(tratto da: “Women’s Solutions For Climate Change”, un più ampio e dettagliato intervento di Diana Duarte, direttrice per le comunicazioni di MADRE, tenutosi alla 10^ Conferenza “Connettersi per il Cambiamento” del Marion Institute il 13 novembre 2014. Trad. e adattamento Maria G. Di Rienzo.)
MADRE è un’organizzazione internazionale per i diritti umani delle donne. Diventiamo partner delle donne nei movimenti di base per fare due cose. Uno – affrontare minacce immediate e migliorare le condizioni nelle loro comunità; due – lavorare per i loro diritti umani. Quando queste due cose si combinano, quando si collegano per il cambiamento, questo è il modo in cui creiamo giustizia sociale duratura. Voi siete venuti qui oggi per apprendere degli innovatori che si uniscono per creare cambiamenti positivi nelle loro comunità. E io sono qui per dirvi come le donne nei movimenti di base, in tutto il mondo, si stanno organizzando per affrontare una delle più grandi crisi dei nostri tempi: il cambiamento climatico.
Il mondo ha già raggiunto un punto di svolta nella sua capacità di assorbire gli impatti dannosi del rampante esproprio delle risorse. Anni di industrializzazione e di emissioni di gas a effetto serra non controllate hanno già cominciato a rilasciare una cascata di pericoli. Le tempeste sono più forti. Le siccità più lunghe e severe. Ci sono più inondazioni. Le linee costiere sono erose dall’alzarsi del livello dell’acqua.
Abbiamo bisogno di azione, subito. Abbiamo bisogno di politiche vincolanti da parte dei governi mondiali per ridurre ed eliminare le emissioni di gas a effetto serra. Questo significa cambiare i modi in cui produciamo e consumiamo il nostro carburante, il nostro cibo, i materiali di base della vita. Abbiamo bisogno di vivere in modo più sostenibile, nelle nostre comunità e globalmente. Vi dico tutto questo per trasmettere il concetto che viviamo in un momento di incredibile urgenza. Per creare le strategie migliori di cui abbiamo bisogno dobbiamo ricordare i modi in cui ogni cosa è connessa: persona con persona, istanza con istanza, crisi con crisi. Non possiamo permetterci le conseguenze dell’ignorare queste connessioni.
Una volta, mi trovavo ad un conferenza sul clima delle Nazioni Unite e dissi ad un altro partecipante che venivo da un’organizzazione per i diritti umani delle donne. Lui chiese: “E allora perché sei qui, esattamente? Che connessione c’è fra il cambiamento climatico e le donne?” Penso sia importante prenderci il tempo di rispondere a questa domanda. In primo luogo, il cambiamento climatico non è neutro al genere. Le donne e gli uomini hanno ruoli sociali distinti, ruoli che le attiviste per i diritti delle donne hanno spesso sottolineato e sfidato. Ma questi ruoli differenti, così come esistono oggi, significano che donne e uomini subiscono dal cambiamento climatico un impatto diverso.
In quasi ogni società, le donne sono responsabili dell’assicurare cibo, acqua e – in particolar modo nel sud globale – combustibili e piante medicinali. E queste risorse dipendono dalla stabilità del clima. Ciò mette le donne al cuore dell’economia e dell’ambiente in tutto il mondo. In breve, la vita delle donne si basa di più sugli ecosistemi che sono minacciati dal cambiamento climatico. E’ generalmente riconosciuto che sono i poveri ad essere colpiti per primi e più gravemente dal cambiamento climatico. Pochi, tuttavia, riconoscono che la maggioranza dei poveri sul pianeta sono donne.
