Spesso altre donne mi dicono che sto facendo un buon lavoro nell’alimentare determinazione e speranza in chi legge quel che scrivo/traduco.
Le mie scelte di sottolineare ogni vittoria femminista, per quanto piccola, di onorare l’impegno delle donne di qualsiasi età o provenienza, di demistificare senza posa le razionalizzazioni della violenza di genere, anche se raggiungono un pubblico limitato hanno quindi un impatto positivo.
Sapere questo è allo stesso tempo una gratificazione e un rovello: cosa faccio nei giorni come oggi, quando una raffica di notizie disturbanti al minimo e strazianti al massimo mi inchioda nella sofferenza?
Solo qualche esempio:
* In Paraguay una quattordicenne rimasta incinta a causa di uno stupro è deceduta partorendo: il suo paese non permette l’aborto a meno di grave rischio per la vita della madre. Era in ospedale per complicazioni relative alla gravidanza da venti giorni quando è entrata in travaglio. La ragazzina ha manifestato problemi respiratori mentre i medici tentavano di farla partorire normalmente, poi hanno deciso di praticarle il cesareo, durante il quale ha avuto un’embolia e tre arresti cardiaci. Poi è morta. La creatura che ha messo al mondo è attaccata ai macchinari, perché non respira autonomamente.
* Quegli stessi macchinari saranno scollegati nei prossimi giorni alla 16enne statunitense (del Maryland) in coma profondo, a cui l’ex ragazzo ha sparato “perché lo aveva lasciato”. Non ci sono speranze, morirà.
* Ad Arezzo, all’interno di quella che dovrebbe essere una comunità protetta, una bambina di 10 anni è stata abusata sessualmente da due altri minori (un 15enne e un 16enne) ospiti della stessa struttura.
* Dall’inizio del 2018, in Italia abbiamo avuto 24 femminicidi.
* Il piano contro la violenza di genere varato dal nostro governo per il triennio 2017-2020 e approvato da Stato e Regioni – e strombazzato in occasione del 25 novembre, Giorno internazionale contro la violenza sulle donne – non è in attuazione e non eroga ai Centri Antiviolenza i fondi che ha stanziato.
Vi riporto un brano di una recente conferenza della dott. Alice Han (“Violence Against Women and Girls: Let’s Reframe This Pandemic.”) che insegna ostetricia, ginecologia e biologia riproduttiva ad Harvard e all’Università di Toronto (Canada):
“Nella conversazione (ndt.: scaturita dalla campagna #MeToo) si nota l’assenza del come favorire la salute delle donne e ridurre la violenza contro donne e bambine. Tale violenza può essere fisica, emotiva o psicologica e prende molte forme, inclusi lo stupro, la violenza domestica, i matrimoni infantili, il traffico sessuale e i delitti d’onore. Come ostetrica e ginecologa che si occupa della salute delle donne e come epidemiologa che studia l’andamento delle malattie, sono arrivata a pensare alla violenza contro donne e bambine come a un’infezione pandemica. A differenza di una malattia virale, le cause alla radice di questa violenza sono sociopolitiche, come la diseguaglianza di genere. Ma proprio come il virus che causa l’influenza, le idee che guidano la violenza contro donne e bambine a diffondersi infettano e minacciano le società in tutto il mondo. (…) Abbiamo prove che interventi adeguati funzionano nel ridurre il numero dei casi di violenza contro donne e bambine – e non prendono generazioni per funzionare, bastano pochi anni. Per esempio, un programma in Uganda ha coinvolto i leader delle comunità e uomini e donne nell’apprendimento su come pareggiare in eguaglianza le dinamiche di potere in poco più di tre anni: ciò ha tagliato a metà il rischio, per una donna, di subire violenza fisica dal proprio partner.”
Nel finale, Alice Han indica ruoli e responsabilità di politici, sistema sanitario, personale che viene in contatto con le vittime di violenza ecc. – chiunque può dare una mano, ma la quasi totalità di queste persone non ha il minimo addestramento su come farlo.
Attiviste femministe e attiviste antiviolenza hanno un patrimonio di conoscenza pratica e teorica da fornire, mai utilizzato, mai preso come quel che è: il necessario fondamento per ridurre e infine eliminare la violenza di genere. Le istituzioni non ci sentono. Qual è il problema? No, non chiediamo compensi e neppure riconoscimenti: la maggior parte di noi fa questo gratuitamente ogni giorno, ovunque sia offerto un minimo spazio.
Ma voi riuscite a immaginare Di Maio, Salvini, l’utilizzatore finale Berlusconi o Renzi e compagnia disposti a osservare onestamente e criticamente le radici della violenza sulle donne? Ecco, neanch’io. Maria G. Di Rienzo