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Ayleen Diaz - Nuestro Cuerpo

“Tu sei bella proprio con tutte le tue curve, con tutte le tue forme e colori. Non c’è bisogno di fare standard di bellezza. In realtà, la bellezza arriva in milioni di modi diversi, tutto dipende da come tu vedi le cose. Puoi mettere in luce la tua propria bellezza. Disegnando tipi di corpi differenti e differenti tipi di capigliature, voglio che la gente impari come tutto è bello.”

Ayleen Díaz, architetta e illustratrice, Perù (l’immagine sopra “Nostro corpo – nostro potere” è di un suo dipinto).

Specchiatevi. L’immagine seguente è di Carla Llanos, illustratrice cilena che vive in Gran Bretagna. La scritta sul dorso della ragazza con in mano un disco di Janis Joplin dice: “Ho bisogno di soldi, non di ragazzi”.

carla llanos

Donne insieme, corpi veri anche per Alja Horvet, illustratrice 22enne slovena.

alja horvat

E qui c’è un’opera della brasiliana Brunna Mancuso (non è un errore, il nome ha proprio due “enne”).

brunna mancuso

Mi avete detto, in sintesi, che avete difficoltà a uscire dagli stereotipi imposti su di voi, a vedervi con altri occhi. Oggi potete usare quelli pieni di passione di queste giovani artiste. Ricordate: proprio come dice Ayleen Díaz il vostro corpo è il vostro potere. Non cedetelo. Non riducetelo. Non minate la sua forza. Celebratelo.

Maria G. Di Rienzo

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“Non una donna di meno, non una morte di più.”, Susana Chavez Castillo, attivista e poeta messicana, morta assassinata.

Eyvi Agreda

Venerdì 1° giugno scorso, la giovane donna che vedete nell’immagine è morta. Si chiamava Eyvi Agreda, era peruviana e aveva 22 anni. Gli ultimi due li aveva passati a cercare di difendersi da un persecutore, Carlos Hualpa, ora 37enne: la polizia non ha dato retta alle sue denunce di stalking.

In aprile, il sig. Hualpa è salito sullo stesso autobus su cui si trovava la giovane, l’ha cosparsa di benzina e le ha dato fuoco mentre le diceva: “Se non sei mia, non sarai di nessuno.”

Il corpo di Eyvi arrivò allora in ospedale ancora vivo, ma coperto per il 60% di ustioni di secondo e terzo grado – poi le ferite si sono infettate.

Sul tardi, il giorno della sua morte, il Presidente del Perù Martín Vizcarra ha fatto le condoglianze alla famiglia e ha chiesto l’ergastolo per l’assassino, aggiungendo però che “A volte la vita va così e dobbiamo accettarlo.”

Sabato 2 giugno le femministe erano – ovviamente – in piazza: perché essere bruciate vive dal primo che passa, ti guarda, decide che sei “sua” e ti perseguita per 2 anni prima di ucciderti in modo atroce non è proprio come la vita “va” e sicuramente non è come la vita dovrebbe andare. Mentre chiedevano giustizia per i casi di femicidio e la fine dell’impunità per i perpetratori, donne del movimento Ni Una Menos sono state attaccate dalla polizia con i lacrimogeni.

Il clima nel paese è pesante: nei primi quattro mesi del 2018, secondo le statistiche ufficiali, ci sono stati 43 omicidi di donne e 103 tentati omicidi, una crescita del 26,4% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente; circa il 20% dei detenuti peruviani sono in carcere per crimini sessuali, in particolar modo per abuso di minori; la destra, che ha la maggioranza in Parlamento, è occupata a esacerbare la situazione assieme a gruppi evangelici e settori della chiesa cattolica farneticando sull’ “ideologia gender che promuove l’omosessualità”, perciò vogliono rimuovere il concetto di eguaglianza di genere da quei programmi di insegnamento in cui è inserito.

E’ molto intelligente (sono ironica), se ci pensate, perché è l’eguaglianza di genere a NON prevedere il possesso di una persona da parte di un’altra, a non tollerare in assoluto il concetto “O mia o di nessuno” che giustifica i femicidi… e quindi, non parliamone più: meglio una catasta di cadaveri femmine che un solo maschio “infrocito” dall’aver udito come le donne siano esseri umani a lui eguali, come lui libere di decidere, come lui titolari di diritti umani, a cui come a lui si deve rispetto.

