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(“In hope of making cities safer for women”, Kvinna till Kvinna – rete internazionale attiviste con principale sede in Svezia – articolo non firmato, 1.3.2018, trad. Maria G. Di Rienzo.)

La madre di Merita morì partorendola. Nel diventare una ginecologa competente, lei vuole offrire a ogni bambino l’opportunità di avere una madre presente nella propria vita mentre cresce: “Un’opportunità che io non ho mai avuto.”, dice.

Merita ora ha vent’anni. E’ stata cresciuta da suo padre e dai nonni. Poiché il padre da solo non riusciva a coprire i costi dei suoi studi universitari, la nonna ha dato una mano lavorando a maglia calzini di lana e vendendoli.

Non tutti, però, sostengono Merita nella realizzazione del suo sogno. Il suo docente, spiega, le ha ormai fatto fare lo stesso esame tre volte e vuole favori sessuali per promuoverla.

“Sono ferma da un anno e mezzo, ormai. – spiega Merita – Lui ha chiarito che non posso andare avanti se non accetto quel che vuole.”

Merita ha denunciato il caso alla polizia, ma in assenza di prove il procedimento non va avanti. Ora ha richiesto all’università di permettere che sia un comitato di docenti a esaminarla la prossima volta, invece del professore in questione: “Spero davvero che accoglieranno la mia richiesta e di poter continuare a studiare.”

Questo tipo di molestia sessuale è comune negli ambienti scolastici e spesso conduce la vittima a sperimentare un serio disagio emotivo e ad abbandonare di conseguenza gli studi. Ciò è attestato nel rapporto dell’organizzazione Rete delle Donne del Kosovo, che è una partner di Kvinna till Kvinna. Il rapporto mostra che le vittime hanno età diverse, ma la maggioranza di esse si situa nella fascia 16-28. Sempre in maggioranza le vittime sono donne.

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(immagine sulla pagina di apertura del sito della Rete delle Donne del Kosovo)

La Rete delle Donne del Kosovo mira, oltre che a rendere visibile l’istanza delle molestie sessuali, a proporre modi concreti per combatterla. Assieme a due altre organizzazioni, ha sviluppato un applicazione per cellulare che si chiama “Ec Shlire” (“Cammina liberamente”). Tramite l’applicazione le vittime possono riportare le molestie di cui stanno facendo esperienza.

I dati mostrano che le località in cui le molestie sono più presenti sono le strade, ma ci sono andamenti di molestie negli spazi pubblici come le università, i ristoranti, i mezzi di trasporto e le palestre. I dati raccolti sono usati ora come statistiche, ma il loro scopo è fornire alle autorità come la polizia prove per l’azione contro la violenza di genere.

“Attualmente, stiamo organizzando il processo dell’addestramento della polizia del Kosovo all’uso della piattaforma, di modo che questi non restino solo dati.”, dice la direttrice del progetto Zana Idrizi.

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(“The Truth-Teller: Natasa Kandic, Urging Serbs To Face The Past” di Daisy Sindelar per Radio Free Europe – http://www.rferl.org/ – 2.2.2012, trad. Maria G. Di Rienzo)

