie eterosessuali – per cui saltano fuori descrizioni del tipo amicizia “romantica”, “forte”, “stretta”, “esclusiva” ecc.

Stracciare questo fondale è uno dei motivi che rendono importante il film francese “Portrait de la jeune fille en feu” – “Ritratto della giovane in fiamme”, vincitore della “Palma Queer” a Cannes e che in Italia sarà nelle sale il 19 dicembre 2019.

Diretto da Céline Sciamma, ha come protagoniste Noémie Merlant nel ruolo della pittrice Marianne e Adèle Haenel nel ruolo di Héloïse, la giovane del titolo (in immagine sopra). Siamo in Bretagna, nel 1760, ove Marianne è ingaggiata dalla madre di una giovane nobile appena uscita dal convento affinché dipinga segretamente un ritratto di costei: il quadro sarà poi inviato al suo pretendente a Milano. La realizzazione del dipinto era stata commissionata in precedenza a un altro artista che aveva rinunciato a causa della inflessibile resistenza di Héloïse, che non vuol essere ritratta e soprattutto non vuole sposarsi. Perciò, Marianne le è presentata ufficialmente come dama di compagnia: deve osservarla durante il giorno e dipingerla la notte.

Nel mentre la loro intimità cresce, cresce anche l’attrazione reciproca. Marianne, dapprima mera spettatrice degli slanci della giovane verso la libertà, gradualmente li condivide e ne diventa partecipe e complice. Una volta conosciuta la verità sul lavoro affidato all’artista, Héloïse accetta di posare ma quel quadro è anche una sorta di data di scadenza imposta alla relazione fra le due.

Il fuoco simbolico del titolo si concretizza più volte nella vicenda: per esempio quando la gonna di Héloïse si incendia durante una danza notturna con altre donne attorno a un falò, o quando Marianne brucia la prima versione del dipinto dopo aver ascoltato le critiche di Héloïse, ma è dall’ardore con cui quest’ultima vuol essere padrona della propria vita che scaturisce la decisione dell’artista di nominare il quadro come “Ritratto della giovane in fiamme”.

Maria G. Di Rienzo

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“La paura è il sentiero verso il lato oscuro.

La paura conduce alla rabbia.

La rabbia conduce all’odio.

L’odio conduce alla sofferenza.” – Yoda

baby yoda

(bimbo Yoda dalla serie televisiva “The Mandalorian”, ambientata nell’universo di Star Wars. Da noi uscirà nel marzo 2020.)

May the force – of nonviolence – be with us.

Possa la forza – della nonviolenza – essere con noi.

Maria G. Di Rienzo

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born 1982

“Kim Ji-young, nata nel 1982” è davvero un film da record – e non solo perché nella natia Corea del Sud, il 27 ottobre, ha superato il milione di spettatori cinque giorni dopo la sua uscita nei cinema.

Il romanzo del 2016 di Cho Nam-joo, da cui è tratto, è un best seller in Corea, Giappone e Cina – ne sono state stampate oltre un milione e duecentomila copie – e i diritti per la pubblicazione sono stati venduti ad altri 16 Paesi. Il film ha collezionato però ulteriori primati:

– ha ricevuto migliaia di recensioni negative prima di essere proiettato;

– una petizione è stata inviata al Presidente coreano affinché ne vietasse l’uscita;

– l’attrice che interpreta il personaggio principale, Jung Yu-mi, è stata inondata online di commenti odiosi e insultanti (che in misura minore non hanno risparmiato il resto di cast and crew);

– allo stesso modo sono state assalite attrici e personalità che avevano solo attestato sui propri social media di aver letto il libro.

