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Posts Tagged ‘giornata internazionale contro la violenza di genere’

Ora che la Rai (servizio pubblico), nel mezzo di ipocrite e superficiali manfrine sulla violenza contro le donne, vi ha fornito il tutorial su come si fa la spesa sembrando una perfetta cretina (eseguito da professionista di balletti attorno a un palo e presentato da professionista che asserisce di rappresentare la “categoria donna” e ci assicura di combattere ogni giorno per ciò in cui crede, ma purtroppo non ci dice in cosa le sue credenze consistano), mi sento perfettamente legittimata a produrre tutorial anche io.

Oggi, perciò, la vecchia cessa femminista vi spiegherà professionalmente – come attivista antiviolenza e trainer alla nonviolenza – quali concetti avreste dovuto trovare in articoli e servizi relativi al 25 novembre, Giorno internazionale contro la violenza di genere. Questi:

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Si definisce violenza di genere la violenza diretta contro una persona sulla base del suo genere o sesso.

Il termine “sesso” si riferisce alle differenze biologiche esistenti fra maschio e femmina, mentre “genere” si riferisce alle differenze sociali tra essi: che sono apprese, che possono cambiare nel tempo e che variano grandemente sia fra le culture che all’interno delle culture stesse. Il genere è una variabile socio-economica, culturale e politica che può essere utilizzata per analizzare ruoli, responsabilità, opportunità e bisogni di donne e uomini.

La violenza di genere prende molte forme – può essere fisica, sessuale, psicologica, economica, legale, sociale, culturale ed essere tollerata o attivamente alimentata all’interno della famiglia e della comunità o dagli stati e dalle istituzioni.

Dall’insulto alla molestia, dalla minaccia al pestaggio, dall’umiliazione alla restrizione del godimento di diritti umani universali, dallo stupro all’omicidio – ogni manifestazione della violenza di genere è profondamente radicata in convincimenti culturali discriminatori e attitudini che perpetuano diseguaglianza e mancanza di potere, in particolare per donne, ragazze e bambine.

Contrastare la violenza di genere richiede la comprensione delle sue cause e dei fattori che ad essa contribuiscono, i quali spesso fungono da barriera a responsi e prevenzioni efficaci.

La causa principale della violenza di genere è lo status diseguale di uomini e donne (patriarcato) nato dal convincimento che queste ultime siano inferiori e che, assieme ai bambini / alle bambine e ad altri soggetti di “basso rango”, debbano essere controllate, dirette e dominate. La violenza riceve giustificazione da questa e altre idee socio-culturali normative su ciò che la “mascolinità” e la “femminilità” dovrebbero essere.

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Poiché tracciare la violenza in cronaca, nelle buste paga o nelle sentenze dei tribunali è – relativamente – abbastanza facile, nella prossima tranche del tutorial ci concentreremo sui fattori culturali che legittimano la violenza QUOTIDIANAMENTE su media e social media, il cui effetto “sfugge” di continuo agli occhi del pubblico nonostante la loro tossicità sia persino comprovata da una tonnellata di studi e ricerche.

Ripartiamo dalla pagliacciata della spesa “sexy” citata all’inizio: le reazioni ad essa avevano prodotto la cancellazione del programma, ma Rai 2 lo ha mandato tranquillamente in replica il mattino dopo, assieme a signorine in lingerie e a una professionista di reggiseni che spiegava le meraviglie del push-up (colonna sonora: “9 settimane e ½”). Vi sembra che abbiano capito qualcosa delle rimostranze? No, ovviamente: ignorano o preferiscono non considerare le basi che ho citato sopra.

La tizia in micro-gonna (una mini sarebbe stata troppo lunga), con ombelico scoperto e un chilometro di tacchi, che spiegava come mostrare meglio il culo se qualcosa durante la spesa cade sul pavimento doveva essere divertente, atta ad alleggerire questo clima opprimente da pandemia, ha dichiarato sempre la conduttrice sedicente paladina delle sue simili, ma qualcosa non ha funzionato in troppe/i si sono posti infatti questa domanda: si può sapere perché se dobbiamo divertirci la prima cosa che viene in mente agli sceneggiatori televisivi è sbeffeggiare le donne in quanto tali?

Stereotipi e pregiudizi sono formidabili alimentatori della violenza: tutti i cosiddetti “crimini dell’odio” si costruiscono attorno al disprezzo che stereotipi e pregiudizi veicolano; le aggressioni, i pestaggi “domestici”, gli stupri, i femicidi e la ri-vittimizzazione di chi ciò subisce hanno come base tale disprezzo. La ridicolizzazione delle donne può farvi avere qualche “like” in più o divertirvi personalmente ma la sua ricaduta resta il sangue: perché la violenza ha bisogno, per essere agita, della disumanizzazione dei suoi bersagli.

Ieri 26 novembre 2020 in cronaca c’erano i soliti risultati della ricetta:

Pordenone: “E’ arrivato in Questura con le mani ancora sporche di sangue, dopo aver ucciso la compagna con numerose coltellate al collo. La vittima, 33 anni, era la mamma di due bambini di 8 e 3 anni.”

Firenze: “Picchia la compagna e non apre la porta ai soccorritori. Arrestato un uomo di 25 anni per maltrattamenti e lesioni gravi. La donna ha 25 giorni di prognosi. Era già stata aggredita altre volte.”

Come la società italiana ha preparato questo?

