
Ne’ la terra ne’ le donne sono territorio di conquista
(brano tratto da: “How Young Feminists are Tackling Climate Justice in 2016”, di Maria Alejandra Rodriguez Acha, 7 marzo 2016, trad. Maria G. Di Rienzo. L’Autrice è una giovane antropologa peruviana, educatrice, attivista femminista e ecologista.)
Le esperienze di base stanno spostando con fermezza la nostra conoscenza del cambiamento climatico: da fenomeno astratto relativo ai livelli di carbonio e agli impatti futuri a un’istanza sempre più tangibile e sfaccettata, che sta collegando diversi tipi di lotta sociale, ambientale ed economica.
Stiamo sempre più riconoscendo e rivelando che il cambiamento climatico non riguarda le sole emissioni di carbonio ma un sistema economico e politico che produce emissioni in grande quantità per mantenere i suoi ingranaggi in movimento e la sua crescita costante. E’ lo stesso sistema che, nonostante la sua capacità di generare ricchezza finanziaria, ha mantenuto e esacerbato la povertà e la diseguaglianza nelle loro varie forme.
Come propugnatrici della giustizia climatica, noi riconosciamo le cause che stanno alle radici della crisi climatica: il fatto che mentre prendiamo dalla Terra per produrre e consumare, per abilitare questo processo prendiamo anche risorse, suolo e diritti da altri. Il cambiamento climatico che risulta da tale processo di sfruttamento aumenta ulteriormente le disparità, poiché il suo impatto colpisce più duramente popolazioni vulnerabili – quelle che meno hanno contribuito alla crisi. E fra costoro, sulla prima linea degli impatti del clima stanno i corpi, le vite, i mezzi di sussistenza delle donne in tutto il mondo, in particolare delle donne rurali e indigene.
Le donne sono metà della popolazione mondiale, pure non sorprende che le nostri voci e prospettive continuino a essere indebolite e silenziate dalla violenza di genere, da ruoli di genere soffocanti, dalla leadership politica perennemente sbilanciata e dalle diseguaglianze economiche fra uomini e donne. Di fronte al cambiamento climatico, questa non uguaglianza di diritti, risorse e potere si esprime in modo assai lampante nelle nette differenze fra i tassi di mortalità e di vulnerabilità ai disastri naturali, in particolare per le donne delle aree rurali e per quelle che vivono sotto la soglia di povertà.
Come dicono le ecofemministe africane ( http://womin.org.za/ ):
“Sono gli oltre 500 milioni di contadine e di donne della classe lavoratrice che portano il peso degli effetti immediati e a lungo termine sia dell’estrazione di combustibili fossili e della produzione di energia, sia delle false soluzioni alla crisi climatica. Ciò accade a causa della divisione patriarcale-capitalista del lavoro: noi abbiamo maggiori responsabilità per la produzione agricola e la riproduzione sociale di famiglie e comunità e siamo strutturalmente escluse dal processo decisionale.” (…)

Azioni multiple, dimostrazioni e interventi che chiedono giustizia climatica, redistribuzione e soluzioni eque in fatto in materia di genere e si concentrano su istanze incrociate come la militarizzazione (una fonte primaria di emissione che non è inclusa in alcun impegno di mitigazione nazionale), hanno galvanizzato i vari gruppi di attivisti e attratto l’attenzione dei media. Il momento politico ha anche offerto spazio alla creazione di nuovi gruppi, da LGBTI pour le Climat (Persone LGBTI per il Clima) a Young Feminists for Climate Justice (Giovani femministe per la giustizia climatica). (…)
Dal punto di vista della giustizia climatica, affrontare le cause che stanno alla radice della crisi richiede anche occuparsi delle diseguaglianze sociali e sradicare le forme di oppressione che anche i movimenti possono riprodurre, incluse le diseguaglianze di genere. Ciò include onorare il fatto che le prime linee abitate dalle donne in tutto il mondo non sono solo linee di crisi, ma anche prime linee di cambiamento. Le lotte locali e nazionali contro l’infrastruttura dei combustibili fossili, di cui una delle più conosciute è la vittoriosa campagna contro l’oleodotto XL della Keystone, sono nei molti casi meno conosciuti in giro per il mondo guidate da donne, i cui corpi e i cui territori costituiscono le prime linee degli impatti delle estrazioni, anche quando queste donne sono soggette a violenza sessuale e repressione.
Come movimenti, dobbiamo dare riconoscimento ai differenti contesti in cui la difesa dell’ambiente e del clima hanno luogo e lottare per la protezione delle difensore dei diritti umani delle donne, ovunque. Il recente omicidio di Berta Cáceres non dovrebbe essere visto come un incidente isolato, ma come parte della crescente violenza che cerca di sopprimere le voci degli ambientalisti e delle donne, in particolar modo nel Sud globale.
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