Vi state chiedendo cosa diamine succede di così terribile e controverso in questa storia e io ve lo dico: niente. O meglio, niente che non vediate all’opera tutti i giorni in termini di sessismo. Kim Ji-young è uno dei nomi più comuni in Corea, da noi potremmo tradurlo come Maria Rossi e gli anglosassoni come Jane Doe o Jane Smith. L’Autrice dà con tale scelta la prima precisa indicazione di quanto la storia sia generalizzabile: la piccola Ji-young nasce e sua madre si scusa per aver messo al mondo una femmina; ad ogni stadio successivo della sua vita – va a scuola, trova un lavoro, si sposa, ha una figlia – subisce discriminazioni di genere più o meno violente.

Come tutte noi cerca dapprima di capire e adattarsi, come a moltissime di noi le è stato detto che ora le donne, se si impegnano abbastanza e studiano e sgobbano, possono fare tutto: ma per esempio sempre guadagnandoci meno, intendiamoci. Le donne coreane soffrono un gap salariale assurdo (63% in meno degli uomini) e la nazione è stimata una delle peggiori al mondo per le lavoratrici.

Nel libro la voce narrante non è quella della trentenne Ji-young, ma quella dello psichiatra maschio da cui è finita in terapia… perché la sua ribellione a una società profondamente patriarcale e quindi profondamente ingiusta ha preso una forma singolare: la giovane donna sembra “posseduta” dagli spiriti della madre scomparsa, della sorella maggiore, di diverse donne con cui è in relazione.

Per sua bocca, intere generazioni chiedono ragione del trattamento subito – e giustizia. E’ questo ad aver mandato fuori di zucca gli odiatori coreani. E’ una cosa – aspettate, tratteniamo il fiato, corazziamoci, teniamoci alle sedie – FEMMINISTA! Aaargh!

Ai loro assalti il protagonista maschile, l’attore Gong Yoo,

(https://lunanuvola.wordpress.com/2017/01/18/goblin)

ha semplicemente risposto di aver accettato il ruolo perché leggendo la sceneggiatura era scoppiato più volte in lacrime: e tale lettura, ha ribadito, ha rinforzato il suo desiderio di essere un figlio migliore per sua madre.

cho nam-joo

Cho Nam-joo (in immagine sopra), grazie e congratulazioni. Hai fatto uno splendido lavoro, maledetta strega femminista, sorella nostra.

Maria G. Di Rienzo

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afronauts

Nel 2014 uscì il corto “Afronauts” della regista, sceneggiatrice e scrittrice ghanese Nuotama Frances Bodomo.

(per vederlo: https://fourthree.boilerroom.tv/film/afronauts)

Diventato rapidamente un film “cult”, è la trasposizione poetica e malinconica, in bianco e nero, della vera storia di come l’Accademia Spaziale dello Zambia tentò di battere sul tempo la missione statunitense diretta alla Luna nel 1969.

Il suo ritmo è quello di un sogno intenso che punta più sulla visualizzazione (angolature di ripresa, scenari, espressioni) che sul dialogo, rendendo in questo modo gli scambi relazionali maggiormente importanti rispetto all’azione. La protagonista, ovvero l’astronauta designata, è la diciassettenne Matha che vediamo impegnata nell’addestramento per il volo nello spazio: non si tratta solo di una emozionante impresa umana e tecnica – in un crescendo silenzioso quanto teso, la ragazza diventa l’incarnazione della richiesta di futuro per i corpi, le culture e le aspirazioni africane.

La buona notizia è questa: “Afronauts” avrà una nuova versione come lungometraggio. Negli ultimi sei mesi, con il sostegno di varie istituzioni (Sundance Institute, Tribeca Film Institute, IFP’s Emerging Storytellers program ecc.), la regista Bodomo ha viaggiato in Zambia intervistando gli attivisti per l’indipendenza, prominenti figure accademiche e i partecipanti originari al programma spaziale. Il film è quasi completo e noi amanti dell’sf siamo in fremente attesa di poterci immergere ancora nelle magiche atmosfere evocate dalla sublime narratrice Nuotama Frances Bodomo (in immagine qui sotto). Maria G. Di Rienzo

Nuotama Frances Bodomo

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jennifer 42

Uscirà nell’aprile del prossimo anno, ma merita di essere segnalato con largo anticipo: si tratta del documentario d’animazione britannico “Jennifer, 42”.

