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(tratto: “Arthur Conan Doyle Estate Sues Netflix’s ‘Enola Holmes’ For Depicting Sherlock As… A Feminist?”, di Aliza Pelto per Bust Magazine, luglio 2020, trad. e adattamento Maria G. Di Rienzo.)

Il film “Enola Holmes”, in programma a settembre su Netflix, ha Millie Bobby Brown di “Stranger Things” come protagonista, nel ruolo della sorella minore di Sherlock e Mycroft Holmes. Basato sulla serie per giovani adulti del 2006 di Nancy Springer, segue l’adolescente Enola mentre indaga sul mistero della scomparsa della madre, rivelandosi a volte più arguta del suo talentuoso fratello detective.

enola book cover

La Conan Doyle Estate LTD, che sta facendo causa a Netflix, ai produttori statunitensi del film, a Nancy Springer, alla casa editrice Penguin Random House ed altri, sostiene che gli scritti di Springer, così come la rappresentazione che Henry Cavill dà del detective nel film summenzionato, vanno direttamente contro il personaggio dei romanzi originali. “Nel mentre Sherlock Holmes è famoso per i suoi grandi poteri di osservazione e logica – recita la denuncia – è almeno altrettanto famoso per essere distaccato e privo di emozioni.”

Le prime storie di Sherlock Holmes, scritte dalla fine del 1800 agli inizi del 1900, sono ora disponibili e di pubblico dominio, nel senso che chiunque può adattare le storie stesse come meglio crede. C’è stato, tuttavia, un certo numero di racconti scritti durante la prima guerra mondiale in cui il detective dalla famigerata freddezza si trasforma in una persona più dolce e comprensiva. Queste storie più tarde sono ancora protette dal diritto d’autore, il che ha consentito agli amministratori dell’eredità di Conan Doyle di fare causa contro “Enola Holmes”. Nella denuncia si legge: “I romanzi di Springer fanno un esteso illegale uso della trasformazione operata da Conan Doyle per cui Holmes da freddo e critico diventa rispettoso e gentile nelle sue relazioni. Springer mette Enola Holmes al centro dei racconti e mostra Sherlock Holmes che all’inizio la tratta con distacco, per poi risponderle con calore e gentilezza.”

Questa, tuttavia, non è la prima volta che la Conan Doyle LTD tenta di denunciare una scrittrice per aver violato il diritto d’autore. Nel 2014 tentarono e fallirono di impedire all’autrice Laurie R. King di scrivere storie sul personaggio di fantasia Mary Russell, una donna detective che è ispirata da interazioni e amicizia con Sherlock Holmes.

Durante gli anni, abbiamo avuto dozzine di libri e di adattamenti cinematografici e televisivi su Sherlock Holmes. Alcuni dei più memorabili sono la serie tv degli anni ’80 “Le avventure di Sherlock Holmes”, i due filmi del 2009 e del 2011 con protagonista Robert Downey Jr., la serie della CBS “Elementary” in cui Lucy Liu era Watson e, naturalmente, la serie tv BBC Masterpiece Theater, “Sherlock”. Se la serie del 1984 si atteneva al ritrarre Holmes come un investigatore freddo e privo di emozioni, è difficile discernere se lo stesso possa essere detto per gli adattamenti successivi della storia. A differenza della situazione attuale e del caso Laurie R. King del 2014, la Conan Doyle LTD non ha mai fatto causa alle produzioni sunnominate, nonostante esse si siano prese la loro bella fetta di libertà nell’adattare Holmes in un personaggio più piacevole e rispettoso.

Di base, quest’intera faccenda ci lascia a cercare di dedurre perché le uniche due volte in cui gli amministratori dell’eredità di Conan Doyle presentano denunce, esse coinvolgono donne che scrivono di donne detective e delle loro relazioni con Holmes. Elementare, cari miei. Elementare.

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Qualche anno fa, qui abbiamo visto online un film giapponese di cui, purtroppo, non riesco a ricordare il titolo. (1) Trattava di un gruppo di adolescenti e della loro stagione di follie, messe in atto a scuola e fuori, nel 1969. Sebbene il registro sia dichiaratamente leggero – si ride parecchio – il film innesca spunti di riflessione sul rapporto che nel contesto i ragazzi avevano con le autorità e con la società in generale. Ovviamente, vista l’età dei protagonisti, la storia ha anche a che fare con la scoperta del sesso e il desiderio.

