Dove? Al 14th Film Festival “Women’s Worlds” (“Mondi di donne”) – Tübingen, Germania, 16/26 novembre 2014.
Film, corti, documentari intervallati da rappresentazioni teatrali e tavole rotonde; sezioni speciali quali “Donne in lotta per i diritti sociali” e “Donne che lavorano in condizioni precarie”; la presenza di registe e sceneggiatrici e attrici e ospiti provenienti da trentacinque nazioni, fra cui Meaza Ashenafi, avvocata etiope che ha accompagnato la proiezione di “Difret”, film vincitore del premio del pubblico alla Berlinale dello scorso febbraio: la pellicola è basata sulla sua storia, quella di una giovane legale che farà l’impossibile per salvare la vita di una 14enne condannata a morte.
E Luna Mijovic, che aveva visitato il Festival da quindicenne nell’edizione del 2007, è tornata a “Mondi di donne” come attrice, diretta da Petra Volpe in “Traumland” (“Terra dei sogni”): il film mostra quanto spietato può essere il mondo nei confronti di una giovane prostituta bulgara, interpretata da Luna. Petra ha passato molto tempo a fare ricerche e raccogliere testimonianze nel quartiere a luci rosse di Zurigo per scrivere la sceneggiatura.
Veramente c’è così tanto materiale meritevole di applausi e recensione che questo pezzo ha il potenziale (ho calcolato) per 14 pagine – e voi gentili creature non meritate di sopportarmi sino a tali estremi. Perciò ho visto più trailer possibile e ho scelto. Voi rizzate le antenne…
… e se uno dei titoli di seguito menzionati – ho apprezzato in particolare i documentari – finisce alla portata del vostro sguardo NON PERDETELO!
Cominciamo proprio con “Difret”, quindi: Etiopia, 2014, 99 minuti, regista Zeresenay Berhane Mehari. Hirut, quattordicenne, è rapita da un gruppo di uomini. Cercando di difendersi da quello che l’ha stuprata Hirut si impossessa di una delle loro armi, spara e lo uccide. Condannata a morte, la sua sola speranza è l’avvocata Meaza Ashenafi, che rischierà il bando dalla professione per la difesa della ragazza. (Premiato anche al Sundance Festival)
Il resto, in ordine alfabetico:
“Africa Rising”, Usa, 2009, 62 minuti, regista Paula Heredia.
Agnes vive in viaggio per diffondere informazioni. Di villaggio in villaggio, di scuola in scuola. Da un’istituzione a un’altra, da una casa alla successiva. Agnes lavora contro le mutilazioni genitali femminili (MGF): pur se inflitte a 140 milioni di donne e bambine in tutto il mondo, parlarne è ancora un argomento tabù. Agnes fa parte di una rete di attiviste anti MGF che lega cinque nazioni africane e crede che molte voci insieme abbiano più possibilità di essere ascoltate.
“Baba Film Darad”, Iran/Gran Bretagna, 2014, 72 minuti, regista Hassan Solhjoo.
A 15 anni, Samira lascia la scuola. Non ne può più di sentirsi prescrivere cosa pensare e cosa desiderare. Vuole imparare a fare film come suo padre, il regista iraniano Mohsen Makhmalbaf. Accettando la sua decisione, il padre trasforma l’abitazione della famiglia in una “scuola di cinema” dove condivide conoscenze ed esperienze: da questa scuola usciranno tre registe iraniane destinate a diventare famose.
“Be My Baby”, Germania, 2014, 109 minuti, regista Christina Schiewe.
Una commedia brillante che fa a pezzi un bel po’ di tabù. Vivace, affettuosa e soprattutto cocciuta, Nicole ha 18 anni. E’ l’età in cui giustamente vagheggia d’amore e di sesso. Più di ogni altra cosa, vorrebbe diventare madre. Ma Nicole ha la sindrome di Down e il suo desiderio porta alla superficie disagevoli questioni per i suoi parenti e conoscenti.
“Die Hüter der Tundra”, Russia/Norvegia/Germania, 2013, 85 minuti, regista René Harder.
Il governo russo sta vendendo la tundra alle compagnie estrattive internazionali un pezzo alla volta. Se la tundra fosse una distesa di materiale inerte non ci sarebbe niente da dire, ma il fatto è che si tratta di un ecosistema progressivamente distrutto: villaggi umani compresi. Krasnoschchelye è uno di essi ed è la casa degli indigeni Sámi, allevatori di renne da tempi immemorabili. Non contenti di essere cacciati a calci per il profitto altrui, opporranno la loro resistenza e manderanno Sasha – leader e simbolo – nel parlamento etnico in Russia a difendere la sopravvivenza del loro villaggio e della loro cultura. La cosa straordinaria (per noi, non per i Sámi) è che Sasha è una giovane madre. Chi meglio di lei può incarnare vita e speranza, spiegano.
