1. “Lei potrebbe fare soldi, sa?”
Io sto scrivendo a macchina. Alzo la testa per guardare l’uomo che sta dicendo questo. E’ il mio diretto superiore e sto copiando un documento per lui: “Cosa intende, scusi?”
“Sì, con un po’ più di scollatura, se si vestisse diversamente…”
Non rispondo. Di colpo mi sento come se stessi per vomitare. Mi alzo e vado in bagno senza dire nulla. Quando torno, lui se n’è andato.
Il signore è sposato con figli, democristiano (poi leghista), usa l’ufficio per i suoi affari privati (la moglie ha un alberghetto), intrallazza su rimborsi e straordinari, è un semi-analfabeta con diploma, va in chiesa la domenica. Se ci incrociamo nei corridoi spesso mi urta (tipo strisciando spalla contro spalla) per caso.
2. “Non sarebbe bello, se ci fosse una pillola che poi ti fa dimenticare tutto?”
Io sto scrivendo a macchina. Alzo la testa per guardare l’uomo che sta dicendo questo. E’ il mio diretto superiore, condividiamo l’ufficio e abbiamo deciso che poiché siamo entrambi giovani ci diamo del tu. “Scusa?”
“Sì tu e io potremmo fare l’amore e poi prendere la pillola e dimenticarcene.”
Lo guardo per un attimo sbalordita. Guardo fuori dalla finestra. Non gli rispondo, continuo a scrivere anche se le mani vorrebbero chiudersi a pugno. Lui si inventa che deve fare qualcosa e esce.
Il signore è sposato con figli, democristiano (poi leghista), l’hanno assunto con un concorso truccato, intrallazza su rimborsi e straordinari, è un semi-analfabeta con laurea, va in chiesa la domenica. Sta seduto appiccicato alla mia stessa scrivania anche se avrebbe spazio per distanziarsi; così, ci tocchiamo per caso.
Devo continuare? Questi sono due frammenti delle mie passate esperienze di molestie sul lavoro. Non mi sono licenziata solo per questo, ovviamente, ma anche per questo.
Volete sapere perché non riuscivo a parlare? Perché ero nella seconda metà dei miei vent’anni, venivo da una storia familiare di violenza pesantissima dove avevo imparato che protestare incrementava gli abusi, quello era il mio primo lavoro fisso e avevo il terrore di perderlo. E non riuscivo a crederci. Non riuscivo a credere che lo facessero a me, che ero la “meraviglia” del posto perché unica fra un paio di centinaia di dipendenti, maggioranza femmine, vestivo in jeans e maglione, non mi truccavo e mi facevo gli affari miei. Ah sì, e non avevo avuto la spintarella per ottenere il posto (per cui non dovevo ringraziamenti e favori e salamelecchi a nessuno).
Non riuscivo a reagire se non con il silenzio e la fuga perché le molestie toccavano una ferita aperta, respingendomi nel modulo “ogni uomo può far di me quel che vuole perché è un uomo ed ha quindi autorità e legittimazione”; non riuscivo a parlarne con altri/e perché non mi aspettavo di essere creduta (è uno scherzo, ma vuoi che facesse proprio sul serio con te brutta e abbottonata come sei, ecc.) e credevo di essere responsabile per quel che mi accadeva, proprio come quando avevo sette anni e pregavo ogni notte dio di uccidermi. Okay? Questo è quel che ottengono i simpatici scherzi e le battute innocue e i gesti “senza malizia” su una donna che abbia già subito violenza. E, volete saperlo? La maggioranza di noi ha subito violenza. E i simpatici scherzi e le battute innocue e i gesti senza malizia sono ulteriore violenza.
Adesso veniamo al motivo della premessa. Notizia di ieri, 13 novembre 2014: “Un dito nella scollatura della collega. La sentenza: ingiuria, non violenza”.
“(…) La vittima, 35 anni, bella donna, – Nda.: Naturale, è importantissimo sapere questo, e cioè se le molestie valevano la fatica di farle… ma non vi vergognate proprio MAI? – è impiegata in una ditta della provincia di Bergamo che si occupa di ristorazione. Si trova bene, mai avuto un problema, col titolare anzi ha instaurato un rapporto di fiducia. L’imputato è il fratello di quest’ultimo. Lavora anche lui in azienda. Ha una quarantina d’anni, è uno a cui piace scherzare, lo ammette, ma lo fa senza alcuna malizia, fa aggiungere agli atti. Se chiama le colleghe “galline” è solo per fare il simpatico. Nemmeno il gesto che ha scatenato la querela, stando al suo racconto, era qualcosa di più di una spiritosaggine.”