C’è una scena che è entrata nel nostro lessico familiare, nel senso che la usiamo come paragone per persone / casi somiglianti: vede uno dei ragazzi tenere banco fra gli amici con il clamoroso racconto di un rapporto sessuale con una donna adulta.

Costei – una perfetta sconosciuta per il narratore – arriva su un’auto sportiva, adocchia il fanciullo, se lo porta in albergo, gli pratica una fellatio ed è così straordinariamente soddisfatta da ciò da lanciargli sul letto le chiavi dell’automobile, come premio. A questo punto gli altri ragazzi saltano addosso al narratore per malmenarlo un po’: la bugia è andata troppo oltre.

Ora, date uno sguardo a questo sublime parto letterario (è dell’anno scorso, ma ancora a maggio 2020 c’è chi lo recensisce così, con pensoso profluvio di puntini di sospensione: Bel libro… il primo è più profondo …. questo un po’ meno …. però da leggere):

tutto vero

Già dal titolo del capitolo la mia impressione è che il libro non sia solo uno spreco di carta e inchiostro, ma proprio un danno per il modo in cui esprime allegramente sessismo e oggettivazione. Tuttavia, come ho detto altre volte, se l’autore è già famoso di suo (e non importa perchéqui si tratta di un individuo che fra truffe, estorsioni, tentate corruzioni di funzionari di polizia ecc. ha una fedina penale sicuramente clamorosa) vogliamo negargli la pubblicazione di libri? Che sappia scrivere o no e di che cosa scriva è assolutamente irrilevante.

Il preclaro autore è infatti Fabrizio Corona, la casa editrice è Mondadori – in mano al gruppo Fininvest, presidente Marina Berlusconi – e il titolo dell’opera è “Non mi avete fatto niente”, che è quel che dicono i bambini petulanti quando ricevono un castigo.

C’è qualcuno che, in buona fede, crede al resoconto in immagine? Dopo la quinta elementare è davvero difficile cascarci. All’asilo Mondadori, infatti, responsabili e lettori non fanno una piega e la casa editrice presenta il libro sul proprio sito web con questo estratto:

“E ricordatevelo: non mi avete fatto niente, mi avete solo reso più ricco umanamente e culturalemente. Decidete voi se la mia vita è quella di un ragazzo fortunato o di un uomo che la fortuna l’ha dovuta rincorrere per non cadere. Non è stato facile ma… non mi avete fatto niente”

Così, “culturalemente” e senza punto che chiuda l’ultima frase.

Quindi, quando la suddetta casa editrice propone “iniziative per la scuola italiana” (Mondadori Education) e si dichiara “al fianco di insegnanti e studenti”, io mi domando legittimamente di che diamine siano fatti i “materiali e supporti (sic)” propinati agli/alle studenti e quanto vantaggio trarranno i/le docenti dall’ “aggiornamento” offerto loro:

“Mondadori Education promuove l’apprendimento permanente dei docenti, nella consapevolezza che il ruolo del docente sia un processo di consolidamento e di aggiornamento continuo delle singole competenze disciplinari ma soprattutto dei modelli di insegnamento.”

Mi dispiace, ma qui il verbo essere doveva essere declinato al presente indicativo, terza persona singolare: è.

Lo so. Imparare “è un processo continuo”: tieni duro, Mondadori, perché sembra che fino a questo momento tu non abbia imparato niente.

Maria G. Di Rienzo

(1) Mi è appena venuto in soccorso l’altro spettatore: il film si chiama proprio “69” ed è uscito nel 2004.

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margolyes

L’attrice Miriam Margolyes – in immagine – è nata nel 1941 in una famiglia ebraica. E’ dichiaratamente lesbica e ha una relazione con l’australiana Heather Sutherland dal 1967. E’ una sostenitrice della causa palestinese perché, dice, “Il nostro dovere come esseri umani è testimoniare la verità che vediamo”.

In questo momento Miriam si trova a Londra, nel mezzo della quarantena, ma l’anno scorso ha viaggiato per più di 10.000 chilometri e più di due mesi in Australia allo scopo di realizzare un nuovo documentario della rete televisiva ABC, “Almost Australian”.

I brani che seguono sono tratti da “Miriam Margolyes: ‘The government is utterly deplorable. The world is in chaos’ “, l’intervista che Brigid Delaney le ha fatto per The Guardian il 10 maggio 2020; la traduzione è mia.