“Eyvi è stata uccisa da Carlos Hualpa ma anche dal machismo presente nello stato e nella società. – ha scritto Veronika Mendoza, leader del partito di sinistra “Nuevo Peru”, in un tweet diretto al Presidente Vizcarra – Promuova politiche con un focus sul genere per prevenire e sradicare la violenza, non permetta che continuino a ucciderci: questo è nelle sue mani.”

Maria G. Di Rienzo

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magda

(“Una esperanza i el mar”, di Magda Portal – in immagine – trad. Maria G. Di Rienzo. Magda, nata nel 1900 e morta nel 1989, è stata una poeta, saggista e scrittrice femminista, nonché un’attivista politica fondatrice dell’APRA – Alleanza popolare rivoluzionaria americana che diventò partito in Perù nel 1931. La sua vita è stata segnata dall’esilio, dalla clandestinità forzata, dalla prigione – per esercitare pressione su di lei anche sua madre, sua sorella e la sua figlia bambina furono incarcerate – ma nulla riuscì a cambiare la sua visione della giustizia sociale e dei diritti delle donne. Lasciò APRA nel 1949, quando il partito si era ormai nettamente distanziato dall’originaria prospettiva anti-imperialista e il suo membro Haya de la Torre dichiarò che le donne potevano essere considerate solo simpatizzanti dell’APRA e non membri effettivi, poiché non votavano. Anni più tardi, un emissario del partito riavvicinò Magda, chiedendole di riconsiderare la sua posizione. Lei gli rispose secca: “Io avanzo, non retrocedo.”)

UNA SPERANZA E IL MARE

Non ho origine

amo la terra

perché vengo dal seno della Terra

però tengo le braccia

protese verso il mare

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(brano tratto da: “Making Women Proud: Rosa Palomino Chahuares and the Women of UMA”, un più lungo articolo di Angelica Rao per Cultural Survival, marzo 2017. Trad. e adattamento Maria G. Di Rienzo.)

rosa

Ci sono alcune persone in questo mondo che davvero illuminano una stanza con la loro presenza. Quando incontri Rosa Palomino Chahuares ti è chiaro che lei è una di esse. Ha un sorriso e una luce nello sguardo che danno energia e ispirano, e il suo indefesso lavoro di una vita intera, diretto a sostenere i diritti delle donne indigene nelle comunità rurali Aymara, ti ricorda che potenziale hai per sconfiggere le avversità quando sei impegnata, ottimista e ti curi davvero della tua causa. “Penso sia questo a distinguerci da altri gruppi, il nostro ottimismo. – dice Chahuares – Noi restiamo sempre positive e crediamo che cose buone accadranno.”

Chahuares ha lavorato in radio e ha fatto attivismo per i diritti delle donne sin da quando aveva 16 anni, promuovendo la lingua e la cultura Aymara e contestando il patriarcato in contesti ove gli uomini rispondono aggressivamente alla parola “femminismo”. Nel 2014 ha ricevuto un premio dal Ministero della Cultura e fa attualmente parte del consiglio d’amministrazione della Rete dei Comunicatori Indigeni del Perù. E’ anche membro dell’UMA – Unione Donne Aymara di Abya Yala, un gruppo assai noto a chi si occupa di diritti umani e media, e non senza ragione: il programma radio delle donne di UMA, Wiñay Pankara (“Sempre in fiore”) porta alla luce la realtà che le donne vivono nelle comunità Aymara, sottolineando gli sforzi di quelle che stanno lavorando per migliorare la situazione. “La comunicazione è la spina dorsale della società. – ebbe a dire Chahuares in un’intervista del 2014 – Wiñay Pankara ha aperto uno spazio nella popolazione Aymara. Le donne hanno perso la loro paura e si sono rafforzate partecipando nei media. Noi donne ora sappiamo cosa sono i nostri diritti, cos’è la nostra cultura, la nostra saggezza. Parlare in radio fa sì che le autorità ci rispettino. Tutti possono ascoltare come partecipiamo e le nostre parole. Anche i nostri figli ci ascoltano, mentre diciamo loro in che stato la Terra si trova.” (…)

