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Posts Tagged ‘sorelle’

Toni Truesdale

“Storia e Mitologia hanno bisogno di includere senza restrizioni le storie di tutte le donne.

La prospettiva femminile dovrebbe riflettersi nell’estetica, nei valori, nella spiritualità e nella moralità.

Io sviluppo arte figurativa che mostra la naturale bellezza e intelligenza negli aspetti della vita multiculturale di sorelle, madri, figli, zie e nonne tutte: e celebro la nostra comunanza attraverso il tempo, la cultura comune delle donne che io chiamo il nocciolo invisibile.

Toni Truesdale (in immagine sopra), insegnante d’arte, disegnatrice e pittrice di murales, illustratrice contemporanea statunitense (trad. Maria G. Di Rienzo).

Tutto quel che vedete qui è opera sua.

eve out of africa

(Eva)

Harvest

(Il Raccolto)

toni murales

(Murale)

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Dear Eunsong, I write you here just in case, because I answered your email but received a delivery status notification: “The recipient server did not accept our requests to connect. We’ll try to forward the message for the next 46 hours” (Why 46, anyway? 48 were too common, or even vulgar? Did they try for two hours without telling me? Joking!).

I’m not sharing our correspondence here, I only want you to know that I’m well, in the midst of the pandemic chaos but holding my ground, and that I hope you’re well too. With love, Maria

girl standing between two trees

(Questo è per la mia amica Eunsong che non riesco a contattare, voi potete rileggere una sua poesia:

https://lunanuvola.wordpress.com/2017/04/19/uno-studio-sul-futuro/)

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Rangoli

Nella dedica alla sorella che apre la sua raccolta di poesie del 2017, “Rangoli” (1), Pavana Reddy – conosciuta anche come Mazadohta, scrive:

in un’altra vita,

la tempesta non è forte abbastanza

da portarti via.

in un’altra vita,

noi fioriamo.

Intervistata nello stesso anno da Punita Rice, spiegava:

“Vorrei aver avuto il linguaggio che possiedo ora, per essere in grado di salvare mia sorella dal dolore che ha silenziosamente sopportato per anni. Dopo la sua morte, non avevo nessuno con cui parlare. I miei insegnanti non erano disponibili come avrebbero dovuto essere e il provenire da una città molto piccola mi impediva anche di parlare ai miei coetanei; perciò, mi sono rivolta ai libri per avere compagnia. Leggevo così tanto che i personaggi diventavano miei amici e mi aiutavano a maneggiare la mia sensazione di essere scollegata da tutto. Ho capito che non ero così sola in quel che provavo, il che mi ha portato un grande conforto.”

Ambo le sorelle non apprezzavano il trattamento che il mondo riservava loro come donne – norme tradizionali oppressive e standard asfissianti – ma se una si è uccisa, l’altra ha portato avanti la sua sfida per entrambe.

Pavana ha passato un’infanzia da migrante itinerante: originaria dell’India, ha vissuto in Australia, in Nuova Zelanda, nelle Fiji e in Canada. Ovunque fosse, era sempre “quella diversa”. Nonostante ciò e proprio per ciò allo stesso tempo, ha sviluppato un’espressione poetica con la qualità dell’universale, rapida e diretta, in grado di parlare a chiunque. Tre esempi di seguito:

Accendi qualche candela e brucia qualche ponte.

Non tutti meritano di essere parte del tuo viaggio.


Tu diverrai la tomba di tutte le donne che sei stata in precedenza

prima di sorgere un mattino abbracciata dalla tua propria pelle.

Tu ingoierai un migliaio di nomi differenti

prima di assaporare il significato contenuto all’interno del tuo.


Tu non sei le tue radici.

Tu sei un fiore che è cresciuto da esse.

Maria G. Di Rienzo

flower rangoli

(1) è una forma d’arte indiana – visibile nelle immagini – praticata dalle donne, in cui si creano disegni sui pavimenti o nei cortili usando sabbia o riso colorati, farina e petali di fiori: le figurazioni sono create in occasioni di varie festività come talismani di buona fortuna e passano da una generazione alla successiva.

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(“9 lessons in witchcraft”, di Danielle Perry, poeta contemporanea – in immagine. Trad. Maria G. Di Rienzo. Quando hanno chiesto a Danielle “Quale era il tuo giocattolo preferito da piccola?”, lei ha risposto “I libri”. Dev’essere mia sorella.)

danielle perry

9 LEZIONI DI STREGONERIA

(per Jodi)

1. La natura della magia

Se non capisci già la magia

non sono sicura di riuscire a spiegartela.