Pochi riconoscono come povertà e discriminazione di genere interagiscono con il cambiamento climatico producendo risultati mortali per donne e bambine. Considerate, ad esempio, che il diseguale accesso alle risorse all’interno delle comunità, o persino all’interno delle famiglie e delle case, sottrae la rete economica di sicurezza di cui le donne hanno necessità durante e dopo una calamità naturale. Considerate, anche, che gli studi hanno provato come le calamità naturali uccidano un numero 3 o 4 volte maggiore di donne rispetto agli uomini. A volte è perché mentre le acque dell’inondazione si stanno alzando, le donne sono in casa a prendersi cura di bambini e anziani e non riescono a scappare al momento dell’allarme. A volte è perché alle donne sono negate istruzione e accesso alle informazioni, il che mette gli avvisi precauzionali fuori dalla loro portata.
Ma le donne non sono solo vittime dei danni climatici. Sono potenti fonti di soluzioni. Le donne, storicamente, hanno sviluppato i tipi di soluzioni sostenibili locali ai problemi ecologici che ora noi dobbiamo adattare e replicare per confrontarci con il cambiamento climatico. Queste soluzioni includono l’agricoltura sostenibile, la preservazione della biodiversità, l’assicurare provviste di acqua eccetera. Le donne hanno costruito case resistenti al vento in Bangladesh. Sono diventate un sindacato per mettere in comune le loro conoscenze come agricoltrici di sussistenza in Sudan. E in tutto il mondo stanno divisando strategie per combattere le cause del cambiamento climatico.
Quando fronteggiamo un problema su larga scala, come il cambiamento del clima, è facile presumere che esso richieda soluzioni su larga scala. E, in effetti, abbiamo bisogno di un responso globale coerente. Ma le pratiche di sostenibilità – in agricoltura, industria, energia, forma delle comunità e persino governi – accadono in posti specifici.
Solo due settimane fa, sono tornata da un viaggio in Nicaragua. Ci sono andata per un’occasione speciale, un forum annuale organizzato da un’associazione locale di donne indigene che è nostra partner e si chiama “Wangki Tangni”. Il forum ha portato oltre 1.000 donne in una piccola città chiamata Waspam, nel nord del Nicaragua. Molte di queste donne avevano viaggiato per giorni per arrivarci, alcune a piedi, altre su barche lungo il fiume Rio Coco. Ho incontrato una donna che aveva viaggiato per due giorni in canoa, con la sua figlioletta di un mese legata sul petto, solo per poter partecipare al forum. Perché le donne sentivano che era così importante esserci? Lo abbiamo chiesto ad alcune di loro. Parecchie erano leader nei loro villaggi e facevano lavoro organizzativo per migliorare le condizione delle loro comunità e famiglie. Volevano incontrare altre donne attiviste della regione, per condividere storie ed esperienze. E volevano la possibilità di presentare le loro richieste alle autorità locali che partecipano al forum.
Ma di continuo, ci dicevano anche questo: il cambiamento climatico è una chiara minaccia presente nelle loro vite e fra la loro gente. La vedono negli schemi irregolari del tempo atmosferico che rendono i raccolti imprevedibili e mettono in pericolo le loro riserve di cibo. La vedono nelle tempeste intensificate che hanno colpito la costa nordatlantica del Nicaragua. Queste tempeste tropicali hanno spazzato via le coltivazioni, rendendo la sicurezza relativa al cibo ancora più precaria. Solo la settimana scorsa, piogge torrenziali hanno reso sfollate 33.000 persone in Nicaragua.
Durante il forum, le donne hanno raccontato delle soluzioni che hanno trovato. Per esempio, con il sostegno di MADRE, le nostre partner hanno stabilito una banca dei semi. Da un raccolto all’altro, raccolgono e preservano sementi. Ciò conserva la biodiversità locale e protegge lo stoccaggio delle sementi dagli uragani devastanti associati al cambiamento climatico. In questo modo, le donne indigene a livello di base modellano il potenziale di un intervento su piccola scala traendone risultati assai più grandi. L’impatto non è solo nel promuovere il benessere delle donne, la sicurezza locale sul cibo e le alternative all’agricoltura industrializzata: mostra anche che tipo di risposta ci serve al cambiamento climatico, e cioè una che sia controllata dalla comunità e democratica. In altre parola, la banca dei semi ci dà anche un indizio su ciò che è possibile quando le persone sono in controllo diretto delle loro provviste alimentari.