1. Dando la colpa alle vittime (“L’aggressore fiuta la preda”, “Cosa si aspettava, di andare a recitare il rosario”, “E’ stata ingenua – stupida – complice”);

2. Giustificando gli assalitori (colti da raptus, obnubilati da alcolici e sostanze varie, giustamente furiosi per le azioni compiute dalle loro vittime, depressi, abbandonati, ecc. ecc. ecc.);

3. Scusando e premiando ed esaltando l’oggettivazione delle femmine di qualsiasi età: (“Ben venga, con le giuste precauzioni, anche la sensualità dei bambini come parte dell’essenza umana, che non ha nulla che vedere con la perversione.” riferito alle adolescenti con le dita in bocca e l’ombelico al vento usate per pubblicizzare automobili);

4. Aggredendo a colpi di svergognamento qualsiasi femmina, di qualsiasi età, rifiuti di aderire al modello in voga (magra – preferibilmente bionda tinta – tette gonfiate – cosce liposucchiate – professione obbligata influencer o youtuber o fashionista) o ne sia impossibilitata per qualsivoglia motivo;

5. Continuando a sparare ignoranti cazzate immani e ignoranti volgarità abissali su cosa sono le donne e cosa sono gli uomini tramite social media, programmi televisivi e simili.

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Fase 3 del tutorial: BREAK FREE!!!

L’immagine “sociale”, ossia la visione che altri hanno di noi e dei gruppi a cui apparteniamo (per caso o per scelta), gioca un ruolo assai importante in un vasto raggio di processi psicologici – relazioni interpersonali, scelta del/della partner, espressione delle emozioni, solo per citarne alcuni.

Tuttavia, ognuno di noi ha molto più controllo su questo lato della propria vita di quanto sia stato indotto a credere: possiamo decidere cosa fare dei messaggi che ci investono.

* Cominciate prestando attenzione a come vi sentite rispetto a essi.

Vacca, troia, puttana, cicciona, brutta, sciatta, “inchiavabile” eccetera non sono “critiche costruttive” di cui dovete tener conto per programmare le vostre azioni future, sono insulti tesi a ferirvi: non hanno alle spalle alcuna logica, alcun dato, alcun ragionamento e meno che mai vengono proferiti “per il vostro bene” visto che l’unico loro scopo è distruggere la vostra autostima e zittirvi.

Perché mai la cosiddetta opinione sul vostro conto del primo stronzo che passa dovrebbe avere più valore della vostra e perché mai dovrebbe esserle delegata la capacità di dirigere la vostra vita (di cui il suo detentore- o la sua detentrice – non sa un piffero)? C’è un’unica esperta della mia esistenza, che vive nella mia pelle: me stessa. Mi sembra ovvio che le decisioni su tale esistenza io sia più qualificata a prenderle rispetto al suddetto stronzo.

* Escludere dalla vostra cerchia le persone distruttive non è censura, è buonsenso.

Però, se “bannare” il tal follower è una semplice azione alla vostra portata, è molto più difficile evitare i messaggi pubblicitari o le narrazioni abominevoli contenute nei programmi televisivi e negli articoli di giornale. Cercate narrazioni alternative: non solo esistono ma sono prodotte in base a principi di civiltà e ad analisi scientifiche, storiche, sociologiche. Una volta che vi siate formate/i una base di conoscenza sulla relazione fra pregiudizi, stereotipi e violenza diffondetela come se non ci fosse un domani… anche perché in questo modo favorirete per altri esseri umani la possibilità di averlo, un domani.

* Sottraete il vostro consenso alla violenza.

So che non l’avete dato formalmente, ma il silenzio è spesso interpretato per tale, perciò protestate, urlate, dissentite, battete mestoli sulle casseruole. E come vi arriva “eeeh… questo è bigottismo” oppure “bisognerebbe capire quanto violenta era la donna psicologicamente” o ancora “questo è un delinquente, il fatto che sia maschio non ha nessuna importanza” e “ma invece hai letto di quella che ha ucciso il suo bambino?”… tornate al punto precedente e cancellate questi ipocriti dai vostri contatti. Non vogliono discutere con voi, non gli interessa una mazza quel che dite, non sono disposti ad imparare niente e la violenza (soprattutto quella contro le donne) gli piace. Avete tempo da perdere, voi?

Maria G. Di Rienzo

P.S. A differenza di note personalità che fissano a circa 600 euro il biglietto per assistere a una loro “lezione di trucco”, l’autrice sunnominata vi ha offerto questo tutorial del tutto gratuitamente – e ne va fiera.

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“La verità è che non siamo un popolo che ama la parità.

Siamo un popolo di maschilisti uomini, e di maschilisti donne.

Anche noi donne, sì, sappiamo essere molto maschiliste.

Sappiamo esserlo quando giudichiamo le altre perché sono più giovani, più carine, più magre, più appariscenti e più di successo di noi.”

(Riflessioni di una “scrittrice e giornalista” sul rapporto Istat diffuso il 25 novembre u.s. riguardante la percezione dei ruoli e della violenza di genere, brano n. 1)

caselli

(so che ci avete pensato, ma non è lei)

Carine, magre, appariscenti e di successo. Sono le “cifre” della femminilità patriarcale odierna, ove “di successo” in Italia significa influencer (qualsiasi cosa voglia ormai dire), modella, velina, tronista o anche escort molto liberata e trasgressiva che sventola mutande “con ironia” – magari assieme al barzellettiere Berlusconi.

Dubito molto che costoro soffrano del giudizio delle altre donne, maschiliste o meno, per due motivi:

– innanzitutto, anche qualora qualcuna si permetta di non dare approvazione, giudicando semplicemente le azioni di costoro – non le persone, le azioni – per nulla giovevoli alla causa femminile / femminista, nessuna delle sue argomentazioni sarà ascoltata e lei stessa sarà immediatamente etichettata come “invidiosa”: infatti, è quello che fa anche l’articolista in questione;

– l’unico giudizio che conta, per le influencer – modelle o aspiranti tali, è quello del pubblico maschile, a cui ogni loro messaggio è diretto al fine di ottenere approvazione (ed eventuali vantaggi economici).

