(brano tratto da: “The women behind El Salvador’s historic environmental victory”, di Daniela Marin Platero e Laila Malik per Awid, 11 aprile 2017, trad. e adattamento Maria G. Di Rienzo.)
In un’epoca in cui le corporazioni multinazionali portano in tribunale i governi in tutto il mondo, per avere il diritto di estrarre risorse naturali a spese della terra e dei popoli che la abitano, la prospettiva di vittoria sembra a volte fievole.
Ma questo mese, in Salvador, la marea è cambiata. Prendendo una decisione che stabilisce un precedente a livello globale, il paese latino-americano ha bandito l’estrazione mineraria di metalli in tutta la nazione. Era il solo modo di fermare il progetto “El Dorado” di una compagnia canadese-australiana che intendeva cercare oro nella regione centrale del Salvador: la realizzazione del progetto – in un paese che ha risorse idriche scarse e inquinate – avrebbe messo a serio rischio di contaminazione il fiume Lempa, fonte d’acqua per il 77,5% della popolazione salvadoregna.
Il bando è il coronamento di 11 anni di proteste da parte delle comunità locali, in cui le donne sono state le principali attiviste: organizzando marce e blocchi stradali e seminari informativi hanno difeso territori e diritti umani.
Carolina Amaya (in immagine qui sopra), femminista ecologista e fondatrice del Tavolo Nazionale contro l’estrazione metallifera, dice che il bando chiuderà 25 progetti che si trovavano in fase esplorativa e annullerà i permessi di sfruttamento conferiti alla compagnia transnazionale “Commerce Group”. Amaya, Antonia Recinos – Presidente dell’Associazione per lo sviluppo socioeconomico Santa Marta (prima immagine qui sotto) e Vidalina Morales (seconda immagine qui sotto) sono tre delle donne che hanno passato anni a lottare in prima linea, ispirando e motivando centinaia di altre. Alcune, durante questa lotta, sono cadute: la loro compagna Dora Alicia Sorto, membro del Comitato Ambientalista di Cabañas, è stata uccisa nel 2009, quando era incinta di otto mesi.
Amaya dice anche che la lista delle cose da fare rimane lunga, incluso l’assicurarsi il pagamento dei risarcimenti dalla compagnia mineraria Oceana Gold che ha distrutto ecosistemi e relative comunità, il lavorare su consultazioni popolari per stabilire comuni liberi dall’attività estrattiva, il rafforzare l’organizzazione della resistenza in vista di possibili cambi di governo e il premere per l’approvazione di protezioni legali quali la legge sull’acqua e la ratificazione di impegni presi per sostenere la protezione di assetti naturali.
Vidalina Morales aggiunge che il sentiero per andare avanti è molto chiaro: “Noi siamo le legittime proprietarie dei nostri territori e dei nostri corpi. Non possiamo continuare a vivere senza proteggere e accudire i nostri beni comuni. Dobbiamo intensificare gli impegni organizzativi a ogni livello e lavorare alla costruzione e alla difesa di progetti alternativi.”