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Posts Tagged ‘gloria steinem’

catherine cai - spaceship earth

(“Spaceship Earth”, di Catherine Cai)

“Il virus sa che razza, genere, classe e confini nazionali sono tutte finzioni. Questo potrebbe aiutarci a capire che siamo tutti passeggeri sull’Astronave Terra. Sto sperando che questa crisi non solo metta in luce le diseguaglianze, ma ci aiuti a capire ciò che i movimenti hanno tentato di insegnarci: siamo collegati, non disposti in ranghi.”

Gloria Steinem – “The Truth Will Set You Free, But First It Will Piss You Off! Thoughts on Life, Love and Rebellion”, ed. Murdoch Books.

(Il libro è appena uscito e si può acquistarlo scontato qui: guardianbookshop.com )

Maria G. Di Rienzo

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protesta ny

L’immagine viene da un video reportage di Sonia Rincon per la CBS, il luogo è il quartiere SoHo di New York e i cartelli dicono:

Pornhub vende lo stupro – Sì all’erotismo, no alla violenza sessuale – Boicotta la violenza sessuale – Non c’è posto per Pornhub a New York – Pornhub vende l’incesto – Pornhub vende il razzismo.

Altri due dichiarano l’appartenenza delle manifestanti: NOW – Organizzazione nazionale delle donne e CATW – Coalizione contro il traffico di donne.

Era l’8 dicembre u.s. e le donne stavano protestando per l’apertura da parte di Pornhub di un “negozio temporaneo” promozionale (chiuderà il prossimo 20 dicembre), dicendo la semplice verità e cioè che il “fulcro della pornografia” – una possibile traduzione di Pornhub – non vende erotismo ma oggettivazione, abuso, traffico, violenza, razzismo e umiliazione, il tutto rivolto alle donne. C’era anche Gloria Steinem (in immagine qui sotto), che assieme a Sonia Ossorio del NOW ha spiegato alla stampa quanto insana è diventata la pornografia:

gloria protesta ny

“Normalizza la violenza e la degradazione di donne e bambine. Pornhub è un fulcro di violenza, un fulcro di pericolo per le donne.”, ha detto Gloria.

“Pornhub vende l’idea dell’abuso sessuale di bambini, vende insulti e stereotipi razzisti.”, ha aggiunto Sonia, che ha anche chiesto all’amministrazione cittadina di proibire l’apertura di simili negozi da parte di Pornhub in futuro.

Maria G. Di Rienzo

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E’ bene sapere di chi è veramente la colpa: Mohamed Lahouaiej Bouhlel, nato nel 1985, francese di origine tunisina che ha ucciso 84 persone e ne ha ferite altre 200 a Nizza falciandole alla guida di un camion era “depresso e instabile da quando era iniziata la procedura per il divorzio dalla moglie”.

I quotidiani italiani sparano questa frase – o una frase simile – direttamente nel titolo o nell’occhiello dei loro pezzi in materia; non c’è bisogno di essere enigmisti o crittografi per capire che la considerano un’informazione assai rilevante. Ma fra le notizie raccolte sino ad ora sull’autore delle strage, che era possibile sottolineare, c’è per esempio anche questa: fra i suoi “piccoli” precedenti penali c’è la violenza contro la ex compagna, per la quale era stato allontanato nel 2012 dall’abitazione che con lei condivideva.

Comunque, nei prossimi giorni devo aspettarmi cose di questo tipo? “Il disastro ferroviario del 12 luglio: una “dama bianca” avrebbe respinto gli approcci di due dirigenti di Ferrotramviaria, causando loro forte stress.”, oppure “Il generale che sta manovrando il colpo di stato in Turchia è stato lasciato dalla moglie e friend-zonato dall’amante: Sono un uomo, dovevo pur sfogare la mia rabbia in qualche modo, ha detto alla stampa.”, o più precisamente ancora: “Cherchez la femme e fategliela pagare, ce n’è di sicuro almeno una dietro qualsiasi atrocità o canagliata un uomo commetta.”