Sto dicendo che non possono farlo? No. Sto dicendo che come femminista non porgo il mio endorsement – di cui comunque se ne frega il mondo intero – e che rivendico pienamente il diritto di giudicare se quel che una persona fa va a favore o contro le istanze per cui lotto.

Inoltre, se occhi e orecchie non mi ingannano, è assai più frequente essere “giudicate” (nel senso di stigmatizzate e aggredite) qualora non si risponda al modello carina – magra – appariscente – di successo. O chi ha scritto il paragrafo riportato sopra non avverte il persistente urlio fatto di “brutta, cicciona, vecchia, sciatta, fica-di-legno” che impesta le vite delle donne, delle ragazze e persino delle bambine italiane?

“Leggendo che un cittadino su quattro (uno su quattro!) è convinto che l’abbigliamento possa essere una giustificazione per la violenza mi fa domandare: ma a cosa sono servite le campagne di sensibilizzazione? A cosa le manifestazioni? A cosa i film? A cosa i libri? A cosa le battaglie, soprattutto?

A cosa serve vivere in una bolla accompagnati da persone come noi – progressiste o presunte tali, sostenitrici accanite della parità di genere nella vita lavorativa come in quella privata – se poi l’Italia è questa che Istat ci sbatte in faccia con la crudeltà che solo i numeri sanno raccontare?”

(Brano n. 2)

So che sono pignola e me ne scuso: ma “leggendo… mi fa domandare” non va. O è “leggere mi fa domandare” o è “leggendo mi domando”. Ciò detto, prendo atto che il passaggio successivo a “invidiosa” è “inetta” e che inoltre questo sbavante essere inutile non vive neppure nella realtà, ma in una ristretta enclave di simili destinata a brusco risveglio grazie alla crudeltà dei numeri. Purtroppo come attivista a me non serve arrivare ogni anno al 25 novembre per conoscere i numeri. Li conosco tutti i giorni. Hanno nomi. Hanno volti. Hanno corpi che ho stretto fra le braccia.

A cosa è servito e serve, alle donne, contrastare la violenza di genere? E’ semplice: è servito e serve a salvarne qualcuna. E’ vero che preferiremmo si salvassero tutte, ma il percorso è lungo, pieno di ostacoli di una certa imponenza (politica, religione, attitudini socio-culturali) così come di pietruzze (le stronzate sulla libertà di essere serve per la soddisfazione maschile).

Non intendo svendere per nessuna/o quel che sta dietro alla lotta contro la violenza: femminismo, sorellanza, solidarietà, impegno e sogno. Ne’ accetto che altre/i lo facciano.

Maria G. Di Rienzo

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un 25 nov 2019

* Una donna/ bambina su tre fa esperienza di violenza fisica o sessuale durante il corso della sua vita, per la maggior parte inflitta da un partner con cui è in intimità;

* Solo il 52% delle donne sposate o con un compagno possono liberamente prendere le proprie decisioni su relazioni sessuali, contraccettivi e cura della salute;

* In tutto il mondo, circa 750 milioni di donne e bambine attualmente in vita sono andate spose prima del loro 18° compleanno, nel mentre 200 milioni di donne e bambine sono state sottoposte a mutilazione genitale (MGF);

* Una donna su due in tutto il mondo è stata uccisa dal proprio partner o da un familiare nel 2017, mentre solo un uomo su venti è stato ucciso nelle medesime circostanze;

* Il 71% di tutte le vittime di traffico al mondo sono donne e bambine e tre su quattro di queste donne e bambine sono sfruttate sessualmente;

* La violenza contro le donne è grave quanto il cancro quale causa di morte e incapacità fra le donne in età riproduttiva e maggiormente grave come causa di problemi di salute degli incidenti automobilistici e della malaria messi insieme.

Nazione Unite, Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, 25 novembre 2019 (trad. Maria G. Di Rienzo): la ricorrenza è stata istituita dall’Assemblea generale delle NU vent’anni fa.

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22-23 novembre 2018, dalla stampa:

– “Condannato a 8 anni di carcere Jonathan Trupia, insegnante di inglese di 25 anni, accusato di violenza sessuale nei confronti di 25 bambine della scuola materna «Casa dei Bambini» di largo Bastia, l’asilo convenzionato con i dipendenti di Bankitalia. L’uomo è accusato di aver abusato delle ragazzine, tutte di età compresa tra i 3 e i 5 anni, e per questo il tribunale di Roma lo ha condannato anche al pagamento di una penale da 10 mila euro in favore di ogni vittima. Gli episodi risalgono al periodo tra ottobre 2017 e marzo 2018, nel laboratorio di lingue.”

– “Ha preso un aereo per le Canarie per punire la sua ex fidanzata. Matteo Ettore Albanesi, 45 anni, originario di Busto Arsizio, è stato arrestato all’aeroporto di Tenerife, con l’accusa di avere gettato acido sul volto di Maria, una ragazza di 25 anni. Secondo quanto denunciato dalla vittima, Albanesi è arrivato apposta dall’Italia, accompagnato da una donna, per vendicarsi della ex, colpevole si suoi occhi di averlo lasciato, meno di un anno fa. L’aggressione è avvenuta martedì sera in una piazza di Tenerife, nella zona de La Laguna. (…) La donna è ricoverata nell’ospedale dell’isola con ustioni gravissime a un occhio. «La minacciava senza sosta su Whatsapp» ha raccontato l’attuale fidanzato di Maria.”