Potete averne un assaggio di circa sette minuti qui:

https://vimeo.com/jennifer42doc

Le voci che sentite commentare e descrivere le scene in sottofondo sono quelle dei tre figli della protagonista, la quarantaduenne Jennifer Magnano. Dopo quindici anni di abusi sempre crescenti da parte del marito, questa donna architetta un piano di fuga rocambolesco e riesce ad allontanarsi assieme ai bambini.

“Da questo momento – spiegano le autrici del filmato – Jennifer ha fatto tutto quello che ci si aspettava da lei e tutto quello che le è stato detto di fare: ma è finita assassinata. E’ stata uccisa di fronte ai figli sui gradini d’ingresso di casa.”

Il film non è un giallo in cui dobbiamo scoprire l’assassino: fu il marito di Jennifer a premere il grilletto. E’ una ricostruzione degli eventi che hanno preparato l’omicidio e un’indagine approfondita degli stessi, ovvero la disamina del regime di controllo coercitivo che l’uomo aveva imposto alla sua famiglia – la complicata, minuziosa violenza di orari, silenzi, rituali, preparazione di pasti… il tutto senza una logica, senza relazione causa/effetto, a capriccio del marito-padre-padrone che minaccia e punisce in caso di “infrazioni”: conosco il genere per esperienza e vi assicuro che è infernale.

Le regole sono stabilite con il solo scopo di farti sentire costantemente in ansia e in colpa, vulnerabile, fragile. “Quando uscivi dalla tua stanza per andare a scuola non potevi rientrarci – ricorda per esempio una delle figlie – nemmeno se avevi lasciato indietro qualcosa che ti sarebbe servito.”

Lo staff che ha creato il documentario d’animazione è composto da donne e uomini di grande abilità, con brillanti successi precedenti e un impegno costante contro la violenza di genere, fra cui la regista Elle Kamihira, la criminologa Laura Richards (con un decennio di lavoro per Scotland Yard alle spalle), la produttrice Katie Hyde e la direttrice dell’animazione Yulia Ruditskaya (che ha offerto gratuitamente i suoi talenti anche a Unicef e Amnesty International).

Maria G. Di Rienzo

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mari e il robot

Se avete quindici minuti di tempo e vi fidate delle mie recensioni, potreste trascorrerli guardando questo breve film d’animazione del 2017, “Green Light” – “Luce Verde”.

https://www.youtube.com/watch?v=UT-mA673hLs

La squadra che l’ha creato è sudcoreana, però non vi servirà sapere altre lingue per vederlo (i dialoghi fra i due protagonisti principali, in immagine, sono comprensibili ma non vocalizzati; se siete curiosi delle sole due parole in coreano che si sentono nel filmato, la prima è “questo” e la seconda è “Yu-na”, un nome proprio).

Il regista Kim Seong-min racconta la sua storia così: “Luce Verde parla di una ragazzina e di un robot soldato che si trovano nella peggior situazione possibile causata dall’uso improprio di tecnologia scientifica altamente sviluppata. Ho tentato di mostrare il legame fra Mari, che tenta di costruire un futuro migliore senza abbandonare la speranza in una situazione tragica dove tutto è stato distrutto, e un automa che comincia una nuova vita grazie a lei, e come entrambi creino un nuovo mondo.”

In un quarto d’ora di tenerezza e magnificenza tecnica “Green Light” vi dirà che comunicare con chi è diverso da noi è sempre possibile e spegne la violenza. Vi dirà persino che anche quando scomparite i vostri sogni non devono necessariamente andare in frantumi.

Uno dei commenti più comuni al video è: “Sono un uomo adulto e sto piangendo”. Anche la scrivente vecchietta si è trovata una lacrima sulla guancia.

Maria G. Di Rienzo

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