Il brano seguente è tratto da un’intervista a Gloria Steinem (attivista femminista di lunghissimo corso, ha 82 anni) rilasciata a Samiha Shafy dello Spiegel il 6 luglio scorso:

Steinem dice che tutto quello che hai bisogno di sapere su una società qualsiasi è come tratta le donne che ne fanno parte. Non è un caso, dice, che così tanti terroristi moderni crescano in ambienti dove gli uomini hanno controllo sulle donne: “L’indicatore più affidabile per capire se c’è violenza all’interno di un paese, o se esso userà violenza militare contro un altro paese, non è la povertà ne’ l’accesso alle risorse ne’ la religione e persino non il livello di democrazia. E’ la violenza contro le donne. Normalizza tutte le altre forme di violenza.” Maria G. Di Rienzo

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(tratto dal discorso di Gabourey Sidibe, attrice, all’evento “Women of Vision” della Ms Foundation, 1° maggio 2014, trad. Maria G. Di Rienzo.)

gabourey

Una delle prime cose che di solito le persone mi chiedono è: “Gabourey, come fai ad essere così sicura di te?”. Mi domando sempre se è la prima cosa che chiedono a Rihanna quando la incontrano.
Come fai, Gabourey? Non è facile. E’ dura cominciare a vestirsi per lo show delle premiazioni e il tappeto rosso quando so che ci si farà beffe di me per il mio peso. E’ una cosa che devo maneggiare ogni volta in cui indosso un abito. E’ una cosa che devo maneggiare ogni volta in cui qualcuno mi fa una fotografia. A volte, mentre sono intervistata da una giornalista, leggo nei suoi occhi: “Come fa ad essere così sicura di sé? Con quel corpo? Oh, mio dio, dovrei prendere peso?” (…)
Quel che posso dirvi è che a un certo punto la mia famiglia si è trasferita in casa di mia zia. Il suo nome è Dorothy Pitman Hughes, è una femminista, un’attivista e amica di lunga data di Gloria Steinem. Ogni giorno, dovevo alzarmi e andare a scuola dove tutti mi avrebbero preso per i fondelli, e poi tornare a casa dove tutti mi avrebbero preso per i fondelli. Ogni giorno era difficile, in qualsiasi direzione io andassi. E mentre uscivo di casa, trovavo la mia forza: perché per uscire nel mondo dovevo passare oltre un’immagine che ritraeva mia zia e Gloria insieme.

gloria e dorothy

Stavano fianco a fianco, una con dei bellissimi capelli lunghi, l’altra con la più splendida capigliatura afro io abbia mai visto, entrambe con i pugni chiusi levati in aria. Potenti. Fiduciose. E ogni giorno io uscivo di casa levando il pugno chiuso nella loro direzione. E marciavo verso la battaglia. Tornavo a casa, salutavo di nuovo l’immagine con il mio pugno e salivo le scale verso un’altra battaglia. (…)
“Gabourey, come fai ad essere così sicura di te?” E’ perché sono una stronza testona. Okay? Questo è il mio buon tempo, questa è la mia buona vita, nonostante quel che pensate di me. Vivo la mia vita perché oso farlo. Oso mostrarmi mentre chiunque altro si nasconderebbe per la vergogna. Mi mostro perché sono una bastarda e voglio divertirmi. E’ perché mia madre e mio padre mi vogliono bene e desiderano per me la miglior esistenza possibile ma non sanno come dirlo. Però io l’ho capito, l’ho capito davvero. Allora grazie ai miei compagni di scuola che mi hanno fatto piangere per tutto il tempo: se non fosse per loro, adesso non saprei piangere recitando. Grazie a chi mi ha detto che ero solo spazzatura, perché ho imparato come mostrare loro il mio talento. Grazie a chi mi ha detto che ero orrenda, perché così ho cercato e trovato la mia bellezza. E se non aveste tentato in ogni modo di spezzarmi, non avrei mai saputo di essere infrangibile.
E so che quando mi chiedete “Gabourey, come fai ad essere così sicura di te?”, in realtà mi state chiedendo: “Come può una come te essere così sicura di sé?” Ma andate a chiederlo a Rihanna, stronzi!

