L’articolo comincia così: “Uno studio dell’Università di Pisa (…) avrebbe individuato le radici neuronali della gelosia delirante di cui è spesso affetto lo stalker: si troverebbero in un’area della corteccia frontale, una zona del cervello che sovrintende a complessi processi cognitivi e affettivi.” Immagino quanto avidamente alcuni (troppi) individui lo abbiano scorso esultando: Lo avevo detto, io! Chi fa queste cose è malato, non può essere ritenuto responsabile delle conseguenze di ciò che fa! Adesso metto finalmente a posto tutte quelle stronze femminaziste che tormentano poveri uomini con l’area della corteccia frontale scortecciata, ecc.
Purtroppo, il pezzo continua ignorando la propria premessa: non fornisce alcuna informazione al proposito, riporta citazioni che la contraddicono, non chiarisce l’uso del condizionale (avrebbe individuato non è ha individuato), e si rivela inutile alla realizzazione del desiderio finale suddetto. L’articolo infatti dice che: 1) “Non esiste una tipologia precisa di molestatori insistenti”, spiega Laura De Fazio, professore associato di criminologia all’Università di Modena, membro del Modena Group on Stalking. e 2) “Spesso lo stalker non ha un disturbo psichiatrico, ma solo una patologia delle relazioni: non accetta il distacco implicito nella fine di un legame, né il rifiuto della vittima.”, spiega Massimo Lattanzi, psicologo clinico e fondatore dell’Osservatorio nazionale stalking.
Persi per strada i neuroni con il raffreddore, lo psicologo cerca almeno di risollevare la speranza dei troll delusi: “Secondo nostri studi, uno dei maggiori fattori di rischio di atti persecutori perpetrati contro un ex partner è la mancata elaborazione di un lutto (50% dei casi).” Ah, ecco, una spiegazione c’è; il tizio perde la mamma e gli muore il pesce rosso, non elabora e perciò tempesta di minacce l’ex fidanzata e la pedina. Io ho perso una sorella maggiore che mi manca più di quanto sappia dire, un fratellino appena nato, amiche, amici, le mie adorate micie Thelma e Louise, e l’idea di tormentare il mio ex marito non mi è mai passata per la testa. Sarò una che elabora bene, cosa volete che vi dica… Comunque, l’asserzione dello psicologo è molto poco scientifica. Non sappiamo niente dei “loro” studi, di come sono stati condotti, di quante persone vi hanno partecipato e come, dei parametri di controllo utilizzati, e del perché siano stati messi in relazione di causa/effetto il non aver elaborato un lutto (è un processo lungo e diversificato per ogni essere umano) e il perseguitare una seconda persona che con il lutto summenzionato, per quel che ne sappiamo, non ha punto a che fare. La stessa ricerca è stata fatta in relazione alle vittime? Quante di esse avevano “lutti non elaborati” in valigia e però non sono diventate stalker? La socializzazione di persecutori e vittime è stata presa in considerazione? In particolare, se mi permettete, la socializzazione rispetto al loro genere, visto che le donne percentualmente subiscono molto più stalking di quanto ne perpetuino.
Per concludere restando sul nulla, arrivano i consigli davvero-molto-esperti:
“Alla richiesta d’iniziare o di riprendere una relazione, è fondamentale dire no chiaramente e senza bisogno di ripetersi.”
Be’, grazie, non ci avevamo proprio pensato. Il fatto è che ogni vittima di stalking dice NO al suo tormentatore almeno una volta, e che spesso lo stalking è cominciato proprio a partire da un NO detto dalla stessa vittima. E il fatto è che lo stalker non ha ascoltato in passato e non ascolta al presente, perciò si continua a dirgli di NO – si è costrette a ripetere – mentre si cerca disperatamente di evitarlo.
“Mai cadere nella trappola della comprensione, ma neanche della comunicazione negativa, percepita come forma di attenzione e quindi incentivo a continuare.” (Lattanzi)
Non dite loro di sì. Non dite di loro di no. (Veramente due righe fa ci avete suggerito il contrario) Non siate comprensive/i. Non reagite negativamente. E allora che cavolo si fa, mister?
Ecco qua: “Importantissimo è affidarsi a un supporto psicologico, che aiuti anche la vittima a superare i problemi pregressi: circa il 25% delle vittime di stalking, infatti, ha una personalità dipendente, che può farle ricadere in molestie perpetrate non solo dal primo autore, ma anche da altri stalker”, osserva Lattanzi.”
Perfetto: il concetto base è che le vittime di stalking sono corresponsabili delle molestie che subiscono, e per un quarto (il 25%) possono persino avere una ricaduta (nella loro malattia non meglio specificata). Qui, degli “studi” non c’è traccia: il dato spacciato per universale da dove viene? Vediamo un attimo, anche, chi sono le persone con disturbo dipendente di personalità: quelle che delegano di solito le decisioni e le responsabilità importanti ad altri; che consentono alle persone che si occupano di loro di prevaricare i loro bisogni; che presentano una bassa stima di sé e appaiono molto insicure circa la propria capacità di prendersi cura di se stesse; che ritengono comunemente di non sapere cosa fare e come farlo; che hanno difficoltà ad esprimere disaccordo verso gli altri per timore di perdere sostegno o approvazione, ecc., avete capito il quadro. Stati prolungati di malattia o un handicap fisico possono essere all’origine del disturbo; ansia e depressione vi sono di solito collegati.
Una persona soggetta ad un periodo di abuso psicologico (e a volte anche fisico) quale è lo stalking può avere un netto calo della stima di sé e manifestare legittimamente insicurezza, ansia e depressione. Il ripetere per abbastanza tempo a una donna “non vali niente”, “senza di me non sei/fai nulla”, “brutta – grassa – schifosa – troia solo io ti sopporto e se non torni con me mi/ti uccido” e via così, trova validazione negli standard culturali correnti, e nella socializzazione di genere di cui parlavo prima: ove la superiorità del maschio è scontata, il suo uso della violenza legittimo e naturale, il suo diritto ad “usare” la “sua” donna sancito… per cui, tale donna può finire per credere di non valere niente e di non essere niente e di non saper fare niente senza che il contesto attorno a lei si attivi granché per dirle il contrario: al massimo le consiglieranno di andare da uno psicologo (che temo non lavori gratis) a farsi curare la personalità dipendente .
Per la quale, non so se avete notato, le dobbiamo ancor meno simpatia del solito; il “disturbo” di lei la vittimizza ulteriormente (i suoi “problemi pregressi”), il “disturbo” di lui lo scusa o lo assolve. Ultima frontiera: studio sulle radici neuronali del sessismo, si troverebbero in una zona del cervello priva di cervello! Maria G. Di Rienzo