– “È morto il bambino di 11 anni che si trovava nella casa di Sabbioneta (Mantova) che il padre avrebbe incendiato. L’uomo, italiano, a quanto si è saputo aveva ricevuto 4 giorni fa un divieto ad avvicinarsi alla casa familiare emesso dal gip di Mantova. (…) Secondo quanto si è saputo, la madre del bambino stava rincasando dopo aver portato altri suoi due figli ad attività pomeridiane, e ha visto il marito uscire dalla casa e salire a bordo di un’auto con la quale ha speronato la sua. Quando i Carabinieri e il personale del 118 sono arrivati nell’abitazione, il bambino era esanime ed è morto poco dopo il suo arrivo in ospedale.”

Insegnanti, mariti, ex partner, padri. Non ci sono stati presidi spontanei, affissioni di manifesti, proteste davanti a sedi istituzionali, nuovi hashtag sui social media, rose bianche-rosse omaggiate da politici.

24 novembre 2018, vigilia della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, dalla stampa:

– “Mancano più di 5mila posti letto per chi fugge dalle mura domestiche, teatro dell’80% dei maltrattamenti; i fondi pubblici sono scarsi e utilizzati male. Di quelli disponibili ne sono stati spesi solo lo 0.02%. Scarsa preparazione e formazione sul fenomeno della violenza di forze dell’ordine e personale socio-sanitario, interventi di prevenzione e protezione sui territori a macchia di leopardo, così solo il 7% degli stupri viene denunciato. Le donne che si sono rivolte ai Centri antiviolenza nel 2017 sono 49.152, di queste 29.227 hanno iniziato un percorso di uscita dalla violenza. Il 26,9% delle donne che si rivolgono ai centri sono straniere e il 63,7% ha figli, minorenni in più del 70% dei casi. Sono i dati raccolti dall’Istat che per la prima volta ha svolto l’indagine sui servizi offerti dai Centri antiviolenza, in collaborazione con il Dipartimento per le Pari opportunità le regioni e il Consiglio nazionale della ricerca.

Da gennaio a ottobre sono state oltre 70 le donne uccise per mano di chi diceva di ‘amarle’. Da gennaio a fine luglio sono state 1.646 le italiane e 595 le straniere che hanno presentato denuncia per stupro. L’Istat stima che siano 1 milione 404mila le donne che hanno subito molestie fisiche o ricatti sessuali sul posto di lavoro da parte di un collega o del datore di lavoro. Incalcolabili gli episodi di sessismo, che permeano la vita delle donne (…)”

Non ci sono stati presidi spontanei, affissioni di manifesti, proteste davanti a sedi istituzionali, nuovi hashtag sui social media, rose bianche-rosse omaggiate da politici.

25 novembre, Giornata internazionale contro la violenza sulle donne. L’unica dichiarazione sensata (dalla sfera politica) offerta sulla stampa è quella del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella:

– “La violenza sulle donne purtroppo non conosce confini geografici, distinzioni di classe o di età: è iscritta in tante singole biografie. In ogni sua forma, fino all’omicidio, non è mai un fatto privato ne’ solo conseguenza di circostanze e fattori specifici, ma si inscrive in una storia universale e radicata di prevaricazione sulla donna. (…) La prevenzione avviene soltanto continuando a operare per una profonda trasformazione culturale che trovi il suo miglior esito nella promozione del rispetto e nell’affermazione delle donne nella società. Nel nostro Paese il fenomeno della violenza sulle donne è ancora tragicamente alto e la sua denuncia ancora troppo reticente. Si devono, quindi, favorire le condizioni migliori per superare questo ulteriore ostacolo soprattutto negli ambienti – come quello lavorativo – dove risulta più difficile.”

26 novembre 2018, la stampa dà conto dell’udienza preliminare nei confronti del nigeriano Innocent Oseghale, che è imputato dell’omicidio di Pamela Mastropietro e ha ammesso di averne smembrato il corpo per farlo stare in due valigie.

– “Poco dopo le 8, alla riapertura del palazzo di Giustizia di Lodi sono stati trovati attaccati con nastro adesivo ad alcune delle porte di ingresso manifesti in formato A3, a colori, riportanti il simbolo di Forza Nuova, con la frase “Ecco il risultato della vostra integrazione”. Sullo sfondo l’immagine di una giovane donna, a terra e che appare ormai senza vita, completamente insanguinata e tenuta per il collo da un uomo corpulento e dalla pelle che appare di colore scuro. In fondo al volantino l’hasthag: #giustiziaperpamela.”

– “Alla famiglia (nda.: della donna uccisa) su un foglio di carta a righe scritta a stampatello, arriva una lettera anche di Luca Traini, l’uomo condannato a 12 anni per aver sparato a sei extracomunitari come vendetta per l’assassinio di Pamela. “Mi permetto di esprimere la mia vicinanza alla famiglia Mastropietro – scrive Traini – alla mamma di Pamela vanno le mie preghiere: che Dio possa infondere forza e coraggio nel suo cuore. Nessuno potrà fermare mai la convinzione che la giustizia no, non è solo un’illusione! Pena certa per gli assassini di Pamela, giustizia per Pamela e per tutte le donne vittime di violenza”, firmato Lupo, il nome di battaglia di Traini.”

La “storia universale e radicata di prevaricazione sulla donna” non si esprime solo con la violenza dello stupro, dell’acido in faccia, delle percosse, degli incendi dolosi ecc. sino ad arrivare all’omicidio. La prevaricazione consiste anche nella trasformazione di tutto ciò in una grottesca palestra ove gli uomini gonfiano i loro ego, gli uomini si incaricano di farci a pezzi o di sparare a nome nostro, gli uomini parlano – che si tratti di proclami o di insulti – con altri uomini e usano la nostra sofferenza come veicolo per le loro idee bislacche al meglio e orrende al peggio.