2. Sorellanza

Eravamo sorelle, o così si narra, il che

mi ha lasciato molto confusa quando ho capito

che i miei sentimenti non erano esattamente sorelleschi.

3. Strega, strega, brucia la strega

La lezione l’ho imparata presto:

nessuno sceglie la strega alla fine.

4. Metti da parte le cose dell’infanzia

Questa non l’ho appresa mai.

Alcune cose restano attaccate a te, persino

quando tu non ne hai intenzione.

5. Tienilo nascosto

Anche se me lo chiedete non ve lo dirò.

Ci riderò sopra, ne farò una barzelletta, perché

non posso sopportare di permettervi di vedere quanto è reale.

6. “Se pensi di essere una strega, perché non fai dei passi per esserlo attivamente?”

Che aspetto pensate abbiano questi passi?

Dovrei avere un altare e un coltello e un calderone?

Dovrei intonare incantesimi e dire “siate benedetti”?

Io so già di essere una strega e

lo sapevo sin da quando ero giovane.

Solo perché non mi accordo

a quale che sia la vostra nozione di strega

non significa che non sia vero.

(per maggiori informazioni, vedi le lezioni 1 e 5)

7. La differenza fra magia e coincidenza è credere.

Questo si avvicina troppo al segreto e

una maga non rivela mai il suo.

8. Gli uomini sono facili da ammaliare.

La ragione per cui sentite di tutte queste streghe

con uomini sotto i loro incantesimi

(ricordate Odisseo? Ricordate Merlino?)

è che la stregoneria è uno dei pochi modi

in cui alle donne è permesso un qualche tipo di potere.

La ragione per cui non sentite altrettanto spesso di streghe

con donne sotto i loro incantesimi

è che noi sappiamo come mantenere un segreto maledetto-da-dio.

9. Sorellanza, rivista

Più vecchia divento, più sono capace

di vedere il tessuto connettivo del mondo,

che scintilla come una tela di ragno con la rugiada del mattino.

A questa donna piacciono i serpenti; lei è mia sorella.

A lei piacciono i ragni; lei è mia sorella.

Questa donna dice di essere una strega;

lei è mia sorella.

corn goddess

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“Se tutte le donne in televisione hanno i capelli lisci, allora non c’è davvero posto per le donne che hanno altri tipi di capelli umani. Se tutte le donne in televisione sono chiare di pelle, come reagiscono le donne comuni a quest’immagine? Cosa siamo disposte a fare per cambiare noi stesse e rispondere a questo modello di “bellezza”?”

Ng’endo Mukii, giovane kenyota, si è risposta producendo “Yellow Fever” – “Febbre Gialla”, che costituisce la sua tesi al London’s Royal College of Art e che potete vedere qui (il video dura poco più di 6 minuti): https://vimeo.com/122574484

Il film esplora i modi in cui gli standard di bellezza ritratti nei mass media influenzano le donne, la percezione che la società ha di esse e il controllo sui loro corpi – in particolare sui corpi delle donne di colore: cercare di essere conformi ad un ideale impossibile ha l’effetto principale di renderle invisibili. Mukii ha usato coreografia dal vivo, immagini generate al computer e animazione disegnata a mano per raccontare la propria esperienza e le esperienze delle donne della sua famiglia, mamma, sorella e nipotina. La vediamo, adolescente, mentre si sta facendo intrecciare i capelli da una donna che lei chiama Mkorogo (Swahili per “misto”), perché ha usato crema schiarente su volto e mani, mentre il resto del suo corpo è rimasto nero.

Questa donna è così stupida, ho pensato allora. Guardala un po’, si candeggia. Guardala un po’, non le importa nulla di chi è. Sta tentando di cambiare razza. Avevo tutti questi pensieri negativi su di lei, perché ero troppo giovane per capire che quella situazione era un prodotto della società in cui viviamo.”, ricorda Mukii, “E poiché mi faceva male, intrecciandomi i capelli, ho pensato che mi stesse punendo in qualche modo perché la mia pelle è del tono più chiaro, il più desiderabile per i media del mio paese. Se la nostra società desse valore a tutti i differenti tipi di incarnato, noi non useremmo candeggina su noi stesse. Se la nostra società desse valore alla nostra capigliatura naturale noi non andremmo a farci le treccine, non le troveremmo più attraenti di quel che ci cresce naturalmente in testa.”