“Quello che mi ha sbalordito è che per alcune persone l’economia è più importante della gente e dovremmo uscire dal lockdown e tornare alla normalità. – dice Margolyes – E sembrano perfettamente preparati a sacrificare gli anziani. Questi ultimi sono stati descritti come non importanti per l’economia e come se non dessero alcun contributo.

Una delle cose che devo impedire a me stessa di fare è il leggere i commenti sotto articoli di questo tipo. Quelli del Daily Telegraph sono terrificanti. (…) C’è troppo odio (in Gran Bretagna). Il paese è in uno stato terribile a causa della Brexit e poi del virus. E’ indegno. Non sono contenta dell’Inghilterra. Il governo è totalmente deplorevole.”

Nel documentario citato all’inizio, l’attrice ha parlato con persone affette dalla siccità, persone appartenenti a remote comunità indigene e richiedenti asilo. La giornalista le ha chiesto come ha fatto a entrare in relazione con individui che avevano ogni tipo di retroscena.

“Non mi presento come una celebrità: mi presento come un’amichevole anziana signora. – risponde Margolyes – Sono ancora in contatto con alcune delle persone che ho incontrato per il programma, ci scambiamo e-mail. Tutte le volte in cui faccio cose del genere, non sono oggettiva verso le persone con cui parlo. Devo interagire con loro in modo personale. Non sono una reporter, non ho quel tipo di abilità, ho solo la mia personalità da usare come ponte fra me e le altre persone. E tutto nello show è spontaneo. Non so in anticipo chi incontrerò.”

Prima di accettare l’incarico, Margolyes ha chiesto ai produttori di “Almost Australian” l’assicurazione che le comunità indigene sarebbero state nel programma:

“Ma mi sento ancora turbata dalla relazione fra gli australiani bianchi e le Prime Nazioni. Vorrei che fosse migliore.” Gli australiani possono risentirsi delle critiche, particolarmente di quelle provenienti dagli inglesi, dice l’attrice: “Dicono: Chi diavolo è questa, viene qua, si compra una casa e poi ci getta dentro immondizia? Ma io voglio che l’Australia diventi migliore.”

Maria G. Di Rienzo

Big Fat Adventure

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alice wu foto di kc bailey

“Credo mi piaccia pensare che, come esseri umani, siamo più simili di quanto siamo differenti. Metto alla prova questa teoria creando storie che abbiano potenziale commerciale e poi le popolo di personaggi che di solito non si vedono sullo schermo. E, finora, la teoria ha tenuto. Ho visto questo in effetti con entrambi i miei film. Li ho fatti con un mucchio di specificità culturali… eppure sono sempre meravigliata da quanta gente, proveniente dai più disparati retroscena socio-economici, si sente di dire che è “la sua storia”. E credo che, almeno per me, ciò dia speranza. Se posso indurre un cinquantenne bianco e conservatore a identificarsi con un’immigrata cinese diciassettenne, lesbica non dichiarata – o con il suo depresso padre migrante vedovo – ho fatto il mio lavoro. Ogni volta in cui aumenti la capacità umana di provare empatia, hai vinto.”

Alice Wu, regista, intervistata da “Angry Asian Man”, 1° maggio 2020 (trad. Maria G. Di Rienzo).

https://lunanuvola.wordpress.com/2020/04/16/i-mille-volti-dellamore/

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Questo è promettente: Alice Wu la regista-sceneggiatrice di “Saving Face” (“Salvare la faccia”, 2005) ha prodotto un nuovo film che sarà in onda su Netflix il 1° maggio prossimo.

Alice Wu è nata il 21 aprile 1970 negli Stati Uniti, figlia di migranti provenienti da Taiwan, e la sua prima opera autobiografica trattava del fare coming out come lesbica nella comunità cinese-americana. All’epoca, disse: “Mi auguro che il pubblico abbia la sensazione che, al di là di chi ciascuno è, che sia gay o etero, o qualsiasi sia il suo retroscena culturale, se c’è qualcosa che desidera in segreto, si tratti dell’avere il grande amore o altro, non è mai troppo tardi per averlo. Voglio che il pubblico esca dal cinema provando un senso di speranza e di possibilità.” E in effetti sono le caratteristiche che fanno di “Saving Face” un gran bel film e che gli hanno guadagnato una serie di premi.

