(tratto da: “Street Harassment Signals a Bigger, Global Problem: What That Catcalling Video Missed”, un più ampio articolo di Tanya Steele per RH – Reality Check, 6 novembre 2014, trad. e adattamento Maria G. Di Rienzo.)
Amo Firenze – il cibo, l’arte, la generosità di spirito e il gusto per la vita che molti italiani hanno è impareggiabile. Ciò detto, l’Italia ha anche un altro aspetto.
La prima volta in cui ci andai, non avevo mai fatto esperienza prima nella mia vita di una tale costante e vocale attenzione da parte degli uomini. Camminavo per le strade di Firenze e i richiami arrivavano da ogni parte. “Bella! Bella!”. Uomini, persino poliziotti, camminando o sporgendosi dalle loro automobili mi gridavano “Bella!”.
L’attenzione mi allarmava. Da una parte, ero grata che gli uomini non violassero il mio spazio fisico. Dall’altra, percepivo il tutto come intrusivo perché persistente. E mentre la cultura italiana nel suo complesso mi diventava più familiare, cominciai a capire come i richiami per strada fossero il preannuncio di maggiori atti di violenza.
All’epoca, vivevo in un appartamento vicino alla Galleria dell’Accademia. Avevo una vicina americana, nell’edificio, di cui diventai amica. Dopo averla frequentata per un po’, venni a sapere che era soggetta a stalking da parte di un uomo, un immigrato dalla Croazia con cui aveva avuto una relazione. Quando aveva cominciato ad abusare di lei verbalmente, la mia amica aveva chiuso la storia. Non rispondeva più alle sue telefonate e prendeva strade differenti per andare a scuola, di modo che lui non potesse trovarla facilmente.
Durante una visita di routine ad un negozio presso casa, conversai con un anziano gentiluomo italiano che era il “cane da guardia” del quartiere. Lui mi informò che qualcuno, rispondente alla descrizione che la mia amica mi aveva fatto del suo stalker, stava spesso seduto dall’altra parte della strada ad osservare l’edificio dove abitavamo.
Come ex consulente per donne vittime della violenza domestica, sapevo dove questo andava a parare. Donne erano morte, in circostanze simili, e sembrava che il comportamento di quell’uomo da qualche tempo fosse peggiorato. Incoraggiai la mia amica americana a venire con me dalla polizia. E qui fu dove il mio desiderio di vivere a Firenze cominciò a svanire.
La mia vicina raccontò la sua storia e aspettammo. Non c’erano protocolli, non c’erano piani; nulla oltre un poster della polizia sullo stalking. Ci fu detto di andare dalla parte opposta della città, in un altro distretto, dove avrebbero registrato il nostro rapporto. Lo facemmo. Aspettammo molto a lungo prima di essere ricevute.
Quando ciò accadde, un poliziotto si accinse a registrare la nostra denuncia. Mentre la mia amica tremava ripercorrendo la propria storia, il poliziotto cominciò a flirtare con me. Dopo aver scritto la storia della mia amica, scrisse il suo numero su un pezzo di carta e me lo diede, chiedendomi di chiamarlo. Aveva speso più tempo tentando di attirare la mia attenzione che tentando di proteggere la mia amica. Ci disse che “qualcosa” sarebbe stato fatto. Di cosa fosse quel “qualcosa” non avevamo alcuna idea.
Cominciò a diventare chiaro come la stessa cultura che permetteva agli uomini di gridare alle donne senza restrizione alcuna per le strade, permetteva agli uomini di seguire le donne, di invaderne lo spazio personale e di minacciarle senza conseguenze.
Quando tornammo a casa quella sera non fummo in grado di entrare nell’edificio, perché qualcuno aveva manipolato il lucchetto della porta. Dovemmo chiamare i vigili del fuoco per riuscire ad entrare. La mia vicina dormì nel salotto del mio appartamento. La mattina seguente, aprii le imposte per godere della bella vista dell’Accademia: e sulla strada, sotto la mia finestra, c’era lo stalker. Vide che lo stavo guardando, gettò via la sigaretta e fuggì. Riportammo il fatto alla polizia. Di nuovo, non ci fu detto cosa avrebbero fatto, se pure volevano fare qualcosa. Ne’ ci dissero che passi intraprendere per proteggere la mia amica.
Cominciai a far ricerche sulle linee telefoniche e i rifugi presenti a Firenze che si occupavano di violenza domestica e scoprii che sebbene detta violenza fosse dilagante, vi erano ben pochi servizi a disposizione delle donne.
Secondo un rapporto delle Nazioni Unite del 2012, gli abusi domestici sono la “più pervasiva forma di violenza” presente in Italia. E come raccontava un articolo del New York Times l’anno successivo, più del 30% delle donne italiane fra i 16 e i 70 anni testimoniavano di aver fatto esperienza di abusi domestici, e “più del 90% delle donne italiane stuprate o vittime di violenza non hanno denunciato i fatti alla polizia.”
Quella notte, la mia vicina decise che avrebbe preso un volo per gli Stati Uniti la mattina dopo. Io restai a Firenze un paio di giorni in più, quelli necessari ad assicurarmi alloggio a Parigi, dove avevo un gruppo di amici e conoscenti amabili e disposti a sostenermi. Non riesco a descrivere come la paura si fosse presa le nostre vite. Ci eravamo sentite sicure che un rimedio o un’azione fossero intrapresi per proteggerci dallo stalker. Ma nulla accadde. Niente. Perciò, seppi che come donna non era sicuro per me vivere a Firenze, un luogo che amavo.
Se gli uomini possono molestarti e lanciarti richiami in pieno giorno, in Italia e negli Usa e ovunque, questo è l’indizio di un problema più vasto, di una patologia nella cultura. Indica come gli uomini siano convinti che il corpo di una donna è lì per soddisfare i loro bisogni. Il nostro ruolo, anche quando camminiamo semplicemente per strada, intente alle nostre faccende quotidiane, è soddisfare lo sguardo maschile, accordarci al desiderio maschile, e accettare il nostro status di parti del corpo anziché di esseri umani interi.
Ecco perché sono una femminista. Eguaglianza fra i sessi significa anche che le donne hanno il diritto di sentirsi sicure quando escono per strada, senza essere oggettificate dagli uomini. E’ egualmente importante che le donne si sentano sicure nelle proprie case, negli uffici, nelle scuole e in ogni aspetto delle loro vite. Tutta la violenza che fronteggiamo è un continuum. Come donne dobbiamo comprendere questo, e dico comprenderlo sul serio, di modo che la nostra lotta per mettere fine alla violenza contro le donne sia universale e forte.