Yellow Fever - Abby

L’immagine raffigura la nipote di Mukii, che guardando le pop-star in televisione dice cose del tipo: “Se fossi americana sarei bianca, bianca, bianca – e mi piacerebbe essere bianca.” Troppe bambine, racconta la giovane artista, sono dello stesso avviso. La figlia di una sua conoscente ha persistito a lungo nel chiedere, piazzandosi davanti allo specchio: “Mamma, perché non sono bianca? Perché ho dovuto nascere nera?” e alla fine ha risolto la faccenda così: “Be’, almeno sono la più bianca della famiglia!”

Mukii ha dato il titolo al suo film riferendosi ad una canzone di Fela Kuti che si chiama proprio “Yellow Fever” e in cui si biasimano le donne nigeriane che usano creme schiarenti per la pelle. “Io ho voluto girare quel dito puntato.”, spiega, “La vergogna e la colpa non sono delle donne, ma di chi fa pressione su di loro affinché corrispondano ad un’ideale di bellezza che le spinge ad azioni estreme e mette a rischio la loro salute.”

Il lavoro di Mukii ha ricevuto apprezzamenti da tutto il mondo. Docenti universitari lo stanno usando per illustrare come le esperienze delle persone che hanno vissuto la schiavitù e il colonialismo, e le maniere in cui sono state fatte sentire brutte e stupide per il colore della loro pelle, siano filtrate nel presente, passando da generazione a generazione. Maria G. Di Rienzo

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sestras

Forse è arrivato il momento di dirlo, così inseriamo una pausa leggera nei tanti temi seri che girano da queste parti: la terza serie, dopo cinque puntate, ha fatto scendere notevolmente “Orphan Black” nella classifica del mio gradimento. Sto vivendo lo show come un’occasione perduta. Sorry, CloneClub. Prima che possiate obiettare vi dirò che non si tratta delle attrici / degli attori: Tatiana Maslany è sublime come sempre e i suoi comprimari sono, tranne un paio di eccezioni, degli eccellenti professionisti; non si tratta dell’inserimento dei cloni maschi, sebbene essendo tale inserimento chiaramente non previsto nella storyline originale ha impresso ad essa delle giravolte incongruenti e bucherellato il plot come un setaccio, ne’ della relativa performance di Ari Millen che merita lode per l’impegno ma di certo non è stellare.

Il principale problema è che il passo narrativo si è “condensato” in modo tale da non permettermi più di percepire come reali (verosimili) i vari personaggi ed entrare in relazione con essi. Nel giro di poche ore o al massimo di un paio di giorni, spesso come conseguenza di qualcosa detto loro dai loro aguzzini, rapitori e nemici vari (a cui però credono immediatamente), costoro passano dall’amore all’odio, da un convincimento fondamentale al suo esatto contrario, dallo “staremo insieme per sempre” al “non voglio neppure più sentirlo/sentirla nominare”, dal “nessuno può amare Gracie quanto sua madre” al “vattene via di qua Gracie, hai perso il bambino e non ci servi più a niente”. La signora Johanssen (Kristin Booth) è certamente una fanatica ed è certamente spietata, ma prima di questo rapidissimo ribaltamento aveva uno spessore umano che ora ha perso: è una figurina di carta, una maschera, non una persona.

Quello che però sto detestando di più come spettatrice, cari Graeme Manson e John Fawcett, è l’essere presa per i fondelli.

1 – La storia fra Cosima e Delphine è finita di forza, e lo avete ammesso, perché l’attrice Évelyne Brochu che interpreta Delphine stava e sta lavorando in un’altra serie televisiva. Allora avete gettato nel plot questo nuovo personaggio, Shay – una Ksenia Solo piuttosto lessa – con tutta una serie di “promozioni preventive” (foto, video, continue “anticipazioni” che non anticipavano niente) al limite del nauseante: sino a chiedere al CloneClub di preparare una serie di domande per l’attrice prima ancora che fosse andata in onda una puntata in cui era presente, e infatti il CloneClub ve l’ha fatto notare causando il vostro passo indietro. Intendo: non era necessario che Cosima avesse un’altra storia praticamente dieci minuti dopo essere stata lasciata da Delphine – in molto, molto meno di dieci minuti, senza spiegazioni ulteriori al “non posso più fare questo se devo proteggervi tutte”: rende la sofferenza di entrambe falsa, irreale, recitata così velocemente che non ho il tempo di provare un qualsiasi sentimento per l’una o l’altra.

