(tratto da: “Feminism Is a Verb: Why the Movement Has No Use for Fad Feminism”, di Katy Kreitle per Nation of Change, 21 dicembre 2014, trad. Maria G. Di Rienzo.)
Sono stufa delle celebrità che dichiarano di pensare di essere femministe (spallucce).
Io dichiaro con maggior convinzione di non voler cipolle nel mio burrito. Odio le cipolle, ma odio l’etero-patriarcato ancora di più e voglio lottare per cambiarlo. E non sono minimamente interessata ad un femminismo che non includa un forte, dichiarato impegno a fare lo stesso.
Inoltre, davvero non comprendo come si possa essere femministe “teoricamente” mentre si vive in un mondo sessista. Se tutti i nostri sforzi sono concentrati sul tentare di far dire alle persone: “Va bene, ok, sono femminista.” e niente di più stiamo perdendo di vista la ragione per cui, in primo luogo, abbiamo bisogno di persone femministe.
Il femminismo non è solo la convinzione che le donne e gli uomini meritino eguaglianza sociale, politica ed economica. E’ anche la comprensione che, su tutti questi livelli, in tutte le sfaccettature sociali, in tutto il mondo, tale eguaglianza non esiste. Ed è l’impegno a cambiare questo per le donne e per tutti i gruppi svantaggiati da reazioni oppressive – create culturalmente – alle loro identità, in particolar modo alle loro identità di genere.
Il femminismo necessita: pensiero critico per esaminare quel che c’è di sbagliato nella nostra cultura sessista; riflessione su di sé per esplorare come questo ci ha toccate personalmente; dialogo comunitario per sviluppare ed evolvere consapevolezza sociale e azione, su piccola e grande scala, per cambiare sistemi oppressivi.
IL FEMMINISMO E’ LAVORO.
In effetti, anche secondo i dizionari, le definizioni base della parola “femminismo” includono: richiedere, comprendere, esaminare, stabilire, difendere, proteggere, sfidare, sostenere, promuovere… verbi.
Essere femministe è fare femminismo, non il semplice dichiararsi tali.
Perché dire “Sono una femminista” è l’inizio di una conversazione, non la fine di essa. E perché non abbiamo bisogno di un femminismo alla moda, ma di un femminismo trasformativo.