Cosima Herter (a destra nell’immagine) è la persona reale a cui si ispira il personaggio di Cosima (Tatiana Maslany, a sinistra) nello sceneggiato Orphan Black, nonché consulente scientifica di quest’ultimo. Quest’anno, i titoli della quinta e ultima stagione delle serie Cosima Herter li ha scelti a partire da una poesia di Ella Wheeler Wilcox (1850 – 1919), “Protest” – “Protesta”.
Il 10 giugno u.s., in un lungo e appassionato articolo per il sito ufficiale della rete televisiva BBC America, ha spiegato il perché. Dopo aver raccontato che ogni volta in cui come scrittrice prova scarsa di fiducia in se stessa o mancanza di ispirazione si rivolge abitualmente alla poesia e che quella citata in particolare la commuove da quando era adolescente, Cosima Herter dice:
“Sentivo che, per la stagione conclusiva di Orphan Black, i titoli dovevano essere meno specificatamente scientifici o teorici (…) ma inclusivi di alcuni dei temi più importanti – almeno per me – che fanno da sottotesto all’intero show: l’autonomia corporea, l’avere una propria agenda politica e personale, la resistenza continuata all’oppressione e all’autorità ideologica, il coraggio, la speranza e il cambiamento. (…)
Io sono stata la prima e l’unica figlia della mia famiglia a essere nata in Canada. I miei genitori, nati in America e figli loro stessi di immigrati della classe lavoratrice, si trasferirono in Canada come obiettori di coscienza poco prima che mia madre mi mettesse al mondo nel 1970. Mi è stato insegnato a mettere in discussione l’autorità, sono stata guidata a pensare in modo critico, spinta ad aprire cuore e mente a idee che stavano fuori dal convenzionale e generalizzato sistema educativo. “Volevo qualcosa di meglio per i miei figli.”, mi diceva spesso mia madre, ora deceduta. Si lamentava del fatto che avrebbe voluto altri bambini “Ma tu, Cosima, sei stata l’ultima.” Mi raccontò che io ero nata con un parto cesareo e che mentre lei era anestetizzata era stata sterilizzata senza che ne fosse consapevole o che avesse dato il proprio consenso. Quando fu conscia di cos’era accaduto, la spiegazione che le diedero fu che aveva “già troppi bambini e a stento poteva dar loro sostentamento nelle sue condizioni” (economiche, ndt.) Io ero la quarta figlia. Nonostante la faccenda fosse illegale, mia madre ebbe la sensazione di non potersi opporre, che non vi fosse luogo ove presentare una lamentela e nessuno a cui appellarsi per avere aiuto. Non poteva protestare.
La donna con cui vivo è immigrata in Canada da bambina; l’inglese è la sua seconda lingua e proviene da una fede con una lunga e violenta storia di persecuzione. (…) Abbiamo passato più di una notte tentando di riconciliare le storie delle nostre famiglie con i nostri attuali privilegi dell’avere la possibilità di vivere in un luogo relativamente sicuro, dell’avere il diritto civile di amare una compagna che abbiamo scelto, dell’avere autonomia corporea, diritto di voto, di possedere cose, di accedere all’istruzione, di essere donne indipendenti, di riunirci in dimostrazioni pubbliche contro la tirannia e l’avidità.
Questi sono privilegi nati dalle schiene di coloro che hanno protestato prima di noi – e di quelli che continuano a protestare – che si sono riuniti in dimostrazioni e ancora si riuniscono sotto la minaccia del carcere e della morte, che si sono sollevati insieme nel convincimento che la protesta è importante, che hanno rifiutato di rimanere in silenzio, che hanno osato parlare contro le ingiustizie.
“La protesta – mi ha sussurrato una sera (la donna di cui sopra, ndt.) non riguarda semplicemente il presente. La protesta riguarda l’avere fiducia in un futuro diverso, meno oppressivo, che dev’essere ancora immaginato.” E’ la ragione per cui lei e io abbiamo le opportunità che abbiamo. E’ la ragione per cui lei e io ci uniamo a manifestazioni pubbliche per lottare al fianco delle nostre sorelle e fratelli. E’ la voce della nostra angoscia e la voce della nostra speranza. La protesta non è solo il tentativo di frantumare le strutture esistenti di diseguaglianza, ma la perseveranza verso un futuro differente.” Maria G. Di Rienzo