2 – Sto ancora aspettando che qualcuno mi spieghi cos’è successo nel bar dell’episodio 6, serie 2, a spezzoni fra i minuti 21-25 circa, quando Paul Dierden (Dylan Bruce) incontra il prolethiano Mark Rollins (Ari Millen). Adesso noi sappiamo che Paul era un doppio agente, che lavorava per il Dyad Institute ma per conto dell’esercito; Paul sapeva già tutto dei cloni maschi essendo coinvolto in tale progetto e conoscendoli di persona, mentre Mark – uno dei cloni suddetti – fingeva di essere prolethiano sempre per conto dell’esercito. Ciò implica che il dialogo fra i due personaggi, evidentemente pensato per individui che non hanno mai avuto a che fare l’uno con l’altro prima, sarebbe da cancellare:

PAUL – Sei bravo. Non mi ero neanche accorto che le stavi seguendo dalla scorsa notte. Forze speciali? Servizi segreti?

MARK – Boy scouts.

PAUL – Già. ma non avevo mai incontrato un vero prolethiano prima. (…)

MARK (riferendosi a Helena nel bar): Lascio solo che si diverta un po’. E’ un miracolo, a quanto pare.

PAUL – Be’, qualsiasi cosa sia non vale la pena che tu muoia per lei.

MARK – Per te invece varrebbe la pena?

PAUL – Sarah non è della partita, perché tu non prendi la tua ragazza e io prendo la mia?

MARK – Nessuno spargimento di sangue?

PAUL – Così facciamo felice sia il tuo capo che il mio.

3 – Il voltafaccia di Helena nei confronti di Sarah, nell’ultima puntata andata in onda sabato 16 maggio dev’esservi sembrato davvero un colpo di genio. Sono spiacente di informarvi che non lo è. Le due sorelle sono prigioniere in celle adiacenti, ma Helena ovviamente crede che Sarah l’abbia “venduta” per la propria sicurezza (gliel’hanno detto due che la tengono prigioniera, per cui dev’essere vero, no?): e se è così, COSA ci fa Sarah nella cella adiacente? Che sicurezza ha ottenuto dall’aver consegnato Helena all’esercito, se l’esercito ha rapito anche lei? Helena ha un passato terribile, una condizione mentale conseguentemente instabile, ma non è una stupida. Inoltre, Sarah le dice la verità su chi ha effettivamente organizzato il rapimento. Ma secondo le interviste che avete rilasciato nei giorni successivi, e che vi chiedevano conto anche di questa incongruenza, per voi era “troppo semplicistico” far ricredere Helena con un “discorsetto” della sorella. Invece, farle bere qualsiasi stronzata le dicano i suoi catturatori, con discorsetti ancora più brevi, sarebbe logico?

Scusatemi se vi ricordo una storia che è vostra, ma Helena ha continuato a considerare Sarah una sorella e a voler stare con lei e a proteggerla persino dopo che Sarah le aveva piantato in corpo un proiettile intenzionalmente mortale. Temo che per il gusto del colpo di scena stiate perdendo di vista ciò che aveva reso “Orphan Black” così diverso dai prodotti televisivi soliti e così appetibile per il suo pubblico: tutti i suoi personaggi, femmine e maschi, “buoni” e “cattivi”, erano profondamente umani, credibili, quasi alla portata del nostro tocco oltre lo sguardo allo schermo. Adesso sembrano un po’ pupazzi, somigliano all’unico vero pupazzo in scena – il simpatico ma fondamentalmente inutile scorpione Pupok. Maria G. Di Rienzo

Helena e Pupok

Questo Google Glass mi piace, Pupok. Dice che c’è un ristorante giù in strada, con la gelatina.

Meraviglioso. Il più vicino negozio per animali dov’è? Ho finito i grilli.

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Siamo stelle

(“I Don’t Mean to Upset You, Mom, but I think I’m Enough”, di Ayah Elbeyali per The Fem, 15 gennaio 2015, trad. Maria G. Di Rienzo. L’Autrice è una giovane studente universitaria.)

