I dati dell’Istat sulla violenza contro le donne in Italia, riferiti al 2017, sono ripresi in questi giorni dalla stampa: 123 uccise, in più dell’80% dei casi da partner, ex partner, persona di famiglia o collega di lavoro. “Uomini che conoscevano e di cui si fidavano, spesso incensurati, di qualsiasi classe sociale”. Rispetto ai precedenti rilevamenti il loro numero risulta in crescita. In maggioranza – dati forniti dalle Rete dei Centri Antiviolenza D.i.Re – sono uomini italiani, il 65%.
“Proprio per questa loro peculiarità di collegamento con la dimensione domestica, spiega l’Istat, sugli omicidi delle donne non incidono le politiche intraprese nel settore della sicurezza e della lotta alla criminalità organizzata, che hanno invece favorito una forte contrazione degli omicidi degli uomini. Gli uomini infatti raramente vengono ammazzati dal partner, donna o uomo che sia: 8 casi su 237 omicidi. Secondo i dati ufficiali, nel 32,1% dei casi gli italiani morti ammazzati sono stati uccisi da una persona che non conoscevano, e per il 43,2% non si è addirittura trovato l’autore. Al contrario delle donne, uomini uccisi da conoscenti sono solo il 24,8%, un terzo del corrispettivo valore delle donne.”
Per disegnare e poi implementare politiche che in effetti incidano, sarebbe necessario:
capire cosa la violenza di genere è e perché avviene; esaminare i vari tipi di violenza che le donne si trovano a dover affrontare durante l’intero ciclo della loro vita; apprendere quali sono le radici strutturali e sociali della violenza di genere (ve ne sono anche di personali, ovviamente, ma quelle sono più ovvie e facilmente tracciabili); identificare gli schemi della violenza, che può essere sistemica e le cui differenti forme possono intrecciarsi; decostruire tutti i miti che ancora coprono e giustificano la violenza contro le donne; capire lo specifico impatto che l’abuso in ambito domestico ha sulle donne e eventualmente sui loro figli; imparare, da chi già lo fa e può insegnarlo – centri antiviolenza, attiviste femministe – come rispondere alla violenza di genere e come sostenere le donne che si trovano in situazioni violente.
Adesso, cercate di immaginare i membri del vostro governo locale (regione, comune) e quelli del governo nazionale dediti all’opera descritta. Mi/vi risparmio i puntini di sospensione. Capisco. Non dico altro.
Il rapporto Istat che ho sintetizzato sopra è oggi piazzato a guisa di commento sotto gli articoli di cronaca che riportano due assalti armati a donne da parte di ex compagni, con annessa tentata strage collaterale di familiari/conoscenti. Nel primo caso l’uomo ha ucciso moglie e cognata e ferito i suoceri prima di suicidarsi con la stessa pistola. Nel secondo caso l’uomo ha usato un coltello contro la donna con cui in passato aveva avuto una relazione e contro il compagno di lei; infine, all’arrivo delle forze dell’ordine, si è tagliato le vene e si è gettato dalla finestra.
Ho scorso quattro quotidiani a tiratura nazionale e hanno tutti lo stesso occhiello, parola per parola:
“Giornata di sangue in Campania con due raptus di violenza maturati in ambito familiare. In entrambi i casi a uccidere sono stati due uomini, che poi hanno rivolto le armi contro se stessi. Il bilancio finale è di quattro vittime, di cui tre donne, e quattro feriti.”
Questo è un preclaro esempio di “politica” che non solo non funziona in senso deterrente ma contribuisce a mantenere in essere la violenza di genere: i fatti sono appena accaduti, le indagini sono al punto d’inizio e gli articolisti non sanno nulla dello status mentale degli assassini/suicidi, ma sono sveltissimi nel suggerirci che gli uomini in questione non devono essere ritenuti responsabili delle loro azioni. E’ stato il raptus, a prescindere.
Maria G. Di Rienzo