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Come forse vi sarà noto, la femminista (nonché giornalista, scrittrice, organizzatrice, fondatrice di Ms. Magazine, ecc.) Gloria Steinem ha ricevuto pochi giorni fa la “Medaglia presidenziale della libertà” dal presidente del suo paese, gli Stati Uniti. Successivamente, è stata invitata a parlarne al Club nazionale della stampa: è la prima donna ad essere scelta per il podio del Club, che però l’ha omaggiata del dono standard per i relatori, e cioè una cravatta. (Non voglio ricamarci su, per carità, mi limito a notare che le abitudini sono proprio dure a morire.)

gloria medaglia

Nel suo discorso, Gloria ha detto molte cose interessanti, dal ricordare come il presidente Johnson rifiutò di conferire la stessa medaglia a Margaret Sanger, la fondatrice dell’organizzazione per la pianificazione familiare “Planned Parenthood”, per timore di reazioni negative da parte della chiesa cattolica, all’attestare: “Sarei folle se non capissi che questa è una medaglia conferita all’intero movimento delle donne”.

Ma il passaggio migliore, per me, è questo: “Sapete, la gente spesso mi chiede, per via della mia età, a chi passerò la fiaccola. E io rispondo sempre che, in primo luogo, alla mia fiaccola non rinuncio, grazie tante. Inoltre, io sto usando la mia torcia per accendere le torce di altre persone. Perché l’idea che ci deve essere qualcuno che la passa fa parte di uno stupido pensiero gerarchico – e perché se ognuna di noi ha una torcia, c’è un bel po’ di luce in più.” Maria G. Di Rienzo

E. Iswarya - danza del fuoco

A proposito di fiaccole. All’inizio di quest’anno, la ventenne indiana che vedete nell’immagine ha giostrato con le torce a ritmo di musica per 36 ore consecutive, con una pausa di cinque minuti ogni quattro ore di performance. Ha battuto un record, ma le sue motivazioni non erano sportive. “L’intera impresa è per portare attenzione alla causa delle donne. – ha detto Iswarya – Sono determinata a lottare contro gli abusi sessuali e le atrocità commesse contro le donne. Nessuna deve più morire di questa pestilenza.”

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(Il “karate verbale” di Florynce R. Kennedy, femminista, avvocata, autrice fra l’altro di “The Pathology of Oppression”. Flo è mancata nel 2000 all’età di 84 anni. Gloria Steinem, che ha raccolto queste ed altre sue citazioni, disse di lei: “Così come c’era una sola Marilyn o un solo Mao, c’era una sola Flo.” Trad. Maria G. Di Rienzo)

“Dovremmo dare al Pentagono il budget del Dipartimento per la Salute, l’Istruzione ed il Welfare, e viceversa. Allora avremmo abbastanza denaro per curare cancro, anemia e distrofia muscolare, e i telethon li faremmo solo per la Pentagonorrea.”

“Come le donne parlano dei loro diritti, qualcuno dice che dovrebbero fare i militari di leva. Praticamente, è come se gli uomini dicessero: Se non mi lasci tenere aperta questa porta per te, te la sbatto sulla mano.”

“Essere madre è cosa nobile, giusto? Allora perché la faccenda cambia se ci si aggiunge la parola nubile o bisognosa?