Il Buffone d’azienda (si è appena definito così da solo) una mattina incrocia la collega in corridoio e le infila un dito nella scollatura. Come spiegherà al giudice è una bazzecola, lui le ha solo “toccato lo sterno”. Ma lei è immediatamente ributtata indietro alle molestie subite da ragazza da parte di un parente, una storia che non ha mai denunciato ma che com’è ovvio non è passata senza lasciare tracce. Al proprietario aveva confidato tale vicenda e costui si sente in dovere di mandarle un SMS di scuse per il comportamento del fratello. (Ma non dice al fratello di scusarsi e smetterla.) Stranamente, notano i giornali, ciò “non è bastato a tranquillizzarla”. Infatti, torna al lavoro e Joe Dito Svelto la tempesta di battutine: “Oggi non sei scollata?”, e così via. Tre giorni dopo, la donna lascia il posto e lo denuncia per violenza sessuale.
Ora, non solo il tribunale ha stabilito che si tratta di una mera “ingiuria”, “un gesto deplorevole ma non un’aggressione”, per cui il Buffone se la caverà pagando 1.500 euro, ma la vicenda scatena le intelligenze dei sodali uomini in sua difesa:
Gli uomini vivono con la paura latente di essere molestati psicologicamente dalle donne (fisicamente no, ci mancherebbe)…
Se una donna mette un dito su un uomo questi se la donna è bella va al settimo cielo, se è brutta si fa una risata o una smorfia di sarcasmo e tira diritto, ma non va dall’avvocato…
Probabilmente gli avvocati della Signora le avevano consigliato di lasciare il posto di lavoro facendole pregustare rimborsi milionari…
Il mio sogno nel cassetto è di essere molestato da una donna…
Tocca con un dito e dovrebbe finire in galera, ma siamo matti?…
Credo proprio che si sta un po’ esagerando, dov’è la violenza? Un uomo oggi si deve proprio spaventare a corteggiare una donna…
Sono loro le vere vittime, si trattava di un giocoso “corteggiamento”, lei è una speculatrice a cui è andata male e in fin dei conti un oggetto toccato solo con un dito perdinci, e se una cosa del genere capitasse a loro sarebbero al settimo cielo – purché la molestatrice risponda ai criteri di scopabilità in vigore, intendiamoci. E questo è esattamente il modulo: “Ogni uomo può fare di una donna quel che vuole perché è un uomo ed ha quindi autorità e legittimazione”. E questo è il motivo per cui le violenze continuano. Perché voi pensate che le donne non siano titolate al rispetto, all’ascolto e alla sovranità sui propri corpi. Perché voi pensate che vi debbano sesso, divertimento, sopportazione delle umiliazioni, accesso ai loro corpi sempre e comunque.
E no, non sareste felici e eccitati se la sorella del capo – di quello che può licenziarvi con una scusa qualsiasi, patetici idioti – vi chiamasse “impotenti” o “frocetti” e vi infilasse il dito fra le natiche mentre siete chini su uno scaffale e il giorno dopo chiedesse se avete messo o no un tanga per facilitarle la cosa. Soprattutto se qualcuno ha già invaso con violenza il vostro corpo. Soprattutto se siete investiti ogni giorno da notizie di uomini uccisi – stuprati – picchiati da donne. Soprattutto se alle vostre lamentele in merito si rispondesse sempre: stavo scherzando, provochi, come sei vestito, te la sei voluta, stai mentendo perché sei troppo brutto per essere molestato, era solo un complimento… Eccetera.
Ma la verità è che le due esperienze non possono essere davvero paragonate: perché i due soggetti non si trovano sullo stesso piano, non hanno la medesima legittimazione sociale ne’ una quota di potere simile, e la loro storia, la loro educazione, il modo in cui la loro appartenenza di genere è stata costruita sono molto, molto, molto differenti.
C’è un’unica cosa che mi conforta, negli articoli che riportano la notizia: la 35enne intende ricorrere in appello. Ora che ha cominciato a parlare non si fermerà. Spero che avrà al suo fianco altre donne, perché in un periodo in cui la violenza di genere è diventata uno dei marchi d’infamia dell’Italia (se leggete quotidiani stranieri e rapporti internazionali la cosa vi salta all’occhio con la stessa delicatezza di un cazzotto) di darci reciproco sostegno abbiamo tutte bisogno. Nel mio piccolo, amica di Bergamo, io sono qui e ho scritto questo. Per lei. Per me. Per noi. Maria G. Di Rienzo