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Posts Tagged ‘traffico di esseri umani’

… la prossima volta. (1)

(tratto da: “Thousands of Nigerian Trafficking Survivors Left Without Food or Money During Italy Lockdown”, di Leah Rodriguez per Global Citizen, 10 luglio 2020. Trad. e adattamento Maria G. Di Rienzo.)

thomas reuters foundation - italy

Le bande criminali del traffico a scopo di sfruttamento sessuale hanno lasciato, in Italia, migliaia di sopravvissute prive delle necessità di base durante la pandemia Covid-19.

Le donne sfruttate e i loro figli sono state abbandonate e lasciate in isolamento senza cibo o denaro durante i tre mesi di lockdown nel Paese, che è iniziato a marzo.

“Agli occhi dei trafficanti di sesso queste donne sono subumane, sono sfruttate per arricchire i loro magnaccia che le trattano come fossero bancomat. – così ha detto Alberto Mossino, co-fondatore dell’organizzazione anti-traffico Piam Onlus, al Guardian – E quando il bancomat si esaurisce lo gettano via e ne cercano un altro.”

Diversi gruppi di volontari si sono fatti avanti per sostenere le sopravvissute. Alcune delle donne era state lasciate per strada dopo che i proprietari delle loro abitazioni le avevano buttate fuori, perché non potevano più pagare l’affitto, ha riportato l’organizzazione Dedalus.

L’Italia è diventata una zona calda del traffico sessuale in anni recenti e l’80% delle decine di migliaia di donne nigeriane che arrivano in Italia dalla Libia sono trafficate dalle gang, secondo l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (IOM). Queste donne sono forzate alla prostituzione per pagare debiti di oltre 35.000 euro e manipolate tramite rituali di magia nera detti “juju” per infliggere loro paura e tormento psicologico.

Le organizzazioni anti-traffico stanno registrando, durante la pandemia, un aumento delle donne che chiedono aiuto per sfuggire ai loro trafficanti. Le restrizioni sui viaggi e la limitazione dei servizi sociali e pubblici stanno rendendo più difficile alle sopravvissute al traffico di esseri umani lo scappare e il tornare a casa, secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite per il controllo della droga e la prevenzione del crimine (UNODC). L’Ufficio sollecita i governi ad assicurarsi che alle sopravvissute sia garantito l’accesso ai servizi essenziali affinché ricevano sostegno e sia evitato ulteriore sfruttamento sessuale di donne e bambini.

(1) Il titolo è dovuto al fatto che i “clienti” di queste donne sono nostri connazionali ed è grazie alla loro domanda che l‘Italia è diventata una zona calda del traffico sessuale.

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(tratto da: “The stranded babies of Kyiv and the women who give birth for money”, un lungo e dettagliato servizio di Oksana Grytsenko per The Guardian, 15 giugno 2020, trad. Maria G. Di Rienzo. Ndt: Kyiv è la capitale dell’Ucraina che siamo soliti chiamare Kiev, con la sua pronuncia russa.)

hotel venice

(Neonati partoriti da madri surrogate ucraine all’Hotel Venice a Kyiv. Particolare di una foto di Sergei Supinsky/AFP.)

Alcuni stanno piangendo nelle loro culle; altri sono cullati o nutriti con il biberon dalle bambinaie. Questi neonati non sono nella nursery di un reparto maternità: stanno in fila fianco a fianco in due grandi sale da ricevimento di un albergo dall’improbabile nome “Hotel Venezia” situato alla periferia di Kyiv e protetto da mura esterne e filo spinato.

Sono bambini di coppie straniere nati da madri surrogate ucraine nel Centro per la riproduzione umana della BioTexCom che ha base a Kyiv ed è la più grande clinica di questo tipo al mondo. Sono arenati nell’albergo perché i loro genitori biologici non sono stati in grado di viaggiare fuori o dentro l’Ucraina da quando, in marzo, i confini sono stati chiusi a causa della pandemia Covid-19. (…)

La BioTexCom ha rilasciato materiale video dall’hotel a metà maggio per sottolineare il doloroso dilemma dei genitori e per fare pressione affinché la chiusura dei confini sia mitigata. La situazione critica dei neonati ha fatto scalpore in tutto il mondo ma, a distanza di un mese, circa 50 bambini restano nell’albergo e la saga sta gettando una dura luce sull’etica e sulle dimensioni della crescente industria commerciale delle gravidanze in Ucraina.

Mykola Kuleba, il difensore civico dei bambini per l’Ucraina, dice ora che riformare il sistema da lui descritto come una violazione dei diritti dei minori non è stato sufficiente e che i servizi di maternità surrogata per le coppie straniere in Ucraina dovrebbero essere banditi.

Tuttavia, in un’economia impoverita, dove lo stipendio medio è di trecento sterline al mese e la guerra con la Russia e i suoi sostenitori continua, molte donne indigenti – in special modo nelle piccole città e nelle zone rurali – si stanno ancora mettendo in fila per restare incinte per denaro, anche se stanno pagando, come gli attivisti credono, un alto prezzo psicologico e in termini di salute.