“L’oppressione ha almeno quattro dimensioni. La personale o psicologica, che è quando tu stessa credi di essere uno zero totale perché la società continua a dirti che lo sei. La privata, che ad esempio è il modo in cui vieni trattata quando cerchi lavoro. La pubblica, che è quando il governo prende i soldi di cui tu hai bisogno per gli asili e li usa per uccidere gente in Indocina. E la culturale, che è quando i libri di storia attribuiscono tutto quello che noi abbiamo fatto ed inventato a qualche tizio per cui lavoravamo.”

“Se sei stato picchiato un bel po’, tendi ad essere dolorante per un certo periodo. Tentare di aiutare una persona oppressa è come abbracciare qualcuno che sia pieno di ustioni.”

“La sindrome del perdente si dà quando la gente oppressa sta seduta a pensare alle ragioni per cui non può fare qualcosa. Be’, fate quella cosa e basta. Pensare alle ragioni per cui non potete farla è lavoro del sistema, non vostro.”

“La malaria non si cura dormendo con chi ne è affetto, e la povertà non si cura andando a vivere nel ghetto. Si va invece a Wall Street e a Washington, a far pressione su chi la cura ce l’avrebbe.”

“Non agonizzare. Organizza.”

“Se gli uomini potessero restare incinti, l’interruzione di gravidanza sarebbe un sacramento.”

“I miei genitori hanno dato a noi figli un senso fantastico di sicurezza e valore. Quando gli intolleranti ci dicevano che non valevamo nulla noi sapevamo già di valere.”

“Quando ci trasferimmo a Kansas City, alcuni membri del Ku Klux Klan vennero davanti a casa nostra a dirci che avevamo 10 minuti per andar via dal quartiere. Mio padre uscì imbracciando un fucile e disse: Sparerò al primo uomo che metterà il piede su questo portico, dopo potrete pure prendermi e portarmi via. E sapete una cosa, quei tizi del Klan non si fecero mai più vedere.”

“Lo so, siamo termiti. Ma se tutte le termiti lavorano insieme, la casa crolla.”

“Devi scuotere la porta della tua gabbia. Devi far sapere loro che sei là dentro e che vuoi uscire. Fai rumore. Fai casino. Magari non vincerai proprio subito, ma nel frattempo ti divertirai un sacco.”

“Alla mia età e nelle mie condizioni intendo fare quello che mi pare: veramente, non ho il tempo per nient’altro.” (la mia preferita, ndt.)

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(“The Arms Race Intrudes on Paradise”, di Gloria Steinem per The New York Times, 6 agosto 2011. Trad. Maria G. Di Rienzo. Gloria Steinem, scrittrice ed attivista femminista è anche la co-fondatrice di Women’s Media Center)

Ci sono azioni per cui noi che viviamo oggi saremo giudicati nei secoli futuri. La sola domanda sarà: Cosa sapevamo, e quando siamo venuti a saperlo? Credo che una delle azioni sottoposte a giudizio potrebbe essere ciò che voi ed io faremo rispetto alla militarizzazione dell’Isola di Jeju, in Corea del Sud, a beneficio della corsa agli armamenti.

Jeju non è detta il più bel posto sulla Terra per niente. Antichi vulcani sono diventati picchi coperti di neve, con puri ruscelli di montagna che scorrono verso le spiagge vulcaniche ed i banchi di corallo soffice. In mezzo vi sono colline verdi coperte di fiori selvatici, boschetti di mandarini, foreste di noci moscate, piantagioni di tè ed orchidee rare che crescono spontaneamente: ed il tutto esiste in pace con le fattorie, le locande e le piccole città. L’Unesco (l’organizzazione delle Nazioni Unite preposta ad istruzione, scienza e cultura) ha designato l’Isola di Jeju come “tesoro naturale” del mondo. 

Ora, una base navale sta per distruggere un segmento cruciale della costa di Jeju e lo farà per alloggiare e servire altri distruttori con sofisticati sistemi missilistici e balistici ed applicazioni per la guerra “spaziale”. La Cina e la Corea del Sud hanno relazioni amichevoli, al momento. Ma questa base navale non è solo un disastro ambientale, potrebbe rivelarsi una provocazione globalmente pericolosa.

