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afronauts

Nel 2014 uscì il corto “Afronauts” della regista, sceneggiatrice e scrittrice ghanese Nuotama Frances Bodomo.

(per vederlo: https://fourthree.boilerroom.tv/film/afronauts)

Diventato rapidamente un film “cult”, è la trasposizione poetica e malinconica, in bianco e nero, della vera storia di come l’Accademia Spaziale dello Zambia tentò di battere sul tempo la missione statunitense diretta alla Luna nel 1969.

Il suo ritmo è quello di un sogno intenso che punta più sulla visualizzazione (angolature di ripresa, scenari, espressioni) che sul dialogo, rendendo in questo modo gli scambi relazionali maggiormente importanti rispetto all’azione. La protagonista, ovvero l’astronauta designata, è la diciassettenne Matha che vediamo impegnata nell’addestramento per il volo nello spazio: non si tratta solo di una emozionante impresa umana e tecnica – in un crescendo silenzioso quanto teso, la ragazza diventa l’incarnazione della richiesta di futuro per i corpi, le culture e le aspirazioni africane.

La buona notizia è questa: “Afronauts” avrà una nuova versione come lungometraggio. Negli ultimi sei mesi, con il sostegno di varie istituzioni (Sundance Institute, Tribeca Film Institute, IFP’s Emerging Storytellers program ecc.), la regista Bodomo ha viaggiato in Zambia intervistando gli attivisti per l’indipendenza, prominenti figure accademiche e i partecipanti originari al programma spaziale. Il film è quasi completo e noi amanti dell’sf siamo in fremente attesa di poterci immergere ancora nelle magiche atmosfere evocate dalla sublime narratrice Nuotama Frances Bodomo (in immagine qui sotto). Maria G. Di Rienzo

Nuotama Frances Bodomo

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walk a mile

“Walk a Mile in Her Shoes” (“Cammina un miglio nelle scarpe di lei”) è un’iniziativa nata da un’idea di Frank Baird che va avanti ormai da anni: gli uomini indossano scarpe femminili e camminano letteralmente per la distanza suddetta. La marcia è un modo per suscitare consapevolezza e una protesta contro violenza sessuale e domestica, durante la quale si raccolgono fondi per i centri antiviolenza e i rifugi per le donne in pericolo e così via.

Durante il 2014 queste marce si sono tenute in numerose città statunitensi, ma anche a Sofia in Bulgaria; a Dbayeh in Libano; a Lusaka in Zambia; a Launceston in Cornovaglia, a Port of Spain – St. George in Trinidad; a Camrose, Whitecourt, Brooks, Ottawa e Toronto in Canada, a Thokoza in Sudafrica; a Brisbane in Australia; a Ginowan – Okinawa, Giappone…

Spesso gli uomini partecipanti lasciano a memoria dell’iniziativa brevi poesie e riflessioni: ne ho usate alcune per legare insieme le immagini dei loro simili che usando il “mettiti nei suoi panni” protestano contro la violenza di genere in tutto il mondo. Gli scritti sono anonimi – ringrazio chi li ha creati e resi disponibili -, la traduzione è mia. Maria G. Di Rienzo

no a tutte le forme di violenza

Uomini afghani in burka, 2015

Lei non sa com’è sopravvissuta sino ad ora

da dove ha tirato fuori la volontà e la forza.

E tu non sai nulla guardandola,

nulla delle sue fatiche e delle sue difficoltà,

sino a che non fai un passo nel suo mondo,

e cammini nelle sue scarpe.

uomini turchi

Uomini turchi in gonna, 2015

Cammina un miglio nelle sue scarpe

e finirai per provare la sua malinconia.

Guarda il mondo attraverso i suoi occhi.

Come ti senti ad ascoltare tutte le bugie?

uomini kurdi

Uomini curdi in abiti femminili, 2014

Tutto quel che volevamo,

mettendo le sue scarpe,

era mostrarle che a noi importa,

che può alzarsi in piedi e non aver paura

e che non deve fingere di sorridere,

se il sorriso non è quel che ha dentro.

in her shoes 2013

Uomini statunitensi, 2013

Salta dentro le sue scarpe

Nuota nel suo oceano

Fai un passo

Cammina con lei

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CAMFED – Campaign for Female Education è un’ong internazionale fondata da Ann Cotton nel 1991, con lo scopo di promuovere l’istruzione femminile in Africa. Nell’Africa sub-sahariana 24 milioni di bambine non possono permettersi di andare a scuola. Una ragazzina può essere moglie a 13 anni ed avere una probabilità su 20 di morire partorendo. Uno su sei dei suoi eventuali figli morirà prima di aver compiuto 5 anni.

Ma se una ragazza va a scuola guadagnerà il 25% in più con il suo lavoro e ne reinvestirà il 90% nella sua famiglia; avrà tre volte meno probabilità di diventare sieropositiva: avrà un minor numero di figli che saranno più sani ed avranno il 40% di probabilità in più di passare i cinque anni d’età.