A Vinnytsia, una città a sudovest di Kyiv, Liudmyla sta ancora aspettando il saldo della sua parcella per aver partorito una bimba a febbraio per conto di una coppia tedesca. Manda regolarmente messaggi all’agenzia (non la BioTexCom) che, sostiene, le deve 6.000 euro: “Continuano a rispondermi che non possono mandarmi l’intera somma a causa del lockdown.”

Sebbene Liudmyla, 39enne, abbia ricevuto il trasferimento di embrione a Kyiv e abbia passato la maggior parte della sua gravidanza a Vinnytsia, l’agenzia le ha chiesto di partorire in Polonia, di modo che la neonata fosse registrata là. Il personale ospedaliero non sapeva che Liudmyla era una madre surrogata, perché la maternità surrogata è bandita in Polonia, come nella maggioranza degli stati europei.

“Non volevo darla via, piangevo.”, ricorda Liudmyla. Dice che dopo essersi presa cura di lei per due giorni nel reparto maternità, lasciarla andare è stato uno strazio. Commessa e madre single, Liudmyla ha faticato per anni per trovare una casa per se stessa e i suoi tre figli che fosse migliore della singola stanza in cui vivevano in un ostello. Perciò nel 2017 andò a una clinica per la maternità surrogata e con il denaro ricevuto fu in grado di accendere un mutuo per un appartamento. Anche se finì in terapia intensiva a causa delle complicazioni relative alla gravidanza, Liudmyla decise di avere un secondo bambino surrogato per poter pagare la maggior parte del mutuo.

Non esistono statistiche ufficiali, ma si stima che diverse migliaia di bambini nascano ogni anno in Ucraina da madri surrogate. L’80% di questi bambini sono per coppie straniere, le quali scelgono l’Ucraina perché il procedimento è legale e a buon mercato.

Il prezzo di un pacchetto per la maternità surrogata in Ucraina parte da 25.000 sterline, con la madre surrogata che ne riceve minimo 10.000. Ai genitori promessi è generalmente richiesto di essere coppie eterosessuali sposate e di documentare la propria diagnosi di sterilità. Le cliniche e le agenzie mettono i loro annunci sui giornali, sui trasporti pubblici e sui social media.

Tetiana Shulzhynska, 38enne, scrive a questi ultimi tentando di persuadere le donne a stare distanti dalla maternità surrogata, poiché pensa che alcune di loro finiranno per pagarla con la propria salute o persino con le loro vite. “Nei contratti proteggono solo i bambini, non si curano di noi.”, dice seduta sul letto nella sua piccola casa di legno a Chernihiv, nel nord dell’Ucraina.

tetiana

(Tetiana Shulzhynska sfoglia i suoi referti medici nella sua casa di Chernihiv, nell’Ucraina del nord. Foto di Anastasia Vlasova.)

Shulzhynska, una madre di due figli che lavorava come autista di filobus, andò a una clinica per la maternità surrogata nel 2013, perché aveva disperato bisogno di ripagare un prestito bancario. Era così in bolletta che la clinica le mandò i soldi per pagarsi il biglietto fino a Kyiv.

Si accordò per restare incinta a beneficio di una coppia italiana e dopo due mesi si trovò ad avere quattro embrioni vivi in grembo. La famiglia biologica decise di tenerne solo uno e il resto fu rimosso chirurgicamente. Nel maggio 2014, Shulzhynska partorì una bimba che diede ai genitori. Ricevette un compenso di 9.000 euro.

Sette mesi più tardi andò all’ospedale con terribili dolori di stomaco. I medici le diagnosticarono il cancro cervicale. Le ci è voluto quasi un anno per raccogliere i soldi necessari all’intervento chirurgico. Shulzhynska sospetta che il cancro sia stato causato dalla sua maternità surrogata, anche se non ha prove. Di recente ha ordinato le stampelle perché i suoi medici hanno in programma di amputarle la gamba sinistra, ora affetta dal cancro che si propaga. Nel 2015, Shulzhynska ha denunciato la BioTexCom per i danni causati alla sua salute, il che ha dato avvio a indagini penali ancora in corso.

Yuriy Kovalchuk, un ex pubblico ministero il cui ufficio ha trattato una serie di indagini penali sulla

BioTexCom nel 2018 nel 2019, dice che almeno tre donne si presentarono alla polizia per aver subito la rimozione dell’utero subito dopo aver condotto gravidanze surrogate organizzate dalla compagnia commerciale. Racconta che altre indagini riguardavano accuse di frode e persino, nel 2016, di traffico di esseri umani dopo che una coppia italiana aveva scoperto nel 2011 che i bambini che si erano portati a casa non avevano con loro relazione genetica. Kovalchuk è stato rimosso dal suo incarico l’anno scorso e crede che ciò abbia avuto il risultato di arrestare le indagini sulla BioTexCom. In maggio ha scritto all’ufficio del difensore civico dettagliando le sue preoccupazioni sulla clinica.

