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grim reaper

Il brano viene da un articolo di ieri, 16 agosto, a firma di Daniele Tissone, segretario generale del sindacato di polizia Silp Cgil: “(…) come ha evidenziato il recente rapporto Eures dal significativo titolo “Omicidio in famiglia”, le armi legalmente detenute nelle case degli italiani uccidono più di mafia, camorra e ‘ndrangheta. C’è un dato che fa riflettere, confermato anche dall’ultimo dossier ferragostano del Viminale: gli omicidi sono in calo nel nostro Paese, ma crescono quelli tra le mura di casa. (…) Sempre secondo i dati diffusi dal Ministero dell’Interno, oltre il 63% degli omicidi “casalinghi” riguarda le donne. Una vera e propria emergenza, con un fil rouge che lega pericolosamente assieme la delittuosità in famiglia e la diffusione delle armi. Per questo, come poliziotti democratici, restiamo fermi nella nostra convinzione che il numero di fucili e pistole in circolazione debba diminuire e non aumentare, che il legislatore debba mettere le forze di polizia nella condizione di poter controllare in maniera più cogente i titolari di porto d’armi ad uso sportivo o caccia che spesso costituiscono l’occasione a buon mercato per avere in casa delle vere e proprie santabarbara.”

Istat, agosto 2019: quasi 7 milioni di donne italiane dai 16 ai 70 anni hanno subito almeno una volta nella vita una forma di violenza (20,2% violenza fisica, 21% violenza sessuale). Nella maggior parte dei casi i perpetratori sono partner o ex partner: sapete, quelli stressati, depressi, disoccupati, lasciati o non lasciati dalle loro vittime; ad ogni modo, innamorati (16 agosto – Reggio Emilia. Omicidio Hui Zhou. I parenti di Hicham Boukssid: “Era innamorato di lei”) e recidivi in questo tipo di “amore” (3 agosto – Omicidio/suicidio a Pesaro. La figlia di Maria Cegolea: “Papà spesso la picchiava, anche di fronte a noi”). In Italia 120 donne all’anno, di media, muoiono così.

Inail, luglio 2019: aumentano i morti sul lavoro. Le denunce di infortunio mortale sono state l’anno scorso 1.218, in crescita del 6,1% rispetto al 2017. I casi accertati “sul lavoro” sono invece 704, il 4,5% in più di cui 421, pari a circa il 60% del totale, avvenuti fuori dell’azienda (con un mezzo di trasporto o in itinere, di cui 35 ancora in istruttoria). Anche gli infortuni non mortali sono in aumento: circa 3.000 in più rispetto al 1° trimestre dell’anno precedente (da circa 154.800 a 157.700).

Adesso mi dica il sig. Ministro dell’Interno: sono i 134 disgraziati rimasti bloccati a bordo della “Open Arms” – in condizioni igieniche insostenibili e da ben quindici giorni – a minacciare la sicurezza delle italiane e degli italiani?

Maria G. Di Rienzo

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I dati dell’Istat sulla violenza contro le donne in Italia, riferiti al 2017, sono ripresi in questi giorni dalla stampa: 123 uccise, in più dell’80% dei casi da partner, ex partner, persona di famiglia o collega di lavoro. “Uomini che conoscevano e di cui si fidavano, spesso incensurati, di qualsiasi classe sociale”. Rispetto ai precedenti rilevamenti il loro numero risulta in crescita. In maggioranza – dati forniti dalle Rete dei Centri Antiviolenza D.i.Re – sono uomini italiani, il 65%.

“Proprio per questa loro peculiarità di collegamento con la dimensione domestica, spiega l’Istat, sugli omicidi delle donne non incidono le politiche intraprese nel settore della sicurezza e della lotta alla criminalità organizzata, che hanno invece favorito una forte contrazione degli omicidi degli uomini. Gli uomini infatti raramente vengono ammazzati dal partner, donna o uomo che sia: 8 casi su 237 omicidi. Secondo i dati ufficiali, nel 32,1% dei casi gli italiani morti ammazzati sono stati uccisi da una persona che non conoscevano, e per il 43,2% non si è addirittura trovato l’autore. Al contrario delle donne, uomini uccisi da conoscenti sono solo il 24,8%, un terzo del corrispettivo valore delle donne.”

