Tutto il mondo è paese: America, Africa e Asia – tre donne a cui si dice che non possono dedicarsi al tal lavoro perché “non è da donne”. Tre donne che fanno orecchio da mercante e proprio tramite quel lavoro risollevano se stesse, le proprie famiglie e le proprie comunità.
Eccovi la prima, Doña Maria Ixtamer Mendoza dal Guatemala. La foto la ritrae al centro con alcune socie del gruppo che ha fondato: la “Associazione donne artigiane di San José”. Il loro motto è “Passione per le persone e passione per la terra”.
“Non sono mai stata ad ascoltare quando la gente diceva questo è da donne e questo non lo è.”, afferma Doña Maria. Come molte donne del suo paese, ha imparato a tessere sul telaio a tensione dorsale (in immagine qui sotto) avendo sua madre e sua nonna come maestre. Come molte altre, appunto, è tutta la vita che produce tessuti.
Ma a differenza di molte altre ha visto quale potenziale aveva la tessitura per le donne nella sua comunità e non ha avuto paura di fare un passo oltre la tradizione per rendere reale il suo sogno.
L’Associazione delle donne artigiane fu fondata da Doña Maria nel 1996, nel mezzo della miseria, e all’inizio le tessitrici scambiavano i loro prodotti con cibo. La sua “rivoluzione” fu cominciare ad usare il telaio a pedale (in immagine qui sotto): un attrezzo rigorosamente riservato agli uomini.
E mentre creava stoffe bellissime con questo telaio, fra le bocche aperte dei suoi vicini, chiese a sua figlia Elizabeth: Vuoi imparare? Elizabeth disse di sì. E altre donne si fecero avanti.
“Continuiamo a lavorare anche con il telaio a tensione dorsale, ovviamente. – dice ancora Doña Maria – Tutti i nostri prodotti cominciano con le tinture naturali che si trovano nella giungla tropicale, il cuore della terra Maya. Noi dell’associazione siamo Tzutujil, uno dei 21 gruppi etnici discendenti dai Maya, e i nostri tessuti si rifanno alla tradizione artistica dei nostri antenati. Per rimanere fedeli alle tecniche artistiche Maya, produciamo in modo sostenibile tutte le materie prime di cui abbiamo bisogno, dai semi alle fibre naturali. Potrei dire che, in questo senso, le nostre stoffe sono… leggendarie! Il prossimo passo nel nostro sogno è coordinarci con altri gruppi di donne nella nostra regione e addestrare quelle che lo desiderano.”
La donna ritratta nella fotografia con i suoi due bambini, in quel di Bali – Indonesia, è invece Eka (in numerosi contesti, asiatici e non, è comune che le donne non abbiano cognomi).
Nel 2009, il marito di Eka morì dopo una lunga malattia: lei aveva dato alla luce il loro secondo figlio da dieci giorni e tutto quel che le restava fra le mani era il conto esorbitante dell’ospedale da pagare. Il marito di Eka era un intagliatore, come lo era stato il padre di lei, soprattutto di noci di cocco; un mestiere “da uomini” in cui le donne possono intervenire solo per le rifiniture. Ma Eka non era solo una “rifinitrice”, era un’artista con la capacità di creare da sé sculture splendide. “Pensai prima di tutto ai miei bambini, al loro futuro. E pensai che diventando un’intagliatrice avrei onorato la memoria di mio marito. I miei bimbi sono ancora oggi la fonte della forza del mio spirito. Grazie a loro, non posso cadere.” Eka ha avuto numerosi riconoscimenti per le sue opere e basta guardarle per capire perché. (Qui sotto vedete un pannello e una scultura di Eka.)
Ed eccoci arrivate a Ernestina Oppong Asante, Ghana. La sua storia ha una somiglianza fondamentale con quella di Eka: il desiderio tenace di avere risultati in un campo considerato “maschile”, quello della produzione di maschere intagliate e tamburi di legno.
Nel 1999, sorda a tutti i richiami “ladylike” (sorry, non ho resistito), Ernestina aveva già messo in piedi il proprio laboratorio e aveva quattro apprendisti – maschi e femmine – sotto di lei. Il suo successo ha varcato negli anni i confini del suo paese (si trovano reportage sulle sue opere nei magazine artistici di mezzo mondo) ed Ernestina ne è ovviamente assai soddisfatta: “Sì, l’intagliare è stato a lungo visto come un mestiere da uomini, per cui sono felice non solo di essermi “infiltrata” ma di essere stata capace di avere un impatto sull’intero commercio.”
Alla fine ha persuaso persino il marito Daniel, tassista con qualche esperienza da carpentiere, a intagliare con lei. Assieme, hanno formato dieci fra intagliatori e intagliatrici che oggi sono riconosciuti come artisti nel campo. Di seguito potete vedere due opere di Ernestina Oppong Asante. Il primo è un tamburo djembe e il motivo astratto alla sua base si chiama “Gye Nyame”, un simbolo Adinkra altamente considerato in Ghana: la sua forma rotante significa “Non temo nessuno ad eccezione di dio”. I simboli Adinkra trasmettono da secoli le tradizioni popolari.
Il secondo è un lavoro di intreccio. Filo dopo filo, Ernestina ha raffigurato la piccola Ama (Sabato, il giorno in cui è nata) nell’atto di bere. I recipienti attorno a lei assicurano che non avrà mai sete.
La tenacia e la bellezza che Ernestina mette nei suoi lavori hanno come fonte una visione artistica intrisa d’amore. Lei e Daniel hanno quattro figli propri, ma ne hanno presi in casa altri cinque senza famiglia. “Facciamo così tante cose – spiega orgogliosamente Ernestina – che siamo in grado di non far mancare loro nulla.” Maria G. Di Rienzo