Chahuares e le sue compagne attiviste per i diritti delle donne fronteggiano una misoginia profondamente radicata ogni giorno. E’ per esempio accaduto che un gruppo di giovani uomini, che pure lavoravano in radio a un loro programma culturale Aymara, la investissero del loro risentimento per le femministe. Per nulla allarmata dal discorso, Rosa ha mantenuto il suo sorriso e la sua compostezza mentre gli uomini le dicevano che sono le donne le vere “machistas”, che sono le madri a crescere i figli e a renderli quali sono e che le donne sono quelle meno disposte ad aiutare le proprie simili. Chiaramente non era la prima volta che lei sentiva cose simili: quando rispose, lo fece usando il concetto Aymara di “chacha warmi”, che rappresenta la relazione simbiotica e di mutua comprensione fra uomini e donne così come storicamente è intesa nelle comunità Aymara. E’ questo suo talento nel convogliare con facilità messaggi controversi a gruppi ostili a fare di Chahuares una così grande comunicatrice in radio e una figura di spicco per i diritti delle donne in Perù. (…)

A 65 anni, il sogno di Rosa Palomino Chahuares continua a essere che le donne dell’UMA possiedano la propria stazione radio (Ndt. Anche se avessero i fondi, glielo impedirebbe l’attuale legislazione sulle trasmissioni radiofoniche in Perù, che è molto restrittiva). Non le importa se non riuscirà a vederlo realizzato durante la propria vita: “Posso lasciare questo mondo felice, sapendo che le mie due figlie e le altre donne dell’UMA porteranno avanti la lotta a cui io ho dato inizio così tanti anni fa.”

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miraflores

Sul cartello al centro dell’immagine sta scritto:

“In questo cantiere non fischiamo alle donne e siamo contrari alle molestie sessuali in strada.”

La fotografia è stata scattata a fine febbraio u.s. in quel di Miraflores, un quartiere di Lima in Perù che generalmente ospita la classe media e in cui i cantieri sono numerosi.

Gabriela García Calderón, per Global Voices, ha parlato con l’addetto alla sicurezza del posto Juan Enrique Huamaní che le ha detto:

“Qui al cantiere ci istruiscono su come comportarci. Ciò ci rende consci che tutti abbiamo madri, figlie, sorelle e che nessuno sarebbe felice di sapere che costoro devono sopportare oscenità per il solo fatto di camminare per strada. Questo è il modo in cui vogliamo suscitare la consapevolezza altrui e far sapere a tutti come ci sentiamo e come agiamo.”

L’immagine del cartello è stata pubblicata per la prima volta sulla pagina FB di Ni Una Menos – Perù, suscitando un responso grandemente positivo.

“Questo raggio di luce – commenta infatti Gabriela nel suo articolo del 6 marzo scorso – arriva nel mezzo di un momento difficile per i diritti delle donne in Perù. Uno degli ultimi casi di violenza di genere che ha fatto scalpore si è dato il 27 febbraio 2017, quando un’avvocata 27enne madre di due bambini, Evelyn Corahua Fabian, è stata strangolata a morte nella propria casa dall’ex compagno. Un mese prima lo aveva denunciato perché aveva già tentato di strangolarla, ma le autorità avevano respinto le sue rimostranze. Tristemente, i femicidi sono aumentati del 13% nel 2016 rispetto al 2015, quando 95 donne sono state uccise e 198 hanno riportato ferite.”

Maria G. Di Rienzo

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majandra-rodriguez-acha

“Prendete la città di Puno, in Perù, ove abitano tribù indigene Aymara e Quechua. – spiega Majandra Rodriguez Acha (in immagine) – Usualmente gli inverni sono pesanti in quel luogo e stanno diventando sempre peggiori e anticipati a causa del cambiamento climatico. La mortalità materna è del 45% più alta della media del paese e in parte dovuta a questo freddo intenso. Sono le donne rurali impoverite e i loro bambini che soffrono di più, ma quel che si fa per loro è mandare in dono coperte ogni anno: chiaramente la loro situazione non è prioritaria per il governo.”

