Stamattina, l’appello su Change.org per assicurare un futuro alla Casa Internazionale delle Donne di Roma aveva raggiunto 100.737 firme. In esso si legge, fra l’altro: “(…) le donne che la animano hanno spiegato a noi, agli interlocutori istituzionali e a tutte/i coloro che hanno a cuore la sua esistenza, che la Casa ha pagato per tutti i 15 anni di gestione, buona parte del canone e ha sostenuto gli ingenti costi di manutenzione di cui uno stabile storico, quale è il complesso del Buon Pastore (un palazzo del 1660), necessita.
Il tutto senza contributi e finanziamenti pubblici, solo con l’autofinanziamento, rendendo così fruibile per la città questo splendido luogo: aperto, frequentabile, pieno tutti i giorni di attività e di servizi a disposizione delle donne, in particolare di quelle con minori possibilità. (…) La Casa, le associazioni e le tantissime donne che la abitano e la rendono fruibile devono essere messe in sicurezza, devono poter continuare ad agire e progettare il futuro. Per ottenere questo risultato, basterebbe applicare le leggi che consentono di concedere alla Casa Internazionale un canone gratuito, mettere a valore il ruolo sociale e culturale che la Casa svolge, riconoscere il pregio dell’opera di manutenzione e salvaguardia di un bene culturale della città e il prezioso contributo dei servizi che alla Casa le donne trovano e quindi anche ristrutturare il debito, a partire dal riconoscimento della sua reale entità.”
Su Repubblica di ieri, però, la sindaca di Roma Virginia Raggi così si esprime al proposito (l’enfasi su alcune parti del discorso è mia):
“Noi abbiamo lottato per avere gli stessi diritti, non per avere privilegi, per me il femminismo è questo, non altro. Non si deve pensare che perché siamo donne abbiamo diritto di scavalcare leggi e regole. L’associazione Casa Internazionale delle Donne continua a non voler pagare neanche una piccola quota peraltro ulteriormente scontata: al posto del 20% devono pagare il 10% del canone di mercato. Parliamo di un prezzo irrisorio. Oggi ammonta a 900 mila euro e dovrebbero pagare molto di più. (…) Io non ho vissuto gli anni del femminismo, ma ci sono tante donne che ci hanno portato dove siamo oggi e io sono grata. Però io ricordo che abbiamo lottato per avere parità (di) diritti e doveri, non per avere privilegi.”
Virginia Raggi non sa cos’è il femminismo. Infatti, ne parla come di un fenomeno situato in un distante periodo storico, per il quale sarebbe (il condizionale è d’obbligo, stante ciò che ha detto) grata alle donne che hanno lottato per portarci dove siamo oggi. Prima necessaria correzione: il femminismo è vivo e vegeto – e scalciante, come si dice in inglese – in ogni parte del mondo.
In secondo luogo, è vero che senza il femminismo Raggi non ricoprirebbe il ruolo che ricopre attualmente, ma non è assolutamente vero che la parità di diritti e doveri fra donne e uomini sia stata raggiunta. Meno che mai in Italia (i dati vengono da Eurostat, Istat, World Economic Forum, Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, Agenzia Donne Nazioni Unite e fanno riferimento al 2017):
– il nostro paese ha “una delle forze lavoro femminili più basse in Europa e nei paesi sviluppati”, con meno della metà delle donne in età lavorativa effettivamente impiegate;
– circa il 62% del lavoro quotidiano delle donne non è pagato, a confronto del 30% che riguarda gli uomini;
– le donne in Italia lavorano di media più a lungo degli uomini, 512 minuti al giorno contro 453, e nel contempo hanno molte più probabilità di essere disoccupate o impiegate part-time;
– la percentuale di donne nel Parlamento italiano (31%) dice che la nostra nazione fa peggio di quanto facciano Ecuador, Angola e Bielorussia, solo per nominarne altre tre;
– il numero di primi ministri e presidenti italiani di sesso femminile è storicamente “a big fat zero” (come è definito nei documenti internazionali), uno zero bello tondo;
– le donne ammontano al 16% dei vertici decisionali e meno del 34% fa parte di consigli d’amministrazione (e questo nonostante sia stata introdotta una quota a norma di legge, temporanea, che richiede ai suddetti consigli di essere composti per almeno un terzo da donne);
– dal 2007 al 2017 la percentuale di femicidi / femminicidi è cresciuta di dieci punti percentuali, dal 24 al 34%;
– nel 2017 sono stati denunciati 4.261 casi di violenza sessuale su donne, ragazze e bambine; circa tre milioni e mezzo di donne italiane fra i 16 e i 70 anni d’età sono state vittime di stalking (due milioni e duecentomila da parte di un ex partner);
– circa metà delle donne adulte italiane ha fatto esperienza di qualche forma di molestia sessuale: otto milioni e duecentomila fra i 14 e i 65 anni;
– un milione e quattrocentomila, nella stessa fascia d’età, ha subito molestie sessuali o ricatti sessuali sul lavoro.
Potrei continuare, ma come lista di calci in faccia è già abbastanza lunga. Luoghi come la Casa Internazionale delle Donne di Roma lavorano per renderla più corta e infine per cancellarla del tutto. Dove li vede i privilegi, la sig.a Raggi? L’attivismo sociale femminista non può essere equiparato a una pizzeria o una boutique cianciando di canoni di mercato. Le vite delle donne – e degli esseri umani in generale – non hanno prezzo.
Maria G. Di Rienzo