Per disegnare e poi implementare politiche che in effetti incidano, sarebbe necessario:

capire cosa la violenza di genere è e perché avviene; esaminare i vari tipi di violenza che le donne si trovano a dover affrontare durante l’intero ciclo della loro vita; apprendere quali sono le radici strutturali e sociali della violenza di genere (ve ne sono anche di personali, ovviamente, ma quelle sono più ovvie e facilmente tracciabili); identificare gli schemi della violenza, che può essere sistemica e le cui differenti forme possono intrecciarsi; decostruire tutti i miti che ancora coprono e giustificano la violenza contro le donne; capire lo specifico impatto che l’abuso in ambito domestico ha sulle donne e eventualmente sui loro figli; imparare, da chi già lo fa e può insegnarlo – centri antiviolenza, attiviste femministe – come rispondere alla violenza di genere e come sostenere le donne che si trovano in situazioni violente.

Adesso, cercate di immaginare i membri del vostro governo locale (regione, comune) e quelli del governo nazionale dediti all’opera descritta. Mi/vi risparmio i puntini di sospensione. Capisco. Non dico altro.

Il rapporto Istat che ho sintetizzato sopra è oggi piazzato a guisa di commento sotto gli articoli di cronaca che riportano due assalti armati a donne da parte di ex compagni, con annessa tentata strage collaterale di familiari/conoscenti. Nel primo caso l’uomo ha ucciso moglie e cognata e ferito i suoceri prima di suicidarsi con la stessa pistola. Nel secondo caso l’uomo ha usato un coltello contro la donna con cui in passato aveva avuto una relazione e contro il compagno di lei; infine, all’arrivo delle forze dell’ordine, si è tagliato le vene e si è gettato dalla finestra.

Ho scorso quattro quotidiani a tiratura nazionale e hanno tutti lo stesso occhiello, parola per parola:

“Giornata di sangue in Campania con due raptus di violenza maturati in ambito familiare. In entrambi i casi a uccidere sono stati due uomini, che poi hanno rivolto le armi contro se stessi. Il bilancio finale è di quattro vittime, di cui tre donne, e quattro feriti.”

Questo è un preclaro esempio di “politica” che non solo non funziona in senso deterrente ma contribuisce a mantenere in essere la violenza di genere: i fatti sono appena accaduti, le indagini sono al punto d’inizio e gli articolisti non sanno nulla dello status mentale degli assassini/suicidi, ma sono sveltissimi nel suggerirci che gli uomini in questione non devono essere ritenuti responsabili delle loro azioni. E’ stato il raptus, a prescindere.

Maria G. Di Rienzo

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Escono i risultati della seconda indagine Istat (dopo quella del 2006) sulla violenza di genere, “La violenza contro le donne dentro e fuori la famiglia”, e fra venerdì e sabato scorsi (5/6 giugno) i quotidiani producono identici bollettini pullulanti di percentuali e privi di qualsiasi riflessione. Ma sono costretti a dare la notizia, il numero non si può scopare sotto il tappeto: 6.788.000 – sei milioni e settecentottantottomila donne fra i 16 e i 70 anni hanno subito violenza fisica e/o sessuale da parte di uno o più uomini, il che dimostra l’esistenza in Italia di almeno 6 milioni e settecentottantottomila individui inclini ad usare il proprio corpo come un’arma. Tuttavia, costoro non li menziona nessuno.

