(“We must act in Iraq!”, di Ala Riani per Kvinna till Kvinna, 14 agosto 2014, trad. Maria G. Di Rienzo. Ala Riani è membro della Fondazione Kvinna till Kvinna in Kurdistan, la sua immagine è di Yolanda Gomez Hurtado.)
Scrivo da Erbil, la capitale della regione del Kurdistan iracheno, che sin dalla caduta del regime di Saddam è riuscita a tener distante il caos e le esplosioni che prevalgono nel resto del paese. Ora quest’oasi, in cui le minoranze nazionali si sono rifugiate fuggendo dall’oppressione, è in grave pericolo.
Le forze peshmerga curde (Ndt: il termine indica sia i combattenti indipendentisti sia, come in questo caso, le forze armate del governo regionale autonomo) stanno lottando disperatamente per mantenere la sicurezza che ISIS sta minacciando.
Ieri sono stata al telefono tutto il giorno a parlare con le attiviste per i diritti delle donne che mi hanno descritto le loro profonde preoccupazioni. Con voci spezzate dicono della loro paura, di come i loro quartieri e le loro città trabocchino di persone che fuggono da ISIS. Parlano di una crisi umanitaria. In televisione ci sono solo le ultime notizie al proposito. Nelle strade e nei bar si parla solo delle forze peshmerga curde, di che città o che villaggi sono stati liberati o perduti a vantaggio di ISIS lungo i 1050 chilometri di confine che viene difeso.
Un’attivista di Warvin (Ndt.: ong curda femminista e antimilitarista) mi ha detto che si sente paralizzata da quando le forze di ISIS sono entrate nella città di Shingal ed hanno spinto 200.000 Yezidi sulle montagne, dove sono ormai dispersi da una settimana. Circa 100 fra bambini e adulti sono morti della mancanza di acqua e cibo in una calura da 50 gradi. In una settimana, centinaia di migliaia di rifugiati hanno raggiunto Erbil. L’attivista di Warvin mi ha detto che i rifugiati dalla Siria sono stati praticamente abbandonati a causa di tutti questi nuovi arrivi. Si stima che ora vi siano un milione e mezzo di rifugiati in Kurdistan, che conta una popolazione propria di cinque milioni. In alcune città ci sono più rifugiati che abitanti.
Le chiese sono piene di cristiani che sono fuggiti dal terrore. La gente dorme sotto le siepi o sui materassini che sono stati distribuiti. Nei parchi, decine di migliaia di rifugiati si sono sistemati sull’erba, senza rifugio e senza rifornimenti. Restano seduti là, a piangere i loro cari scomparsi. Il governo curdo sottostà ad un’intensa pressione e non ha abbastanza risorse per aiutare tutti i rifugiati, così la gente comune sta raccogliendo in proprio denaro, cibo e oggetti per quelli che ne hanno bisogno.
Allo stesso tempo, molte testimonianze ci stanno arrivando. Questa guerra è disumana sotto ogni aspetto, decapitazioni, fucilazioni di massa ed espulsioni. E ora ci stanno arrivando i rapporti sugli stupri di massa. Le donne muoiono dissanguate dalle ferite inferte durante la violenza sessuale. Ci raccontano di stupri di gruppo e di cacce in gruppo a giovani donne da rendere schiave. Una volta di più le donne sono usate come attrezzi e i loro corpi sono mezzi per demoralizzare il nemico. Oggi, le notizie diffuse dai media qui ad Erbil si sono concentrare sulle storie di queste donne coraggiose, che osano venire allo scoperto e testimoniare gli abusi che hanno sofferto. Le forze di ISIS le stanno stuprando e poi le rilasciano in modo mirato, affinché possano dire ad altre cose devono aspettarsi: è una strategia di intimidazione barbarica.
Sembra che siano state fucilazioni di massa di donne e bambini, e che delle persone siano state sepolte vive. Nella scorsa settimana circa 500 donne Yezidi sono state catturate da ISIS nella città di Mosul. Alcune di esse sono state vendute ai trafficanti del mercato del sesso e degli schiavi. ISIS sta usando questi mezzi anche in Siria, commettendo crimini di guerra e infrangendo le convenzioni internazionali. In Medio Oriente, la donna è il simbolo della famiglia e della società: abusare di lei, umiliarla e torturarla è fare lo stesso alla sua famiglia e alla comunità a cui appartiene.
Le Nazioni Unite hanno classificato la situazione come al più alto grado di crisi. I rifugiati che sono ancora dispersi hanno bisogno di essere soccorsi. Quelli che sono riusciti a scappare hanno bisogno di acqua, cibo, medicine, rifugio e sostegno psicologico.
Abbiamo disperatamente bisogno dell’aiuto internazionale e dell’assistenza umanitaria!
Ndt: Il giorno 13 agosto 2014, il capogruppo M5S alla commissione Esteri alla Camera, Manlio Di Stefano, rilascia un’intervista a La Stampa per spiegare dichiarazioni grilline quali: “fenomeni radicali come l’Isis sarebbero da approfondire con calma e rispetto”. E mostrando di essere davvero competente e informato lo fa così: “Noi occidentali abbiamo dato per scontato che la nostra fosse l’unica democrazia possibile. Affrontare le cause con rispetto significa interrogarsi se non ci siano altre forme di governo e di democrazia che vanno bene per i posti dove sono”. Una forma di governo e democrazia che massacra le donne in ogni senso, da quello fisico a quello del godimento dei loro diritti umani, può infatti andar bene per i posti dove quelle donne sono. Di Stefano mica è una donna, dopotutto, e mica è in quei posti. Avere in Parlamento gente di questo tipo non invita proprio a mantenere la “calma”, quanto al “rispetto” io lo tributo alle persone (e agli esseri viventi in genere), avendo tutto il diritto e persino il dovere di non rispettare affatto le loro eventuali azioni infami. Quando i cinquestelle affermano “Noi restiamo pacifisti senza se e senza ma” riducono il pacifismo ad una barzelletta se non sono capaci di opporsi ad ogni guerra e ad ogni uso della violenza nelle controversie nazionali e internazionali, non solo a ciò che fa loro comodo o che il loro guru gli suggerisce.