I residenti di Gangjeong, il villaggio che dovrebbe ospitare la base, stanno vivendo in tende erette lungo tutta la costa in questione nel tentativo di fermare l’attività dei bulldozer. Il villaggio, già parecchi anni fa, aveva votato contro l’istituzione della base navale. Hanno tentato di arrestare i lavori con cause legali e petizioni per uno studio accurato dell’impatto ambientale. Sono stati multati, picchiati, arrestati ed imprigionati. Hanno intrapreso scioperi della fame, si sono incatenati a tutto il possibile, hanno invitato turisti affinché capissero cosa c’è in gioco, hanno aperto siti web e si sono guadagnati il sostegno delle organizzazioni pacifiste a livello internazionale.

I membri della Campagna “No alla base navale”, bambini inclusi, vivono accampati sulla spiaggia dietro alti muri costruiti attorno al sito dei lavori proprio per nascondere le proteste. All’esterno, la polizia controlla. E questo sta andando avanti da più di quattro anni.

Potreste chiedervi perché non ne avete mai sentito parlare. Dubito che l’avrei saputo io stessa, tuttavia, se non avessi visitato l’Isola di Jeju nove anni fa, incapace da allora di dimenticare la sua bellezza e le sue tradizioni che evocano un’antica cultura basata sul bilanciamento. Si dice che l’Isola sia il corpo stesso della Dea della Creazione, ed è spesso chiamata “L’Isola delle Donne”.
E’ infatti la casa delle leggendarie pescatrici subacquee conosciute come “Haenyeo”, e dei boschetti consacrati alla Dea e di tradizioni sciamaniche. In special modo per le donne, Jeju è diventata il simbolo delle “cose com’erano una volta, e come potrebbero essere oggi”.

Il mezzo milione di abitanti dell’Isola conserva memorie di terribili perdite. Prima e durante la seconda guerra mondiale, l’esercito giapponese usò i residenti di Jeju come lavoratori forzati e ne uccise molti. Poco prima della guerra di Corea, le forze armate della Corea del Sud bruciarono interi villaggi ed uccisero circa 30.000 persone: perché i residenti non volevano dividere l’Isola fra Nord e Sud e furono quindi etichettati come “comunisti”. Ma con il lavoro e l’antica saggezza, Jeju gradualmente ha recuperato la sua peculiare pacifica cultura diventando l’unica provincia autonoma della Corea del Sud. Nel 2006, l’allora Presidente del paese, Roh Moo-hyun, chiese perdono per il massacro e dichiarò Jeju “Isola della Pace Mondiale”.

Quando sono stata invitata, nel maggio scorso, a visitare di nuovo Jeju (dalle amiche del movimento delle donne coreane) ho visto come attrae conferenze di pace, sposi in luna di miele, ambientalisti, biologi marini, troupe cinematografiche, pellegrini e turisti. Ho visitato il campo di pace, sotto lo sguardo di poliziotti minacciosi e fra bulldozer in attesa. Il sindaco di Gangjeong, leader dei resistenti, mi ha detto quietamente che sia lui sia gli altri daranno volentieri la vita pur di impedire la costruzione della base. Sua madre, che ha 92 anni, fa tutte le sere il percorso dal villaggio alla spiaggia per accertarsi se il figlio sia ancora vivo.

L’attuale Presidente coreano, Lee Myung-bak, ex presidente di una società di costruzioni e conosciuto come “Il signor Bulldozer”, non ha ancora avuto ripensamenti. Piuttosto, sembra avere con i mattoni la stessa relazione che il Presidente Bush aveva con il petrolio. Temo anche che la Corea del Sud sia l’estremità scodinzolante di un cane chiamato Pentagono. Il Presidente suo predecessore, diversamente, disse che sarebbe morto con due rimpianti: l’aver mandato truppe coreane in guerra in Iraq e l’aver permesso la costruzione della base sull’Isola di Jeju.

