In Brasile, 75.000 donne ogni anno sono trafficate a scopo sessuale. La maggioranza di esse, ci dice PESTRAF (Pesquisa sobre o Tráfico de Mulheres, Crianças e Adolescentes para Fins de Exploração Sexual Comercial no Brasil), un’organizzazione anti-traffico di esseri umani, è di discendenza africana, fra i 15 e i 30 anni, povera, senza lavoro e con figli. Inoltre, quasi tutte queste donne hanno già subito violenza in casa e/o fuori.
Di recente, in un programma televisivo brasiliano, una donna che è riuscita a fuggire dai trafficanti ha raccontato la sua storia. A mia volta io la racconto a voi non perché abbia qualcosa di speciale (tutti i passaggi sono tristemente noti), ma perché “Cristina” (non il suo vero nome) ha vissuto per otto mesi da schiava sessuale a Roma, Italia. E perché l’uomo che lei ha denunciato alle autorità del nostro paese, quello che l’ha portata in Italia, è a piede libero.
Cristina aveva 29 anni quando lo conobbe. Lo incontrò nei pressi della scuola dove faceva un corso per infermiera: l’uomo le offrì un lavoro come badante della propria madre e nel contempo la possibilità di studiare psicologia, che era il grande desiderio della giovane donna. A Roma, Cristina scoprì che il suo lavoro era quello della prostituta. Veniva portata in differenti “case private” e stava in fila con altre donne trafficate presso una parete con un buco: gli uomini davano un’occhiata attraverso questa apertura e sceglievano la donna che preferivano. Alle schiave non era permesso vederli prima di essere state scelte.
Se le donne si ribellavano o si lamentavano, venivano messe alla gogna con una specie di ghigliottina attorno al collo, oppure ammanettate per lunghi periodi. Altri castighi comprendevano il digiuno e l’impossibilità di lavarsi. Cristina dice che il suo gruppo era composto da circa 200 donne e che lei ne ha viste morire alcune. Quando altri uomini della banda seppero che Cristina aveva studiato da infermiera, la costrinsero a fare iniezioni di droga alle altre donne, sempre con la stessa siringa: “Nessuno aveva controllato se c’erano persone sieropositive. E mi costringevano ad usare una sola siringa! Credo che quello sia stato il momento peggiore della mia vita da schiava. E’ stato il momento in cui volevo morire.”
Dopo otto mesi di orrore, la giovane donna scoprì di essere stata venduta di nuovo: sarebbe andata a fare la schiava sessuale negli Stati Uniti. Tentò di scappare una prima volta e fu ripresa. La seconda le andò meglio. Dopo una notte di “lavoro” uno dei suoi trafficanti la portò con sé in un appartamento: “Era completamente ubriaco, così ho osato aprire la sua borsa, la borsa che si portava sempre dietro. Ho trovato chiavi, fotografie, documenti. Ho preso tutto e sono scappata. Ho cercato rifugio in una chiesa, dove ho parlato con il prete. Costui ed una coppia italiana mi hanno aiutata facendomi passare per posti diversi, sino all’Ambasciata del mio paese, ed è così che ho potuto tornare in Brasile. Oggi non ho più paura di niente. Posso andare in tribunale a testimoniare in qualsiasi momento.”
Il suo adescatore, che come detto lei ha denunciato in Italia, era stato arrestato ma, non si sa per quale motivo, è stato rilasciato quasi subito. Il governo brasiliano non ne conosce le ragioni e ha chiesto maggiori informazioni al nostro. Che sicuramente, con le elezioni in vista, troverà difficile occuparsi di simili banalità. Quante altre “Cristine” stiano in fila in questo momento in “case private”, dopotutto, non è cosa che commuova o sposti masse di votanti. A meno di non inserire un buono-coito fra le promesse elettorali: così che gli amati elettori, anche i più sfortunati, possano comprare tutte le “Cristine” necessarie alle loro seratine informali e continuare a sentirsi “liberi e onesti”… be’, onesti… diciamo più liberi delle belle fanciulle che i meritori trafficanti offrono al loro sollazzo. Maria G. Di Rienzo