Il 13 agosto scorso in Perù si è dimostrato contro la violenza diretta alle donne e contro l’indifferenza del sistema giudiziario che la favorisce. Solo nella capitale, Lima, hanno sfilato in oltre cinquantamila, ma la manifestazione ha toccato altre otto città. Il brano che segue è parte del resoconto della protesta fatto da Enmita Marin (medica peruviana, madre single e femminista):
“Attorno alle 15.30 il nostro gruppo di 11 amiche era pronto a muoverci, ma non ci riuscivamo: c’era così tanta gente, infatti, che chi apriva la marcia stava già camminando a circa quattro chilometri di distanza davanti a noi. C’erano donne e anche uomini, padri con i figli maschi e femmine in braccio, madri con i piccoli legati alla schiena o in carrozzella, c’erano gruppi di sportive e suonatrici di tamburo. Il primo slogan è stato: No è No, ti dico No, quale parte non capisci? E’ la “enne” o è la “o”? Ad ogni passaggio la frase acquisiva intensità maggiore fra la folla. Ho visto madri insegnarla a bambine di forse cinque anni. Ho visto un bimbetto con un cartello su cui stava scritto “Mia madre non ha cresciuto uno sciovinista!”. In quel momento mi è davvero dispiaciuto non aver portato con me il mio figlioletto, di modo che potesse vedere il potere del popolo che protesta e reclama giustizia, eguaglianza di diritti e la fine della violenza.
La manifestazione è stata organizzata anche per attirare l’attenzione del governo e della magistratura del paese su due casi particolari:
il caso di “Arlette”: una donna che è stata inseguita, picchiata e trascinata per i capelli sul pavimento dell’atrio di un albergo dal suo ex fidanzato che intendeva stuprarla. Costui non ha mostrato alcuna vergogna durante tutta la durata della faccenda sebbene fosse ripreso dalle telecamere di sicurezza e visto dallo staff dell’albergo. Il verdetto dei giudici sostiene che non si tratta di tentata violenza carnale, che le ferite riportate dalla vittima sono di leggera entità e che bisogna considerare l’influenza dell’alcool sull’aggressore: perciò, è stato rilasciato;
il caso di “Lady”: una giovane donna che è stata massacrata di botte dal fidanzato. L’ha presa ripetutamente a pugni in faccia, le ha strappato le palpebre a morsi e le ha sfasciato più volte la testa contro il muro. La condanna sono “4 anni di pena sospesa”: cioè, costui non andrà in prigione a meno che non infranga di nuovo la legge.
Uno dei momenti più significativi della marcia è stato l’arrivo di un gruppo di donne che erano venute a Lima facendosi tutta la strada dalle montagne peruviane, vestite nei loro costumi tipici (polleras e ponchos). Ho capito di colpo che erano vittime della sterilizzazione forzata inflitta dal governo durante gli anni ’90 a circa 300.000 donne, sottoposte alle procedura senza il loro consenso dopo il parto e nelle condizioni sanitarie più terribili.
Queste donne coraggiose camminavano in silenzio e di tanto in tanto una di loro suonava un tipo di corno che noi chiamiamo pututu. Ogni volta in cui il suono del corno si levava mi veniva la pelle d’oca su tutto il corpo e il cuore traboccava: volevo avvicinarmi, abbracciarle e dire loro quanto mi dispiaceva… Allo stesso tempo, ho capito che non ho in me nemmeno un grammo della forza che queste donne mostravano nella loro marcia silenziosa. Ho ricordato tutte le volte in cui non ho lottato per i miei diritti lasciando che la paura mi sopraffacesse, tutte le volte in cui ho permesso a qualcuno di chiamarmi “sciocchina”, tutte le volte in cui non ho detto niente quando qualcuno si è appropriato del mio lavoro e dei miei successi…
Cosa vogliamo? / GIUSTIZIA! / E quando la vogliamo? / ORA! – questo è stato un altro degli slogan più usati durante la protesta. E’ stato un evento potente per molte ragioni e, a livello personale, mi ha aiutata a ricordare che non sono sola, che sono circondata da altre donne che vogliono giustizia per se stesse, per i loro figli e per le loro amiche: mi ha aiutata a ricordare, soprattutto, che non devo permettere mai a nessuno di infliggermi alcun tipo di danno.
Se delle donne che camminano in silenzio possono ispirare tale soggezione e trasmettere il senso del loro potere, chi può dire quale tipo di potere donne che scrivono, parlano e gridano sono in grado di impugnare e canalizzare?”
Maria G. Di Rienzo