All’ “Hotel Venezia” Albert Tochilovsky, il proprietario della BioTexCom, non nega che ci siano stati scambi negli embrioni durante le procedure attuate nel 2011 che hanno condotto all’indagine per traffico di esseri umani. Dà la colpa dell’errore alla mancanza di esperienza, giacché la clinica allora aveva solo un anno. “Non penso che solo noi si abbia commesso errori in questo campo. Se qualcuno cominciasse a controllare i DNA ci sarebbero un bel po’ di scandali.”

Tochilovsky sostiene che in almeno tre casi i genitori hanno rifiutato i bambini surrogati perché erano nati con problemi di salute. Il caso più noto è quello di Bridget, la figlia di una coppia americana che è nata nel 2016 e ora vive in un orfanotrofio a Zaporizhia, nell’Ucraina orientale. (…)

Le madri surrogate si stanno organizzando sui social media, dove condividono consigli e avvisi sulle agenzie. Svitlana Sokolova, ex madre surrogata e ora attivista dell’ong “Forza delle Madri”, che aiuta le madri surrogate, dice che ha cominciato a ricevere più lamentele su supposti maltrattamenti durante la quarantena per il Covid. Un gruppo di donne ha raccontato che il loro contratto le obbliga all’impianto di embrioni per un anno sino a che restano incinte. “Tramite questo contratto le donne diventano una sorta di proprietà privata.”, dice Sokolova.

Maryna Lehenka, avvocata de “La Strada – Ucraina”, dice che l’organizzazione di beneficenza riceve circa 100 chiamate l’anno da madri surrogate che lamentano lo stress di cui fanno esperienza dopo aver consegnato i bambini, o i problemi causati dagli ormoni che assumono per aumentare le probabilità di restare incinte. Lehenka menziona il caso di una donna che entrò in clandestinità in un villaggio, perché non voleva dar via il neonato surrogato.

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spilli

1. Nemmeno il coronavirus li ferma:

16 marzo 2020 – Donna accoltellata in casa nel Milanese: cinque fendenti al torace, ricoverata in gravi condizioni. Arrestato il figlio.

“L’uomo, alterato dall’alcool, ha aggredito la madre al culmine di un litigio.”

E dopo “Altered Carbon” Netflix produrrà “Altered Son”, un agghiacciante affresco del futuro anno 2020 ove si illustra come la triste sinergia di Genepy e Sfurzat con l’irritazione produca figli assassini. Come, siamo già in quell’anno? Ah be’, sì be’…

17 marzo 2020 – Bologna, cerca di uccidere la ex al centro commerciale, accoltellandola al volto.

La donna si è difesa; prognosi di 30 giorni. L’uomo deve rispondere di tentato omicidio.”

Vi è concesso provare un minimo di compassione per la vittima, anche se l’articolo sottolinea che “si è fidata” (stupida come tutte le donne) e ha risposto alla richiesta di incontro: si è difesa. Se il terrore l’avesse paralizzata, come spesso succede, il “minimo” contrattuale sparisce – sappiatevi regolare.

18 marzo 2020 – Roma, accusato di violenze sulla moglie: sospeso il pg della Cassazione Mario Fresa.

“(…) tra i due era nata una discussione per motivi di gelosia che era terminata appunto con un fortissimo pugno alla tempia ricevuto davanti alla tata del figlioletto dei due coniugi.”

“(la donna) accusa il magistrato di “averla colpita con un pugno alla tempia in casa al termine di una lite” (sette giorni la prognosi) e minacciata “di portarle via il figlio se avesse sporto denuncia”.

Dunque, l’aggressione ha una testimone e manda la donna in ospedale con sette di giorni di prognosi, ma si tratta di una mera accusa: sarà vera? La tizia ha pagato la babysitter perché dichiarasse il falso? Si è tirata il pugno in testa da sola? Ma comunque niente paura, anche se fosse stato proprio il marito quest’ultimo non aveva più il controllo di sé a causa della gelosia. E come mai era geloso, cosa aveva combinato la tizia per agitarlo così (poverino)? Diciamocela tutta: se il violento è un procuratore generale meglio andarci con i guanti di velluto.

2. Prima di chiedere la beatificazione per Pornhub fate un supplemento di indagine:

Che nobiltà d’animo, che generosità! Pornografia gratis per gli sfortunati italiani chiusi in casa! I quali potranno così avvallare i contenuti del sito che raffigurano vittime di traffico a scopo di sfruttamento sessuale:

https://www.washingtontimes.com/news/2020/mar/10/ben-sasse-doj-investigate-pornhub-sex-trafficking/

oppure bambine vittime di stupro:

https://www.bbc.com/news/stories-51391981

3. Raccogliete informazioni sulla pandemia solo tramite canali ufficiali:

Cioè il numero unico nazionale del Ministero della Salute 1500 e i numeri verdi delle Regioni, a meno che non vogliate sentirvi dire che il coronavirus si cura tenendo un incenso sotto il naso mentre si balla la quadriglia.