Natasa Kandic è stata di frequente il bersaglio di minacce di morte e di viziose campagne di pressione. Ma la 60enne avvocata usa ancora l’autobus per andare ogni giorno al lavoro. Dice che ciò le dà una buona opportunità di parlare con individui comuni, siano essi suoi sostenitori o suoi critici. Per Kandic, che passato i due ultimi decenni difendendo le vittime della guerra e sfidando l’élite serba a confrontarsi con i crimini del passato, la sete di dialogo azzera ogni sentimento di paura.
“Io sono un’attivista per i diritti umani e questa è la mia scelta di vita. Sono stata spaventata solo una volta, dopo l’indipendenza del Kosovo, perché i media e i cittadini comuni venivano invitati dalle istituzioni statali ad essermi contrari, giacché avevo mostrato sostegno per l’indipendenza del Kosovo. Ma ora no, non ho paura. Sono solo molto preoccupata per la situazione in Serbia.”
Kandic è la fondatrice del Centro legale umanitario di Belgrado, una delle principali organizzazioni impegnate negli sforzi per la pace e la riconciliazione nei Balcani. Fondato nel 1992, il Centro ha cercato di documentare e di far perseguire legalmente casi di stupro, tortura ed omicidio commessi durante le brutali guerre etniche che scossero l’ex Jugoslavia fra il 1991 ed il 1999. A Kadic si attribuisce largamente il merito di aver fornito prove decisive sul ruolo della Serbia nel massacro di Srebrenica del 1995, in cui morirono uomini e ragazzi bosniaci musulmani. Il suo video che documenta l’esecuzione di 6 musulmani bosniaci da parte del gruppo paramilitare serbo “Gli Scorpioni” fu ciò che condusse alla consegna di chi aveva progettato Srebrenica, ovvero il leader serbo-bosniaco Radovan Karadzic ed il suo comandante militare Ratko Mladic, al tribunale per i crimini di guerra delle Nazioni Unite a l’Aja.
Kandic è anche nota per i suoi reportage sul campo riguardo alle atrocità commesse dalle forze serbe contro i civili di etnia albanese durante la guerra in Kosovo del 1998-99. Esecuzioni sommarie, detenzioni arbitrarie e saccheggi diffusi avvenivano in Kosovo durante quella che si configurava come una campagna per la “pulizia etnica” mirata a soffocare l’indipendentismo della restia provincia. La Serbia ha dato inizio in modo riluttante ai propri processi sui crimini di guerra interni nel 2003, rispondendo alle denunce delle atrocità serbe. Sian Jones, ricercatore nei Balcani per Amnesty International, dice che Kandic è stata cruciale nel persuadere le vittime kosovare a testimoniare contro i loro aggressori serbi: “Lavorare per mettere fine all’impunità dei crimini di guerra in Serbia è un compito estremamente difficile, e vi sono persone fra l’élite, fra i politici e ovunque che non vorrebbero che lei lo facesse. E lei lo ha fatto sino ad ora nel mezzo di circostanze davvero difficili e contro un’enorme tasso di opposizione.”
L’ultima battaglia di Kandic ha causato una delle opposizioni più risolute. Citando le testimonianze rese a l’Aja, la scorsa settimana l’avvocata ha detto che il nuovo capo dell’esercito, Ljubisa Dikovic, è inadatto al suo ruolo a causa delle accuse di crimini di guerra – incluso il massacro di Izbica, dove morirono almeno 130 uomini kosovari albanesi – commessi sotto la sua supervisione quale ufficiale comandante durante la campagna del Kosovo. Kandic riconosce che Dikovic e i suoi soldati possono non aver giocato un ruolo diretto negli omicidi. La sua trasgressione, dice l’avvocata, sta nel non averli prevenuti: “E’ normale nominare un generale che non ha prevenuto tali crimini? Il governo deve rispondere a questo.”
Gli ufficiali serbi hanno ruggito in risposta tramite il Ministro della Difesa Dragan Sutanovac, che ha definito “mostruose” le pretese di Kandic, ed il pubblico ministero per i crimini di guerra, Vladimir Vukcevic, che ritiene il Centro legale umanitario “anti-serbo”. Kandic ammette di essere sorpresa dalla veemenza delle risposte. Ma è lungi dall’esserne intimidita. Se la Serbia vuole costruirsi un futuro promettente, dice, deve cominciare guardando onestamente al proprio passato. “Se vogliamo dei cambiamenti, se vogliamo un futuro democratico, se vogliamo che la Serbia diventi membro dell’Unione Europea”, spiega Kandic, “ci servono persone nuove, che riconoscano gli abusi passati e basino il futuro sulla necessità di rispettare le vittime, e che tentino di organizzare le cose in modi che prestino attenzione alle vittime, alla loro sofferenza, ed al loro bisogno di giustizia.”
Il tipo di fama che Kandic ha nel suo paese stride con i numerosi premi per i diritti umani a lei conferiti da svariate associazioni globali fra cui Amnesty e Human Rights Watch. Tuttavia, anche a casa sua Kandic ha degli ammiratori. Sandra Orlovic, la vice direttora del Centro legale umanitario era una giovane laureata in legge quando si unì alla squadra di Kandic nel 2004. La prima cosa che ha imparato dalla sua formidabile “capa”, dice, è la necessità di “basarsi sui fatti, sulla verità di ciò che è accaduto nell’ex Jugoslavia”.
“Ha continuato ad essere presente in Kosovo e a documentare tutte le cose orribili che sono successe là.”, dice Orlovic, “La principale impressione che hai di Natasa dopo essere stata un quarto d’ora con lei è che non ha paura, e che rischierà qualsiasi cosa per la verità, la verità per le vittime, ed i loro diritti.”

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