Jeju è sulla ristretta lista di una campagna pubblica internazionale tesa a scegliere le nuove “sette meraviglie mondiali” ed il Presidente Lee è un attivo sostenitore della candidatura dell’Isola. Forse sarà costretto a scegliere. Come potrà Jeju essere una delle sette meraviglie quando la sua candidatura si basa su una natura che sta per essere distrutta?

Nel frattempo, molte più persone stanno firmando appelli di protesta sul web, stanno chiamando chiunque conoscano a Washington o si stanno recando a Jeju per proteggere e sostenere i dimostranti e far capire che il futuro economico dell’Isola sta nel turismo, non nei fucili o nelle basi militari. Nel quotidiano scambio di e-mail con i dimostranti di Jeju, ho saputo che i bulldozer stanno sistemando strati di piccole rocce in preparazione della colata di cemento da gettare sulla lava e sul corallo vivente. Quando i bulldozer si ritirano, i bambini raccolgono tutte queste rocce, ne fanno delle torri e su ogni torre piantano una bandiera della pace.

Per quando mi riguarda, sto scrivendo questo pezzo, ho messo una petizione sulla mia pagina Facebook e spero in sufficiente attivismo del tipo “primavera araba” per rovesciare la base navale.

Non ho mai avuto meno indizi su cosa potrà accadere. Posso ancora sentire i delfini di Jeju che gridano, come se percepissero il pericolo. Tuttavia, la mia fede è nei residenti che dicono: “Non toccate nessuna pietra, non toccate nessun fiore.”

Inoltre, ora anche voi sapete.

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La definizione di equità più semplice su cui i giornalisti possono lavorare è la reversibilità.

Non menzionate i bambini piccoli di una donna se non menzionate quelli di un uomo. Non descrivete i vestiti delle donne se non descrivete quelli degli uomini.

Non dite che lei è eccitante o attraente se non usate mai gli stessi aggettivi per lui. Non dite che lei si è fatta la plastica al viso, se non dite che lui si tinge i capelli o ha il parrucchino… e così via.

Non definite, parlando di una donna e di un uomo nella medesima posizione, lei come la protetta di qualcuno e lui come una stella nascente.

Per estensione, non identificate qualcuno come musulmano, se non identificate mai altri come cristiani od ebrei, e non identificate per razza, etnia o sessualità alcune persone e non altre. Eguaglianza vuol dire accuratezza.

Gloria Steinem, 1.9.2010, trad. M.G. Di Rienzo

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Intervista a Julie Zeilinger di Chloe Angyal per “Feministing”. Trad. e adattamento M.G. Di Rienzo

 Julie Zeilinger è la fondatrice e l’editrice di “F Bomb”, un blog femminista pensato per le adolescenti e da loro stesse gestito. Julie è una liceale di Pepper Pike, Ohio, il che rende la sua impresa (maneggia un blog che ha collaboratrici da tutto il paese) ancora più impressionante. Julie dice che il suo problema più grande è armonizzare i suoi impegni di studente e quelli di editrice del blog. E’ entusiasta dell’avere così tante collaboratrici e del dover lavorare su così tanti commenti, ma dice che avrebbe costruito e mantenuto il sito “anche se nessuno lo avesse mai letto. Ne avevo bisogno per me stessa”.

La Bomba F (F Bomb) è pensata per riempire lo spazio vuoto che lei hai visto nella blogsfera femminista, creando un posto dove le adolescenti potessero parlare per se stesse, invece di essere semplicemente “discusse” da altre persone. Inoltre, Julie pensa che le giovani femministe qualche volta siano isolate, un problema che la tecnologia può alleviare. “Al liceo è veramente difficile incontrare un’altra femminista, ed è qualcosa che spesso le nostre compagne non riescono a capire davvero, perciò volevo avere un luogo in cui potessimo trovarci tutte insieme e condividere le nostre idee”.