Domenica scorsa, mentre passeggiava frettoloso in Via Tritone a Roma per raggiungere il negozio di alimentari arabo – l’unico presente su quella strada – ove comprare cibo italiano, un signore confuso pensava ossessivamente: “Come faccio a restare al centro dell’attenzione, cosa cavolo mi invento?” Ecco la risposta:

“La Lega attiva un servizio gratuito per rispondere alle vostre domande. Metteremo a disposizione i nostri tecnici con numeri di cellulare ed un indirizzo mail. Cercheremo di dare risposte precise.”

Lega: Lungimiranti Epidemiologi Gozzovigliano Allegri cercando di lucrare consenso dalla sofferenza di un intero Paese.

4. Fra tante disgrazie ci mancava questa:

Il programma televisivo “Porta a Porta” è tornato in onda ieri. Che Bruno Vespa vi sia lieve (lo so, è impossibile).

5. Però una buona notizia (relativamente, s’intende) c’è:

La seconda serie di “The Mandalorian” è in arrivo e anche i dirigenti di Disney+ fanno mostra di magnanimità regalandovi la prima puntata su Italia 1 (22 marzo p.v., h. 23.30), per il resto dovrete pagarli. Io me la guarderò da qualche parte sul web, con calma, in lingua originale – tanto i dialoghi non sono davvero granché – sperando che il Mandaloriano si decida ad accudire Baby Yoda come si deve. Un bagnetto vogliamo farglielo? Cambiargli il vestitino ogni tanto?

Io ci metto il cibo:

meglio fresco

Maria G. Di Rienzo

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“La soluzione definitiva nella lotta contro la violenza è raggiungere l’eguaglianza.”, Marijana Savic – in immagine – fondatrice e direttrice dell’ong Atina e del Bagel Bejgl Shop.

marijana

L’associazione combatte il traffico di esseri umani e la violenza di genere e dà sostegno alle donne rifugiate, lo “shop” è un’impresa sociale creata come spazio sicuro per le donne sopravvissute alla violenza, in cui le stesse apprendono nuove abilità e acquisiscono opportunità lavorative. Marijana vive in Serbia ed è un’attivista per i diritti umani da vent’anni.

Sulle donne nei flussi migratori ha molte cose interessanti da dire:

“Poiché siamo un’organizzazione femminista abbiamo osservato le donne che stanno facendo questo viaggio e abbiamo visto che nessuno presta loro attenzione e, sia perché questa è la vita nelle società patriarcali, sia perché molte cose non sono loro accessibili, le donne si stanno nascondendo ancora di più: si ritirano dietro persone che possono essere familiari ben intenzionati o no, in maggioranza dietro a uomini che assumono il ruolo dato da un sistema patriarcale – prendono la guida e prendono decisioni. Abbiamo anche visto che non c’è assolutamente alcun meccanismo predisposto per raggiungere queste donne e le loro necessità. Allora, abbiamo deciso di mettere a disposizione parte delle risorse di Atina e di cominciare a costruire capacità in questa direzione, perché neppure noi eravamo preparate ad affrontare la situazione. Ora siamo in tutti i luoghi ove vi sono donne e bambine rifugiate.

Aiutiamo altre organizzazioni a includere questa visione nel loro sostegno ai rifugiati di modo che siano in grado di riconoscere i segnali d’allarme che indicano una persona in difficoltà, le differenti necessità di una donna o il fatto che le donne stiano cercando risposte in modo differente, e che siano sensibilizzate su tutte le cose orribili che accadono lungo la via, non solo i casi di violenza di genere o traffico di esseri umani, perché è difficile rilevarle se non vi è un meccanismo predisposto che permette alle donne di aprirsi e condividere senza paura le proprie esperienze.

Nessuna dirà “Sì, sono una vittima, ho sofferto questa violenza e quest’altra, sono stata stuprata in quel posto, ed eccomi qui ora, vengo a dirti ciò.”: perché questo accada è necessaria un’atmosfera di sostegno. L’atmosfera non dovrebbe essere minacciosa e nel responso ai flussi migratori tutto è non supportivo e minaccioso, a partire dalla maniera in cui sono stabiliti i criteri per dire chi è un rifugiato e chi non lo è, criteri che cambiano continuamente. Questo vale per tutta la popolazione attualmente in viaggio, sia donne sia uomini, ma c’è una differenza nel modo in cui le informazioni al proposito raggiungono le donne e gli uomini.

In maggioranza le donne che arrivano sono meno istruite, non hanno avuto l’opportunità di andare a scuola, hanno vissuto in ambienti in cui non era loro permesso comunicare con estranei in special modo se costoro erano uomini, non conoscono lingue straniere, possono solo affidarsi a chi riveste il ruolo guida e costui può essere un trafficante, una persona benintenzionata o qualcuno che abusa di loro.