“Flowers of Freedom”, Kirgistan/Germania, 2014, 96 minuti, regista Mirjam Leuze.
1998: un camion carico di cianuro, diretto alle vicine miniere d’oro, si rovescia nel fiume su cui sorge il villaggio di Barksoon. Centinaia di persone si ammalano e muoiono nell’indifferenza totale di governo e compagnie minerarie. Un gruppo di donne darà inizio a piccole manifestazioni per ottenere risarcimento e ripristino ambientale, dimostrazioni che diventeranno sempre più grandi, sino a portare alcune di quelle donne nelle istituzioni politiche: e nonostante la sordità e la corruzione che le circonda riusciranno ad ottenere l’impossibile.
“Geschenkt wurde uns nichts”, Italia/Germania, 2014, 58 minuti, regista Eric Esser.
E’ la storia di una lotta durata una vita intera, per la liberazione di un paese e la liberazione di sé: Anita Malavasi aveva 22 anni quando le truppe tedesche occuparono l’Italia nel 1943. Unitasi alla resistenza, passerà un anno sugli Appennini da partigiana. Ma non dovrà lottare solo contro l’occupazione tedesca, perché il machismo della società italiana non risparmia i suoi compagni.
“No Burqas Behind Bars”, Afghanistan/Svezia, 2012, 77 minuti, regista Nima Sarvestani.
Qui in prigione sono più libera di quanto sia fuori. Così dicono, ad esempio, Sima e Nadjibeh, incarcerate per essere fuggite da matrimoni imposti e mariti violenti: sono “crimini morali”, sapete. Nella sezione femminile della prigione di Takhar, in Afghanistan, quaranta donne raccontano come paradossalmente siano più al sicuro in galera che nelle loro case. E, religiose o meno, nessuna si copre il viso con veli, burqa e compagnia.
“Schweizer Helden”, Svizzera, 2014, 94 minuti, regista Peter Luisi.
E’ il periodo natalizio e Sabine non se la sta passando proprio bene: suo marito l’ha lasciata, i suoi figli sono distanti e le sue amiche sono andate in vacanza senza di lei. Quando decide di fare volontariato in un campo profughi familiari e conoscenti sono scettici e un po’ seccati. Sabine cercherà di dimostrar loro quanto si sbagliano organizzando la messa in scena di “Guglielmo Tell” con i richiedenti asilo. Problemi linguistici e problemi esistenziali si mescolano all’impresa… (Premio del pubblico a Locarno)
Gran finale con la sezione… “nonne invincibili”!
“The Lady in Number 6”, Usa/Canada/Gran Bretagna, 2014, 38 minuti, regista Malcom Clarke.
La 109enne Alice Herz Sommer è la pianista più anziana del mondo e una sopravvissuta all’Olocausto. E’ convinta che la musica abbia preservato la sua vita in passato e lo faccia ancora, perciò suona il piano ogni giorno. E’ una donna piena di entusiasmo e di passione, che parla di quanto sia importante saper ridere e assaporare ogni singolo momento felice. (Academy Award 2014)
“The Optimists”, Norvegia/Svezia, 2013, 80 minuti, regista Gunhild Magnor.
“Le ottimiste” sono una squadra femminile di pallavolo. Si allenano coscienziosamente ogni settimana, ma da trent’anni non giocano una partita. Come mai? E’ che la loro età va dai 66 anni in su e non c’è torneo che le accetti. Ma la “regina” della squadra, la 98enne Goro – semplicemente favolosa in tuta e scarpe da ginnastica color porpora – ha qualche idea in mente per rimediare…
“Rebel Menopause”, Francia/Italia, 2013, 26 minuti, regista Adele Tulli.
Thérèse, attivista femminista di 85 anni, ha partecipato ad innumerevoli lotte per l’emancipazione e i diritti delle donne. E’ convinta che la menopausa segni un inizio, e non una fine, nella vita di una donna: e ci mostra quanti progetti ha realizzato in menopausa e a quanti sta lavorando attualmente, come la “Casa Baba Yaga” per donne ultra sessantacinquenni. Maria G. Di Rienzo