Quando era bambina, Dayamani Barla finì buttata per strada assieme alla sua famiglia. Ai suoi genitori, analfabeti, fu sottratta la terra con un documento su cui campeggiavano, a mo’ di firma, due false impronte digitali. “Non avevamo più nulla. I membri del gruppo familiare si dispersero. Mia madre finì a servizio a 150 chilometri di distanza dalla propria casa. E’ quello che ho visto durante la mia infanzia ad avermi ispirato a diventare giornalista ed attivista.”
Barla, indiana Adivasi della tribù Munda, si è guadagnata ogni singolo giorno di scuola dalle elementari in poi, lavorando come domestica. Essendo una delle prime giornaliste tribali in India, si accorse in fretta che la rappresentazione mistificata delle minoranze sui media necessitava di una correzione. La sua promessa alla sua gente e a se stessa fu questa: “Scriveremo la nostra storia con la nostra penna”. Assieme ad un’amica si indebitò e fondò il giornale “Jan Haq” (I diritti del popolo) per documentare gli abusi dei diritti umani subiti dai gruppi indigeni.
Nello stato centrale di Jharkhand (“Terra delle foreste”) da cui Barla proviene, milioni di persone sono state spodestate dalla colonizzazione prima e per far posto a dighe, miniere e progetti industriali poi. Nel 2012 l’attivista ha passato 69 giorni in una cella minuscola per aver guidato una protesta contro l’esproprio di terre fertili della tribù Oraon (mentre appezzamenti sterili nelle vicinanze potevano essere comodamente usati in cambio). Ogni volta in cui appariva in tribunale, dal pubblico le donne tribali sciamavano verso di lei per portarle frutta. “I nostri antenati hanno sempre sfidato la cultura del dominio, – spiega Barla – perché i popoli indigeni credono nella diversità culturale e nel pluralismo. Noi non vediamo la natura come una mera merce a disposizione. Le società indigene sono basate sulla natura. Tali comunità esistono sino a che sono collegate all’acqua, alla foresta e alla terra. Quando gli Adivasi vengono forzatamente allontanati dalla loro terra, dalle foreste e dall’acqua non si tratta solo di un allontamento da case e mezzi di sussistenza, ma anche dai loro valori sociali, dalla loro cultura, dalla loro storia.”
Uno dei tanti successi delle proteste di massa organizzate da Dayamani Barla è stato lo stop ad un gigante dell’acciaieria mondiale, Arcelor-Mittal: se quest’ultima megacorporazione fosse riuscita nel suo intento, 70.000 persone sarebbero state allontanate da oltre 40 villaggi, e 12.000 acri di terra sarebbero stati confiscati. Non c’è da meravigliarsi che il solo pronunciare il suo nome faccia venire il mal di pancia a politici corrotti, mafie dell’esproprio terriero e compagnie commerciali con pochi scrupoli. Queste ultime continuano a denunciarla mostrando una notevole faccia di bronzo: come Electro-Steel, il cui impianto nel distretto di Bokaro è stato costruito truffando i contadini che possedevano la terra in precedenza. Poiché Barla ha aiutato questi ultimi a presentare le loro legali lagnanze sul fatto che non hanno ricevuto nulla di quanto la corporazione aveva promesso (impieghi e compensi), dovrà tornare in tribunale a rispondere di questo orrendo crimine…
“I diritti umani sono attaccati da ogni parte. In tutta l’India i coltivatori vivono sotto l’ombra del terrore di essere spodestati nel mentre sono marchiati come elementi antisociali e implicati ad arte in dozzine di falsi casi per cacciarli in prigione. Abbiamo bisogno di un cambiamento fondamentale nel modo in cui guardiamo allo sviluppo. Questa lotta è la lotta per la salvezza dell’umanità. Le sfide da affrontare sono grandi e io non mi piegherò. I nostri antenati hanno percorso questo sentiero prima noi, per cui la nostra resistenza non può essere fermata.” Maria G. Di Rienzo