Ascoltando queste donne e parlando con loro, capisci che delle semplici cose potrebbero risolvere alcuni problemi, ma sono spaventate, temono per se stesse, per le loro figlie, hanno paura di essere assalite sessualmente o sfruttate, e noi le stiamo mettendo negli stessi posti con gli uomini, a passare giorni e notti sino a che sia presa una decisione politica ad alto livello. Le donne sono affamate di informazioni, delle informazioni più basilari: dove si trovano, quali servizi sono loro disponibili in questo posto, dove andranno e cosa le aspetta, quali sono i loro diritti, quanto qualcosa costa – e nessuna di queste informazioni le raggiunge, perché esse sono condivise con un uomo in grado di parlare la lingua locale. Nessuno chiede loro come stanno.

L’integrazione e la protezione delle persone che rimarranno qui richiederebbe la costruzione di un sistema serio che copra istruzione, salute, procedure amministrative, protezione sociale e lavoro. Almeno queste cinque aree che ho menzionato dovrebbero introdurre dei cambiamenti per accordare le loro regole alle necessità di integrazione delle persone che vogliono rimanere. Attualmente il sistema relativo all’asilo è disegnato attorno al concetto di un uomo politicamente attivo e politicamente perseguitato nel suo paese, ma ci sono persecuzioni e guerre che stanno travolgendo tantissime persone, donne e uomini. La protezione è stata pensata senza includervi la prospettiva di genere e quali sono le esperienze e le sofferenze di donne e uomini al proposito, ne’ la loro specificità nel contesto delle società da cui provengono.

E’ necessario un intero nuovo meccanismo per cui l’integrazione non si riduca alle classi per imparare la lingua, gestite da volontari un’ora alla settimana, ma che faccia di questo il primo passo per entrare in un sistema: i bambini che sono qui dovrebbero essere ammessi a scuola immediatamente e le persone che richiedono protezione qui devono essere informate sul locale ordinamento sociale, legale e politico. Da un lato devono essere informati, dall’altro è necessario che assumano su se stessi gli obblighi relativi e agiscano in accordo ad essi, perché dobbiamo essere consapevoli che molte persone vengono da regioni e paesi in cui a una ragazzina di 12 anni è proibito uscire di casa se non accompagnata da un maschio adulto.

Ci dev’essere un potenziamento economico, dev’essere creato un sistema di protezione sociale, per fornire alloggi adeguati, ma anche una seria valutazione dei bisogni, delle abilità e delle risorse di queste persone affinché possano essere indirizzate verso programmi che diano loro la possibilità di reciprocità nelle relazioni con noi e di essere competitivi sul mercato del lavoro. Questo è vero per donne e uomini e dovrebbe essere un principio guida e un impegno: lo sforzo di operare cambiamenti per essere in grado di includere queste persone in futuro, perché dobbiamo smettere di pensare che siano qui solo di passaggio.”

Maria G. Di Rienzo

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un 25 nov 2019

* Una donna/ bambina su tre fa esperienza di violenza fisica o sessuale durante il corso della sua vita, per la maggior parte inflitta da un partner con cui è in intimità;

* Solo il 52% delle donne sposate o con un compagno possono liberamente prendere le proprie decisioni su relazioni sessuali, contraccettivi e cura della salute;

* In tutto il mondo, circa 750 milioni di donne e bambine attualmente in vita sono andate spose prima del loro 18° compleanno, nel mentre 200 milioni di donne e bambine sono state sottoposte a mutilazione genitale (MGF);

* Una donna su due in tutto il mondo è stata uccisa dal proprio partner o da un familiare nel 2017, mentre solo un uomo su venti è stato ucciso nelle medesime circostanze;

* Il 71% di tutte le vittime di traffico al mondo sono donne e bambine e tre su quattro di queste donne e bambine sono sfruttate sessualmente;

* La violenza contro le donne è grave quanto il cancro quale causa di morte e incapacità fra le donne in età riproduttiva e maggiormente grave come causa di problemi di salute degli incidenti automobilistici e della malaria messi insieme.

Nazione Unite, Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, 25 novembre 2019 (trad. Maria G. Di Rienzo): la ricorrenza è stata istituita dall’Assemblea generale delle NU vent’anni fa.

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La vulgata fornisce più o meno questo scenario: c’è una bellissima fanciulla, maggiorenne vaccinata e diplomata, che davanti allo specchio si interroga sul proprio futuro. Ha svariati scenari a disposizione: laurearsi e poi conseguire un dottorato di ricerca; andare in tour mondiale con una compagnia teatrale; entrare in una compagnia di danza classica come prima ballerina; lavorare nel settore artistico/creativo di una grande azienda produttrice di tessuti; accettare l’offerta di una squadra professionista di pallacanestro; fare / consegnare pizze nel ristorante della zia; lavorare come inserviente in un asilo nido… aggiungeteci quel che vi pare.