E’ confortante, dice IL DIRETTORE del Dipartimento statistiche sociali e ambientali dell’Istat Linda Laura Sabbadini (forse persona F–>M) , che negli ultimi cinque anni ci sia stato un calo del 2% delle violenze in generale, anche se sono aumentate – dal 26,3% al 40,2% – quelle che causano lesioni pesanti, però così continua: “Il risultato fondamentale che emerge da questa indagine è che la violenza è un fenomeno ampio, diffuso e grave: un terzo delle donne ha subito violenza fisica o sessuale. Un quarto quella psicologica (…) Il calo di violenze fisiche, sessuali e psicologiche si registra soprattutto tra gli episodi meno gravi. Ciò vuol dire che le donne hanno una maggiore capacità di prevenirla appena si esprime, che a compierla siano ex partner, conoscenti o partner. (…) Non è intaccato lo zoccolo duro, stupri, omicidi, violenze gravi. La maggiore consapevolezza e capacità di reazione tra le giovani, se da un lato ci aiuta a prevenire, dall’altro sollecita comportamenti più violenti da parte dell’uomo.” Anche la Vicepresidente del Senato, Valeria Fedeli, insiste sulla “migliore capacità delle donne di prevenire e combattere il fenomeno della violenza”.

Giovanna Martelli, Consigliera per le Pari Opportunità (ma anche ex COORDINATORE, ISTRUTTORE, ASSESSORE… altra persona forse F—>M) spiega invece perché sia stata commissionata la ricerca: “Oggi con questi dati cerchiamo di capire i punti di forza e di debolezza dell’attuale sistema di prevenzione delle violenze. Gli strumenti per combattere i fenomeni non devono essere per forza legislativi. E’ stato varato il Piano Antiviolenza che prevede una serie di interventi ed è un atto di programmazione sistemico per uscire dall’emergenza.”

Cominciamo dal fondo? Le organizzazioni e i gruppi che lavorano quotidianamente sul territorio contro la violenza non ne sono punto soddisfatte. Per stilare “l’atto di programmazione sistemico” il governo ha ritenuto di non aver bisogno di consultarle, come sarebbe stato logico e necessario. I Centri Antiviolenza sono visti come meri fornitori di un servizio, che chiunque altro può fornire al posto loro: storia, competenze, analisi delle donne che per prime e per lunghissimo tempo hanno ascoltato e sostenuto altre donne – tutto superfluo. Che differenza fa? Be’, è diverso chiedere aiuto e trovarsi davanti un dipendente dell’Asl totalmente impreparato e imbevuto delle nozioni standard sulla violenza (raptus, provocazione, masochismo femminile) o qualcuno che ha fatto del contrasto alla violenza una delle priorità della propria esistenza, ha sperimentato e ascoltato e studiato, e sa perché e come la violenza accade. E’ più facile gettarsi dal balcone o tornare dal proprio picchiatore nel primo caso.

Poi c’è la questione delle risorse – striminzite – previste dal Piano che andranno a pioggia in ordine sparso a questo o quel soggetto senza una direzione centrale e una chiarezza di scopi. Anche qui, non occorre essere geni (basta vivere in Italia) per capire che le associazioni di donne non avranno un euro e che potrebbero nascere alcune belle onlus di amici / parenti di politici improvvisamente esperti di tutto, minori, accoglienza, ospitalità, empowerment femminile e mainstreaming di genere. (Ops, genere??? Poi i cattolici si impermaliscono, togliamolo.)

Due cose curiose, infine: a) questa ricerca dell’Istat dovrebbe essere l’ultima in materia, perché il Piano Antiviolenza sostituisce l’ente statale con una “Banca Dati” da appaltare a privati (onlus di cui sopra?); b) il Piano in questione tratta di violenza di genere ma cancella spensieratamente le declinazioni femminili dal proprio testo. Ne capiscono proprio tanto, delle radici della violenza, i cervelloni che l’hanno stilato. Proprio stamane, leggendo i giornali, mi sono imbattuta in questo titolo: “Il Ministro Lorenzin “twitta” la nascita dei suoi due gemelli.” e ho pensato “Speriamo che anche la madre stia bene” prima di ricordarmi che IL MINISTRO si chiama Beatrice…

Veniamo invece ai termini in cui l’indagine Istat è stata presentata, che sono altrettanto problematici. Sabbadini, Fedeli, Martelli, dalle vostre parole riportate sui giornali questo si evince:

1. La violenza è trattata come un “fenomeno”… atmosferico, qualcosa in cui la volontà umana sembra non entrare molto. Accade che le donne siano picchiate, stuprate, uccise, così come accadono terremoti e valanghe.

