Jenny Lu, taiwanese (in immagine qui sopra) all’epoca studente d’arte a Londra, incontrò una giovane donna chiamata Anna durante un pranzo comunitario a Chinatown. “Veniva da un piccolo villaggio cinese e sembrava del tutto normale. – ricorda Jenny – Mi disse di essersi trasferita a Londra perché voleva una vita migliore.”
Poco dopo, nel 2009, Anna si suicidò nei pressi dell’aeroporto di Heathrow. Nessuno dei suoi amici e conoscenti, compresa Jenny, sapeva che Anna in Gran Bretagna c’era arrivata con un finto matrimonio – per cui la sua famiglia aveva pagato un prezzo salato – e che il suo lavoro consisteva nel prostituirsi in un salone per massaggi. E’ stata proprio Jenny a scoprirlo: devastata dal dolore per la morte di Anna ha intrapreso un difficile viaggio per tracciarne la storia e quel viaggio è divenuto il film “The Receptionist” (premiere a Taiwan venerdì prossimo e al Festival del Cinema di Edimburgo la settimana successiva).
Fra le donne che si prostituiscono nei saloni per massaggi, Jenny Lu ha trovato immigrate da tutta l’Asia; alcune sono arrivate a Londra tramite matrimoni pro-forma come quello di Anna, altre hanno falsi passaporti, altre ancora devono crescere figli da sole o erano arrivate per studiare e non hanno trovato il modo di mantenersi. Quelle che conoscevano Anna hanno raccontato a Jenny di come lavorasse duramente per ripagare il debito del finto matrimonio e sostenere la propria famiglia in Cina, compresi gli studi del fratello.
Nel film, la giovane regista ha messo tutto quel che ha visto e udito: donne che vivono come prigioniere, con le tende sempre tirate per paura di essere scoperte; donne che conoscono poco la lingua del paese in cui vivono e di Londra hanno visto a stento le strade più vicine al bordello; donne che sono sfruttate da ogni tipo di criminali e soggette a pestaggi, rapine e stupri se non pagano i soldi per la “protezione”: tanto i magnaccia sanno bene che non chiameranno mai la polizia a causa dei loro retroscena; donne soggette alle più incredibili brutalità da parte dei “clienti”… Questi ultimi pagano di media per una sessione di violenze (Nda: tale io considero il “sesso a pagamento”), sessuali e non, 120 euro: i proprietari del salone per massaggi trattengono dalla cifra – sempre di media – il 50/60%.
“Le attrici e gli attori non riuscivano a credere reale la sceneggiatura. – dice al proposito Jenny Lu – Così li ho portati a conoscere personalmente le donne di cui parlo.”
Anna aveva 35 anni quando si è tolta la vita. Era in Gran Bretagna da due e veniva sfruttata dall’industria del sesso da uno. La sua famiglia continuava a chiedere danaro, il suo lavoro le risultava pesantissimo e inaccettabile, e quando tentò di farsi restituire i soldi che aveva prestato a una sedicente amica quest’ultima minacciò di far sapere ai familiari di Anna cosa lei faceva per vivere. Ogni sogno che Anna poteva aver nutrito lasciando il suo villaggio era finito in una discarica.
“Il messaggio che voglio mandare è questo. – attesta la regista – Anche quando ti allontani di molto dal sogno che hai nutrito per lungo tempo, voltati e guarda indietro da dove vieni, cos’era il tuo sogno iniziale. Molta gente dimentica. Molte delle donne di cui racconto le storie nel film non credono più di poter fare una vita diversa. Cercano persino di pensare il meno possibile.” Maria G. Di Rienzo