La ragazza si guarda attentamente, sospira (perché le donne sospirano di default in prossimità di specchi, giusto?) e dice “No, studiare è stancante, mandare a memoria tutte le battute di una commedia pure, “Giselle” non la faccio più perché mi annoia, in azienda avrei poche ferie, giocare a pallacanestro mi mette a rischio infortuni, vicino al forno delle pizze è troppo caldo e i bambini piccoli non mi piacciono. Per cui, visto che sono molto attraente e molto compassionevole, e ci sono in giro un mucchio di uomini infelici a cui non viene dato abbastanza amore, farò la sex worker.” Visto? E’ la scelta di una professione come un’altra, anzi di una professione assai migliore di altre, dove non ci si stanca, ci si diverte, non si è a rischio di nulla, il guadagno è ottimo e si è trattate con il massimo rispetto. Niente niente, poi può persino arrivare il “cliente” ricchissimo e strafigo che ti compra bei vestiti e gioielli e alla fine si innamora di te e ti porta a vivere nella sua villa fronte mare.

Nella realtà, però, le cose vanno un po’ diversamente. Come, per esempio, lo racconta la storia di Bridget Perrier (in immagine).

bridget

Bridget, canadese del gruppo etnico Anishinaabe, fu adottata quando aveva 5 settimane da una famiglia non indigena, nel 1976. A otto anni fu molestata da un amico di famiglia e a undici “riconsegnata” all’assistenza sociale. La misero in una casa-famiglia dove ragazze più grandi la iniziarono al commercio sessuale. Lo stesso anno, fu reclutata dalla tenutaria di un bordello. A 12 anni Bridget era una “sex worker”. A 14 fu punita per aver tentato di far soldi all’esterno del bordello: la tennero prigioniera per 43 ore, durante le quali fu stuprata e torturata. Fuggì, ricevette cure mediche (punti interni ai genitali) e l’uomo che aveva abusato di lei fu condannato a due anni, dicasi due, di galera. Bridget finì per “lavorare” agli ordini di un magnaccia che ovviamente otteneva la sua obbedienza a botte.

A 16 anni, mise al mondo il suo primo figlio, un bimbo che a nove mesi sviluppò una forma particolarmente maligna di leucemia e ne morì a cinque anni. La sua morte, dice Bridget, fu la prima terribile spinta a cercare di uscire da quella situazione. Nel 1999 mise al mondo la sua seconda figlia e quello fu il punto di svolta. Poiché era una senza tetto entrò nel programma di assegnazione temporanea di alloggi, sostenuta dai servizi di welfare si diplomò alle superiori e poi prese un diploma in assistenza sociale. Subito dopo fondò assieme ad altre donne “Sex Trade 101”, un’organizzazione che combatte il traffico di esseri umani a scopo di sfruttamento sessuale e dà sostegno alle sopravvissute come lei.

Oggi di anni Bridget Perrier ne ha 43 e dice: “La gente pensa di noi che siamo in frantumi, ma non è vero. Io ho una buona resilienza, ho solo subito moltissime fratture.”

Maria G. Di Rienzo

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anti-slavery campaign

“Tre anni fa, ero una madre single con due bambini che viveva con sua madre vedova. La situazione era così difficile che quando un’amica mi ha parlato dell’andare in Germania, gente, sono partita!

Siamo arrivate solo sino in Libia. Sono stata venduta, stuprata e torturata. Ho visto molti nigeriani morire, inclusa la mia amica Iniobong.

Oggi sono una fornaia a Benin e guadagno abbastanza soldi per provvedere alla mia famiglia. I miei ragazzi non cresceranno vergognandosi della loro madre. Il mio nome è Gift Jonathan e non sono in vendita.”

(trad. Maria G. Di Rienzo)

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C’è questo signore, il cui mestiere non so definire con esattezza (twittatore, come neologismo, va bene?), presentato ossessivamente sui media come ministro del nostro governo ma sempre con corredo di panzarotti, ortaggi e calici di vino o mentre presenzia alle sagre – però non è il ministro delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo… misteri italiani (so che avete capito immediatamente chi è).

Uno dei recenti commenti del twittatore è questo: “Undici nigeriani arrestati dai carabinieri per tratta di esseri umani. È successo a Torino: il gruppo convinceva delle ragazze a lasciare l’Africa pagando 25mila euro, ma poi le faceva prostituire. Grazie a Forze dell’Ordine e inquirenti: è l’ennesima dimostrazione che un’immigrazione sregolata è un business per i criminali.”

In realtà è l’ennesima dimostrazione che la prostituzione è inseparabile dalla tratta di esseri umani, e che la prostituzione è una palese violazione dei diritti umani delle persone comprate / vendute, anche quando costoro sostengono si tratti di una loro “scelta”: la violenza non si misura sul grado di acquiescenza della vittima, che può essere ottenuto dal perpetratore e da una società connivente in molteplici modi, ma sull’estensione dei danni causati dalla violenza stessa alla salute fisica e psichica, all’integrità corporea, al godimento di diritti e opportunità e libertà di chi la subisce.