2. La violenza sulle donne riguarda solo le donne. Sta a loro esserne consapevoli, prevenirla, reagire.

3. La violenza sulle donne è responsabilità delle donne in ogni senso: essendone consapevoli, prevenendola e reagendo esse provocano ulteriore violenza, di maggiore intensità.

E allora, Sabbadini, Fedeli, Martelli, ci dite cosa diamine dobbiamo fare? Se non la preveniamo siamo stupide e ci prendiamo le legnate, se la preveniamo dalle legnate si passa al fucile. (Qui mi sono autocensurata e manca un’esclamazione parecchio volgare e furibonda.)

Sabbadini, Fedeli, Martelli, manca qualcosa anche ai vostri ragionamenti: questi sei milioni e rotti di donne chi le picchia, chi le stupra, chi le uccide? No, no, non sto parlando delle classificazioni partner, ex partner, sconosciuti. Sto parlando di uomini. Uomini provenienti da ogni classe sociale e con i retroscena più disparati, ma tutti socializzati a credere alla propria superiorità, alla propria legittimazione al possesso dei corpi delle donne, al fatto che la violenza sarebbe ingrediente supremo e più che necessario della loro virilità e prontissimi a scusarsi, giustificarsi e perdonarsi l’un l’altro e a glorificarsi l’un l’altro a pacche sulle spalle. Quando li rendiamo consapevoli e responsabili, questi? E come? Le associazioni antiviolenza e i gruppi femministi che non si è voluto ascoltare qualche suggerimento in merito lo avrebbero.

Leggendovi, Sabbadini, Fedeli e Martelli, ho avuto la percezione che tutte e tre camminaste in punta di piedi su ghiaccio sottilissimo: fra le righe sembravano vibrare cose del tipo non accusiamo gli uomini, non tutti gli uomini, non offendiamo gli uomini… Di quanto sia offensivo per le donne lo scaricare sulle loro spalle l’intero portato della questione e di quanto ciò alimenti e rafforzi il contesto in cui la violenza si crea e prolifera, non ne parliamo, non ha importanza. Noi, vostre simili, siamo abituate ad essere prese a calci in culo, uno più o uno meno non fa grande differenza.

Tanta delicatezza nei confronti degli uomini è invece davvero ammirevole. Guardate come vi è subito tornata indietro nei commenti agli articoli (non li ho corretti):

“La percentuale dichiarata mi sembra francamente esagerata, tanto da far perdere credibilità all’indagine.”

“Entrano nelle percentuali anche quelle a cui lui ha detto che non gestisce bene la casa o cucina male. Poi arriva qualche gentile donzella che sventolando queste cifre chiede stanziamenti di soldi NOSTRI…”

“Ormai dare torto a una donna su una ricetta vale come violenza. Della violenza psicologica subita quotidianamente dagli uomini nessuno ne parla, molto meglio dipingere mostri per fare audience e vendere carta straccia.”

“Spiace che in giro ci siano tanti uomini così, ma non posso esimermi dal pensare anche a quanti uomini che conosco che siano stati vittime, più in termini psicologici che fisici ma con conseguenze altrettanto funeste, di certe donne.”

Quest’ultima profondissima e accorata riflessione è stata lodata dai sodali come “raro esempio di onestà intellettuale”. Riassumendo: le cifre sono false e gonfiate; gli uomini soffrono altrettanto – se non di più – della “violenza psicologica” delle donne (i reparti psichiatrici degli ospedali traboccano di uomini devastati dalle donne, solo che non ce lo volete dire, GOMBLODDO!); le prime associazioni che vengono in mente a questi uomini leggendo 6.788.000 – sei milioni e settecentottantottomila donne vittime di violenza in Italia sono: cattive casalinghe, cucinano male, non puliscono adeguatamente e strillano violenza! ad ogni sciocchezza per succhiare il nostro danaro.

Sabbadini, Fedeli, Martelli, riuscite a vedere che questo dannato paese ha un problema culturale? Se non lo affrontiamo perché temiamo di diventare meno simpatiche agli uomini non guadagniamo comunque nulla: meno simpatiche di così è IMPOSSIBILE. Maria G. Di Rienzo

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