Per Majandra i danni provocati all’ambiente sono divenuti prioritari nel 2009, quando giungle e foreste furono invase dalle compagnie petrolifere causando lo spostamento forzato e assai violento di migliaia di persone indigene. Indignata da ciò che vedeva in televisione, andò a prendersi la prima dose di gas lacrimogeno in una manifestazione di protesta, mentre ripeteva lo slogan “La selva no se viende, la selva se difende” – “La giungla non si vende, la giungla va difesa”: aveva allora 19 anni e subito dopo fondò “TierrActiva Perù”, la propria organizzazione di attivisti.

Majandra è oggi consigliera di due gruppi internazionali che lavorano esplicitamente per contrastare il cambiamento climatico e le operazioni che lo favoriscono, “Global Greengrants’ Next Generation Climate Board” e “Women’s Environment and Development Organization”: in quest’ultimo il suo “titolo” è Giovane Femminista per la Giustizia Climatica.

Come lavora in tal campo una giovane femminista? “Ascoltando. Io sono un megafono per voci storicamente soffocate. Credo che le vere esperte delle situazioni siano le persone che le vivono. Nei miei seminari non mi porto dietro presentazioni e non tengo conferenze, mi porto dietro grandi fogli di carta bianca e matite, di modo che chi partecipa possa narrare la propria storia e lasciarne traccia.”

TierrActiva va direttamente nelle aree minacciate o devastate, decentralizza l’organizzazione delle azioni e usa per esse tutti i mezzi e i media a portata di mano: la Mobilitazione per i diritti della Madre Terra nacque dall’allestimento di una radio comunitaria, da laboratori tenuti dalle persone coinvolte a livello locale e dalla costruzione di centinaia e centinaia di enormi pupazzi che poi furono portati in manifestazione con clamoroso effetto visivo. Incontrare le persone sul loro territorio fornisce l’esatta percezione di cosa sta accadendo: chi vive nelle montagne sta affrontando le conseguenze dello scioglimento dei ghiacciai (riduzione della pioggia o scomparsa del suo ciclo), mentre chi vive presso o nelle foreste le vede distrutte da fuochi alimentati dalla siccità.

Majandra dice che far venire alla luce queste narrazioni è critico per parlare di cambiamento climatico: “Non si tratta di tabelle e numeri. Si tratta delle strutture di potere che sfruttano le risorse, danneggiando gli esseri viventi durante il processo.” Un’altra cosa che vede molto chiaramente è la connessione fra il degrado dell’ambiente e le donne: in Perù, dice, questo è particolarmente vero, giacché le donne sono in pratica assenti dai luoghi decisionali e nella sfera politica e tuttavia, la maggioranza delle persone che praticano agricoltura di sussistenza e subiscono i danni del cambiamento climatico sono donne.

La violenza contro la Terra, spiega Majandra, è simile alla violenza sessuale. “Il linguaggio usato è lo stesso, è quello che descrive lo stupro. I modi violenti in cui si estraggono le risorse, si saccheggiano le foreste, si inquinano i corsi d’acqua, hanno forti somiglianze con i modi in cui non si rispettano le donne. Pensano di stuprare la Madre Terra e di farla franca.” Majandra intende mettersi di mezzo. E’ quello che dovremmo fare tutte e tutti.

Maria G. Di Rienzo

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Lourdes Huanca Atencio (in immagine qui sotto) è la presidente della Federazione nazionale delle contadine, artigiane, indigene, native e lavoratrici salariate del Perù – FENMUCARINAP. L’organizzazione è stata fondata nel 2006 con lo scopo di difendere i diritti delle donne e ha le sue radici nella visione cosmologica ancestrale delle comunità indigene – la Madre Terra Pachamama, per cui lotta per la sussistenza, per mantenere sovranità sulla terra, sull’acqua e sui semi. Lourdes è già stata in prigione per questo. FENMUCARINAP è attualmente presente in 19 regioni del Perù e conta oltre 126.000 membri.

lourdes-huanca

Il brano seguente è tratto da un’intervista a Lourdes del maggio 2016.

Il nostro scopo principale è il controllo e la difesa del territorio del corpo femminile, che è spesso violato. Cerchiamo anche di avere più potere politico, economico, sociale e culturale perché noi donne sosteniamo la società e non vediamo riconosciuti ne’ il nostro lavoro ne’ i nostri contributi.

