I libri nuovi sono stati letti. Ne rileggiamo qualcuno di vecchio, ce ne sono talmente tanti in casa nostra che da questo punto di vista potremmo affrontare una quarantena lunga anni, anche se naturalmente non ce la stiamo augurando. Usciamo il meno possibile, dividendoci i compiti. Ci laviamo mani e faccia e mangiamo la focaccia (citazione di una canzonetta dello Zecchino d’Oro).
L’uomo di casa lavorerà ancora tutta questa settimana, poi ne avrà una di ferie “forzate”, poi si vedrà (si vedrà anche se gli danno i soldi che avanza da mesi…).
Cerchiamo film / serie tv da vedere insieme: il che significa, ad esempio, gialli no (in genere piacciono poco a lui) e anime giapponesi no (in genere piacciono poco a me). Il maggior flop, fino a questo momento, è stato il film che raccontava la storia del più famoso gruppo punk finlandese, “Apulanta” – “Fertilizzante”: girato con lento taglio documentaristico e oberato da scene mute superflue ci ha elettrizzati come una coca-cola svaporata.
Ogni mattina ci scambiamo il bollettino di guerra poco dopo il “buongiorno”. Cos’ha letto lui sul virus, cos’ho letto io. Ogni sera lo aggiorniamo: cos’è successo in fabbrica, per strada, a conoscenti e sconosciuti. Lui fa parte della fascia a rischio percentuale di decesso 2 virgola qualcosa, io di quella all’8 sempre virgola qualcosa. Di qualcosa, appunto, si dovrà pur morire ma non sembriamo particolarmente predestinati in questo preciso momento.
Cerchiamo cose positive e ce le indichiamo reciprocamente: l’acqua pulita dei canali di Venezia, l’inquinamento atmosferico che cala, la primavera che sta arrivando comunque, le cose che vorremmo fare quando tutto questo finirà.
Ieri per andare in farmacia avevo cappuccio tirato, occhialoni, la sciarpa sulla bocca a mo’ di mascherina – so che non serve a un piffero, ma l’attrezzo giusto è introvabile – e i guanti di plastica. Se mi fossi vista così due mesi fa avrei avuto una crisi di ilarità e mi sarei presa per i fondelli per i due mesi successivi.
Dentro, le farmaciste sembravano il personale di una stazione spaziale infestata da Biechi Alieni Moccolosi. (1) Piedistalli improvvisati offrivano disinfettante e fazzolettini di carta. Un cartello urlava “Non abbiamo mascherine”.
Sulla strada, un trio di giovani gladiatori sfidava pandemia e quarantena cazzeggiando e una mamma giuliva passava con carrozzino multi-accessoriato, anche di bambino, e nessuna protezione. Io mi sono detta: “Lo vedi che qualcuno più sfigato di te c’è sempre?”.
Comunque, mentre tornavo a casa, gli alberelli lungo il marciapiede mi hanno fatto una doccia di petali rosa. E io ho accettato l’omaggio come una regina, ringraziando con un misurato cenno del capo. Lo so che gli alberi sono svelti a perdonare gli umani. Non ce li meritiamo.
Maria G. Di Rienzo
(1) slang per “con il moccio al naso”.