Davide Tripiedi, il deputato cinquestelle balzato agli onori della cronaca per il suo “Sarò breve e circonciso” – e corretto dal FI Baldelli con “Coinciso”… – non meritava così tanto clamore. In effetti, è perfettamente in sintonia con il resto dei suoi colleghi movimentisti, parlamentari e non. Per saperlo basta leggerli:
La loro rivoluzione è “la prima almondo”, “qualcosa di realemente nuovo” e “sempre più intusiasmante”: “guardate i videi”! Quando ti “inbatti in una cosa come questa” non la dimentichi più. Se li votate “non venne pentirete”. Non badate a quel che la “stampa di reggime” dice di loro, a come li “assinmila” ad altri partiti: qualsiasi cosa abbiate letto “non è sucesso, anzi è sucesso il contario”. Non fidatevi della sinistra, che oggi “è molto più impegnata alla difesa degli zingari che alla situsazione dei pensionati” e perde tempo con roba “gay, lasbo, comunista, visto che i trans van parecchio di moda” e “non vi dico di più senò”…
“Ma che centra” quel che ha detto Tripiedi, “quanti di voi, in quelle circostanze, si metterebbe” a guardare “gli stecchini dei giovani inesperti e non le travi dei volponi”, in quel “bel troiaio” che è il Parlamento italiano? Era solo un “discorsso con tanto effetto”, magari “un colpo di scena melodramatico”, perché “avvolte nel tumulto” capita.
“Mi ucciderei se non saprei” quanto è “costrutivo” il mio amato movimento! Certo, “anchio aspeto di vedere” come vanno le cose, ma fra i cinquestelle “si riesce cmq ad abitare” e “questa mania di usare i nostri deputati a mo di bestiame di macello non riesco prorpio a capirla”, anche se il tal giornalista “sensa verità intellettuale” non sa fare altro, altrimenti “non gli darebbero i due eurini” e “non vivebbre”.
Si può fare a meno dell’inglese per candidarsi alle europee, però noi lo sappiamo “ecome”: “vai al luna parck”, “mi faccio un pirsing”, “ho may god”, vi basta? “Adeso” leggiamoci un post di Beppe, per poter dire tutti “in corso”: “finalmente un uso apporpriato della lingua”!
Non ho inventato nulla. Aggiungete, tra un’affermazione e l’altra, righe intere di “hahahaha”, elenchi di post di Grillo e interminabili sfilze di sguaiati insulti a sfondo sessuale: è il loro modo di esprimersi, trasversale a genere/classe sociale/provenienza regionale ecc. Ma perché sto qui a fare la maestrina con la penna (a sfera) rossa? Anche se non sanno parlare e scrivere l’italiano, l’importante è che facciano le cose giuste! E il punto è proprio questo.
In primo luogo, è il bassissimo livello di comprensione che impedirà loro di fare le cose giuste. Io non posso affidare la cosa pubblica – le scelte che ricadono direttamente sulla mia vita di donna italiana – a qualcuno che messo di fronte ad un documento dell’Unione Europea, a una raccomandazione delle Nazioni Unite o a un bilancio di Stato non sa cosa significano le parole che (a stento) legge. Queste persone non possono telefonare ogni tre minuti a Grillo o a Casaleggio per farsi spiegare i termini che non capiscono, non hanno ne’ il tempo ne’ l’opportunità di consultare dizionari e manuali e circolari esplicative in corso d’opera, perciò inevitabilmente commettono e continueranno a commettere un errore dietro l’altro.
In secondo luogo, quel che dicono non esce dalle loro bocche o dalle loro tastiere così, per cieco automatismo: è il frutto di un modo di pensare e vivere. E a me non piace avere nei parlamenti (italiano e europeo) persone il cui modo di pensare e vivere comprende l’obbedienza assoluta a un capo, la superficialità, la mancanza di senso del limite, l’ignoranza, l’analfabetismo, il razzismo e – last but not least – un sessismo dei più beceri ed incalliti: perché le politiche che posso aspettarmi per le donne, per le persone lgbt, per i/le migranti eccetera si accorderanno a queste caratteristiche.
Però, si dirà qualcuno facendo riferimento alla vicenda degli F-35, almeno sono antimilitaristi, no? No. Questo è il loro “responsabile comunicazione” Claudio Messora: “Chi logora l’umore e la motivazione delle truppe è pericoloso, per sé e per gli altri. Una guerra ha bisogno di una forte motivazione, di chiarezza negli obiettivi e coesione d’intenti, di un popolo che la comandi e di un esercito che la conduca con freddezza e determinazione, di regole che impediscano a ribelli e disertori di condizionarne l’esito e, soprattutto, di tempi non estenuanti.” E il noto Alessandro Di Battista, il 28 febbraio u.s., ha prodotto un lunghissimo sproloquio in tono: “siamo in guerra”, “ci sparano alle spalle”, “sferro un attacco”, “resto in trincea”.
Se come prima reazione vi vien voglia di sbottare “è ora che si sgasino un poco” non avete torto, però la cosa non finisce lì. Il linguaggio che usi crea la tua visione del mondo e le modalità per entrare in relazione con gli altri. Quindi non sono solo esaltati, sono pericolosamente autoritari proprio in senso militarista (cosa che va a nozze molto felici con il sessismo). Il linguaggio di questo tipo è violenza.
Le parole si portano appresso tutti i fardelli di cui la nostra cultura le ha caricate nel corso degli anni. E poiché il linguaggio “militare” è usato in modo congruente con l’odio e la violenza, non c’è modo di far metafore di guerra senza evocare odio e violenza, non c’è modo di dire quelle parole senza ferire chi la guerra l’ha provata sulla propria pelle e senza giustificare esaltare razionalizzare la guerra stessa.
Come per la valanga di insulti a sfondo sessuale che i movimentisti rovesciano sulle donne, non serve dire “Sono solo parole, non possono farti niente.” Per chi ha già fatto esperienza di violenza – ed è questa la condizione della maggioranza di noi donne: se la violenza nei nostri confronti non è fisica è psicologica, ed è costante, e massiccia – non sono “solo parole”, sono il ricordare che l’abuso non è finito, che chi l’ha subito non ha alcun potere di fermare la sua prosecuzione, e inoltre che l’abuso è normale e persino divertente.
La guerra d’altronde, come sapete, metaforicamente giustifica qualsiasi cosa (“tutto è lecito”). Mentire non è sbagliato, se si inganna il nemico. Uccidere è doveroso – realmente o simbolicamente – per liberarsi del nemico. Stuprare – realmente o simbolicamente – umilia il nemico e dà ai soldati un po’ di sollievo dallo stress del combattimento. Nel processo si fanno vittime “accidentali”, ma la fretta di vincere non permette i “tempi estenuanti” della negoziazione e del dialogo. Una gran bella attitudine, per il futuro di questo paese. Maria G. Di Rienzo