Il prossimo si chiama “The Half of It”, che probabilmente – data la difficoltà di tradurre l’espressione in modo letterale – in italiano finirà per essere “L’altra metà”. E’ in pratica Cyrano de Bergerac ai nostri giorni la qual cosa, visto quanto amo la commedia di Rostand, già mi delizia di suo.

the half of it

Ellie Chu (l’attrice cinese-americana Leah Lewis, in immagine) è una liceale timida, solitaria e occasionalmente oggetto di stupidi sfottò razzisti. Ellie è eccellente negli studi e arrotonda le entrate familiari scrivendo per i compagni di scuola i saggi assegnati ad essi dagli insegnanti. La sua arcinota bravura nello scrivere fa sì che un altro studente, disperatamente innamorato e senza quasi speranza di riuscire a impressionare la ragazza dei suoi sogni, le chieda di creare lettere d’amore per costei. Purtroppo, o per fortuna, si tratta della ragazza di cui è innamorata anche Ellie…

Il tratto autobiografico, qui, riguarda il miglior amico della regista, un coetaneo eterosessuale che, grazie alla profondità emotiva del loro rapporto, la aiutò a venire a patti con la propria identità. “Così eccomi qua, – ha scritto Alice Wu presentando il suo lavoro – che procedo verso la mezza età e ho appena fatto un film sugli adolescenti. Ora che è finito, vedo alcune cose più chiaramente. La principale: ero solita pensare che ci fosse un solo modo di amare. Che A + B – C equivalessero all’Amore. Ora che sono più vecchia, so che ci sono più modi di amare. Così tanti, più di quanti avessi mai immaginato.”

Date un’occhiata al trailer, è fantastico:

https://www.youtube.com/watch?v=B-yhF7IScUE

Maria G. Di Rienzo

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I libri nuovi sono stati letti. Ne rileggiamo qualcuno di vecchio, ce ne sono talmente tanti in casa nostra che da questo punto di vista potremmo affrontare una quarantena lunga anni, anche se naturalmente non ce la stiamo augurando. Usciamo il meno possibile, dividendoci i compiti. Ci laviamo mani e faccia e mangiamo la focaccia (citazione di una canzonetta dello Zecchino d’Oro).

L’uomo di casa lavorerà ancora tutta questa settimana, poi ne avrà una di ferie “forzate”, poi si vedrà (si vedrà anche se gli danno i soldi che avanza da mesi…).

Cerchiamo film / serie tv da vedere insieme: il che significa, ad esempio, gialli no (in genere piacciono poco a lui) e anime giapponesi no (in genere piacciono poco a me). Il maggior flop, fino a questo momento, è stato il film che raccontava la storia del più famoso gruppo punk finlandese, “Apulanta” – “Fertilizzante”: girato con lento taglio documentaristico e oberato da scene mute superflue ci ha elettrizzati come una coca-cola svaporata.

Ogni mattina ci scambiamo il bollettino di guerra poco dopo il “buongiorno”. Cos’ha letto lui sul virus, cos’ho letto io. Ogni sera lo aggiorniamo: cos’è successo in fabbrica, per strada, a conoscenti e sconosciuti. Lui fa parte della fascia a rischio percentuale di decesso 2 virgola qualcosa, io di quella all’8 sempre virgola qualcosa. Di qualcosa, appunto, si dovrà pur morire ma non sembriamo particolarmente predestinati in questo preciso momento.

Cerchiamo cose positive e ce le indichiamo reciprocamente: l’acqua pulita dei canali di Venezia, l’inquinamento atmosferico che cala, la primavera che sta arrivando comunque, le cose che vorremmo fare quando tutto questo finirà.

Ieri per andare in farmacia avevo cappuccio tirato, occhialoni, la sciarpa sulla bocca a mo’ di mascherina – so che non serve a un piffero, ma l’attrezzo giusto è introvabile – e i guanti di plastica. Se mi fossi vista così due mesi fa avrei avuto una crisi di ilarità e mi sarei presa per i fondelli per i due mesi successivi.

Dentro, le farmaciste sembravano il personale di una stazione spaziale infestata da Biechi Alieni Moccolosi. (1) Piedistalli improvvisati offrivano disinfettante e fazzolettini di carta. Un cartello urlava “Non abbiamo mascherine”.