Se non riconosciamo la leadership delle donne indigene, a livello locale e globale, è una connessione che va persa, quel tipo di connessione che non possiamo permetterci di perdere mentre il tempo erode le nostre opportunità di evitare le conseguenze peggiori del cambiamento climatico. Le voci di queste donne devono essere udite ai tavoli ove si disegnano politiche sul clima. Dobbiamo assicurarci che le politiche ambientali siano informate da una prospettiva che vede come genere e clima siano in relazione. E ciò è critico per tre ragioni:
Primo – come ho già detto, gli impatti del clima sono specifici rispetto al genere. Le politiche che riconoscono ciò sono più capaci di proteggere la popolazione, in particolar modo la sua parte più vulnerabile (neonati, bimbi, malati, disabili, anziani) di cui le donne si curano direttamente.
Secondo – se ignoriamo il genere nelle politiche relative al clima, non solo perdiamo la possibilità di proteggere i più vulnerabili: li mettiamo ad un rischio ancora maggiore. Pensate a quei meccanismi di allerta che operano solo in spazi pubblici ove alle donne l’accesso è negato.
E infine, terzo – senza un’analisi di genere, le politiche sul cambiamento climatico perdono un’opportunità cruciale intrinseca alla minaccia che affrontiamo. Il nostro responso globale alla crisi climatica è la nostra possibilità di re-immaginare le nostre economie e le nostre società. Di fatto, è l’unico aspetto positivo della crisi. Ma afferrare tale opportunità richiede azioni che siano visionarie, olistiche, eque e coraggiose. Chi disegna le politiche ambientali e gli attivisti ecologisti e gli altri portatori d’interesse primario devono consultarsi con le donne locali come esperte, non solo come vittime. Devono anche sostenere le richieste delle donne per mettere fine alle molteplici forme di discriminazione che sono loro d’impedimento.
Questa è una parte essenziale del lavoro di MADRE. Da decenni, ormai, lavoriamo con una comprensione dei modi in cui le condizioni locali sono interessate da decisioni prese molto distante, spesso da politici con scarsa conoscenza dei popoli e dei luoghi su cui decidono. Il cambiamento climatico ci chiama a dare potere all’attivismo locale affinché abbia voce nelle politiche globali.
Di recente ho letto un libro di una scrittrice che si chiama Rebecca Solnit. Il titolo del libro è “Speranza nell’oscurità” e comincia con una citazione di Virginia Woolf che dice: Il futuro è oscuro, il che tutto sommato è la miglior cosa che il futuro può essere, penso. Pensando al cambiamento climatico è facile sentirsi travolti e spaventati. Vediamo che il futuro è oscuro e ci preoccupiamo delle cose terribili che ci aspettano dietro l’angolo. Ma il futuro è oscuro anche perché non sappiamo cosa viene dopo – e noi abbiamo il potere di dar forma a questo dopo.
Vorrei condividere con voi un brano ispirativo del libro di Rebecca Solnit: “Dico tutto ciò a voi perché la speranza non è un biglietto della lotteria a cui aggrapparsi stando sul divano e sentendosi fortunati. Dico questo perché la speranza è un’ascia con cui tirar giù ostacoli, perché prenderà tutto quel che avete per spingere il futuro lontano da guerre infinite, dall’annichilimento dei tesori della Terra e dall’orribile affossamento delle persone povere e marginalizzate. La speranza significa solo che un altro mondo sarebbe possibile, non promesso, non garantito. La speranza chiama all’azione; l’azione è impossibile senza la speranza.”
C’è speranza al cuore di ogni parola che vi ho detto qui oggi. Quando le donne si organizzano per proteggere le loro comunità dal cambiamento climatico è a causa della loro costante e irrefrenabile speranza nelle possibilità del futuro.