Che noi si muoia urlando o che si urli nelle piazze: NESSUNO ASCOLTA. E’ questo il primo passo per la “profonda trasformazione culturale” di cui abbiamo bisogno: che le donne siano ascoltate e prese sul serio.

Maria G. Di Rienzo

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16 days

La violenza contro donne e bambine è una delle più comuni e prevalenti violazioni dei diritti umani al mondo. L’abuso fisico e/o sessuale che una donna su tre subisce durante l’arco della sua esistenza non danneggia solo la sua salute e la sua sicurezza, ne limita la partecipazione sociale e politica, impedisce o restringe la sua presenza sul mercato del lavoro e ha ricadute non solo sulle sue relazioni umane ma proprio sulla democrazia, l’economia, la finanza ecc. del suo paese.

Da domani, Giorno internazionale contro la violenza sulle donne, partono i consueti “16 giorni di attivismo” che avranno termine il 10 dicembre, Giorno internazionale dei diritti umani. La campagna ebbe inizio nel 1991 grazie al Center for Women’s Global Leadership (Centro per la leadership globale delle donne). Il focus di quest’anno è sulla violenza all’interno del mondo del lavoro.

27 anni di campagne sono tanti. Le attiviste spiegano perché ciò è ancora necessario:

La violenza comincia con la discriminazione – Hela Ouennich, dott. in medicina, Tunisia:

“Molte persone si concentrano sulla punta dell’iceberg. Si mobilitano solo quando la violenza è estrema. La gente non sa che la violenza comincia con la discriminazione. Per me, la discriminazione di genere è una “malattia” che ha origini sociali. La maggioranza degli uomini e delle donne finiscono per esserne “portatori sani”. Se vogliamo combattere la violenza di genere, dobbiamo innanzitutto combattere gli stereotipi discriminatori che hanno le loro radici nella prima infanzia e sono difficili da contrastare.”

La violenza non è solo fisica – Mariam Shaqura, Direttrice per le istanze delle Donne della Mezzaluna Rossa per la Striscia di Gaza, Palestina:

“La gente tende a pensare che la violenza di genere comporti solo abuso fisico. Ma le sopravvissute spesso considerano l’abuso psicologico e le umiliazioni più devastanti dell’aggressione fisica.”

La legge non è sufficiente a fermare la violenza – Elvia Barrios, Giudice di Pace, Perù:

“Un comune fraintendimento sulla violenza è che la legge in se stessa possa risolvere il problema. Se le persone non comprendono in profondità la realtà sociale delle donne, se non visualizziamo le enormi e molteplici forme di violenza che esistono nel nostro ambiente, non otterremo grandi cambiamenti. Tutta la cittadinanza deve essere coinvolta nella lotta contro la violenza sulle donne – dalle case al sistema educativo e alle istituzioni. E’ ora di smantellare gli stereotipi che sostengono la violenza.”

La percezione della violenza deve cambiare – Tran Thi Bich Loan, Vice Direttrice del Dipartimento per l’eguaglianza di genere, Vietnam:

“L’idea che i perpetratori abbiano il diritto di commettere atti violenti ha normalizzato la violenza contro donne e bambine. La violenza non è parte della “natura” di un uomo. E’ qualcosa che è stato nutrito e tollerato. Il rispetto per il diritto di ognuno alla libertà e alla dignità deve cominciare dalle nostre azioni più piccole e semplici.”

La complicità culturale che crea e alimenta violenza deve cessare – Sagina Sheikh, attivista comunitaria (è un’adolescente e oltre a essere un’attivista contro la violenza di genere, sta affrontando ogni disagio dell’ambiente in cui vive, dal riciclo dei rifiuti al bisogno di installare impianti sanitari nelle case), India:

“La cultura popolare gioca un ruolo importante per perpetuare le molestie sessuali. I ragazzi spesso usano canzoni e film che promuovo lo stalking, o fanno riferimento alle ragazze come merci a disposizione, per giustificare il loro comportamento e fare commenti osceni. Si sentono mascolini solo quando tormentano le ragazze, ma sarebbero veramente tali se rispettassero il consenso e capissero che no significa no.”

I miti sulla violenza devono essere cancellati – Sevda Alkan, Forum dell’Università di Sabanci, Turchia:

“La gente pensa che se una donna ha un alto grado di istruzione o indipendenza economica non sarà soggetta ad alcuna forma di violenza. Non è vero. Raccomando a tutti di apprendere i fatti e i dati sulla violenza domestica e di condividerli ovunque.”

e Nadhira Abdulcarim, Ostetrica e ginecologa, Filippine:

“C’è un bel po’ di stigmatizzazione, nella nostra società, sull’abuso sessuale. Molte non denunciano perché è tabù, perché la reputazione tua e della tua famiglia ne soffrirebbe – non solo dei parenti stretti, persino la reputazione della famiglia estesa. Questa è l’istanza di cui mi sto occupando. Promuovere consapevolezza è cruciale.”

Il femminismo non ha mai ucciso nessuno – Paola Mera Zambrano, Consiglio nazionale per l’eguaglianza di genere, Ecuador:

“La violenza di genere contro le donne disabili è prevalente, ma come società non riconosciamo la sua esistenza perché farlo sarebbe riconoscere la crudeltà della società stessa. Ignoranza e pregiudizio sulle disabilità fungono da ostacoli all’azione e rinforzano i ruoli di genere cosiddetti tradizionali, facendo di “femminismo” una parola proibita. Però sino a questo momento il femminismo non ha ucciso nessuno, cosa che invece la mascolinità tossica fa ogni giorno.”