La lotta per il riconoscimento è dura, perché in questo paese, come in altri paesi dell’America Latina, va contro il patriarcato, il machismo e il sessismo.

Nella nostra organizzazione abbiamo contadine, artigiane, operaie e donne indigene: e sebbene si venga da differenti sentieri nella vita il senso di essere compagne ci tiene sempre insieme. Ci dà forza e ci rende coraggiose. Per questo nostro coraggio c’è chi ci chiama ribelli.

Un altro aspetto importante del nostro impegno è la felicità delle donne – anche quella intima. Le donne rurali soprattutto, ma anche quelle che vivono in città, non conoscono la parola “orgasmo”. Quelle di noi che ne hanno fatto esperienza sanno che è una bella cosa da ottenere con un/una partner. Non è qualcosa di esclusivo per gli uomini che ti usano come oggetto sessuale, se la godono ed è finita. Le donne devono amare se stesse e i propri corpi. Dobbiamo imparare che non siamo qui semplicemente per piacere, restare incinte e crescere i figli. Ci sono donne rurali che non si sono mai spogliate di fronte ai loro mariti, perché questi ultimi preferiscono le “sveltine”.

Quand’è che sorridiamo? Quando abbiamo il tempo di conoscere noi stesse? Questi sono argomenti che discutiamo con le donne rurali.

Le nostre nonne e i nostri nonni potevano essere illetterati ma ci hanno insegnato la dignità, ci hanno insegnato a difendere i nostri diritti, ci hanno insegnato a lavorare: per questo le donne peruviane sono creative e si muovono sempre in avanti. Perciò, verso cosa ci stiamo muovendo? Verso il potere. Non vogliamo che qualcuno ce lo dia per compassione, lo vogliamo perché lo meritiamo e come riconoscimento per il nostro lavoro. La nostra ascesa non dovrebbe essere messa in discussione perché siamo donne. Come si può dubitare della nostra abilità, quando veniamo dalla gestione delle case dove siamo educatrici e mediche? Siamo ben preparate a prendere la guida. Alle giovani generazioni femminili insegniamo a non abbassare la testa per la vergogna. Se tuo padre è un campesino e tua madre è indigena tu dovresti essere fiera di loro, fiera del sangue della lotta che ti scorre nelle vene.

Se vai nelle zone rurali e parli con la gente che ci vive ciò ti aiuta a crescere e svilupparti come persona. Senza le qualità della dignità e della compassione possiamo crescere solo come robot e attrezzi del progetto neoliberista. Dobbiamo prendere la saggezza dei nostri Apos (presenti nelle mitologie di Perù, Bolivia e Ecuador, sono spiriti delle montagne che ne proteggono le popolazioni, ndt.), la saggezza delle nostre madri e applicarle allo sviluppo del nostro paese per cucire un futuro di speranza. E’ importante imparare dalle donne tutto quello che possiamo.

Una formazione accademica non è superiore all’università della vita in cui io imparo ogni giorno: ho preso la mia laurea marciando nelle strade e ho preso il “master” quando sono uscita di galera, dove mi avevano messa perché difendevo la mia terra. Queste due esperienze, l’intellettuale e la non-intellettuale, sono complementari. E’ come quando vai ad arare il campo, devi avere due buoi: uno giovane e uno anziano. Quello più vecchio terrà la direzione giusta, quello più giovane fornirà la forza. Dovremmo guardare alla vita nello stesso modo, rispettando gli anziani e rispettando i giovani.” Maria G. Di Rienzo

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13 agosto dimostrazione Lima

Il 13 agosto scorso in Perù si è dimostrato contro la violenza diretta alle donne e contro l’indifferenza del sistema giudiziario che la favorisce. Solo nella capitale, Lima, hanno sfilato in oltre cinquantamila, ma la manifestazione ha toccato altre otto città. Il brano che segue è parte del resoconto della protesta fatto da Enmita Marin (medica peruviana, madre single e femminista):