Sulla strada, un trio di giovani gladiatori sfidava pandemia e quarantena cazzeggiando e una mamma giuliva passava con carrozzino multi-accessoriato, anche di bambino, e nessuna protezione. Io mi sono detta: “Lo vedi che qualcuno più sfigato di te c’è sempre?”.

Comunque, mentre tornavo a casa, gli alberelli lungo il marciapiede mi hanno fatto una doccia di petali rosa. E io ho accettato l’omaggio come una regina, ringraziando con un misurato cenno del capo. Lo so che gli alberi sono svelti a perdonare gli umani. Non ce li meritiamo.

disegno di alicia michelle

Maria G. Di Rienzo

(1) slang per “con il moccio al naso”.

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Cate Blanchett presiederà la Giuria internazionale della prossima edizione della Mostra del Cinema di Venezia.

cate blanchett - truth

Il direttore artistico Alberto Barbera ha spiegato la scelta così: “Cate Blanchett non è soltanto un’icona del cinema contemporaneo, corteggiata dai più grandi registi dell’ultimo ventennio e adorata dagli spettatori di ogni tipo. Il suo impegno in ambito artistico, umanitario e a sostegno dell’ambiente, oltre che in difesa dell’emancipazione femminile in un’industria del cinema che deve ancora confrontarsi pienamente con i pregiudizi maschilisti, ne fanno una figura di riferimento per l’intera società. Il suo immenso talento d’attrice, unitamente a un’intelligenza unica e alla sincera passione per il cinema, sono le doti ideali per un presidente di giuria.”

Era difficile dare questa notizia con un titolo totalmente odioso, ma La Stampa del 16 gennaio u.s. c’è riuscita (complimenti!): “Bene la scelta di Cate Blanchett, speriamo senza fondamentalismi vetero femministi”.

L’anno scorso la presidente era la regista argentina Lucrecia Martel, nota per la critica che i suoi film pongono – tra l’altro – a concetti quali classe, razza, nazionalità, colonialismo e patriarcato. Non ricordo però titoli che presentassero la nomina al modo in cui è stata presentata quella di Blanchett oppure così: “Bene la scelta di Lucrecia Martel, speriamo senza fondamentalismi vetero comunisti – antirazzisti”.

L’edizione precedente aveva come presidente il regista messicano Guillermo del Toro: sapete, quello di “Hellboy”, “Il labirinto del fauno”, “La forma dell’acqua” ecc., cioè qualcuno che usa spesso la cornice della fantasy per esporre forme di autoritarismo e di resistenza alle stesse. Di nuovo, non ricordo titoli del tipo: “Bene la scelta di Guillermo del Toro, speriamo senza fondamentalismi anarchici o horror”.

Per cui, ho bisogno che La Stampa mi spieghi:

– cosa ritiene sia un “fondamentalismo vetero femminista”, perché il femminismo è un movimento politico di liberazione pro diritti umani e non una religione;

– se la “difesa dell’emancipazione femminile in un’industria del cinema che deve ancora confrontarsi pienamente con i pregiudizi maschilisti” è il reato di “fondamentalismo vetero femminista” di cui si sarebbe macchiata Cate Blanchett;

– se “l’impegno in ambito artistico, umanitario (il femminismo fa parte di questa seconda tipologia) e a sostegno dell’ambiente” rende le persone inadatte a rivestire ruoli in giurie artistiche o comunque un po’ sospette a priori;

– in caso di risposta positiva ai due punti precedenti, se può rendere noto in quale secolo vive il caporedattore o chiunque altro abbia il compito di scegliere i titoli e, se lo ritiene opportuno, informare il o la suddetto/a che il medioevo è finito;

– perché nel 2020 mi costringe ad avere la nausea leggendo i suoi articoli e a scrivere pezzi come questo.

Maria G. Di Rienzo

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Generalmente, questo è il periodo dell’anno in cui formuliamo buoni propositi per noi stessi e cerchiamo di proiettarci nel futuro. Nel farlo, esaminare, riconoscere e apprezzare le nostre capacità collegandole ai nostri desideri è essenziale: ma sapere su che terreni tendiamo a incespicare e imparare a restare in piedi sentendosi al sicuro e fiduciosi lo è altrettanto.

Il mio suggerimento al proposito è di usare gli archetipi. E’ facile, non costa nulla e permette di risvegliare energie dormienti e di esplorare lati della nostra personalità sepolti da condizionamenti o paure.