“Non si possono dividere questi due fenomeni (tratta e prostituzione) perché la prostituzione è il luogo dove la tratta avviene e la prostituzione è la ragione per cui esiste la tratta, è il motivo per cui le donne vengono trafficate. Se non ci fosse un mercato non avremmo nemmeno i trafficanti che costringono le donne, (…) è un sistema che mette al primo posto i bisogni egoistici degli uomini che ci fanno violenza.” Rachel Moran, 27 maggio 2018, Roma, Conferenza sull’industria del sesso e la tratta degli esseri umani organizzata da Resistenza Femminista ed altre associazioni.

https://lunanuvola.wordpress.com/2015/09/29/pagata/

E’ interessante anche notare come la notizia di cui sopra è riportata dai media:

“Prostituzione, le maman nei centri d’accoglienza: 11 arresti. Dalla Nigeria alle prigioni della Libia, poi sfruttate da altre donne.”

“I carabinieri sgominano un’organizzazione criminale al femminile specializzata nella tratta delle giovani nigeriane.”

“I carabinieri del nucleo investigativo, coordinati dalla procura di Torino, hanno sgominato un’organizzazione criminale internazionale tutta al femminile specializzata nella tratta di giovani nigeriane destinate alla prostituzione.”

Infatti, gli undici magnaccia nigeriani menzionati dal twittatore erano otto donne e tre uomini. Ma se la proporzione fosse rovesciata, nessuno di noi avrebbe letto definizioni del tipo “un’organizzazione criminale al maschile” o “un’organizzazione criminale internazionale tutta al maschile”. Perché? Be’, perché delinquere è tutto sommato normale per gli uomini. Sommersi da diluvi ciclici di testosterone, vessati dall’impossibile controllo di una forza fisica esorbitante, “naturalmente” inclini alla competizione, al dominio e al controllo, interiormente fragilissimi e perciò soggetti a crolli di autostima devastanti e terrificanti raptus se solo una donna dice loro di no… l’esercizio della violenza è una conseguenza del tutto logica per creature così descritte, il solo difetto nella narrazione è che dipinge creature fantastiche, non uomini in carne e ossa.

Queste icone della propaganda patriarcale hanno anche un “bisogno” di sesso eterosessuale – che nei deliri più spinti può diventare persino un “diritto” – parimenti incontrollabile e che tende a obnubilarli sino a “costringerli” allo stupro. La prostituzione è dunque necessaria al soddisfacimento di un’irrefrenabile necessità creata a tavolino, perché nulla di quanto esposto sopra descrive la realtà ne’ ha un milligrammo di conferma scientifica. La sceneggiata è però del tutto funzionale a presentare la prostituzione come “inevitabile e innocua” (e a tutelare coloro che profittano a vario titolo del giro di miliardi correlato – e no, non sono le donne che si prostituiscono):

“Un effetto devastante della legge regolamentarista è quello di dare un messaggio dannoso e pericoloso all’intera società ovvero che la prostituzione sia inevitabile e innocua. La prostituzione invece è violenza, la domanda maschile è violenza e nei paesi abolizionisti le donne sono decriminalizzate mentre sono i compratori di sesso ad essere criminalizzati in quanto sono coloro che alimentano il mercato dello sfruttamento sessuale. Dobbiamo decidere in che tipo di società vogliamo vivere, la prostituzione è un male sociale, non è necessaria per nessuno. Se una società si batte per l’uguaglianza tra donne e uomini non può promuovere la prostituzione.”

Julie Bindel, 18 marzo 2019, intervistata del TG3.

https://lunanuvola.wordpress.com/2017/09/10/se-muoiono-la-bara-e-gratis/

L’enfasi sulle maman (sono le donne a sfruttare altre donne!) e sui nigeriani (immigrazione sregolata!), in assenza di una sola parola, una sola, sul perché le donne sono trafficate, assolve tranquillamente la legione di spensierati puttanieri che alligna nel nostro paese. Missione compiuta, per giornalisti e twittatore.

Maria G. Di Rienzo

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(tratto da: “Gripping refugee tale wins Waterstones children’s book prize”, un più lungo articolo di Alison Flood per The Guardian, 22 marzo 2019, trad. Maria G. Di Rienzo)

onjali

Onjali Q Raúf (in immagine) ha vinto il Premio Waterstones per la letteratura per l’infanzia con il suo romanzo di debutto, che ha scritto mentre si stava riprendendo dall’intervento chirurgico che le ha salvato la vita.

Raúf è la fondatrice dell’ong umanitaria “Making Herstory” (“Creare la Storia di Lei”) che combatte il traffico e la messa in schiavitù delle donne. Dopo un’operazione raffazzonata per l’endometriosi, che l’ha lasciata in preda al vomito e a dolori paralizzanti, le fu detto che aveva solo tre settimane da vivere. In seguito, un estensivo intervento chirurgico l’ha salvata, ma ha costretto Raúf a passare tre mesi di convalescenza a letto.

Durante quel periodo, tutto quello a cui riusciva a pensare erano le donne che aveva incontrato lavorando nei campi profughi a Calais e Dunkirk, alcune delle quali erano in stato di avanzata gravidanza, o sofferenti, e in particolare a una donna siriana, Zainab, che aveva appena messo al mondo un neonato di nome Raehan.