Le Pleiadi (Sette Sorelle)

Le Pleiadi (Sette Sorelle)

Mia madre si preme le punte delle dita sulle palpebre,

come se questo l’aiutasse a portare il peso

del dover essere sempre paziente.

Mormora

“Perché mi sono state date figlie così difficili e pignole?”

Io non so come dirle

che è fortunata ad avere figlie che si curano di più della felicità

che del diventare mogli.

Figlie che si curano più dell’amore

che delle garanzie.

Figlie che capiscono di non essere salvagenti

(non sono fatte per salvare nessun uomo) –

esse sono l’oceano,

immenso e profondo e dolce,

in cui vale la pena lasciarsi sommergere.

Mamma,

siamo ragazze che rifiutano di impallidire al confronto.

Siamo ragazze che hanno giurato di non essere mai la luna,

di non nutrirsi mai della luce altrui.

Siamo stelle,

sussurriamo:

“Vieni a risplendere con me”.

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Le gemelle

(“Bomong e Bong”, mito di creazione del popolo Minyong, India del nord)

gemelle

Dall’amore di Cielo e Terra nacquero due gemelle: Bomong la Luna, e Bong la Sole. Una Donna Saggia le nutrì al proprio seno e le crebbe entrambe, insegnando loro ogni cosa sino a che divennero due potenti giovani donne. Le gemelle erano inseparabili. Assieme erano così forti e brillanti che quando attraversavano i cieli la combinazione della loro luce e del loro calore prosciugava la terra. Tutte le creature del mondo soffrivano. Le piante appassivano, gli oceani evaporavano.

Così le creature del mondo, temendo che nulla sarebbe sopravvissuto, complottarono per uccidere le sorelle, ma non c’erano volontari che si assumessero la responsabilità della mala azione. Alla fine, il Ranocchio disse che avrebbe tentato. Prese il suo arco e le sue frecce e saltellò sino alla casa celeste delle gemelle. Là rimase nascosto sotto una foglia di ninfea sino a che la prima sorella comparve sul sentiero. “Mi dispiace.”, gracidò il Ranocchio, e lasciò andare la sua freccia contro quella figura radiante. Colpì al cuore Bong, la Sole, che morì fra le braccia della gemella, e la sua luce morì con lei.

Con minor luce e calore, il mondo non era più soffocato. Le piante germogliarono di nuovo. I fiumi non più secchi fluirono al mare. Le creature del mondo erano felici. Ma Bomong non lo era. Piangeva disperata la morte della sorella e temeva di essere uccisa anche lei. Perciò si rinchiuse in una caverna molto scura, sotto una grande pietra. E ogni luce si spense. Nell’oscurità, le piante perdettero il loro bel verde e svanirono nel bianco, ammalandosi. Di nuovo, le creature del mondo furono in preda al terrore e pensarono che forse erano state avventate ad assassinare Bong. Cercarono Bomong dappertutto, in alto e in basso, chiamandola così: “Esci, esci! Risplendi per noi!”

Fu il Galletto che, svolazzando sopra le terre oscurate, notò una fioca luce far capolino da una fessura in una parete di roccia e così scoprì la caverna, e dentro la caverna Bomong la Luna che singhiozzava. Il Galletto tentò di consolarla, ma non riuscì a persuaderla a ritornare nei cieli. Lasciò quindi la caverna con il messaggio di lei per le creature del mondo: dovevano trovare un modo di riportare in vita Bong.

Al Carpentiere fu affidato l’incarico di ricostruire la Sole. Egli fece visita dapprima alla Donna Saggia che aveva allevato le fanciulle e le chiese di raccontarle ogni storia che sapeva su Bong. Guardando il viso della Donna Saggia mentre narrava, il Carpentiere riuscì a cogliere la luce di Bong nei suoi occhi. A partire da questo ricordo, costruì una seconda versione della Sole, un po’ più piccola e meno brillante, e la pose a una distanza maggiore fra le stelle. La gioia di Bomong fu immensa: abbandonò la caverna e tornò nei cieli e tutto andò bene per la vita sulla Terra.

Ad ogni eclissi, le due sorelle tornano nella loro vecchia casa celeste. E ancora oggi i ranocchi continuano a scusarsi a voce alta per tutta la notte, e i galli cantano al primo baglior di luce che vedono all’orizzonte: “Esci, esci! Risplendi per noi!” Maria G. Di Rienzo

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