Chloe Angyal: Cosa ti ha condotto al femminismo, e in special modo a dare inizio a “F Bomb”?

 Julie Zeilinger: I miei genitori mi hanno cresciuta rifacendosi ai valori femministi, ma mi sono veramente interessata al femminismo in terza media, quando dovevo tenere un discorso alla mia intera scuola. Avevo letto un articolo sul feticidio e l’infanticidio femminile. Ero scioccata dallo scoprire che esistesse una pratica misogina di questo tipo, ma ero ancor più disturbata dal pensiero che cose simili stavano accadendo e io non ne sapevo nulla, e che la maggior parte delle persone neppure si fermava a pensarci. E’ stato allora che ho cominciato a fare ricerche sulle istanze delle donne ed ho imparato di più sul movimento femminista, anche leggendo i blog come “Feministing”.

Ho creato “F Bomb” perché desideravo un posto dove le adolescenti femministe potessero postare quel che volevano, discutere delle cose importanti nelle nostre vite, e creare una comunità di persone. Volevo anche che le adolescenti femministe capissero che le loro voci hanno valore, e che c’era un luogo dove quelle voci sarebbero state ascoltate: i media e la società in genere per lo più fanno supposizioni su di noi, ma nessuno chiede mai la nostra opinione.

CA: Qual è la tua eroina preferita in letteratura?

JZ: Ne ho moltissime. Quest’anno a scuola sto leggendo “La lettera scarlatta” e “The Awakening” per la prima volta. Credo che la mia eroina preferita dovrebbe essere un mix fra Hester Prynne e Edna Pontellier. L’idea di aver completa fiducia in te stessa e in ciò che il tuo genere significa per te, mentre ti trovi in un’epoca che ti forza nella direzione opposta è qualcosa di fantastico per me: credo sia duro anche farlo oggi, perciò non riesco ad immaginare come doveva essere cento e più anni fa.

CA: E nella vita reale, chi sono le tue eroine?

JZ: Prima di tutto e più di tutte mia madre. E’ meravigliosa. Sono stata capace di dare inizio a “F Bomb”, di credere che potevo davvero riuscirci e di inseguire il mio sogno perché lei mi ha cresciuta in modo che io credessi in me stessa e non mi dessi mai per vinta. Poi sono continuamente deliziata da Gloria Steinem, ed amo gli scritti di bell hook.

CA: Quale delle notizie recenti ti ha fatto più venir voglia di urlare?

JZ: Il Daily Telegraph ha riportato di recente il fatto che bimbe di 3/5 anni si preoccupano del loro peso. E io so che è vero. Lavoro in un programma di doposcuola per bambini dell’asilo e delle elementari, perciò sento spesso le bimbe che parlano del loro “essere grasse”. La questione della percezione del corpo nelle giovanissime non sta scomparendo, sta solo peggiorando sempre di più, e questo mi disturba e mi spaventa.

CA: Secondo te, qual è la più grande sfida che il femminismo affronta oggi?

JZ: Penso sia la parola “femminismo” in se stessa. Conosco molte ragazze (e anche molti ragazzi) il cui cuore è femminista, ma che rifiutano assolutamente di identificarsi come femministe. Forse è per lo stigma accoppiato alla parola, o perché pensano che sia una cosa solo per le donne. Io credo che il sessismo faccia male a noi quanto agli uomini, dovremmo trovare modi per essere inclusive. E la generazione più anziana delle femministe dovrebbe cercare di includere le giovani nel movimento. Il mio rispetto per la parola “femminismo” è completo, per tutto ciò per cui lotta e per tutto ciò che ha fatto per me e per le altre donne, ma senza inclusione e senza sostegno nessuna delle cause per cui stiamo lavorando si tradurrà in realtà.

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