Attorno alle 15.30 il nostro gruppo di 11 amiche era pronto a muoverci, ma non ci riuscivamo: c’era così tanta gente, infatti, che chi apriva la marcia stava già camminando a circa quattro chilometri di distanza davanti a noi. C’erano donne e anche uomini, padri con i figli maschi e femmine in braccio, madri con i piccoli legati alla schiena o in carrozzella, c’erano gruppi di sportive e suonatrici di tamburo. Il primo slogan è stato: No è No, ti dico No, quale parte non capisci? E’ la “enne” o è la “o”? Ad ogni passaggio la frase acquisiva intensità maggiore fra la folla. Ho visto madri insegnarla a bambine di forse cinque anni. Ho visto un bimbetto con un cartello su cui stava scritto “Mia madre non ha cresciuto uno sciovinista!”. In quel momento mi è davvero dispiaciuto non aver portato con me il mio figlioletto, di modo che potesse vedere il potere del popolo che protesta e reclama giustizia, eguaglianza di diritti e la fine della violenza.

La manifestazione è stata organizzata anche per attirare l’attenzione del governo e della magistratura del paese su due casi particolari:

il caso di “Arlette”: una donna che è stata inseguita, picchiata e trascinata per i capelli sul pavimento dell’atrio di un albergo dal suo ex fidanzato che intendeva stuprarla. Costui non ha mostrato alcuna vergogna durante tutta la durata della faccenda sebbene fosse ripreso dalle telecamere di sicurezza e visto dallo staff dell’albergo. Il verdetto dei giudici sostiene che non si tratta di tentata violenza carnale, che le ferite riportate dalla vittima sono di leggera entità e che bisogna considerare l’influenza dell’alcool sull’aggressore: perciò, è stato rilasciato;

il caso di “Lady”: una giovane donna che è stata massacrata di botte dal fidanzato. L’ha presa ripetutamente a pugni in faccia, le ha strappato le palpebre a morsi e le ha sfasciato più volte la testa contro il muro. La condanna sono “4 anni di pena sospesa”: cioè, costui non andrà in prigione a meno che non infranga di nuovo la legge.

Uno dei momenti più significativi della marcia è stato l’arrivo di un gruppo di donne che erano venute a Lima facendosi tutta la strada dalle montagne peruviane, vestite nei loro costumi tipici (polleras e ponchos). Ho capito di colpo che erano vittime della sterilizzazione forzata inflitta dal governo durante gli anni ’90 a circa 300.000 donne, sottoposte alle procedura senza il loro consenso dopo il parto e nelle condizioni sanitarie più terribili.

Queste donne coraggiose camminavano in silenzio e di tanto in tanto una di loro suonava un tipo di corno che noi chiamiamo pututu. Ogni volta in cui il suono del corno si levava mi veniva la pelle d’oca su tutto il corpo e il cuore traboccava: volevo avvicinarmi, abbracciarle e dire loro quanto mi dispiaceva… Allo stesso tempo, ho capito che non ho in me nemmeno un grammo della forza che queste donne mostravano nella loro marcia silenziosa. Ho ricordato tutte le volte in cui non ho lottato per i miei diritti lasciando che la paura mi sopraffacesse, tutte le volte in cui ho permesso a qualcuno di chiamarmi “sciocchina”, tutte le volte in cui non ho detto niente quando qualcuno si è appropriato del mio lavoro e dei miei successi…

Cosa vogliamo? / GIUSTIZIA! / E quando la vogliamo? / ORA! – questo è stato un altro degli slogan più usati durante la protesta. E’ stato un evento potente per molte ragioni e, a livello personale, mi ha aiutata a ricordare che non sono sola, che sono circondata da altre donne che vogliono giustizia per se stesse, per i loro figli e per le loro amiche: mi ha aiutata a ricordare, soprattutto, che non devo permettere mai a nessuno di infliggermi alcun tipo di danno.

Se delle donne che camminano in silenzio possono ispirare tale soggezione e trasmettere il senso del loro potere, chi può dire quale tipo di potere donne che scrivono, parlano e gridano sono in grado di impugnare e canalizzare?

Maria G. Di Rienzo

A Lima, 13 agosto 2016

A Lima, 13 agosto 2016

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(“A project for women empowerment in Latin America”, di Clarissa Rios – in immagine – per World Pulse, 29 giugno 2016, trad. Maria G. Di Rienzo.)

clarissa rios

C’è un grosso problema in America Latina, ovvero la mancanza di risorse (denaro), conoscenze e opportunità per lo sviluppo professionale. Per trovare una soluzione, ho lanciato un’organizzazione non-profit chiamata “Ekpapalek” l’anno scorso. La nostra missione è rinforzare gli/le studenti Latine/i tramite programmi gratuiti che promuovono il loro sviluppo professionale di modo che contribuiscano allo sviluppo sociale ed economico dei paesi dell’America Latina.