Grazie al sostegno di Camfed, 602.405 bambine (e bambini) sono andate a scuola e 20.216 giovani donne hanno dato inizio a imprese economiche proprie. Le ex beneficiarie hanno anche fondato un’associazione interafricana affiliata, Cama, che ha di par suo mandato a scuola altre 161.300 bambine. Quella che segue è la storia di una di loro, Abigail Kaindu, raccontata dalla giornalista Brina Manenga per “The Post”, Zambia, il 13.9.2011. (Trad. e adattamento Maria G. Di Rienzo)

Mentre cresceva  nel villaggio di Chitembo, provincia di Luapula, la vita sembrava senza speranza ad Abigail Kaindu e l’avere un’istruzione un sogno lontano che non sarebbe mai diventato realtà. Ma grazie alla sua determinazione, Abigail ha pian piano realizzato quel sogno: in ottobre otterrà il suo diploma in economia, e nel suo villaggio questa 23enne è diventata un modello per molte giovani e giovanissime. Nella zona rurale in cui vive, Abigail ha sperimentato la povertà e il rigetto. Aveva 7 chilometri da fare ogni giorno a piedi per arrivare a scuola, ma ogni ostacolo sulla sua strada non faceva che rafforzarla nel suo convincimento che l’avere un’istruzione coincideva con la sua liberazione.

“La mamma morì quando io ero in terza elementare, e non ho mai incontrato mio padre. Mia nonna, che mi ha allevata, non poteva pagare le tasse scolastiche.”, ricorda Abigail. Nonostante tutto, la ragazza riuscì ad ottenere il diploma delle medie, ma la disponibilità economica della famiglia non poteva andare oltre.
“Allora pensavo che la mia vita fosse finita e tutto ciò che desideravo perduto. Avevo implorato il preside di lasciarmi presenziare alle lezioni anche dopo essere stata cacciata via perché non potevo pagarle: lui acconsentì ed anche se era difficile non ne mancavo mai una, è così che mi sono diplomata alle medie.”

Quando le ragazzine al villaggio lasciano la scuola, il passo successivo è quasi sempre il matrimonio, ma Abigail non voleva prendere quella via: “Camminavo con le lacrime agli occhi ogni giorno. La gente del villaggio diceva che perdevo tempo a crucciarmi per la scuola, e che sposarmi era la scelta migliore, ma sposarmi era l’ultima cosa a cui io pensavo.” Fu allora che Abigail venne a sapere del programma di “sponsorizzazione” di Camfed. “Fui la prima a registrarmi durante l’anno scolastico. Poi passò un po’ di tempo e avevo smesso persino di pensarci, ma durante le vacanze mi giunse la comunicazione che ero stata scelta. Ho pianto e pianto, non potevo crederci.”

Abigail è stata sostenuta sino al livello universitario ed è determinata a sollevare la sua famiglia dalla miseria: “Mi rende orgogliosa essere quella su cui si può contare. Moltissime ragazze al villaggio vogliono seguire il mio esempio, ora. Io sono la testimonianza vivente di ciò che l’istruzione può fare.”

La sua gratitudine va ovviamente a Camfed, ma c’è una persona che l’ha sostenuta in maniera particolare: “Sono molto riconoscente a mia nonna, che ha sacrificato il suo matrimonio per aver cura di me e di altri due orfani che ha allevato. Il nonno non voleva che vivessimo con lui, era solito dire che gli consumavamo il cibo. La nonna lo ha lasciato perché non voleva permettergli di cacciarci di casa.”

Il suo messaggio alle ragazze è questo: “Siate sempre concentrate e decise. La gente continuerà a dirvi che non potete farcela, ma invece potete eccome. Aprite il cuore alle opportunità e afferratele con dignità.”

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Qualcuno chiedeva: come possono donne che danzano parlarci dei cambiamenti climatici? E qualcuno diceva: cosa sanno le danzatrici del piantare alberi? E altri si meravigliavano: Cosa? Le danzatrici hanno costruito delle scuole? Ma adesso persino il governo riconosce che i nostri tamburi hanno riempito i granai, e le nostre danze hanno costruito scuole.”

Così racconta Mary Manzole, direttrice del “Kamoto Community Arts”, un gruppo di teatro-danza femminile dello Zambia. Nella provincia del sud del paese, 5.000 nuovi alberi salutano il cielo e tre nuove scuole accolgono bambini e bambine grazie ad anni del loro lavoro.

Spendiamo molto tempo nel fare ricerche di base per identificare le istanze e le preoccupazioni presenti nella comunità, poi il gruppo scrive i testi delle rappresentazioni su di esse. Nel 2002, identificammo la deforestazione e le scuole elementari diroccate e inagibili come i due problemi principali della provincia del sud. A causa dei cambiamenti climatici la deforestazione stava andando avanti a pieno ritmo, così abbiamo usato il teatro per incoraggiare la gente a piantare alberi. E lo hanno fatto. L’andamento delle piogge è mutato nell’intera zona.”, continua Mary Manzole.

Questo ha a sua volta cambiato il trend agricolo presente da anni nella provincia.”, aggiunge Jean Shamende, membro del gruppo, “Prima essa importava il granoturco dalle altre, oggi glielo vende.”

Signore, insegnateci a ballare!

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