Maria G. Di Rienzo

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“Sunitha Krishnan, nata in India, racconta la sua storia con sorprendente serenità: “Quando avevo 15 anni sono stata stuprata da otto uomini. La mia comunità mi considerò colpevole, non vittima di un crimine. Decisero che era la mia indole a non essere buona, che avevo fatto qualcosa per meritarmelo. Sono stata isolata e la mia famiglia smise di essere invitata a eventi sociali. Ero vista come una prostituta.”, ricorda questa donna minuta, ora 44enne, “Dopo di ciò promisi a me stessa che non avrei permesso a questo di distruggermi, che mi sarei ripresa e avrei dedicato la mia vita a combattere la violenza sessuale, rendendo l’istanza visibile e aiutando altre donne.”

E lo ha fatto. Sunitha ha fondato “Prajwala”, un’organizzazione il cui scopo è aiutare le donne che sono state schiave sessuali. “Donne che non sono state stuprate una volta sola, come me, ma centinaia di volte.”, sottolinea Sunitha.”

Il brano, come quello che segue, è tratto dall’articolo che María R. Sahuquillo ha composto – benissimo – per El Paìs in occasione del Giorno internazionale contro la violenza sulle donne (25 novembre).

” (le vittime) sono terrorizzate all’idea di essere giudicate scorrettamente, hanno un tremendo senso di colpa derivato dall’ambiente in cui vivono. – dice Tina Alarcón, Presidente del Centro Aiuto alle vittime di aggressione sessuale di Madrid (Cavas in sigla) – “E’ il tipo di ambiente in cui senti ancora cose del tipo ‘se l’è andata a cercare’, specialmente quando la persona è un parente, un amico, qualcuno che conosci, il che ammonta all’80% dei casi.”

Un’altra delle donne intervistate da El Paìs, Macarena García di 48 anni – 23 dei quali passati con un marito che abusava di lei fisicamente e psicologicamente – da quando è riuscita a uscire dalla situazione fa volontariato presso la Fondazione Ana Bella per le vittime di abuso. Macarena dice una cosa molto importante sulla violenza di genere: “Non dovremmo educare le nostre ragazze a ‘badare a se stesse’, dovremmo educare i nostri ragazzi a rispettarle e a non essere aggressori.”

Si chiama, come sapete, socializzazione di genere. Grazie (si fa per dire) a essa potete tirare una linea dalla Spagna di El Paìs agli Stati Uniti di The Olympian, il quotidiano della città di Olympia, e trovare un articolo di Amelia Dickson e Rolf Boone del 27 novembre u.s. che ha nel titolo la frase “Sono un maschio, uomo, perciò questo tipo di roba succede.”

Sono le parole pronunciate in tribunale dal 31enne Efrain Ramirez-Ventura, pescato mentre filmava una madre e sua figlia dodicenne che si stavano provando degli abiti in un camerino di prova. Sul suo cellulare sono stati trovati altri 80 filmati di questo tipo, tutti presi da camerini adiacenti.

Secondo costui, essere maschio significa essere autorizzato a violare l’intimità, gli spazi e i corpi delle femmine, di qualsiasi età.

Dello stesso parere sono quelli che hanno inflitto violenze sessuali a circa 120 milioni di bambine in tutto il mondo (dati Unicef) e quelli che rendono l’Europa un continente in cui una donna su dieci, a partire dai 15 anni d’età, subisce qualche tipo di assalto sessuale: cose che “capitano”, quando addestri metà dell’umanità a credersi legittimata alla violenza.

Maria G. Di Rienzo

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Oggi ricorre la Giornata Internazionale contro la violenza di genere. Troverete facilmente al proposito articoli, ricapitolazioni storiche, cifre e percentuali, segnalazioni di iniziative – e di sicuro non avete bisogno di leggermi mentre scrivo le stesse identiche cose che scrivo quasi ogni giorno.

Perciò oggi vi metto qui la faccia di un giudice canadese, il sig. Jean-Paul Braun, che si è reso protagonista di quella violenza quotidiana diretta ai corpi femminili non conformi ai criteri attuali con cui si definisce la “bellezza” (cioè il piacere abbastanza agli uomini da eccitarli sessualmente).

jean-paul braun

Come potete notare è giovane, palestrato e incredibilmente attraente. Forse no, però agli uomini non serve davvero tutto questo: le prescrizioni valgono come imprescindibili solo per le donne.

Il 20 novembre scorso Braun si è ritirato da un processo per aggressione sessuale senza dare spiegazioni; alle spalle aveva solo un’inchiesta sul suo comportamento richiesta dalla Ministra della Giustizia Stephanie Vallee e i rimarchi di Helene David, Ministra per lo Status delle Donne, che alla stampa aveva dichiarato “(i giudici) Hanno bisogno di più addestramento, di più sensibilità? Non lo so. Ma questo problema lo devono risolvere.”

I fatti di cui si discuteva in tribunale sono i seguenti: una ragazza, all’epoca 17enne, decide di prendere un taxi. Alla guida c’è il sig. Carlo Figaro, 49 anni, che comincia subito a molestarla, le chiede il numero di telefono, le si butta addosso e le lecca la faccia, la bacia e la palpeggia prima che la ragazza riesca a fuggire dal veicolo.