L’archetipo (significa “modello”, “prototipo”, “primo esemplare”) è un elemento simbolico che esprime una serie specifica di aspetti e ricorre nelle narrazioni di qualsiasi tipo, dalla fiaba per bambini alla leggenda urbana. In effetti, ci imbattiamo continuamente nella Strega (cattiva per lo più), nel Vecchio Saggio, nella Madre benevola o nella Matrigna malvagia, nel Principe Azzurro, nel Genio, eccetera. Solo da questo brevissimo elenco avrete notato che gli archetipi non sfuggono alla stereotipizzazione di genere, giacché i posti migliori, per così dire, sono riservati agli uomini: se il Vecchio Saggio è competente, custode di tradizioni e profonde conoscenze, associato a potere e intelligenza e “motore” del bene, la Vecchia Saggia non gode di eguale considerazione: è al meglio una fattucchiera astuta e manipolativa che dev’essere temuta o persino eliminata – tuttavia nulla vi impedirà di rivalutarla e di chiamarla al vostro fianco se ne avrete bisogno.

Vi rassicuro anche sul fatto che non avete necessità di studiare mitologia o di avere una specializzazione in psicologia junghiana, giacché gli archetipi prendono forme “moderne” e popolari che vi sono sicuramente note: Daenerys de “Il Trono di Spade”, come Xena prima di lei, è un archetipo (la principessa guerriera), così come Yoda di “Star Wars” (il vecchio saggio, appunto).

Date un’occhiata al parco offerte:

1. C’è un libro, un film, uno sceneggiato, un videogioco che ha per voi grande significato e vi è particolarmente caro, magari sin dall’infanzia?

2. Qual è il vostro personaggio preferito in uno o più di questi mondi virtuali? Perché vi piace?

3. Nell’eventualità che la fiction non vi soddisfi, c’è un individuo reale che non conoscete personalmente ma vi appassiona e vi ispira?

E’ assai probabile che le risposte siano collegate ai vostri sogni, ai vostri timori, a come siete e a come vorreste essere in determinate situazioni. Se siete attratte/i da un determinato personaggio è possibile esso rappresenti qualcosa che attende di essere risvegliato in voi. Chiunque ella o egli sia, chiamate la sua energia e la sua alleanza quando, come detto all’inizio, vi trovate su terreni instabili.

Mettiamo che siate di continuo coinvolti, per lavoro o relazioni personali, nella mediazione di dispute e conflitti: avete alti standard su giustizia, equità, eguaglianza e dovete esercitare pazienza, ascolto, osservazione, comprensione di differenti punti di vista. Il vostro personaggio preferito / archetipo è il Diplomatico. Che forma ha preso nel vostro immaginario?

E’ una cosa da vecchi cinefili incalliti, tipo il giudice Dan Haywood interpretato da Spencer Tracy in “Vincitori e vinti” (“Judgment at Nuremberg”, 1961)? Oppure è l’avvocata Alicia Florrick (Julianna Margulies) di “The Good Wife”? E’ Re Salomone o la Profetessa e Giudice Debora nella Bibbia? E’ l’avvocata Premio Nobel per la Pace Shirin Ebadi?

Evocate il vostro archetipo, chiunque sia, così: “Ora ho bisogno della chiarezza lungimirante di Debora”, “Alicia (o Shirin) in questo momento devo esercitare la tua resilienza e il tuo coraggio”. Pensare o dire queste parole stimolerà in voi i tratti che associate a Debora, Alicia Florrick o Shirin Ebadi. Potete persino agire come il personaggio o la persona in questione, parlare come pensate lei o lui parlerebbe se presente – voi restate chi voi siete, non svilupperete una doppia personalità, ma più a lungo praticherete l’uso degli archetipi più le qualità che “chiamate” si riveleranno come semplicemente vostre.

Insomma, se vi sembra che il vostro prossimo compito sia portare un Anello a Mordor, non fatevi scrupolo di mandare un messaggio a Frodo (o a Gandalf). Brindo al vostro successo!

