(“Say Grace”, di Emily Jungmin Yoon – in immagine- poeta contemporanea di origine coreana, trad. Maria G. Di Rienzo. E’ l’Autrice di due raccolte di versi, “Ordinary Misfortunes” (Tupelo Press 2017) e “A Cruelty Special to Our Species” (Ecco Books 2018). Sue poesie e traduzioni appaiono su varie riviste. Su “Say Grace” ha detto: “Ho scritto questa poesia pensando all’ipocrisia della fede – a come così spesso le dottrine religiose sono nate o sono centrate sulla sopravvivenza (survivalismo) ma sono diffuse e usate per uccidere e odiare – e al bisogno di mettere in discussione le nostre credenze, religiose o no, e la loro origine.”)
RENDI GRAZIA
Nel mio paese le nostre sciamane erano donne
e i nostri dei molteplici sino a che la gente bianca portò
un’estasi di rosari e le nostre città oggi
scintillano di croci come cimiteri. Da bambina
alla scuola domenicale mi fu detto che sarei andata all’inferno (1)
se non avessi creduto in Dio. La nostra insegnante era una donna
le cui figlie volevano diventare suore e io chiesi
Che ne sarà dei bimbi e di Buddha, e lei disse
Sono all’inferno anche loro e così io mandai a memoria preghiere
e le recitavo di fronte a donne
in cui non credevo. Liberaci dal male.
O dolce Vergine Maria, amen. O dolce. O dolce.
In questo paese, che si dice cristiano,
cos’è più dolce dell’udire Abbi pietà
di noi. Da coloro che servono dei differenti. O
clemente, o amorevole, o Dio, o Dio, nel mezzo delle rovine,
nel mezzo delle acque, fuggente, fuggente. Liberaci dal male.
O dolce, O dolce. In questo paese,
indicate la luna, le stelle, indicate dove si trova il lago,
con una mano piena di piume,
e gli altri guarderanno le piume. E vi uccideranno per questo.
Se una parola per religione in cui non credono è magia
allora sia così, si abbia noi magia. Si abbia noi
le nostre proprie madri e sciarpe, i nostri spiriti,
le nostre sciamane e i nostri libri sacri. Teniamoci
le nostre stelle per noi e non pregheremo
nessuno. Mangiamo
ciò che ci rende sacre.
(1) Speravo che questa pratica, nel catechismo, si fosse attenuata, ma vedo che non è così. Avevo otto anni e facevo parte della platea di bambine/i aspiranti alla prima comunione quando il Vescovo in persona ci disse che se avessimo fatto la comunione in peccato l’ostia ci avrebbe tagliato la gola. Dopo aver partecipato forzatamente alla cerimonia non ho più messo piede in una chiesa se non da turista.