Mettiamo che, nel giro di due giorni (24 e 25 agosto 2014) e nello stesso paese, quattro persone che condividono un tratto identitario fondamentale siano uccise o ferite gravemente da altre quattro persone che condividono un diverso tratto identitario fondamentale: diciamo, indifferentemente alle azioni compiute o subite, che siano identificabili come musulmani/cattolici, “bianchi”/”neri” o persino alti e bassi. Mettiamo anche che questi quattro episodi non siano che l’apice concentrato di una situazione che si ripete ogni pochi giorni. I titoli dei giornali sarebbero pressappoco questi: Mattanza di musulmani, Strage di cristiani, Emergenza omicidi di bianchi, Orribile catena di assassini di neri, Violenza contro persone alte incontrollata, Macello delle persone basse. Politici di tutte le appartenenze si sentirebbero in dovere di intervenire, quelli al governo assicurerebbero immediata attenzione e progetterebbero interventi.
In Italia, nel giro di due giorni (24 e 25 agosto 2014), due donne sono state uccise e due ferite – una è in pericolo di vita, da quattro uomini. L’episodio più clamoroso è quello di Roma, dove il 35enne Federico Leonelli uccide a coltellate la 38enne ucraina Oksana Martseniuk e la decapita con una mannaia, ma nello stesso giorno a Nuoro Sandro Mula, quarentenne, uccide la moglie Sara Coinu, 36 anni, con tre colpi di pistola e poi rivolge l’arma contro di sé. Il giorno successivo a Lamezia Terme un uomo quarantenne accoltella ripetutamente la moglie (che fortunatamente non è in pericolo di vita) e fugge; a Santa Maria Capua Vetere un 56enne riduce in poltiglia la consorte a colpi di mazza da baseball: costei è grave. In questi due ultimi casi i trafiletti non hanno menzionato nomi e cognomi delle persone coinvolte.
La prima cosa interessante è che non è accaduto niente di quel che sarebbe invece accaduto in ambito giornalistico e politico se la situazione fosse come l’ho descritta in apertura. Nessuno ha notato che in Italia le donne muoiono o subiscono tentativi di omicidio in un numero che è troppo allarmante per essere ancora affrontato spezzettando i casi in follia – raptus – gelosia – crisi familiare – si stavano separando – lei lo aveva respinto, e cioè in problematiche “singole” che con il clima culturale e sociale della nazione non avrebbero nulla a che fare. Nessun quotidiano ha prodotto titoli, occhielli o articoli che riflettano la realtà; nessun politico si è sentito in dovere di rilasciare dichiarazioni.
La seconda cosa interessante riguarda il caso romano, troppo denso di dettagli orripilanti per non guadagnare la prima pagina, compreso l’omicidio dell’aggressore da parte della polizia. Questa è una sequenza di titoli/occhielli del Corriere della Sera fra il 24 ed il 25 agosto, i corsivi sono miei:
n. 1 – Decapita la partner con una mannaia. L’assassino ucciso dalla polizia. Orrore e sangue in un appartamento all’Eur. Al loro arrivo gli agenti sono stati aggrediti dall’omicida con la stessa arma: hanno dovuto sparare e lo hanno colpito.
n. 2 – Decapita una donna con una mannaia. L’assassino ucciso dalla polizia. Orrore in una villa (a) Roma. L’omicida, in divisa paramilitare e il volto coperto da una maschera antigas, ha aggredito gli agenti, che hanno dovuto sparare e lo hanno colpito.
n. 3 – L’assassino aveva 35 anni, una relazione sentimentale chiusa da due anni.
n. 4 – Il ritratto del killer, tra depressione e l’uso di tranquillanti
n. 5 – L’ospite triste diventa killer.