Dopo aver ascoltato tutto questo, il giudice Braun si è chiesto a voce alta se il baciare possa essere considerato “sessuale” e se il consenso per baciare qualcuno è davvero necessario. “Baciare qualcuno può essere un gesto accettabile.”, ha detto, aggiungendo che la vittima “probabilmente era lusingata dalle “avance” del tassista, perché forse era la prima volta che qualcuno si interessava a lei.” Perché la vittima doveva essere lusingata da un’aggressione? Be’, spiega sempre il giudice, “E’ un po’ sovrappeso, un po’ grossa, ma ha un bel viso, eh?”

Il tassista, per vostra informazione, è stato comunque condannato e intende ricorrere in appello. Se al prossimo processo trova una giura composta da tipi come Braun – e non è difficile, in nessun paese al mondo – è a posto. Magari faranno il passo ulteriore, daranno alla ragazza della “schifosa cicciona” e le chiederanno di scusarsi per aver causato tanti fastidi a un uomo che dovrebbe solo ringraziare, perché si è interessato a lei.

Che a noi schifose possa non fregare una beata mazza di avere l’approvazione maschile (che, chissà perché, si manifesta con l’assalto sessuale) non è contemplato.

Che i nostri corpi ci appartengano, meritino di essere trattati con dignità e rispetto, non siano proprietà pubblica soggetta al pubblico apprezzamento o ludibrio neppure.

Un uomo può violare una minorenne e stare relativamente tranquillo: la legge l’avranno anche imposta le nazifemministe con qualche colpo di stato ma i suoi pari, che indossino o no la toga, lo apprezzano, lo scusano e forse domani anche loro lo imiteranno. Maria G. Di Rienzo

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(Lo desideravo da tempo, per cui ringrazio e – nel mio piccolo – rilancio. Maria G. Di Rienzo)

Commissione Pari Opportunità della Fed. Naz. Stampa Italiana

Usigrai

Giulia Giornaliste

Sindacato Giornalisti Veneto

MANIFESTO DELLE GIORNALISTE E DEI GIORNALISTI PER IL RISPETTO E LA PARITA’ DI GENERE NELL’INFORMAZIONE CONTRO OGNI FORMA DI VIOLENZA E DISCRIMINAZIONE ATTRAVERSO PAROLE E IMMAGINI

VENEZIA 25 NOVEMBRE 2017

Sistematica, trasversale, specifica, culturalmente radicata, un fenomeno endemico: i dati lo confermano in ogni Paese, Italia compresa.

La violenza di genere è una violazione dei diritti umani tra le più diffuse al mondo: lo dichiara la Convenzione di Istanbul, approvata dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa nel 2011 e recepita dall’Italia nel 2013, che condanna «ogni forma di violenza sulle donne e la violenza domestica» e riconosce come il raggiungimento dell’uguaglianza sia un elemento chiave per prevenire la violenza.

La violenza di genere non è un problema delle donne e non solo alle donne spetta occuparsene, discuterne, trovare soluzioni. Un paese minato da una continua e persistente violazione dei diritti umani non può considerarsi “civile”.

Impegno comune deve essere eliminare ogni radice culturale fonte di disparità, stereotipi e pregiudizi che, direttamente e indirettamente, producono un’asimmetria di genere nel godimento dei diritti reali.

La Convenzione di Istanbul, insiste sulla prevenzione e sull’educazione. Chiarisce quanto l’elemento culturale sia fondamentale e assegna all’informazione un ruolo specifico richiamandola alle proprie responsabilità (art.17).

Il diritto di cronaca non può trasformarsi in un abuso. “Ogni giornalista è tenuto al “rispetto della verità sostanziale dei fatti”. Non deve cadere in morbose descrizioni o indulgere in dettagli superflui, violando norme deontologiche e trasformando l’informazione in sensazionalismo.

Noi, giornaliste e giornalisti firmatari del Manifesto, ci impegniamo per una informazione attenta, corretta e consapevole del fenomeno della violenza di genere e delle sue implicazioni culturali, sociali, giuridiche. La descrizione della realtà nel suo complesso, al di fuori di stereotipi e pregiudizi, è il primo passo per un profondo cambiamento culturale della società e per il raggiungimento di una reale parità.

Pertanto riteniamo prioritario:

1.

inserire nella formazione deontologica obbligatoria quella sul linguaggio appropriato anche nei casi di violenza sulle donne e i minori;

2.

adottare un comportamento professionale consapevole per evitare stereotipi di genere e assicurare massima attenzione alla terminologia, ai contenuti e alle immagini divulgate;

3.

adottare un linguaggio declinato al femminile per i ruoli professionali e le cariche istituzionali ricoperti dalle donne e riconoscerle nella loro dimensione professionale, sociale, culturale;

4.

attuare la “par condicio di genere” nei talk show e nei programmi di informazione, ampliando quanto già raccomandato dall’Agcom;

5.

utilizzare il termine specifico “femminicidio” per i delitti compiuti sulle donne in quanto donne e superare la vecchia cultura della “sottovalutazione della violenza”: fisica, psicologica, economica, giuridica, culturale;

6.

sottrarsi a ogni tipo di strumentalizzazione per evitare che ci siano “violenze di serie A e di serie B” in relazione a chi sia la vittima e chi il carnefice;

7.

illuminare tutti i casi di violenza, anche i più trascurati come quelli nei confronti di prostitute e transessuali, utilizzando il corretto linguaggio di genere come raccomandato dalla comunità LGBT;

8.

mettere in risalto le storie positive di donne che hanno avuto il coraggio di sottrarsi alla violenza e dare la parola anche a chi opera a loro sostegno;

9.

evitare ogni forma di sfruttamento a fini “commerciali” (più copie, più clic, maggiori ascolti) della violenza sulle le donne;

10.

nel più generale obbligo di un uso corretto e consapevole del linguaggio, evitare:

a) espressioni che anche involontariamente risultino irrispettose, denigratorie, lesive o svalutative dell’identità e della dignità femminili;

b) termini fuorvianti come “amore” “raptus” “follia” “gelosia” “passione” accostati a crimini dettati dalla volontà di possesso e annientamento;

c) l’uso di immagini e segni stereotipati o che riducano la donna a mero richiamo sessuale” o “oggetto del desiderio”;

d) di suggerire attenuanti e giustificazioni all’omicida, anche involontariamente, motivando la violenza con “perdita del lavoro”, “difficoltà economiche”, “depressione”, “tradimento” e così via.

d) di raccontare il femminicidio sempre dal punto di vista del colpevole, partendo invece dalla vittima nel rispetto della sua persona.