Uno di tali programmi si chiama “Ekpapalek Donne” e si concentra sul potenziare le donne latino-americano riscrivendo gli attuali modelli di comportamento per le donne. Noi pensiamo che: NON PUOI DIVENTARE QUELLO CHE NON PUOI VEDERE.

Perciò, portiamo una serie di conferenze e seminari sull’empowerment economico delle donne nelle scuole secondarie e in vari istituti in America Latina. I nostri eventi sono gestiti interamente da professioniste, così che chi partecipa può vedere e interagire con le proprie guide, che noi miriamo a far divenire i nuovi esempi a cui loro possono ispirarsi.

La nostra squadra è composta da donne con alti livelli di istruzione e esperienza professionale: Mariella (biologa molecolare), Enma (medica), Carmen (docente universitaria), Blanca (ingegnera in acquacoltura) e io (biologa molecolare). Siamo impegnate a condividere e insegnare a partire dalle nostre esperienze durante il “viaggio accademico” (successi e ostacoli) e in tal modo motivare le ragazze a divenire agenti del cambiamento nelle loro comunità.

Parliamo anche dei benefici del divenire una donna economicamente indipendente e invitiamo loro a lavorare verso il rafforzamento di più donne tramite la creazione di collettivi femminili, di modo che possano incontrarsi e parlare dello stato delle donne nelle loro comunità.

I nostri seminari hanno lo scopo di risvegliare la loro curiosità, i loro sogni di indipendenza e le loro idee imprenditoriali. A seconda dei bisogni della comunità, offriamo i seguenti seminari:

– Piccola impresa con piante ornamentali (miriamo a creare imprenditrici);

– Salute ed educazione sessuale (con speciale attenzione alla violenza di genere, come riconoscerla e denunciarla);

– Come costruire un movimento per il potenziamento delle donne (Collettivi femminili);

– Presentazioni sull’empowerment economico delle donne per università, istituzioni e organizzazioni.

Inoltre, siamo molto attive online nello scrivere articoli e creare campagne dove promuoviamo consapevolezza sull’eguaglianza di genere. Per esempio, per aprire una discussione onesta sui ruoli genitoriali in America Latina, abbiamo lanciato la campagna “Famiglie Latine 2016”, mirata a mostrare una rappresentazione visuale realistica della genitorialità latino-americana nel 2016.

campagna famiglie latine

Raccogliamo immagini di padri che godono di ottime relazioni con i figli passando più tempo con loro e di donne che lavorano e sono madri. Noi pensiamo che queste immagini debbano essere accessibili e disseminate con facilità, di modo che chiunque possa esserne ispirato.

La nostra ultima campagna, “Ekpapalek donne che influenzano”, si basa sul nostro motto “Non puoi diventare quel che non puoi vedere” e mostra video di donne leader in America Latina. Speriamo che essi incoraggino più ragazze a scegliersi una carriera sentendosi ispirate da tali straordinari esempi. Aiutateci a diffondere il nostro scopo condividendo la nostra iniziativa!

Il nome dell’organizzazione viene da “Ekpa’palek”, una parola nel linguaggio indigeno “Shiwilu” della giungla peruviana e significa: Aiutare una persona a camminare.

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Ne' la terra ne' le donne sono territorio di conquista

Ne’ la terra ne’ le donne sono territorio di conquista

(brano tratto da: “How Young Feminists are Tackling Climate Justice in 2016”, di Maria Alejandra Rodriguez Acha, 7 marzo 2016, trad. Maria G. Di Rienzo. L’Autrice è una giovane antropologa peruviana, educatrice, attivista femminista e ecologista.)

Le esperienze di base stanno spostando con fermezza la nostra conoscenza del cambiamento climatico: da fenomeno astratto relativo ai livelli di carbonio e agli impatti futuri a un’istanza sempre più tangibile e sfaccettata, che sta collegando diversi tipi di lotta sociale, ambientale ed economica.