E questa è una sequenza de La Repubblica (stessi giorni, i corsivi sono sempre miei):
n. 1 – Decapita la compagna poi si scaglia contro gli agenti che sparano: morto in ospedale . Orrore in una villetta di via Birmania. Un uomo prima uccide con una mannaia la compagna poi attacca i poliziotti. Ricoverato al Sant’Eugenio, è deceduto Roma, decapita donna poi si scaglia contro gli agenti che sparano: morto in ospedale.
n. 2 – Il delitto in una villetta di via Birmania all’Eur. Un uomo, Federico P. di 35 anni, con indosso una maschera e gli anfibi prima uccide con una mannaia la domestica ucraina poi attacca i poliziotti. Ricoverato al Sant’Eugenio, è deceduto.
n. 3 – Nella casa dell’assassino “Era violento” “No, era speciale” “Sconvolto dalla morte della fidanzata”.
Ormai saprete il resto, credo. La vittima lavorava nella villa che era stata “prestata” all’omicida dai proprietari in vacanza. La vittima aveva allertato i suoi datori di lavoro: il loro amico maneggiava un gran quantità di coltelli in un modo che le faceva paura. Gli investigatori ipotizzano che Oksana Martseniuk sia stata assalita sessualmente (le sue grida, il fatto che il cadavere fosse senza maglietta) e che l’assassino abbia “reagito” al suo rifiuto; la decapitazione sarebbe dovuta all’idea di fare a pezzi il cadavere per potersene sbarazzare più facilmente. Da notare che in prima battuta i giornali sono convinti che tra i due debba esserci una relazione: se la morta è “la compagna” il delitto si spiega, è normale, avranno litigato, lei forse voleva lasciarlo, lei lo aveva tradito ecc. Quando il dato è smentito, le giustificazioni per l’assassino prendono tutte le direzioni possibili: era triste e depresso perché una relazione sentimentale durata due anni si era chiusa (affermazione poi sparita da ogni articolo successivo), oppure perché la sua fidanzata, con cui aveva avuto una relazione molto lunga, è morta; faceva uso di psicofarmaci: “informazione” sparata senza verifica alcuna, sulla base delle dichiarazioni di un vicino di casa: Penso facesse uso di tranquillanti e smentita da articoli successivi con l’occhiello “Non prendeva tranquillanti”; inoltre, era una brava persona, anzi una persona stupenda: la sorella lo definisce “un ragazzo d’oro che si prodigava con i nipotini” e per il custode del palazzo in cui abitava era “un ragazzo splendido, una persona speciale”.
Altre testimonianze, sempre di vicini di casa, menzionano “lunghi litigi” con la madre (in condizioni fisiche precarie, assistita da una badante) “che sembravano non finire mai”: “Sentivamo sempre urlare” e dicono che Federico Leonelli avrebbe anche alzato le mani su madre e sorella durante i litigi suddetti. La “maschera antigas” dei primi flash si riduce ad un paio di occhiali da giardiniere e la dinamica dell’uccisione di Leonelli da parte della polizia presenta controversie: forse non ha minacciato gli agenti con il coltellaccio ma ha tentato di entrare nella propria auto per fuggire.
L’ultima cosa interessante è che Oksana Martseniuk esiste nei media solo come cadavere decapitato. Non vi è traccia della curiosità e dei patetici tentativi di “analisi” che invece investono personalità, esperienze e relazioni del suo assassino. Non sappiamo, e a nessuno interessa sapere, chi fosse questa donna da viva. Possiamo ragionevolmente supporre che i suoi colleghi, gli altri domestici che lavoravano nella villa, conoscessero qualcosa di lei ma nessuno ha chiesto loro niente. Possiamo ragionevolmente supporre che avesse storie allegre e storie tristi nel suo passato, che avesse hobby e cose che le piacevano più di altre.
Possiamo ragionevolmente supporre che avesse relazioni, parenti, amici; possiamo ragionevolmente supporre che qualcuno, nel momento in cui io scrivo queste parole, sia disperato, incredulo, sotto shock, ferito irreparabilmente dalla morte di Oksana. Ma non possiamo andare più in là delle ipotesi ragionevoli. Perché Oksana Martseniuk era una donna, e quindi infinitamente meno degna di interesse e compassione e meno umana dell’uomo che l’ha uccisa. Maria G. Di Rienzo