Per adesioni: cpo.fnsi@gmail.com

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(i brani sono tratti da: “Violence against women is a barrier to the effective exercise of all human rights”, di Rashida Manjoo, Special Rapporteur delle Nazioni Unite sulla violenza contro donne e bambine, 10 novembre 2014, trad. Maria G. Di Rienzo.)

La violenza contro donne e bambine è una violazione pervasiva e diffusa di cui fanno esperienza le donne in tutto il mondo. Ha raggiunto proporzioni epidemiche in alcune zone e nessun paese sta avendo successo nell’eliminare questa violazione dei diritti umani. Un recente rapporto dell’Organizzazione Mondiale per la Sanità indica la violenza contro le donne come la causa principale di morte e disabilità per le donne stesse.

Persiste una cultura dell’impunità che contribuisce all’impossibilità di raggiungere lo scopo di una vita priva di violenza per donne e bambine.

red shoes

Un cambiamento trasformativo richiede uno spostamento nel modo in cui si pensa alla “norma” e richiede impegno, coraggio ed un’etica della cura che superi gli interessi di parte e le posizioni trincerate, e richiede anche una sfida allo status quo, inclusa la sfida a quegli stessi argomenti che furono usati vent’anni fa per evitare di affrontare il divario normativo nel diritto internazionale sulla violenza contro le donne.

(A questo servono le “vuote ricorrenze”, gli “inutili giorni di questo e quello”, “la solita solfa sulle donne”, o signori disturbati dal 25 novembre: a ricordarvi che le cose come sono non sono le cose come dovrebbero essere. Maria G. Di Rienzo.)

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abalone conchiglia

L’aliotide, o orecchia di mare, è un mollusco con conchiglia (appunto a forma di orecchia) il cui strato madreperlaceo mostra una viva, bellissima, iridescenza. E’ comune lungo le spiagge dei mari caldi europei ed una sua specie (Haliotis tuberculata) si trova facilmente in Italia.

La storia che voglio raccontarvi al proposito, però, è preservata nelle tradizioni di diverse nazioni indigene americane con insediamenti costieri. Riguarda la Donna-Aliotide, o Donna-Conchiglia – Hiwat/Hiwot a seconda delle lingue – e la condivido con voi perché le attiviste antiviolenza indigene la condividono con altre donne in special modo in prossimità del 25 novembre, Giorno internazionale contro la violenza sulle donne.

“La Donna-Conchiglia viveva sulla costa dell’oceano. Stando seduta sulla spiaggia, rifletteva i suoi splendidi colori nel cielo. Anziani e anziane dicevano alla Donna-Conchiglia: “I tuoi colori meravigliosi sono un dono speciale, che dev’essere trattato con onore e cura amorevole.”

Un uomo del Nord vide i riflessi della Donna-Conchiglia nel cielo e disse: “Devo trovarla, devo trovare la donna che rende il cielo così bello.”

L’uomo viaggiò, percorse grandi distanze ed infine la raggiunse. Era là, sulla spiaggia, raggiante dei colori con cui faceva splendere la volta celeste. L’uomo si presentò, sedette con lei e le parlò e passò il tempo con lei. Dopo un po’ i due si innamorarono.

All’inizio, l’uomo del Nord era molto gentile con la Donna-Conchiglia e lei ricordava ciò che le era stato detto dalle persone anziane, come i suoi colori dovessero essere trattati con rispetto e affetto, e continuava a rifletterli nel cielo con ancora più gioia, perché l’uomo del Nord poteva vederli e goderne.

abalone woman

Ma con il passar del tempo, l’uomo cominciò a trattare malamente la Donna-Conchiglia. Tentando di renderlo felice, lei lavorava sui suoi colori per farli ancora più brillanti, e ancora di più, e ancora di più. L’uomo non cambiò il suo atteggiamento per questo: divenne invece sempre più folle e crudele verso di lei. E un giorno, su quella stessa spiaggia dove il loro amore era iniziato, la ferì gravemente.

La ferì in un modo che nessuna mano umana avrebbe potuto guarire. La ferì per sempre. Nel suo terribile dolore, la Donna-Conchiglia guardò il profondo cielo blu e cominciò a piangere. Come rivi che corrono all’oceano, le lacrime della Donna-Conchiglia scorrevano sul suo viso e cadevano in acqua. E l’acqua cominciò a brillare dei suoi magnifici colori! Ogni lacrima, nel mare, diventava una conchiglia iridescente.

spilla conchiglia

E la Donna-Conchiglia stessa si divise in mille conchiglie splendenti, mutando forma ma non perdendo affatto il suo dono speciale. La conchiglia ci ricorda che le donne hanno la capacità di splendere. Questa capacità dev’essere trattata con onore e cura amorevole dalle donne e dagli uomini. E affinché l’amore fra loro non sia vano, donne e uomini devono trattarsi reciprocamente con onore e cura amorevole.” Maria G. Di Rienzo

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