Stiamo sempre più riconoscendo e rivelando che il cambiamento climatico non riguarda le sole emissioni di carbonio ma un sistema economico e politico che produce emissioni in grande quantità per mantenere i suoi ingranaggi in movimento e la sua crescita costante. E’ lo stesso sistema che, nonostante la sua capacità di generare ricchezza finanziaria, ha mantenuto e esacerbato la povertà e la diseguaglianza nelle loro varie forme.

Come propugnatrici della giustizia climatica, noi riconosciamo le cause che stanno alle radici della crisi climatica: il fatto che mentre prendiamo dalla Terra per produrre e consumare, per abilitare questo processo prendiamo anche risorse, suolo e diritti da altri. Il cambiamento climatico che risulta da tale processo di sfruttamento aumenta ulteriormente le disparità, poiché il suo impatto colpisce più duramente popolazioni vulnerabili – quelle che meno hanno contribuito alla crisi. E fra costoro, sulla prima linea degli impatti del clima stanno i corpi, le vite, i mezzi di sussistenza delle donne in tutto il mondo, in particolare delle donne rurali e indigene.

Le donne sono metà della popolazione mondiale, pure non sorprende che le nostri voci e prospettive continuino a essere indebolite e silenziate dalla violenza di genere, da ruoli di genere soffocanti, dalla leadership politica perennemente sbilanciata e dalle diseguaglianze economiche fra uomini e donne. Di fronte al cambiamento climatico, questa non uguaglianza di diritti, risorse e potere si esprime in modo assai lampante nelle nette differenze fra i tassi di mortalità e di vulnerabilità ai disastri naturali, in particolare per le donne delle aree rurali e per quelle che vivono sotto la soglia di povertà.

Come dicono le ecofemministe africane ( http://womin.org.za/ ):

Sono gli oltre 500 milioni di contadine e di donne della classe lavoratrice che portano il peso degli effetti immediati e a lungo termine sia dell’estrazione di combustibili fossili e della produzione di energia, sia delle false soluzioni alla crisi climatica. Ciò accade a causa della divisione patriarcale-capitalista del lavoro: noi abbiamo maggiori responsabilità per la produzione agricola e la riproduzione sociale di famiglie e comunità e siamo strutturalmente escluse dal processo decisionale.” (…)

climate justice

Azioni multiple, dimostrazioni e interventi che chiedono giustizia climatica, redistribuzione e soluzioni eque in fatto in materia di genere e si concentrano su istanze incrociate come la militarizzazione (una fonte primaria di emissione che non è inclusa in alcun impegno di mitigazione nazionale), hanno galvanizzato i vari gruppi di attivisti e attratto l’attenzione dei media. Il momento politico ha anche offerto spazio alla creazione di nuovi gruppi, da LGBTI pour le Climat (Persone LGBTI per il Clima) a Young Feminists for Climate Justice (Giovani femministe per la giustizia climatica). (…)

Dal punto di vista della giustizia climatica, affrontare le cause che stanno alla radice della crisi richiede anche occuparsi delle diseguaglianze sociali e sradicare le forme di oppressione che anche i movimenti possono riprodurre, incluse le diseguaglianze di genere. Ciò include onorare il fatto che le prime linee abitate dalle donne in tutto il mondo non sono solo linee di crisi, ma anche prime linee di cambiamento. Le lotte locali e nazionali contro l’infrastruttura dei combustibili fossili, di cui una delle più conosciute è la vittoriosa campagna contro l’oleodotto XL della Keystone, sono nei molti casi meno conosciuti in giro per il mondo guidate da donne, i cui corpi e i cui territori costituiscono le prime linee degli impatti delle estrazioni, anche quando queste donne sono soggette a violenza sessuale e repressione.

Come movimenti, dobbiamo dare riconoscimento ai differenti contesti in cui la difesa dell’ambiente e del clima hanno luogo e lottare per la protezione delle difensore dei diritti umani delle donne, ovunque. Il recente omicidio di Berta Cáceres non dovrebbe essere visto come un incidente isolato, ma come parte della crescente violenza che cerca di sopprimere le voci degli ambientalisti e delle donne, in particolar modo nel Sud globale.

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