“Di colpo questo titolo, “The Boy at the Back of the Class” (“Il bambino in fondo alla classe”), mi è saltato in mente. – ha detto Raúf – Non riuscivo a smettere di pensare a Raehan e non appena i medici mi hanno detto che era ok stare di nuovo seduta, tutto è semplicemente straripato fuori. Il libro è stato scritto, letteralmente, in sette o otto settimane.”

Il romanzo racconta la storia di un profugo di nove anni, Ahmet, che è fuggito dalla guerra in Siria. Quando i bambini della sua classe scoprono che è separato dalla sua famiglia, escogitano un piano per dare una mano.

Secondo la responsabile acquisti di Waterstones per la letteratura per l’infanzia, Florentyna Martin, “The Boy at the Back of the Class” è un futuro classico, che mette in mostra il meglio di cosa le storie possono ottenere.

“Raúf ha distillato quel che significa essere una persona aperta e positiva in una storia che scintilla di gentilezza, umorismo e curiosità. – ha detto Martin – I suoi personaggi escono dal libro con un caldo sorriso, completamente formati come esempi e modelli per la vita di tutti i giorni, pronti a portarti in un’ambiziosa avventura che è sia divertente sia eccezionalmente appassionante. I libri per bambini hanno un mucchio di istanze difficili da trasmettere ai giovani lettori, e Raúf abbraccia questo con un approccio che è spassoso, ottimista e dal cuore aperto in modo travolgente.” (…)

Raúf ha dedicato “The Boy at the Back of the Class” a Raehan, “il Bimbo di Calais. E ai milioni di bimbi rifugiati nel mondo che hanno necessità di una casa sicura e amorevole.” Ma non l’ha più visto da allora.

“Sfortunatamente ho perso contatto con loro lo stesso giorno in cui ho incontrato Raehan. – ha detto – Mentre stavamo partendo abbiamo visto la polizia venire a demolire l’accampamento. Avevo il numero di telefono di Zainab e ho tentato di chiamarla il giorno dopo, ma il telefono non riceveva, perciò non so dove siano o se stiano bene. Raehan dovrebbe avere due anni e mezzo, ora.”

Raúf sta in questo momento scrivendo un altro romanzo, “The Star Outside My Window” (“La stella fuori dalla mia finestra”), che affronta il tema della violenza domestica attraverso la storia di una bambina che va a caccia di una stella “per tristi motivi”. Ma i suoi impegni principali sono la sua ong e il campo profughi dove continua a lavorare durante il tempo libero.

“E’ davvero surreale, perché la mia vita normale e la vita del mio libro sono due mondi così differenti. Io sto incontrando persone che sono sconvolte, che sono state trafficate, tento di maneggiare questioni su basi emergenziali, ed ecco che nell’altro mondo ci sono champagne e pasticcini. Vincere questo Premio è stato strabiliante, una vera enorme ciliegia su una torta fantastica.”

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Svelamento

“Sono una sopravvissuta al traffico sessuale e all’abuso organizzato. Scrivo, insegno e creo arte per onorare le bambine e i bambini che hanno perso la loro vita a causa di questo tipo di violenza. Ho scritto questa poesia per chi è sopravvissuto ed è in grado di raccontare la sua verità e per chi è sopravvissuto ma non è abbastanza al sicuro per raccontare la sua verità.”, Rachel Batya.

rachel

La poesia, la prima che Rachel ha pubblicato, è qui sotto (trad. Maria G. Di Rienzo)

Unveiling (Svelamento)

La verità ha cominciato a chiamarmi.

All’inizio, come un dolore muto,

si rigirava in me silenziosamente, premendo sulle mie viscere allo spuntar dell’alba.

La verità si è insediata negli angoli dei miei occhi.

La verità sta scorrendo sulle mie guance, senza parlare,

e cadendo nel ruscello del mio collo,

dentro le cavità che ho scavato sulle mie spalle.

La verità mi sta ricordando che la mia prima lingua

è stata sempre il pianto.

La verità sta implorando di essere ripescata da mani a coppa e tenuta vicina

così da non disperdersi attraverso gli spazi vuoti fra le mie dita

quando tu dici dubbio.

La verità è sempre in attesa

di essere invitata sulle mie labbra,

che le si chieda di uscire sulla mia lingua,

la verità aspettava di sussurrare

che questo corpo è stato usato come una necropoli,

come un piccolo cimitero per poveri

per il vostro retaggio di odio.

La verità si sta scavando fuori da sé ora,

dalle anche che avete aperto a strappo con tanta facilità,

dalla mascella che avete spezzato facendone una O, in una notte lontana.

Dalla curva di una spina dorsale, che ha potuto crescere solo piegata.

Benvenuti a questo sacro svelamento,

dove ciò che avete tentato di seppellire

rivela se stesso

sempre più chiaramente, ogni volta che piove.

Dove ciò che avete tentato di render parte di me

si erge fuori cantando – un reperto separato,

come un osso che forza se stesso fuori dalla terra

e supplica di essere conosciuto,

dopo una tempesta.

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