Maria G. Di Rienzo

Baby Yoda 2

(per la serie: ogni scusa è buona per piazzare un Baby Yoda da qualche parte)

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Nessuno mi ha insegnato

se questo fosse il sentiero giusto

o se dovessi prenderne un altro

Se ne raggiungo il termine laggiù

mi fermerò

dicendo “E’ la fine”

Sono in piedi di fronte a un labirinto chiuso

Chiedo quale sia la mia via

ma l’eco non ha risposte

Potrei restare sullo stesso sentiero di ieri

come appesa su quella ragnatela

Da qualche parte nel mondo

nell’angolo più profondo

devo trovare la me stessa che ha perso la via

Prima che giunga l’oscurità che ingoia il sole

devo trovare la mia strada

che è intrappolata in una lunga muraglia

Insegnatemi, mie nascoste paure:

se questo sentiero termina, ve ne sarà un altro?

Devo sciogliere i nodi che mi legano i piedi

ma le mie mani intorpidite sono troppo doloranti

Da qualche parte nel mondo

nell’angolo più profondo

devo trovare la me stessa che ha perso la via

Prima che giunga l’oscurità che ingoia il sole

devo trovare la mia strada

che è intrappolata in una lunga muraglia

” (Il sentiero), Kim Yun-a – cantautrice, pianista, chitarrista del gruppo coreano indie-rock “Jaurim”.

https://www.youtube.com/watch?v=J3VZ78hWhQw

signal

La canzone fa parte della colonna sonora di “Signal”, uno sceneggiato trasmesso dalla rete tvN nel 2016 e che in questi giorni appare nelle classifiche dei migliori lavori televisivi coreani dell’ultimo decennio (io concordo). Se vi capita di poterlo vedere, fatelo: la storia è innovativa e potente ed è resa con un’armonia perfetta fra intreccio, regia e recitazione. Gli attori sono stati tutti sublimi, ma il mio Oscar personale va alla protagonista femminile Kim Hye-su (1970, straordinaria anche al cinema, vedasi “Coin Locker Girl”), a cui “Il sentiero” si riferisce.

Maria G. Di Rienzo

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portrait of a lady on fire

Ancora oggi, per molti critici e opinionisti e sedicenti studiosi è difficile accettare che le persone omosessuali siano sempre esistite. Quando le vicende relative a un personaggio storico rivelano senz’ombra di dubbio una relazione con un individuo del suo stesso sesso, costoro fanno salti mortali per descriverla come “amicizia” con l’aggiunta di precisazioni che dovrebbero escludere vi sia implicato l’amore – riservato alle coppie eterosessuali – per cui saltano fuori descrizioni del tipo amicizia “romantica”, “forte”, “stretta”, “esclusiva” ecc.

Stracciare questo fondale è uno dei motivi che rendono importante il film francese “Portrait de la jeune fille en feu” – “Ritratto della giovane in fiamme”, vincitore della “Palma Queer” a Cannes e che in Italia sarà nelle sale il 19 dicembre 2019.

Diretto da Céline Sciamma, ha come protagoniste Noémie Merlant nel ruolo della pittrice Marianne e Adèle Haenel nel ruolo di Héloïse, la giovane del titolo (in immagine sopra). Siamo in Bretagna, nel 1760, ove Marianne è ingaggiata dalla madre di una giovane nobile appena uscita dal convento affinché dipinga segretamente un ritratto di costei: il quadro sarà poi inviato al suo pretendente a Milano. La realizzazione del dipinto era stata commissionata in precedenza a un altro artista che aveva rinunciato a causa della inflessibile resistenza di Héloïse, che non vuol essere ritratta e soprattutto non vuole sposarsi. Perciò, Marianne le è presentata ufficialmente come dama di compagnia: deve osservarla durante il giorno e dipingerla la notte.

Nel mentre la loro intimità cresce, cresce anche l’attrazione reciproca. Marianne, dapprima mera spettatrice degli slanci della giovane verso la libertà, gradualmente li condivide e ne diventa partecipe e complice. Una volta conosciuta la verità sul lavoro affidato all’artista, Héloïse accetta di posare ma quel quadro è anche una sorta di data di scadenza imposta alla relazione fra le due.

Il fuoco simbolico del titolo si concretizza più volte nella vicenda: per esempio quando la gonna di Héloïse si incendia durante una danza notturna con altre donne attorno a un falò, o quando Marianne brucia la prima versione del dipinto dopo aver ascoltato le critiche di Héloïse, ma è dall’ardore con cui quest’ultima vuol essere padrona della propria vita che scaturisce la decisione dell’artista di nominare il quadro come “Ritratto della giovane in fiamme”.

Maria G. Di Rienzo

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